les nouveaux réalistes : Attilio Del Giudice
La legge e la morale
di
Attilio Del Giudice
Oggi è il 12 aprile, una giornata di sole, ma un vento fastidioso di libeccio non la rende piacevole, benché sia bello vedere il cielo terso e il mare di un blu scuro intenso, solcato da un’infinità di creste biancheggianti di spuma.
Sto qui in un bar al porticciolo di Santa Marinella e non riesco a togliermi dalla testa la drammatica vicenda di Daniela.
Ha ucciso il padre, che, all’età di 9 anni, dopo la morte della mamma, l’aveva costretta ad essere la sua schiava sessuale e gli abusi non erano mai cessati per 12 anni consecutivi. La mente di Daniela, per lungo tempo, fu invasa da un coacervo di sentimenti contrastanti, dove, però, a prevalere erano il terrore e la vergogna, finché un giorno trovò la forza di denunciare la relazione incestuosa, che aveva subìto sin dalla fanciullezza come una profonda, immedicabile ferita.
Dai carabinieri fu da subito considerata una malata. Nel verbale si riferisce: “Uno stato emozionale poco controllato, infatti le tremano vistosamente le labbra e le mani, inoltre l’eloquio è impacciato e caratterizzato da carenza di parole significative” (sic). Quando, poi, il padre esibì un foglio sottoscritto da uno psicoterapeuta, dove si parlava di fantasmizzazione, vale a dire di una cosa non vera, ma vissuta psicologicamente come vera, per la tenenza dei carabinieri non ci furono dubbi: “una povera ragazza presumibilmente malata, molestata solo dalla sua morbosa fantasia”.
Passarono ancora sei mesi, ma al fin della licenza…
Il delitto fu perpetrato, nottetempo, durante uno dei tanti amplessi, col taglio netto di un vecchio rasoio nella vena giugulare del turpe amante.
La ragazza si presentò per denunciarsi, presso il presidio dei carabinieri, alle sei del mattino.
Al processo, per la difesa, si presta volontariamente una mia amica, una persona di alto livello professionale e senso profondo della morale.
Questa signora, avvocato penalista, si chiama Marta. Ci conosciamo dai tempi dell’università. Le ho parlato: “ Marta, tu pensi che questa cosa della fantasmizzazione sia una bufala?”
“Si, sicuramente. Innanzi tutto, questo sedicente psicoterapeuta l’ha formulata senza neanche vedere la ragazza, sulla base di un colloquio col padre, una sorta di memoria per un progetto di terapia, infatti dice: ”Il soggetto potrebbe essere affetto da forme psicotiche, con sintomatologie fantasmatiche e maniaco- depressive” Capito? “Potrebbe”. I carabinieri si sono accontentati di questa cartuscella, esibita dal padre, anche perché ‘sto signore si presentava ben vestito, calmo, sorridente, parlava un italiano corretto, quasi forbito, non era brutto, direi che poteva essere considerato un piacione, il che induceva a pensare che non gli sarebbero mancate le possibilità di avventure erotiche fuori casa. Ma nel processo ci vuole qualcosa di più consistente. Io sono sicura che ha mentito. E lo dimostrerò!
Tra l’altro, questo sedicente psicologo terapeuta, a parte la targhetta sulla porta, messa appena laureato, è un ragazzino inesperto e presuntuoso e dovrà rispondere di questa cartuscella scritta su carta intestata e basata su un’ipotesi ricavata dal colloquio col padre, una cosa fuori da ogni deontologia professionale. Poi è significativo che un padre, sentendo ipotizzare che la figlia è malata e ha bisogno di una psicoterapia, non dà seguito per la ragazza a nessuna cura, né con questo imbecille, né con altri psicoterapeuti. La cartuscella porta una data risalente a quasi due anni prima dell’omicidio. Mi sembra evidente che il padre scelse proprio questo cretino per procurarsi una carta, con la parvenza di un documento clinico, da esibire, nel caso di denuncia, cosa che avvenne in realtà. Ti rendi conto?
Pare, poi, ci sia anche la testimonianza di un’amica di Daniela, che ha avuto la confidenza di una donna di servizio. Una che, pare, abbia involontariamente visto qualcosa di strano e inquietante in quella casa. Non so ancora niente di preciso. Devo sentire le due donne domani o dopodomani.”
