Quando l’inconscio è reazionario
di Lea Melandri
Quando scoppiò in America lo scandalo Clinton-Lewinsky, molti intellettuali si chiesero come era possibile che una squallida storia privata di sesso potesse diventare più importante della guerra che sconvolgeva in quel momento i Balcani. Oggi, di fronte all’esito delle elezioni americane, lo stupore è analogo, anche se sono cambiati i termini della contrapposizione.
Bush -ha scritto Rossana Rossanda (Il Manifesto 5.11.04)- sta scombinando il nostro lessico e i nostri riferimenti”: diventano “valori forti e caldi” sentimenti, emozioni, fobie sessuali che avrebbero dovuto restare dentro i confini del vissuto personale, mentre si eclissano, facendosi “deboli e freddi”, quegli “interessi materiali” che una ragione illuminata ha considerato la struttura portante della vita pubblica (lavoro, stato sociale, emarginazione, limitazione delle libertà, ecc.).
Un elenco di dualismi così dettagliato -caldo/freddo, materiale/immateriale, cuore/ragione, maschile/femminile, ecc- non si vedeva nella cultura occidentale da quando Pitagora dettò la sua famosa “tavola” degli opposti, con la differenza che la gerarchia non è più la stessa: le viscere, il cuore, la vampa emotiva, la fragilità, l’egoismo, la vincono oggi sull’ordine che ha istituito la pòlis e che ha dato poi forma alle moderne democrazie. L’effetto di capovolgimento è eclatante: la provincia, la campagna, le piccole città trionfano sulle metropoli, le comunità religiose mobilitano più della sinistra laica, la fede fa prendere più voti che il ragionamento, la paura premia le scelte politiche che sono destinate ad accrescerla, l’aborto e i matrimoni gay spaventano più della disoccupazione e del terrorismo. Osama Bin Laden, nel suo appello alla responsabilità dei cittadini americani, non sapeva (o forse malignamente sapeva) che da quel “cuore” profondo dell’America si sarebbe risvegliata una potenza a lui opposta, ma speculare: il fondamentalismo cristiano, quel “cielo e inferno dei valori morali”, per usare un’espressione di Massimo Cacciari, a cui la sinistra ha guardato sempre con diffidenza, tenendoli separati dalla politica. La vittoria di Bush si configura in modo evidente come un terremoto la cui faglia si è aperta l’11 settembre 2001: l’irruzione dell’altro da sé, del lontano, del nemico sul suolo proprio.
Ma quella che appare come una “regressione”, un ritorno al Medioevo, a una virilità rozza “da Frontiera”, forse ha bisogno di una lettura meno semplificatoria, fuori da facili e tradizionali contrapposizioni. E’ vero che i cosiddetti “valori morali” sono in realtà dei “non valori”, dei “valori pessimi” e, quanto meno, contraddittori: la difesa della vita contro l’aborto e la pena di morte, il via libera alle leggi di mercato e la chiamata all’altruismo cristiano, il richiamo al bisogno di sicurezza e l’uso spregiudicato di una forza militare che non ha confronto. Ma è anche vero che le spinte, da cui questi “valori” muovono e di cui appaiono come una risposta deformata, sono dati reali di quella “vita psichica” che la razionalità illuministica e l’economicismo di gran parte della sinistra hanno cancellato dalla loro visione del mondo, consegnandoli di fatto alla religione o all’interiorità. Penso, per nominarne solo alcune, alla paura del diverso, sentito, per un riflesso arcaico come nemico, e, in particolare, a quel primo diverso che è il corpo femminile da cui l’uomo è generato, visto come potenza capace di dare la vita e la morte; penso all’omofobia, struttura portante di una società di soli uomini che si costituisce, non solo immaginariamente, come “fuga dal femminile”; penso al bisogno di protezione e quindi di appartenenza, che porta ad identificarsi col più forte. Oggi si scopre che l’inconscio collettivo, che si è espresso “democraticamente” nel voto di una maggioranza silenziosa, è reazionario.
Non era poi così difficile da immaginare: tutto ciò che è stato sepolto nella zona più oscura della vita dei singoli, identificato con la natura o con la parola rivelata di un Dio, per potersi modificare ha bisogno innanzi tutto di essere riconosciuto, narrato e analizzato, restituito alla cultura e alla politica con cui è sempre stato in rapporto, sia pure un rapporto alienato, strumentale, distruttivo della politica stessa e delle sue conquiste democratiche. L’”immensa esperienza negativa” che si è accumulata nelle “viscere della storia” nel corso dell’ultimo secolo, come conseguenza del fatto che sono stati considerati condizione quasi esclusiva del cambiamento i rapporti di produzione, oggi esce allo scoperto attraverso la retorica populista delle destre occidentali. Ma, se non ne abbiamo paura e, soprattutto se non abbiamo fretta di cancellarla o imitarla, forse è l’occasione per dare finalmente cittadinanza a “esperienze essenziali del vivere umano”.
