A proposito della libertà oggi…
di Filippo La Porta
Nel riferimento dell’ultraliberale Popper all’“interferenza” mi colpisce l’accento posto non tanto sui “miei” diritti (che sempre si accompagnano alla forza per affermarli) quanto sul “mio”dovere di autolimitarmi (di fronte all’altro). E, come sapeva il liberal-socialista Calogero, sono proprio io che decido di far esistere l’altro, che lo “invento”come persona morale, attraverso un libero atto immaginativo e una scelta gratuita.
Ora, il tema della libertà si può affrontare da diverse angolazioni, sul piano della teoria e della storia delle idee, su quello della politica contingente (da noi la non-interferenza evoca subito i condoni edilizi…), ma anche su quello, che mi appassiona molto di più, della critica della vita quotidiana. In particolare vorrei soffermarmi su un aspetto che investe sia la sfera pubblica che quella privata: e cioè il fatto che proprio nella “società della comunicazione” sento che la mia libertà di comunicare subisce forti condizionamenti e “interferenze”.
Il Nuovo Potere, come sappiamo, è “costruttivo” più che repressivo. Si caratterizza cioè non tanto perché vieta qualcosa quanto perché “crea” il mondo entro il quale viviamo, lo interpreta prima che possiamo farlo noi, lo plasma con le sue categorie, “costruisce” la nostra stessa personalità (e quindi vi “interferisce” sempre). Credo però che parlare di “pensiero unico” sia fuorviante. Di fatto esiste una estrema varietà di pensieri sul mondo. C’è posto per tutti: moderati un po’ rancorosi, estremisti molto retorici, finti ribelli e conservatori cinici, e perfino apocalittici perfettamente integrati. No, il punto è un altro. E consiste in cosa oggi riusciamo veramente a dire di noi e della nostra vita. La “neolingua” dominante – per usare un’espressione orwelliana – ha che fare con la modalità della comunicazione più ancora che con i contenuti. In questa modalità comunicativa – ispirata soprattutto dalla pubblicità e dal giornalismo – quanta parte della mia esperienza individuale riesco a dire, e anzi sono “libero” di dire? Se oggi voglio comunicare qualcosa (ai miei figli durante una cena o a un pubblico in un convegno letterario, all’amico in una conversazione telefonica o al funzionario pubblico dietro uno sportello) so già che dovrò rispettare alcune precondizioni, alcuni codici socialmente vincolanti, benché non scritti. Provo a riassumerli in tre regole fondamentali, tacite ma non perciò meno dispotiche.
Dunque, se voglio comunicare qualcosa a qualcuno…
1) …tutto deve risultare “spettacolare”, intrigante. Solo così cattura un’attenzione sociale sempre più distratta. Uno scrittore di successo aveva coniato la furbesca formula: “Intensità + spettacolarità” (questa la vera ricetta del successo: siete avvertiti!). Quando ci si incontra non si dice più “Come stai?” ma “Allora?”. Si pretendono da te continue novità, eventi e notizie eccitanti. Altrimenti ci si annoia subito. Ogni cosa deve diventare “narrazione”, deve assomigliare a una fiction. Non importa se sia vera o meno. E anzi della verità non ci importa nulla, come mostrano i reality show (eppure una democrazia si caratterizza proprio, rispetto ai regimi totalitari, perché distingue tra realtà e fiction!).
2) …tutto deve essere detto (e consumato) velocemente. Per dire quello che vuoi dire hai a disposizione pochi secondi, dopodiché il tempo è scaduto, l’ascolto cade verticalmente. Un fast speaking, contratto ed efficace. La misura è quella dello spot. Uno dei segnali di ciò è l’espressione “Quant’altro”, ripetuta ossessivamente. Il figlio al padre: “Mi dici i valori in cui credi?”. Il padre “Beh, il rispetto per la natura, e poi comportarsi civilmente, …e quant’altro” (bisogna chiudere!).
3) …tutto deve sembrare molto ironico e disinibito. Da noi – triste paradosso – l’accusa più infamante, e più iterata, è “Non fare il moralista!”. Proprio in Italia, paese privo di qualsiasi vera tradizione morale, e in cui anzi la morale, come diceva un classico, è questione di “eleganza”, mai di scelte obbliganti. Potrete fare qualsiasi affermazione. Basta spiegare dopo: “Non avete capito che ero ironico ….” (così vi fanno sentire anche un po’ tetri, privi di humour). L’esistenza deve essere – o almeno apparire – light e giocosa. La drammaticità (ineliminabile) della vita è solo “sfiga”, il negativo è come pescare “Imprevisto” al Monopoli. Nel nostro paese – unico al mondo – abbiamo ridotto a commedia (fiabesca, consolatoria)perfino la Shoa…
Probabilmente definire queste regole “dispotiche” è solo un’iperbole, un’esagerazione retorica da tardo-francofortesi. Molti di noi, per fortuna, comunicano quotidianamente con gli altri violandole o fregandosene. Però si tratta di una scelta un po’ eroica, esposta continuamente al fallimento e all’afasia. Nessuno – evidentemente – ci ordina di seguire quelle regole, ma se non ne teniamo conto per niente paghiamo un prezzo molto alto. Da cosa dipende? Chi è che interferisce – più o meno volontariamente – con la mia libertà di comunicare? Si potrebbe rispondere: i media, la Tecnica, lo Spirito del Tempo, le classi dirigenti di questo paese. Giusto, ma direi che si tratta innanzitutto del Grosso Animale, come Platone volle definire la società, della sua pressione invisibile e continua sugli individui. Difficile, ma non del tutto impossibile, resistergli.