Marta mi è parsa ferma e convinta e credo che la sua tesi prevarrà, ma le relazioni tra morale e giustizia, morale e legalità restano, a mio avviso, ambigue e sono perplesso su che cosa augurarmi per la sorte di Daniela.
Se prevale la tesi dell’abuso sessuale, quella che noi crediamo essere la verità, la ragazza sarà comunque condannata, perché si è fatta giustizia da sola. Se prevale la tesi che l’omicidio è dovuto a una malattia della mente, quella che noi crediamo essere una menzogna, Daniela sarà, più o meno, salvata da “un’adeguata terapia e ospedalizzazione”, così ho letto sulla cronaca di un giornale locale. “Salvata”? Mi pare quanto meno semplicistico.
Ieri Marta mi ha mandato un messaggio sul cellulare: ”Parlato con signora Assunta, la collaboratrice domestica, grosse novità. Oggi non possiamo vederci. Ti lascio la chiavetta con la copia della registrazione da Nico, qui al bar del Tribunale. So che muori dalla curiosità”….
Marta ha la buona abitudine di registrare, con certi sofisticati strumenti da agente segreto, ogni colloquio che riguardi il suo lavoro, non chiede l’autorizzazione agli interlocutori, ma sa che non ne farebbe mai usi impropri, se ne serve esclusivamente da efficientissimi pro memoria. Quando può, come in questa circostanza, mi rende partecipe. Ho ascoltato il colloquio di Marta con la domestica sul mio iPad:
“Dottoressa che le devo dire? Si, è vero che andavo da Daniela per i lavori domestici, ma solo una volta la settimana, la mattina, quando il padre non c’era, perché lui stava al ministero, che non lo so che faceva là. Cioè doveva essere un pezzo grosso.”
“ Ma lei, signora, in quella casa ha visto o sentito qualcosa che l’ha turbata e che può essere utile alla difesa di Daniela?”
“No, e che dovevo vedere? Cioè niente di …Dottoressa, io ho paura a parlare”.
“Perché ha paura? Di che? Si apra, non si tenga tutto dentro! Avanti! Io so che lei si è confidata con Mariacarla, l’amica di Francesca”.
“Si, dottoressa, e lei mi giurò che non l’avrebbe detto a nessuno”.
“E, infatti, Mariacarla ha mantenuto il segreto. Aveva capito che lei era terrorizzata all’idea che il padre di Daniela venisse a conoscenza che lei sapeva e aveva capito. Ma quel signore è morto e non può farle del male. Ripeto, Mariacarla ha mantenuto il segreto anche adesso, ha solo detto che lei, signora, sa qualcosa e se vuole dire finalmente la verità e liberarsi la coscienza di un peso…lo può fare tranquillamente”.
“Dottoressa, io ho 36 anni e sono vedova e madre di due gemelli, lo so che non corro rischi, ma ho paura lo stesso”.
“Non deve aver paura di me… Io sono solo l’avvocato difensore di Daniela, capisce? E so anche che lei è affezionata a questa ragazza, so che le vuol bene. Su, mi dica, che cosa sa?”
“Si, a Daniela voglio un bene dell’anima e, sapete che vi dico, quello era un demonio e la fine che ha fatto se l’è meritata. Dottoressa un giorno… E’ una cosa brutta….”
“Un giorno?”
“Un giorno andai a fare i servizi di pomeriggio, perché di mattina c’era stata la messa di suffragio per mio marito, buonanima. Lui, il padre di Daniela, venne che potevano essere le sette, non lo sapeva che stavo in casa. Appena entrato, si buttò nella sua poltrona in salotto e chiamò la figlia, due volte e disse gridando una cosa brutta”.
“Che cosa disse?”
“Disse…. Troietta, sto arrapato,vieni a farmi… Dottoressa lei ha capito? Non mi faccia ripetere…”
“Si, certo, ho capito.”
“Daniela stava con me in cucina, mi fece cenno col dito di tacere e mi sussurrò di andarmene senza far rumore. Se scopre che sei qui ci ammazza”.
Ecco, la registrazione si ferma qui. Mi sembra tutto esplicito. Marta ed io non avevamo dubbi.
Io non ho le attrezzature culturali per districarmi nella filosofia della morale e del diritto e approfondire questi rapporti, ma, guardando in una fotografia, il volto di Daniela, il suo sguardo limpido e dolcissimo, ho provato una stretta al cuore e un’istintiva partecipazione al delitto. Sì, una partecipazione come unica e terribile forma di solidarietà.
