SS
di Luigi Nacci
I
Bewerber
Dirottiamo aeroplani di carta nei giorni di vento
Tramontana ci porta lontano e maestrale ci impenna
Nella stiva fa freddo si ghiaccia si gelano gli occhi
Non si vedono piste e non sono previsti atterraggi
Ci copriamo con pacchi-lenzuola e con coltri-bagagli
Incrociamo gli sguardi ma senza azzardarci a parlare
Che l’ossigeno è poco e il pensiero si ossida presto
Ci conforta il reattore che sparge potente il suo canto
Ed è come l’apnea delle prime nuotate in piscina
O la faccia contratta nel vetro del treno che parte
Ci mettiamo a soffiare a soffiare pensando alla luna
Si potesse saltare aggrapparsi coll’unghie a dei cirri
Poter dire una volta di avercela avuta la testa fra le nuvole
A giorni alterni qui crollano le case in tutte le stagioni
Nelle macerie si gioca a nascondino prima dei soccorsi
Liberatutti canticchiano le ruspe e arrivano i becchini
Scrivono i corvi con tremuli becchi la lista dei dispersi
Con le bombe facciamo palleggi di testa di piede di mano
Piroette sgambetti e passaggi fin quando non cade per terra
È un saltare di dita che pare la festa del primo dell’anno
A ciascuno il suo scoppio a ciascuno il tripudio di fuochi
[che spetta
Come stelle filanti le dita ricadono ognuna al suo posto
Ci si stringe le mani e stringendo si aspetta che faccia mattino
Zoppicando torniamo alle nostre baracche con meno coraggio
E c’è sempre qualcuno che arriva e controlla e ci conta e
[ci dice
Che nel campo si tace si dorme si muore anche il sogno
[è proibito
Siamo scorie eccedenze rovine del tempo robaccia che brucia
Riciclarci per cosa e per chi riciclarci per fare che cosa
Mentre grida ha negli occhi decine di metri di filo spinato
Col suo filo faremo una fune che sale alla volta celeste
Poter dire una volta di avercela avuta la testa fra le nuvole
A giorni alterni qui crollano le case in tutte le stagioni
Nelle macerie si gioca a nascondino prima dei soccorsi
Liberatutti canticchiano le bombe e sparano i cecchini
Scrivono i corvi con tremuli becchi la lista dei dispersi
II
Anwarter
Ci areniamo in scogliere e carcasse di mostri marini
Incagliati restiamo in attesa dell’altra marea
C’è chi pesca chi prega chi parla alla stella polare
Le sirene non sprecano colpi di coda per noi
Dalla costa si levano gridi e segnali di luce
Il guardiano del faro fa segno di andarcene via
Pescecani pirati pattuglie di guardia costiera
Quanti denti ha lo squalo ed è fiero di farli vedere
La frontiera si staglia di fronte le cose e le taglia
In due volti due sguardi due modi di batter le ciglia
Le scialuppe si calano a mare e si mettono in salvo
Con i remi si accendono fuochi che scaldano i visi
Ci affidiamo spaesati al timone e alla sua buona sorte
Lo scirocco ci spinge si suda e respira a fatica
E nel sale che satura l’aria si pensa alla casa
Alle cose lasciate sull’uscio e i saluti di rito
Ma fra tutte le cose soltanto la terra non torna alla mente
Sbrana un uomo lo squalo ed è fiero del sangue che sparge
La frontiera si staglia di fronte le cose e le taglia
In due volti due sguardi due modi di batter le ciglia
Una volta tagliate le cose sviluppano forme parziali
Camminare sull’acqua debilita stinchi e caviglie
In colonna si marcia evitando le onde più grandi
Terra in vista è la frase che ognuno vorrebbe strillare
Sotto il sole si spargono i corpi di piaghe e miraggi
Come giona a decine si lasciano andare nei flutti
Rifugiati nel ventre dei pesci pensiamo alla casa
Elicotteri navi e plotoni di guardia costiera
Dalla terra si parte e alla terra faremo ritorno
La frontiera si staglia di fronte le cose e le taglia
In due volti due sguardi due modi di batter le ciglia
Una volta tagliate le cose sviluppano forme parziali
Si allontanano l’una dall’altra laconiche ortogonali
III
Mann
Sulle punte torniamo dal fronte per non molestare i passanti
Nascondiamo le macchie di sangue davanti alle scuole e agli
[asili
Come prestigiatori ai bambini mostriamo gli elmetti-cilindri
Fuoriescono tristi conigli e colombe che volano a stento
Intervengono leste le madri intimandoci di andare via
Mentre i padri ci tengono ben sotto mira coi loro fucili
E dai tetti cominciano a spiovere lucide antenne-saette
Riserrate le righe e infilzati di fretta tagliamo la corda
