Per una critica futura n° 4

dscf1212.JPG È on line sul sito di Biagio Cepollaro
il numero 4
di Per una critica futura a cura di Andrea Inglese

Indice + Editoriale:

Andrea Inglese, Editoriale
Giuliano Mesa, Biografie perdute (2° parte)
Stelvio Di Spigno, La credibilità del contrabbando: poeti contemporanei e lo «spirito del tempo»
Biagio Cepollaro, Intervista di Sergio La Chiusa su Poesia Integrata. Le parole che trasformano

Fabio Moliterni, «Il vero che è passato.» Poesia e tempo in Franco Fortini
Erminia Passannanti, Teorizzazione della contraddizione nella poesia di Franco Fortini

Dialogo a più voci
(Interventi di Luigi Severi e Giampiero Marano)

Andrea Inglese

Editoriale

Anche questo quarto numero di Per una critica futura appare particolarmente corposo e dallo spettro ampio di proposte. Spunti teorici e riflessioni critiche vanno davvero in molte direzioni e soprattutto battono, in alcuni casi, sentieri poco frequentati nell’ambiente poetico. Questa apertura di prospettive mi sembra soltanto salutare, visto che non abbiamo solide verità da difendere, ma semmai molte ovvietà da mettere in discussione.

Anche in questo numero, l’apporto dei poeti in veste di critici, ossia la “critica degli autori”, è determinante. Ma alle riflessioni di Mesa, Cepollaro, Di Spigno, Passannanti e Severi, si affiancano quelle di critici-critici come Moliterni e Marano. Molti autori, poi, provengono dall’esperienza della ricerca universitaria, e si portano con sé vantaggi e limiti di questa impostazione. D’altra parte, questi quaderni di critica sono anche un’occasione per sperimentare in modo più audace e militante una serie di strumenti elaborati in sede accademica.

I due interventi di Mesa e Cepollaro, pur nella loro apparente distanza, operano un notevole spostamento di prospettiva, violando il tabù modernista dell’arte come sfera autonoma e separata rispetto alla dimensione etica e conoscitiva dell’essere umano. Non sono certo i primi e i soli a sforzarsi di ricongiungere ciò che è stato separato, e lo fanno comunque utilizzando riferimenti e vocabolari diversi. Eppure questa loro esigenza mostra una straordinaria libertà, che non può non interessarci tutti, in quanto individui coinvolti in quella particolare attività che è la scrittura poetica. È una delle massime lezioni dell’arte, la sua possibilità di considerarsi una configurazione storica mai definitivamente cristallizzata, ma costantemente aperta a sfide ed esplorazioni che ne mettono in dubbio il suo statuto. Per questo motivo, è fondamentale lo sforzo di Mesa di trattare assieme due questioni che normalmente vengono separate: l’arte come forma conoscitiva propria, e l’arte come responsabilità nei confronti della storia. Scrive Mesa: “o si ritiene l’artista consapevole, e responsabile, e dunque responsabile, insieme, del suo fare artistico e del suo agire umano, attribuendo al suo agire artistico anche il valore di un agire umano. Altrimenti si cade nell’art pour l’art più deteriore”.

Difficilmente oggi l’art pour l’art si presenta nella forma innovativa e urgente del proclama. L’autonomia dell’opera rispetto al mondo è semmai accettata come premessa storicamente ereditata e ideologicamente consolidata. Questo fa sì che spesso l’unica responsabilità di cui l’artista o lo scrittore si sente investito, è quella nei confronti dell’attualità. L’arte deve essere ogni volta attuale a se stessa, pur disconoscendo la sua reale collocazione all’interno di un certo mondo storico. Poco importa se il post-situazionista di oggi contribuisce a ridurre l’intero pensiero critico a polverosa anticaglia, decisiva è la sua capacità di aggiornare la sua opera letteraria o artistica alle merci che nuovi e vecchi media sfornano giornalmente.