La mia birra scura sta per finire. Forse ne ordinerò un’altra. Il vento sembra sia aumentato di intensità, lo vedo dall’agitarsi straziante delle petunie di tanti colori nei vasi qui, davanti al bar.
Ma si può essere solidali con un assassinio? Le mie idee del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto sembrano immerse in una valle piena di nebbia, dove mi è impossibile accedere. Mi assale un’angustia, uno strano turbamento, un senso di impotenza, di incapacità a gestire i pensieri che arrivano e scompaiono come piccoli stizziti fantasmi. Il naufragare in questo mare, oddio, non mi è dolce…
Da Cechov a Cronin, da Celine a Carlo levi, molto spesso dietro a grandi scrittori si celano importanti uomini di scienza, e, letteratura e scienza riunite in una sola persona, producono talora risultati eccezionali.
Così credo che accada in questo pezzo di del Giudice, scritto con il solito stile sobrio, lineare, senza sbavature.
Attilio è uno psicologo e con perizia ci fa rivivere il suo stato d’animo, i suoi dubbi, le sue incertezze sull’omicidio quasi annunciato nonostante l’intervento del “sedicente psicologo terapeuta”, e si (ci) pone il problema se sia possibile e giusto solidarizzare con un assassino.
Pur mancando delle “attrezzature culturali per districarmi (si) nella filosofia della morale e del diritto”, l’autore non esita a sposare la causa della povera vittima.
La scrittura è scorrevole, “pulita”; notevole il personaggio dell’avvocato: sicura di sé, dà fiducia.
Un ottimo lavoro.
Caro Attilio, il tuo articolo mi ha ricordato una vicenda successa alcuni anni fa. Fui invitata al carcere di Bollate per l’8 marzo.Alla preparazione della cena avevano lavorate le detenute dopo un corso di formazione tenuto da una mia cara amica. Bene fu un’esperienza interessante e si mangiò molto bene. Ancor oggi non riesco a dimenticarmi gli occhi delle detenute che ci guardavano con insistenza. Certo noi rappresentavamo “il fuori dall’istituzione totale e loro il dentro”questa insolita contaminazione le incuriosiva ed anche noi, un pò imbarazzate volevamo conoscere le loro storie. Bene ricordo che la mia amica ci raccontò che una di loro,con molti anni ancora da scontare aveva ucciso il marito perchè dopo aver subito violenze e botte ed essersi rivolta ai carabinieri ed avendo avuto la sola risposta del “lo chiameremo per metterlo in riga”. Quando si ripresentò la situazione lei gli sparò in fronte e lo uccise. Tra noi, come puoi immaginare iniziò un dibattito e ricordo in particolare che furono soprattutto le nostre giovani figlie che in coro dissero: “Finalmente qualcuno ci ha pensato………….Mi colpì quella serata posso capire le tue parole:………….
…….. un’istintiva partecipazione al delitto. Sì, una partecipazione come unica e terribile forma di solidarietà. Ciao nucci
Un altro splendido racconto di Attilio Del Giudice, scrittore e artista di cui si parla troppo poco, forse anche perché preferisce poetare lungo un margine dove alligna la letteratura vera, salva, anzi in salvo, dall’industria della scrittura. Mi pare chiaro che il racconto fissa due punti: 1. La realtà riesce a inficiare la verità, inguaiando la con le sue pretese di contemperare versioni e punti di vista, legalità e senso etico
Come quasi sempre un racconto essenziale, quasi solo cronaca ma con la riservatezza di un autore che ha il pudore e la volontà di non provocare schizzi di fango che potrebbero danneggiare la protagonista è far aleggiare l’abusato termine “consenziente”.
2.(c’è stata una telefonata i mezzo) è limpida la posizione dello scrittore che appunto non solo subito si occupa della corretta documentazione e ricostruzione del caso, ma proprio se ne fa carico, anche se (questo sarebbe un terzo punto, 3. è consapevole che il suo ruolo è appunto etico, da maestro, non da solutore pratico del caso reale. Infatti la fine del racconto non è una ‘soluzione’ del caso giudiziario quanto piuttosto uno scioglimento letterario che consiste nel sospendere l’azione della scrittura visto che in termini di corretta e completa ‘lettura del caso’ è già stato tutto chiarito con i mezzi infallibili dopotutto della scrittura: i quali poi a cosa portano se non ad un dubbio, a un interrogativo, a una implorazione d’attenzione alle miserie umane?
mi piacciono i tuoi racconti e naturalmente le tue pittureie tuo tuo viaggio tra relata’ e sogno,ciao.mvx.