Troppo lenti per via degli zaini imbottiti di corpi e granate
Tutto il peso dei colpi inesplosi nei rigidi caricatori
Ci rincorrono i vicoli ciechi gli incroci i parcheggi di periferia
La città si contorce e si spacca e risucchia anche i cieli più
[bassi
Nei crepacci le cose incagliate hanno l’aria di essere stanche
Coricati sui cigli sogniamo di dare la caccia al colombre
Sulle punte marciamo tra i crolli per non disturbare i caduti
La sicura si toglie con calma tra acervi di calcine e croste
Con la coda dell’occhio il compagno saluta il compagno vicino
Detonati sul far della sera non siamo che abbagli
IV
Sturmmann
Raccogliamo lattine ammaccate per farne castelli
Il torrione centrale si erge sbilenco ma solido
Sulla cinta muraria si snoda il cammino di ronda
Le vedette di plastica scrutano e poi riferiscono
Allaghiamo il fossato di bibite e liquidi chimici
Coi picchetti di sughero a terra si fissa la tenda
All’entrata reale si alternano i turni di guardia
Giornoenotte si cuociono taniche d’olio bollente
Ci affiniamo nell’arte del lancio di pietre e barattoli
Nei bastioni si elabora un piano di strenua difesa
Si digiuna per non consumare le scorte di viveri
Quando viene l’assedio lo stomaco stringe e recalcitra
Con i denti si tengono l’anima e i suoi derivati
Le ginocchia si piegano come le cime degli alberi
Ripassiamo a occhi chiusi le mosse le prese e gli affondi
Appoggiati alle grucce speriamo che il muro non ceda
E se cede ci restano sempre i castelli campati per aria
V
Rottenführer
a Rosaria, ai suoi crolli
Impigliati nei rami degli alberi brillano i lanciafiamme
Penzolanti in profili metallici e simili a foglie autunnali
Hanno viti ossidate e bulloni sfilati che scricchiolano
Serbatoi perforati dai quali zampillano neri rigagnoli
Propellenti che colano come ruscelli di miele e di propoli
Espandendosi in laghi altamente infiammabili e densi
Che allargandosi a flussi e riflussi travolgono i campi
Fino a dentro alle ville dei ricchi vassalli e alle stalle dei servi
Allagando i fienili affollati di coppie e viandanti
Si dileguano al chiaro di luna le ombre dei corpi
Nel migliore dei mondi possibili sopravviviamo
Nonostante sommessi tramontino gli occidenti
Alla radio trasmettono il meglio dei canti liturgici
E vi lascio la pace vi do la mia pace preghiamo
Fanno ruggine e invecchiano presto i cannoni all’addiaccio
Seppelliti da sabbie e da ciuffi di pollini allergici
Hanno bocche tappate da fiori a pannocchia di luppolo
Ci si infrattano truppe di fanti fuggiaschi e di profughi
Accalcati nemmeno ci fosse l’allarme antiaereo
Con la strizza di farsi beccare nei rastrellamenti
Che al setaccio ripassano pure le cucce dei cani
Una volta arrestati si viene condotti nei fossi
Dove aspettano ghiotte e allupate le schiere d’assalto
Rinsaldate nel loro vigore dal chiaro di luna
Nel migliore dei mondi possibili sopravviviamo
Nonostante sommessi tramontino gli occidenti
E vi lascio la pace vi do la mia pace preghiamo
Nelle crepe dei muri spariscono dardi a decine
Assorbiti da gorghi di malta e correnti di alta tensione
Ridiscendono per le pareti degli appartamenti
Perlustrando perimetri esterni perimetri interni
Quando avvertono qualche presenza o sospettano solo
Con un guizzo prorompono rapidi dai rubinetti
Impalando le prede a sorpresa nei petti o alle tempie
E tornando a percorrere i muri con passi precisi
Fino a un attimo prima dei crolli che fanno le piazze pulite
Dando modo alla luna di splendere chiara su tutte le cose
Nel migliore dei mondi possibili sopravviviamo
E vi lascio la pace vi do la mia pace preghiamo
(Zwischenraum)
Rinnegati e oramai moribondi all’entrata del forno
Separati dagli altri che bruciano male o per niente
Prelevati da gru che diranno di avere obbedito a degli ordini
Ci ripongono a grappoli sparsi su griglie roventi
Imperversano spruzzi di aria forzata e metano
Che migliorano molto il processo di carburazione
Rosoliamo per pochi secondi ma sembrano ore
Raccontandoci storie di zefiri primaverili
La canicola essicca ogni accenno di lacrima
Disidrata chirurgicamente i ricordi del mare
[…]
Chi non lavora non fa l’amore
Canta beato l’infornatore
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E’ stupenda.