Pubblicato su “Il Foglio”, marzo 2004.
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La drammaticità della vita… solo sfiga…
Davvero sfigato il povero Nick Berg.
Per chi volesse guardonare il corto “The Passion of Nick Berg”, il link è qui:
http://www.military-secrets.com/
Osservazioni centrali della nostra vita quotidiana, fatta eccezione per le spiegazioni (troppo astratte)che causano quanto Filippo la Porta registra magnificamente! In questo senso ho trovato interessanti proposte in un volumetto pubblicato recentemente da Einaudi: Contro la comunicazione di Mario Perniola.
Al problema del rapporto fra libertà e potere (‘il potere costruisce le libertà’?) si affianca a mio parere quello fra potere e identità (il potere costruisce le identità? Si può scegliere la propria identità?). Nell’ambito delle regole non scritte che governano i settori della società civile in cui esiste un potere in capo a qualcuno e un interesse all’obbedienza da parte di qualcun altro, si può scegliere una identità al massimo fra una serie di alternative precostitutite. Di qui gli individui a coscienza multipla della nostra epoca (i gabbiani dalle ali rattrappite del buon Gaber), il valore fondante del ‘compromesso’, l’accusa a chiunque pretenda di ridiscutere regole ‘sociali’ di essere un ‘moralista dalla coscienza sporca’. Con buona pace di Pasolini oggi il modo di vestire, la lunghezza dei capelli, il fatto che porti o non porti la barba: queste e altre idiozie, oltre al come si adopera la lingua, rappresentano la necessità che un ‘gruppo’ ti riconosca come suo simile. Specialmente in ambito lavorativo, credo. Una cosa rientra a pieno titolo nella triste libertà dei moderni ed è il fatto che si può scegliere o non scegliere di ‘appartenere’, entro i limiti delle proprie capacità. La capacità di una persona è spesso definita in base a standards valutativi. Il linguaggio che si deve usare è spesso precostitutito dai media. I ragazzini a cui facco ripetizioni mi ripetono le guerre puniche con un piglio alla Enrico Varriale…
Vado a rileggermi ‘Sulla questione ebraica’. Credo che sia lo scritto più attuale di Marx. L’articolo di La Porta lo condivido parola per parola (sopratutto le prime sei righe).
Eccellente articolo. Ed eccellente l’intervento di Mantello. Sul punto 3 – sull’ironia- vorrei aggiungere che questa, l’ironia, è una faccenda seria, molto seria, serissima.
Alla fine paghiamo un prezzo altissimo, quello di venir tacciati di pesantezza, di essere persone impegnative, un po’ malinconiche e infine di annoiare alcuni dei nostri interlocutori. Ma trasgredire queste tre regole mi fa sentire ancora PERSONA, il che non è poco!
Credo che le argomentazioni di questo articolo siano incontrovertibili, ma riguardino solo un aspetto della faccenda. Siamo onesti: mai nella storia è esistito un grado di libertà di espressione paragonabile a quello odierno. Fino a cinquant’anni fa a dire la propria si rischiava la galera e a volte anche la pelle. Ve lo immaginate NI sotto Mussolini, Hitler, Stalin, o nella repubblica gesuita del Paraguay ?
Non piangiamoci addosso. Non abbandoniamoci al vittimismo. La libertà ha di bello anche questo: che basta usarla per ampliare automaticamente gli spazi di libertà.
Ferrazzi ha ragione. 50 anni fa, sotto il tallone di quei dittatori, probabilmente, Internet sarebbe rimasto in mano a pochi “eletti” nel Partito. In fondo – anche se ascoltati dai parenti e dagli amici- possiamo dire la nostra. E le foto delle torture possono circolare in tutto il mondo, diventare strumento politico d’opposizione. E Mr. Rumsfield può fare la sua enorme figura di merda prima della sua mitigata – per clima politico- Norimberga…(Speriamo presto, Novembre non è lontano).