Il taglio scientifico e la scrittura asciutta si sposano perfettamente con la crudezza della storia, senza nulla toglierle, anzi… Bello. Coinvolgente. Quella solidarietà con l’assassinio proprio non si può evitare.
Caro Attilio, è un racconto che andrebbe letto e divulgato nelle nostre scuole. E’ un racconto che mi ha fatto star male, per le tante Daniela che vivono questo dramma e non hanno la forza di denunciare. La tua scrittura avvince e rende partecipi, apparentemente semplice, è invece il frutto di una ricerca verso l’essenziale, cosa niente affatto facile. Spero che il fastidioso ed evocativo libeccio possa smettere di soffiare. Il ritratto dei personaggi, pur non descritti fisicamente (è forse voluto per non limitarlo a singoli individui, ma ai tanti che si trovano nelle medesime condizioni?) sono psicologicamente perfetti. Un grazie ed un abbraccio.
Sì, hai ragione caro Attilio, i tuoi dubbi e incertezze su quali sentenze si possano emettere in casi di questo genere crea sempre un irrisolvibile scrupolo, un fortissimo irrevocabile dolore e non si comprende mai bene e fino in fondo da che parte stare.
Però, dopo tentennamenti e indecisioni, credo che assolverei la ragazza pensando alla mancanza di amore nei confronti di questa povera vittima che il padre ha costretto con la violenza a perdere la propria dignità, fanciullezza, bellezza della vita, capacità di concepire l’amore non solo come sesso, ma come condivisione, complicità, accoratezza, dialogo, sentimento di anime dialoganti e concepire il sesso un completamento dell’amore e non la motivazione prima e sola. Privare una figlia della nascita nel cuore di tale bellissimo sentimento, privarla, per la vita, di assaporarne la bellezza e il piacere è come un assassinio dell’anima e credo che non esistano parole adatte per definire un comportamento così criminale da parte del padre di questo angelo perduto.
Detto ciò credo che Daniela abbia agito per legittima difesa, per proteggere, forse, quel che era rimasto della sua giovane vita: una goccia di vero amore da proteggere e avere finalmente la possibilità di farlo rivivere.
Sentendo io il tuo racconto con tutto il mio sentimento o fossi il giudice o fossi un cittadino qualunque, mi piacerebbe invece sperare e perdermi in questo mare di sentimento.
Ha grande mestiere ad usare parole per rendere piani i percorsi più aspri, Attilio del Giudice. Così accade quando, per proporci il non sempre facile confronto fra “legge e morale”, scrive un racconto parco di parole ma ricco di sfumature, spunti di riflessioni. Insomma, tutto quel che serve anche a lui per dichiarar chiaro da che parte si schiera nel caso. E così facendo, riesce a spronare ciascuno, appena letto il racconto, ad interrogare se stesso su quell’evidente conflitto fra legge e morale. Se qualcuno riesce, con poche parole, a coinvolgere tanto un lettore è di certo scrittore.
un racconto letto tutto d un fiato ,appassionato, che ci ricorda tante realtà passate e presenti …..mi riporta indietro negli anni …..mia mamma piangeva con la sorella per la morte di mio padre ,morto 39 enne d infarto . La sorella mia zia disse almeno il tuo è morto …..Celso così si chiamava questo zio acquisito. ….va a letto con con le 2 figlie più grandi .
Tutto questo racconto fu fatto in mia presenza da mia mamma ad un amica ….ero piccola 13 anni non rimasi stupita già da tempo gli giravo alla larga il.suo modo viscido non mi piaceva
Il racconto sconvolgente di Attilio rievoca i mie studi classici e giuridici(l’ Antigone di Sofocle ,la morte di Socrate ,per il suo concetto di lealtà verso la legge,oltre che il riapparire del giusnaturalismo in seguito ad Auschwitz).