Musica potente
Pavese vive!
:)
post-(dis)human! e che ritmo! Molto mi prese suddetta lettura! Salùtoti! E Saluto anche Andrew Englishman!
xxx
m.
Ciao Lui’
eccellenti pentametri e esametri barbari, belli!
Mi associo all’entusiasmo generale per i versi di Luigi Nacci. Anche Tirteo vive (un Tirteo dei disertori, dei claudicanti, degli storpi di guerra). Da quando li ho letti questa mattina, non c’è verso di togliermi dalla testa questi anapesti ipnotici.
Pierluigi
Complimenti davvero, non ho mai avuto dubbi…
Cris
Che dire? Provo a spostare l’angolo visuale, tanto la sostanza della visione non cambia: diciamo, allora, che lo spettacolo del Nacci che corre nelle praterie indiane mi piace molto, anche perché lo aspettavo già da un bel po’. Peccato non poterlo sentire “cantare” i suoi versi. Imperdibile.
Merci, Andrea. En attendant…
fm
Che brividi, una poesia che è un piccolo viaggio in treno… Complimenti vivissimi all’autore!
sublime.
saluti,
rs
Dopo aver visto una mostra di un grande artista o aver letto i versi di un grande autore s’innescano solitamente due reazioni emotive opposte: 1- si decide di buttare per sempre pennelli o stilografiche 2- si corre a casa a dipingere o scrivere poesie.
Anche se qualcuno potrebbe pensare sia ancora presto per dire se Luigi Nacci sia un grande autore (come credo) o meno, di certo non si può dire che la sua scrittura ci lasci indifferenti.
corro a casa
db
che bella!
Ciao Luigi!
Mi permetto qualche osservazione su questi bei testi – del tutto personale e confusa, ovvio!
Intanto – il tema della guerra globale (il riferimento storico è preciso, a partire dalla scelta dei titoli, ma mi sembra che sia il simbolo evidente per un discorso più vasto) intrecciato a quello della frontiera che è già nel Poema Disumano. Mi sembra che l’idea che emerge più forte non sia quella di frontiera legata al passaggio di un confine, altrimenti nemmeno l’ultima poesia si sarebbe intitolata Zwischenraum (intercapedine), ma magari Gang o durchgang (varco, credo se non sto dicendo qualche fesseria in tedesco…), ma al residuo, allo scarto, al margine, all’umanità che se si riscatta lo fa solo ai minimi termini… è in questo “avanzo” che nel senso della guerra si incontrano disintegramento e resistenza. Non so, mi verrebbe da dire, che più che un’epica del viaggio (terribile e smembrante), quella di Nacci è un’epica del resto. Ottenuta tramite un affastellamento formidabile di immagini e suoni, esattamente, per usare un raffronto visivo, come il barbone che nelle grandi città s’inventa un’esistenza scavando nei rifiuti degli altri. Raccogliendo, ricreando. Il secondo testo, il viaggio per mare e mostri, richiama tutta una mitologia del sommerso, ma anche la Stultifera Navis, del tardo quattrocento (quella che poi ha dipinto Bosch, un pittore che dovrebbe piacere a Luigi), la nave alla deriva, non destinata a toccare terra, dove la follia diventa emblema del peccato, e l’uomo in perenne allontanamento, si consuma invece che raggiungere terra. Poi ci sento l’eco della Ballata del Vecchio Marinaio di Coleridge, passato per quell’incantatore furfante che è Capossela, così, come restando in musica, il gioco con le bombe della prima, dove il tragico diventa ironico e folle, mi ha fatto ripensare subito ad un disco di De Andrè e al suo Girotondo. Ma può essere che siano solo i miei amori adolescenziali che tornano! C’è anche il fatto che geograficamente Nacci è persona di confine… magari questo influisce. Prima di scrivere un trattato delirante, mi fermo – solo due domande di una curiosa: il mio tedesco è scarsissimo, ma mi piacerebbe capire nelle intenzioni del poeta, la differenza tra il primo ed il secondo titolo… non significano entrambi “applicante” o “apprendista”?