P.s: più che di Norimberga bisognerebbe parlare di Waterloo. Nessun tribunale internazionale giudicherebbe la banda di Bush…
bah,a me l’articolo è parso completamente schiacciato nel sarcasmo! ragazzi, ferrazzi, va bene, lo sappiamo che siamo liberi! solo che mi viene un brivido…chi ci ascolta, se l’apparato è in mano a lobbies che fanno il gioco di chi libero lo è troppo, sì, troppo, di farsi i cazzi sua?
inoltre, non so l’età media dei postatori, ma ho come l’impressione che non ci si renda conto che crediamo libertà quella di poter dire tutto senza sapere, in realtà, a chi ci rivolgiamo e perchè lo facciamo! nessuno ha voce in capitolo, tutti si accontentano di essere quello o quell’altro…insomma, cosa siamo fantasmi?? :))
Ragazzi, voi ignorate anni e anni di studi e libri sul totalitarismo dell’attuale civiltà di massa e mediatica…
Certo, siamo più liberi, ma avete dimenticato Pasolini? Colui a cui tutto è negato, può fare tutto (illegalmente, of course), mentre colui a cui qualcosa è concesso, può fare solo quel qualcosa… Miei cari, è l’inganno della società finto-liberale e finto-permissiva…
Un esempio concreto: nel ’40 l’Italia di Mussolini entra in guerra. Chi è a deciderlo? Mussolini. Perché? Perché è un dittatore e nessuno può dire la sua. Oggi l’Italia è in guerra (perchè è chiaro che siamo in guerra, no?). Eppure, grazie alla libertà di espressione, secondo i sondaggi la maggioranza degli italiani è contro la guerra. Chi ha deciso dunque? Di certo non il popolo. Che cosa è successo? In parole povere, è successo che ci hanno dato la libertà di parlare, ma si son presi la libertà di non ascoltarci… La libertà di espressione nell’era mediatica può essere dirottata, distorta, contraffata: il fatto che essa sia apparentemente e formalmente concessa, anzi, è un’alibi del nuovo totalitarismo. Perché l’espressione, oggi, passa dai media (tv, giornali, radio, web cc.) e non si può parlare di libertà di espressione ove non ci sia anche libertà dei media (e i media sono, attualmente, occupati, non intendo dal governo berlusconiano, ma da sempre dalle lobbies economiche: chi è che può permettersi una rete televisiva? forse un’associazione di operai o di studenti?) Insomma, ragazzi, dài, non fate gli ingenui…
L’età media dei partecipanti a NI è di 88, 9 anni.
Forse siamo davvero ingenui: alle dittature, preferiamo essere liberi di spegnere la tivu quando vediamo campeggiare nello schermo la faccia liftata di Emilio Fede. La libertà, spesso, è un NO. E questo NO lo possiamo
ancora dire.
O no?… ;-)
Graziano, preferisco le tue analisi letterarie.
No, Elio e Franz, non voglio dire che “si stava meglio quando si stava peggio” o fare il nostalgico. Però i peana alla libertà d’espressione proprio non ci stanno, e non perché questa libertà di espressione non ci sia, ma perché sono tanti i meccanismi simil-totalitari, oggi, che la maggior parte di questo capitale di libertà è sperperato e non porta a nulla. Comunque il tuo, Elio, lo prendo come un saluto ironico alla mia nuova verginità…
Ho litigato questa mattina sulla malinconia. Il linguaggio dell’anima è malinconico! E’ così! L’anima è malinconica! Non esiste una facoltà come l’allegria dell’anima! L’anima è la malinconia. E la malinconia è ciò che risveglia l’anima nel corpo! Ma l’uomo può essere anche allegro! solare! può ridere senza ignorare e coltivando saggiamente la malinconia. Mandate a van fan culo coloro che storciono il muso appena avete un’espressione o frase malinconica!
Graziano, mi congratulo per il tuo “outing”. Oltre che Malatesta sei stato anche una capatosta… Ma alla fine Tiziano ti ha stanato!;-))
(E dire che tempo fa, quando ti chiesi il tuo vero nome, mi rispondesti: “e se fossi Tiziano Scarpa? Te lo ricordi?);-)
Ciao.
A me pare che un conto sia sostenere che la libertà di espressione attualmente possibile è limitata e costantemente in pericolo (su questo penso che siamo tutti d’accordo), un altro conto sia non voler ammettere (per amor di polemica) che la libertà di cui godiamo oggi è incomparabilmente maggiore di quella che esisteva in passato.
Mi preoccuperei di ben altro che la libertà di espressione. Già parlando di libertà di espressione siamo a monte! Ma a valle c’è l’espressione! prima ancora di poter esercitare la libertà di espressione si deve essere capaci di avere una o più espressioni. Ma è proprio l’idea contemporanea della comunicazione che fa sì che venga a mancare o essere fortemente carente la capacità di esprimersi. Molto spesso si scambia la capacità di esprimersi con una ripetizione a pappagallo di moduli e di linguaggi di pensiero appresi senza essere capaci di esercitare su di essi filtro critico e operazioni di linguaggio in uno stile personale come cura e conoscenza di sé. Foucault su questo aveva ragioni da vendere. E siamo ancora nella caverna platonica! con la compagnia di un cellulare e di una calcolatrice in quanto a novità!
Oggi uno studente è decisamente più ignorante degli studenti dell’epoca scolastica di Giovanni Gentile. Però gli studenti di oggi sono più informati(hanno maggiori mezzi di comunicazione e di conoscenza a loro disposizione ) ! di cosa e a che pro però non si capisce. Oggi gli studenti hanno maggiore libertà di parola ma il loro vocabolario è alquanto povero lessicalmente, grammaticalmente e concettualmente. Però sono ottimista!