Ed istintivamente ho ipotizzato insolubile il dilemma
tragico posto e suscettibile di varie interpretazioni
Se ogni tipo di valutazione legale morale ed emotiva è da considerarsi completamente impermanente ,dato che mutevoli sono le situazioni e quindi le storie,è essenziale cogliere la sfida dolorosa lanciata da Attilio
alfine probabilmente di indurre noi fedeli lettori al tentativo di formulazione di una qualsivoglia risposta equilibrata
Ma scegliere se e con chi schierarsi dipende dalla individuazione della figura del carnefice e della vittima .Nel caso specifico,non credo esista dubbio alcuno.
Una concezione di legge morale viene prodotta da ogni coscienza autonomamente,viceversa la
condizione psicologica di Daniela è quella di un essere umano a cui è mancata la liberta’ di decidere con quali strumenti tentare di opporsi al comportamento agghiacciante dell’uomo che la generò.
Il parricidio ,come qualunque tipo di omicidio , può essere oggetto e di norme giuridiche e di norme morali ,nel senso stretto e largo dei rispettivi termini .E
se giustizia e ingiustizia sono qualità soggettive ,dipendenti dalla fatica quotidiana di evitare il male ,per incamminarsi verso il suo percorso contrario ,nel mondo interiore “morale” di daniela
è scattato l’estremo atto difensivo di presunta giustizia compiuta
Aldilà di qualsivolglia concetto di una autorità esterna,lei ha stabilito il suo criterio risolutore in maniera autentica ed a noi spettatori virtuali della visione metaforica di una tale sciagura umana credo non sia consentito di addurre giudizi. “L’unica capace di giudicare è la parte in causa, ma essa, come tale, non può giudicare. Perciò nel mondo non esiste la vera possibilità di giudizio, ma solo un riflesso.” ( Franz Kafka)
Sul dramma umano incombe lo Stato che viene a mancare quando i carabinieri lasciano perdere e non indagano, ma si fa vivo dopo il delitto per la durezza sul futuro contemplato dalla legge per la povera ragazza.
Il racconto propone l’eterno dilemma tra la legge, che la giustizia è chiamata a rispettare e la morale, che, invece, coinvolge la sfera emotiva, la comprensione verso la persona che ha compiuto il reato, la compassione verso il soggetto debole, quale è Daniela, la protagonista del racconto, che, pur colpevole del delitto, è la vittima dell’abuso sessuale del padre, colpevole a sua volta del crimine di abuso sessuale verso la minore, aggravato dalla relazione di parentela. Per quanto lo scrittore ed io, come lettrice, non possiamo non essere solidali con la ragazza, parricida, il dilemma rimane, perchè il confine tra bene e male diventa labile e definire ciò che è giusto e separarlo dall’ingiusto diventa dramma interiore, certamente inferiore a quello che ha sicuramente vissuto la ragazza per anni, rinforzato dal senso di colpa e di vergogna, che ha maturato, in solitudine l’omicidio del padre. La cruda vicenda dello stupro e dell’abuso sessuale, pur conosciuto da chi frequenta la casa della ragazza, viene ignorato volutamente per una paura incomprensibile, quasi fosse un fatto privato, in cui nessuno è tenuto ad entrare,un farsi “gli affari propri” che si rivela omertà, quasi dovuta. Contemporaneamente l’abuso sessuale viene rifiutato dai carabinieri, che accettano con superficialità la diagnosi menzognera del sedicente psicologo-terapeuta, dove dichiara che la ragazza è malata, con tendenza a “fantasmizzare”, mentre il padre, con l’apparenza di “piacione” viene definito un tipo calmo e sorridente, perchè parla un corretto italiano e si presenta ben vestito. Anche questo tema del contrasto tra “essere ed apparire” salta agli occhi del lettore, che non può, di fronte al comportamento criminale del padre, parteggiare per lui e che valuta il parricidio, compiuto dalla ragazza, come unica via necessaria per liberarsi dall’angoscia, ma non dal dramma di essere stata costretta a compierlo. Attilio Lo Giudice, brillante scrittore, in questo efficace racconto, con molte variabili,pone il lettore di fronte alla riflessione dell’impossibilità di tracciare una linea di demarcazione tra bene e male, tra giusto ed ingiusto, e lo induce quindi anche a guardarsi dentro per vedere ancora una volta la limitatezza umana.
La vicenda, che propone un dilemma morale, è narrata con uno stile asciutto e perfettamente aderente alle situazioni e ai personaggi. Nei dialoghi ben calibrati si delineano i caratteri e gli stati d’animo degli interlocutori. La percezione degli sviluppi narrativi è immediata per la chiarezza e il rigore della scrittura.