E l’altra domanda. Mitralika cita Pavese. Ok. Siccome lo amo moltissimo, mi piacerebbe se Luigi dicesse qualcosa al riguardo a partire dai suoi testi.
AH! Aspè: la terza domanda – “lo squalo è fiero del sangue che sparge”. Ecco io su questa cosa mica sarei d’accordo. Intendo: per me la violenza è connaturata all’animalità, qualcosa di necessario. Questo squalo mi pare abbastanza umanizzato – ma ora che l’ho scritto rifletto che forse è esattamente ciò che voleva fare l’autore. No?
Bellissimi.
I doppi ottonari sono per raccontare ma un racconto “civile”. Storia.
Bellissime! Stile e vigore di quelli che piacciono a me. Bravo Luigi!
Un caro saluto
Luca Ariano
Ringrazio tutti coloro che hanno lasciato una traccia: troppo buoni! Evidentemente influenzati dall’atmosfera d’ogniSSanti.
Provo a rispondere a Francesca: resto e frontiera sono naturalmente fatti della stessa sostanza; il semplice atto del di-videre, implica una separazione che lascia monchi, vedovi, offuscati nella (s)vista uno di fronte all’altra, agli altri pezzi scartati, agli altri sé perduti (e lo scarto porta irrimediabilmente in sé la memoria dell’amputazione e dell’amputatore). L’epica è anch’essa incessante operazione dello scartare e del conservare, affinché nel canto resti la conoscenza necessaria e si perda il superfluo (Havelock, etc., etc.). Epica del resto è quindi impossibile – sulla carta: si canta ciò che rimane e serve, e di ciò che si scarta si tace. Dico “sulla carta” perché è la voce, sono le voci (non quelle del poeta, o non solo) che potrebbero invece intervenire a tenere in equlibrio il sistema: ma su questo progetto sonoro sto lavorando e non mi esprimo fino a quando non avrà una forma semi-compiuta.
Bosch: sì, mi piace (il pesce in primo piano nel Trittico delle tentazioni: non è quello uno scarto della raffigurazione, uno scarto della tela stessa, quasi pronto – se solo potesse, se solo avesse la forza dell’ultimo copo di pinna! – a saltare fuori per soffocare gioiosamente?) ma preferisco di gran lunga l’Otto Dix pittore in trincea con la maschera a gas (e il di lui –a mio parere – discepolo italiano Ugo Pierri: http://www.ugopierri.it). Anche De Andrè e Capossela sono azzeccati, mentre della Ballata tengo la parte terza: There passed a weary time. Each throat / was parched, and glazed each eye. A weary time! a weary time! / How glazed each weary eye, / when looking westward, I beheld / a something in the sky. Una scena densissima di bocche arse e copri affastellati, mentre sullo sfondo un segno di cambiamento, la descrizione che si fa sempre più cupa, fino alla comparsa (epica!) di Spectre-Woman & Deathmate, e il tonfo dei corpi, che musica: with heavy thump, a lifeless lump!
Rispondo alle domande: 1) i gradi delle SS! 2) “Andava intanto prendendo in me consistenza una mia idea di poesia-racconto […]. Sapevo naturalmente che non esistono metri tradizionali in senso assoluto, ma ogni poeta rifà in essi il ritmo interiore della sua fantasia. E mi scopersi un giorno a mugolare una certa tiritera di parole (che fu poi un distico di Mari del Sud) secondo una cadenza enfatica che fin da bambino, nelle mie letture di romanzi, usavo segnare, rimormorando le frasi che mi ossessionavano. […] Avevo dunque scoperto il valore dell’immagine, e quest’immagine non la intendevo più retoricamente come traslato, come decorazione più o meno arbitraria sovrapposta all’oggettività narrativa. Quest’immagine era, oscuramente, il racconto stesso”. (C. Pavese, Il mestiere di poeta); 3) La ballata di Mackie Messer…
(grazie davvero a tutte/i)
Otto Dix! è vero. Brecht non lo avevo riconosciuto, ma spesso le cose non si vedono finché non ci si sbatte il naso… si va a cercare la crepa recondita e non si vede la colata enorme di cemento! Sempre meglio chiedere.