Il discorso di Cepollaro si sviluppa nell’ambito di un’intervista curata da Sergio La Chiusa e ruota intorno alle possibilità di valorizzare l’incontro con un testo poetico in un’ottica ampia, in cui l’elemento intellettuale sia strettamente intrecciato a quello sensibile, sentimentale e immaginativo. Il fatto estetico è qui considerato come un’esperienza fondamentale di sé, un’occasione per portare alla luce degli aspetti latenti del nostro rapporto al mondo. Cepollaro parla di “ampliamento ed espansione della coscienza del presente”. In questo modo riannoda l’esperienza poetica all’esplorazione degli stati mentali. E sappiamo quanto sia stata feconda, nel Novecento, l’idea che la pratica poetica possa costituire l’occasione per un allargamento della coscienza. D’altra parte, quando si è delineato il progetto di Per una critica futura, io e Cepollaro ci siamo trovati entrambi d’accordo sulla necessità di muovere da una fenomenologia della lettura del testo poetico. Ci sembrava una questione importante non per far tabula rasa, ma per liberarci da una certa serie di assunti astratti e generali in favore di un ascolto attento del testo poetico. Il corso di “Poesia Integrata” ideato da Cepollaro offre allora non un esercizio di scrittura creativa – come già avviene in molti altri contesti –, bensì un’esperienza di lettura poetica. E le premesse di tale proposta stanno tutte in una fenomenologia del testo poetico.

Il pezzo di Stelvio Di Spigno al contempo preciso ed umorale offre un esempio di lettura dei testi in una prospettiva non esclusivamente descrittiva, ma anche giudicante. Sceglie autori molto e meno giovani, noti e meno noti. Spiazza insomma le gerarchie consolidate della critica e soprattutto dirige l’attenzione sulla questione cruciale della poesia come processo di decifrazione dell’universo sociale e storico. Questione mai superata, e impostata in modo straordinariamente acuto da Benjamin, già negli anni Trenta del Novecento. Aggiungo su questo punto un’osservazione personale. Affinché la poesia si ponga nell’ottica della decifrazione, essa deve innanzitutto sapere vedere i cosiddetti “segni dei tempi” nella forma di cifre enigmatiche. I segni dei tempi sono il contrario dello “spirito dei giornali”, delle “marche dell’attualità”. Affinché il “presente” sia visto come tale, esso deve potersi distinguere da un passato, ed anche anticipare un ipotetico futuro. Il contatto diretto con il presente, nell’ottica trasparente e priva di conflitti, dell’aggiornamento culturale, si distingue nettamente da quella mancata adesione all’attualità, che permette di cogliere elementi incongrui e misteriosi nella vita di tutti i giorni. Si tratta di “misteri” che sorgono per essere poi dissolti e penetrati. Ed è proprio questo movimento ostacolato, fatto di malintesi e incomprensioni, che permette anche una messa in prospettiva della realtà immediata.

Di questo e d’altro parla Di Spigno, sempre aprendosi il cammino della riflessione a partire dai testi. E ad un certo punto denuncia il “nostro endemico storicismo letterario (sintomo, anch’esso, di una cronica mancanza di fiducia nel futuro della letteratura, frutto di un trauma spaventante, che costringe tutti a progredire solo sull’esempio di ciò che è già stato fatto)”. Ed anche questo è un tema maggiore e inaggirabile, per chi voglia riflettere oggi sulla fragilità della poesia italiana contemporanea, magari ponendola a confronto con tradizioni poetiche di altri paesi e in altre lingue.

Una sezione apposita, costituita dai due contributi di Fabio Moliterni e Erminia Passannanti, è dedicata alla poesia di Franco Fortini. Non è un caso. Fortini poeta rimane una figura densa di dimensioni latenti, capace di parlarci ancora, e forse più a lungo di altri autori, più velocemente canonizzati. Fortini è un anomalo, sia come poeta che come intellettuale. A noi ha insegnato e ancora insegna come la lucidità intellettuale, l’intransigenza etica e l’ossatura ideologica non siano elementi contrari all’esplorazione poetica, ma ne possano anzi costituire il maggiore e più costante nutrimento.

A chiudere questo numero, due interventi di Luigi Severi e Giampiero Marano, che si pongono come continuazione del dibattito a più voce innescato da Cepollaro e Giovenale sulla “poesia di ricerca”. Malgrado l’inadeguatezza e i malintesi che può suscitare, intorno al termine “ricerca” si è sviluppata una discussione dagli sviluppi e dagli esiti tutt’altro che prevedibili. Prevedibile, era forse partire dall’idea di “ricerca”, quasi che “poetare” e “ricercare” fossero sinonimi. Di certo, gli elementi che sono poi entrati nel discorso, si sono dimostrati in molti casi più ricchi e nuovi del previsto.

(Foto A Inglese)

2 COMMENTS

  1. che sorpresa a cliccare sul puzzle!!!
    la fantasia di Inglese è altamente creativa!
    Gustosissima!
    ;-)

  2. cara capuche, una sorpresa anche per me, mi s’è semplicemente incasinato il link (il caso fa l’uomo artista)

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.