Questa volta la scrittura di Attilio del Giudice diviene giornalitica, quasi cronaca, come se, volutamente, volesse eliminare qualsiasi dubbio di condizionamento verso il lettore. Ogni momento del suo raccontare è scevro da giudizi, puro racconto lucido. In me suscita il desiderio di verità. Io sono sempre dalla parte della verità, per quanto dolorosa ed amara possa essere. Non ci sono vie di fuga, giustificazioni, abbiamo il dovere di fare emergere ciò che è insano. Per arginarlo.Bello.
Dopo la lettura, mi resta quel piccolo registratore di Marta. Lei non chiede il permesso ma ha la buona abitudine di registrare i suoi interlocutori con sofisticati strumenti da agente segreto. Questo piccolo registratore è la prova provata di quanto sia difficile ascoltare, oppure, anche, di quanto ascoltare senza agire non vuol dire nulla. Le parole di una ragazza violata possono essere ignorate dai carabinieri o le oscenità di un padre possono finire nel segreto mortifero che avvelena le coscienze. Per questo sono preferibili le parole che rassicurano, blandiscono. Raccontano fantasmi e non verità. Ci piace ascoltare quello che ci serve in un determinato momento.
Si può solidarizzare con una persona che ha ucciso? Già Primo Levi: il male non va spiegato, non va compreso. Se lo comprendi finisci per giustificarlo.
Ma l’uomo è chiamato a comprendere. A comprendere il male. (e in fondo anche Levi lo fa)
C’è troppo vento in questo racconto, e dunque le risposte, se pure arrivano, svolazzano insieme alle domande. C’è troppo vento, troppa inquietudine, in ogni storia. Anche Attilio ha quel piccolo registratore nascosto da qualche parte tra la giacca e il cuore, sicuramente accanto ad una penna. Ed è così che nasce la sua limpida scrittura e la amara narrazione delle nostre vite.
Splendido scorcio di vita,raccontato in modo essenziale,senza enfasi,di grande efficacia!Sono senza parole,nn pensavo che tu oltre che dipingere avessi una così bella scrittura!D’altra parte i tuoi dipinti talora sono delle storie di grande drammaticità!Grazie e complimenti!
Il tuo racconto rispecchia molte realtà, provo molta solidarietà per Daniela,e rabbia verso chi basandosi sulle apparenze, non l’ha difesa.
Non e’ il primo racconto di Attilio che mi suscita grande interesse e tiene desta la mia attenzione come avviene per i gialli. Lo stile è, come sempre, essenziale, senza frasi fatte o giochi di parole. Ringrazio questo bravo autore, ormai mio amico, per gli scritti e per le immagini che sa regalarmi con assiduità.
Quando Attilio Del Giudice prende spunto dall’attualità, da fatti di cronaca che purtroppo esistono e si verificano davvero, non si limita all’indignazione. No, lui va oltre. Per esempio Attilio confeziona, con il suo stile inconfondibile, un racconto breve come “La legge e la morale” e restituisce al lettore dei punti di vista plausibili, ci offre la possibilità di un ragionamento completo. Mette a nostra disposizione dei personaggi, ne traccia alcuni risvolti psicologici e li immerge in una situazione definita. Che essa sia squallida, brutale, violenta, poco importa: è realtà. E la realtà è anche squallida, brutale, violenta. Se si desidera capirla e affrontarla, basta non girarsi dall’altra parte e chiudere gli occhi.
Questo è l’impegno di Attilio verso il lettore, il suo è un invito ad approfondire i fatti e a non soffermarsi alle impressioni, alle sensazioni, alle convenzioni sociali. Perché dietro le apparenze e le conclusioni personali può esserci molto di più, può esserci la Verità.