E grazie per la citazione di Pavese, la narrazione poetica per stralci visivo/sonori. Riguardo all’ossessione per la singola parola frase/ immagine è un sunto poetico fondamentale. La poesia prima di creare pensiero, crea immagini.
ma se mi opero il cognome posso diventare luigi nacci ?
luigisocci
L’attenzione al suono mi piace molto.
Ho visto che lavori anche sul suono infatti.
Qualcosa di montaliano a tratti?
Oltre il suono il senso sonoro che picchia duro.
Il migliore dei mondi possibili è crudo, lo so.
Ogni ciglia batte in modo diverso, tra me e te una frontiera ogni volta. Chiudo gli occhi.
Sto bene.
Mi prendo la tua pace che ci lasci e prego insieme a te.
già sai, Luigi.
saluti dall’estemporanea compagna di banco fiorentino :-)
ps: la penna scrive ancora.
Mi piace molto come usi le “frasi fatte” (“la testa fra le nuvole”, “E vi lascio la pace vi do la mia pace preghiamo”) nei ritornelli: ottimi “colpi di coda” in fondo alla “tiritere”. (dannate virgolette).
bravo!
alfonso petrosino
Ho apprezzato la simmetria, la specularità dispositiva dei testi, la misura e il ritmo, il tema della guerra globale, qualche immagine postindustriale e connesso lessico, il rigore e la coerenza nell’uso delle persone e della sintassi. Interessanti anche i commenti. Continua: sono curioso di sentire e vedere l’opera compiuta. Agli amanti della storia dell’industria suggerisco la visione segnalo questo video degli anni 50/60, relativo alla produzione di materiale ferro-tranviario della Ernesto Breda di Sesto San Giovanni-Milano
http://video.google.com/videoplay?docid=6199197246720083156
Ciao
Tommaso Lisa
Carissimo Luigi,
accolgo il tuo invito e rileggo volentieri questi tuoi testi che avevo già apprezzato sull’antologia “Poesie dell’inizio del mondo” e prima ancora ascoltato in un file audio penso pescato da “Absolute Poetry” (mi sarà perdonato l’accenno alla ‘concorrenza’).
Trovo che siano organismi perfettamente funzionanti (e funzionali), che è ciò che più interessa la mia anima metrica, ad di là di ogni altra analisi che ne riporti alla luce il sostrato citazionistico o di qualsiasi indagine [est]etica.
L’impressione insomma non è di perdere ma semmai di guadagnare tempo nel leggere/ascoltare queste tracce.
Ne consiglio l’ascolto: del resto si scrive per dire, per far risuonare il tratto, perché possa farsi incisione (appunto traccia), ferita aperta.
Resta la curiosità per il lavoro finito.
Lieto del tuo invito, spero anzi che in futuro si possa collaborare.
Un caro saluto, Federico Scaramuccia.
agghiaccianti e bellissime con questa straniazione continua di ritornelli musica assonanze rime mezze voci di radio su uno scenario bellico e mortale ovvero il Luogo Comune che sottolinea ancora meglio l’anomalia delle detonazioni e dell’arsura finale
grazie
maria grazia
A Luigi Nacci, sodale
Dicevo insomma riga dritto il fronte compatto dei dementi
niente di nuovo alletta il fronte occidentale:
le fronti coperte di pelle in polvere corrugano,
diserbando, staccando arbusti, e vane colluttazioni,
a cedimenti di guance smunte, gli ultravioletti
di guerra corruschi annunciano signorine mezzobusto,
con povere alla polvere ceneri nonviolente di dispersi,
pinchi pallini bifidi tra infidi batteri, tu spàrati un
paradiso artificiale e restaci se hai il coraggio
di circondarti di veline scure, irsute e insistenti scassa-
arpe metriche e petecchie, dardi codardi, avanzi pimpanti
di guantanamera, bandiera rossa, faccetta nera.
Che dire quando la parola corre tra i denti con vertigine e l’occhio guarda incantato orizzonti lontani che vibrano dentro come una febbre accesa. Complimenti Luigi, hai avvicinato una frontiera che non amiamo guardare perchè sporca e dura ma la paura è che ci sommerga
quasi che leggendo si ascolta, e scrivo evitando di fare poesia o ironia in un commento. Mi è sembrato di leggere un dolore contemporaneo che nemmeno i miracoli più semplici possono lenire. L’unica speranza che sento ascoltando le tue parole sta negli elementi, soprattutto nell’aria, ma anche un po’ nell’acqua.
Alessandro Seri