Alfonsina Caterino – 9.5.2016
LA LEGGE E LA MORALE, di Attilio Del Giudice, è un racconto breve che si impone nella mente e nell’anima del lettore come piano articolato in cui la vicenda dolorosa della protagonista Daniela, intende scuotere la coscienza d’ognuno. Tutti infatti, sollecitati dalla terribilità della storia, dall’orrore subito dalla ragazza, siamo eticamente chiamati a pronunciarci sull’esito del dramma che silente la consuma e consuma la sua vita – Ma è nel giudizio finale che l’autore intende investire la forza che lo transita avvincendo e convincendo il lettore – Internamente infatti a: “La legge e la morale”, Attilio apre spazialità contigue e verticali in cui la premeditazione letteraria e le sapienti sequenzialità descrittive, introducono la possibilità di escludere le dimensioni bene-male contestualizzate al rigore della legge e suoi codici rituali. Egli ricerca l’essenza, la purezza della verità per fissarla nel tempo, sostenuta dalla volontà di oltrepassare l’illeceità, aprendo un dialogo etico con la storia, sul supporto legge-morale e norma violata quando non si è dato luogo a procedere arrestando l’uomo nel momento deputato a farlo, dopo essere stato denunziato – Padre-orco-padrone la cui pratica incestuosa, stuprante e vergognosa, transita dall’immaginario alla realtà, ci invita a riflettere sui tragici eventi che si consumano quotidianamente – La condizione sociale, aberrante di padre-figlia, è borghese, con reddito che permette la collaborazione in casa di una domestica predestinata a riscattare il bene sul male – Ella sarà colei che in un magma di indifferenze, approssimazioni, usurpazioni e illeciti, sensibilizzata dall’avvocato, agirà secondo coscienza avviando, con la sua testimonianza, il corso di una sentenza che si auspica sarà emessa con le attenuanti più specifiche confutate dalla sua vita lesa in modo incontrovertibile, prima di divenire assassina… – La storia di Daniela e storia dolorosa e complessa. L’applicazione della giustizia procede e ritma il racconto secondo una visione sofista della legalità, ma ambivalente – Mentre infatti in un primo momento vince la forza della natura, impersonata dal padre-bestia, nel finale come auspicato, la stessa potenza, renderà audace la vittima che in preda alla disperazione, espugnerà il suo destino appellandosi agli dei! – Attilio Del Giudice, attento e sensibile osservatore della realtà umana, anche in questo racconto non chiude la storia – La lascia sospesa affinchè il suo interno crei spire di luce, di flussi e speranze nuove con cui continuare ad opporsi agli aspetti raccapriccianti e dolorosi del vivere…
ho una laurea in legge presa a Napoli Federico II, ma vivo all’ estero da solo, da ben 15 anni e, caso molto particolare, faccio l’ attore. Domani devo lavorare 12 ore al film della vita di Cervantes e non riesco a dormiré per eccessivo nervosismo. Avevo promesso all’ autore, mio zio Attilio, di leggerlo e l’ ho divorato in 4-5 minuti.A casa spesso si parlava della grande genialità e della sua portentosa intelligenza che straripava tra simpatía, ironia e puro talento. Stanotte ne ho avuto la controprova e tra tutte le cose che amavo e che ho lasciato alle mie spalle,nella mia amata terra e delle mie radici c’ è sicuramente il rammarico di non averlo conosciuto a fondo così come meritava. Attore, regista, psicólogo, pittore ma soprattutto genio e fantasia da fascino e da incanto. Un bacio zio Attilio e se anche non te l’ ho mai detto sei sempre stato nel mio cuore e nella mia anima come esempio da seguire e genio da emulare. Non entro nel discorso legale della sottile differenza tra diritto e morale, giusto ed ingiusto perchè forse il mio giudizio tutto sarebbe meno che quello di uomo di legge che non sono mai stato, nonostante la laurea in giurisprudenza, ma come artista,attualmente per me, sarebbe un fantástico copione sul quale poter sviluppare una intricata ed intrigante fiction televisiva. Bravo zio Attilio mi è piaciuto molto, avvince nella sua brevità e coinvolge nella sua delicata,atroce e forte al contempo realtà; mi piacerebbe valere la decima parte di quello che sei tu, e attuare la decima parte di quello che sei riuscito tu a comunicare con il tuo squisito talento creativo. Da oggi ti prometto che ti seguirò di più, anche se da lontano.Sei sempre stato il mio parente preferito. Tuo nipote Adriano da Barcelona
A parole lo neghi, ma sei ”PITTORE” anche quando scrivi. Il racconto nonostante la sua drammaticità riesce con perizia psicologica a non farti prendere subito una posizione contro o a favore dei soggetti implicati; l’istinto e la ragione stanno sullo stesso piano. La visione che introduce il racconto è ciò che si vede dal tuo terrazzo come pure le petunie sono le tue
Personalmente riesco a leggere con trasporto solo ciò che “vedo”….caro Attilio, la tua scrittura asciutta, essenziale, mi ha permesso di “vedere” il tuo racconto, che ho letto con avidità. Sono quindi assolutamente d’accordo con chi, in questo spazio, ti definisce “PITTORE” anche quando scrivi. Grazie.
E alla domanda finale “si può essere solidali con un assassinio” rispondo….sì. Quella linea, quel confine, è così labile…….
Un racconto forte,attuale ,incisivo.Una realtà che abbraccia tempi antichi e purtroppo anche moderni,cronaca docet. Una civiltà ancora intrisa di maschilismo ,violenze ,,di bestie feroci e prede indifese,ovviamente donne ed in questo caso addirittura figlie.
La civiltà del chi dà da se fa bene perchè altrimenti neanche le istituzioni aiutano.Un racconto che man mano che lo leggi insinua il pathos, l’emozione, la rabbia.E ti lascia con un profondo senso di solitudine.
Complimenti,come sempre,.
Racconto eccellente, a patto di eliminare (o modificare) l’ultima frase con parafrasi leopardiana (citazione completamente fuori luogo). A parte questo, complimenti per il testo.
Anche questa volta, anche in questo straordinario racconto, il dilemma morale è solo un’occasione, lo spunto, il mezzo di trasporto per un avventuroso viaggio nei meandri dell’animo umano, nelle sue più truci manifestazioni.
Attilio riesce a calarsi in questo magma quasi in punta di piedi, con acume e profondità, non con l’esperienza di chi ha esercitato la professione di psicologo per oltre trent’anni, ma con quella del poeta e dell’artista.
Lo stile asciutto, essenziale, quasi senza apparente coinvolgimento, rende, forse, maggiore la responsabilità del lettore di fronte ai dilemmi posti ed al turbamento interiore che solo un grande autore sa suscitare.
C’è tutto in questa narrazione,parole ingollate dalle convenzioni, la mostruosità dell’incesto,il delitto purificatore e l’indifferenza sociale.
Un racconto dove dominano l’essenziale e l’assenza di giudizio, con l’occhio sempre viglie a non tracimare.
Bravo ed eclettico, complimenti.
Racconto che graffia il cuore, feroce, potente che trasmette profondi emozioni e riflessioni. Come sempre, il tuo stile e’ fluido, credibile, in questo caso poi è’ sospeso in quel limite tra la crudeltà, il realismo ma anche la poesia seppure in assenza di rivoli narrativi. In una o due pagine, sei stato capace di racchiudere un rancore cosi eterno , di creare tensione e narrare con pochi elementi, c’ e’ sempre un talento registico, se così si può dire nei tuoi racconti ,complimenti! La morale, quella laica , quella comune ci differenzia dalle bestie, umane e animali. Le bestie umane immaginano di vivere in una società senza regole, primitiva, regredita alla condizione naturale della legge del più forte….l’ idea dell’uomo “predatore” per natura è un’idea su cui dobbiamo ragionare bene……. Aspetto con impazienza il tuo prossimo lavoro, Maria d.
Interessante racconto, che richiama in qualche modo il tema dostoewskiano dell'”omicidio giusto” del Raskolnikov di “Delitto e castigo”. Un tema molto pericoloso se affrontato in modo improprio. Del Giudice lo fa con grande maestria e attenzione.
Grazia Gugliotta 19/05/2016
La fluidità delle parole, che delinea il percorso del racconto, scava e confluisce nel dualismo sostanziale che diventa dramma nel dramma.
La violenza all’interno delle mura domestiche, sempre esistita e forse oggi più rivelata, diventa dramma esistenziale che la letteratura non ha mai tralasciato sin dall’età classica.
Tutto ciò viene ripreso nel racconto, con determinazione espressiva e incisività emozionale, e la tematica dell’incesto viene elaborata con forte tenzione emotiva nell’evoluzione dell’intreccio e nell’epilogo fatale dove trova sfogo risolutivo e liberazione nell’omicidio.
Ne deriva il conflitto emozionale-giudicante tra Morale e Legge e lascia spazio alle riflessoni sollecitate dalla voce narrante. Il lettore viene così coinvolto nelle ricerca di riflessioni che non trovano punti di forza a sostegno delle possibili tesi.
Il conflitto interiore lacera la coscienza senza trovare la legittima risposta e si ferma soprattutto difronte all’enunciato “non si può fare giustizia da sè”.
Ma la legge è sempre giusta?