In una vicenda drammatica e carica di conseguenze come l’11 settembre, quando si vanno a raccogliere “le parole dei testimoni”, la prima constatazione, come ha scritto Ida Domijanni (Il Manifesto 2.11.2004) è che la “varietà dei vissuti” non ha né una “rappresentazione pubblica” né una “rappresentanza politica” che possano reggere al confronto con quella ufficiale. Ma quante altre esperienze “impresentabili” per i linguaggi codificati della politica restano sepolte nel magma indifferenziato di pensieri e sentimenti “che si è ancora tentati di appiattire sulle leggi immodificabili della natura, o di leggere semplicemente come fenomeni antropologici? In tempi in cui la “biopolitica” sembra voler penetrare fin dentro la cellula prima della vita -proclamando la personalità giuridica dell’embrione- è quasi incredibile che chi si batte per la giustizia sociale e per l’umanizzazione dei rapporti tra diversi, non si renda conto che sottrarre all’”insignificanza” storica le pulsioni e le componenti più elementari della “vita psichica” è il passo indispensabile per non esserne pesantemente condizionati e ostacolati nello sforzo di costruire “un altro mondo possibile”.
La giusta preoccupazione, a cui fa spesso riferimento Rossana Rossanda, di non fare della politica una totalità inglobante, normativa, regolatrice dei rapporti sociali ma anche della “persona” nella sua interezza, sentimenti compresi, non sembra tener conto che è proprio l’idea di una politica ristretta alla sua funzione”calcolatrice e amministrativa” a costituire una minaccia di assimilazione, e a lasciarsi perciò ai margini una vasta area di “impoliticità”, resistente a farsi omologare o anche soltanto tradurre nei suoi linguaggi e nelle sue leggi. Finchè questo “residuo” immenso di sapere, energie e risorse creative resterà tale, le democrazie non potranno dormire sonni tranquilli e le rivoluzioni perderanno un apporto indispensabile per togliere consenso alle logiche del dominio e della guerra.
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Pubblicato su “il manifesto” del 12.11.2004
“Massimo Cacciari, a cui la sinistra ha sempre guardato con diffidenza”. Bravo. Sottoscrivo. Una delle nostre maggiori risorse dissipata in incarichi di rilievo scioccamente locale (sindaco, consigliere regionale… )
E intanto si fa avanti il nuovo astro della Disobbedienza veneziana: suo nipote Tommaso:-)
Chissà cosa combinerà oggi al Lido con Casarini?
Leggo: “Bush -ha scritto Rossana Rossanda (Il Manifesto 5.11.04)- sta scombinando il nostro lessico e i nostri riferimenti”: diventano “valori forti e caldi” sentimenti, emozioni, fobie sessuali che avrebbero dovuto restare dentro i confini del vissuto personale, mentre si eclissano, facendosi “deboli e freddi”, quegli “interessi materiali” che una ragione illuminata ha considerato la struttura portante della vita pubblica (lavoro, stato sociale, emarginazione, limitazione delle libertà, ecc.).”
Non credo proprio che le cose stiano così!
Taubes citando Nietzsche ci mette davanti agli occhi questa verità: “Tutti gli uomini profondi sono unanimi nel ritenere – ne prendono coscienza Lutero, Agostino, Paolo – che la nostra moralità e i fatti di essa non coincidono con la nostra volontà consapevole”.
L’uomo che si illude di essere autonomo – l’uomo della ragione illuminata – è minato da forze aliene. Psiche è territorio maledetto, dove tutto è precario, insidiato dalla presenza del subconscio che sovverte e fa tremare la superficie, impedisce la chiarezza. La novità clamorosa della predicazione cristiana era che faceva scattare nelle spiritualità pura e decretava insignificante la dominazione della psiche. Vi sembra questo caposaldo del pensiero cristiano l’atteggiamento di Bush? Che poi uno si presenti come apostolo e difensore del cristianesimo, cattolico o protestante che sia, e che si comporti come Bush non è una grande novità! non è forse vero che il modo più efficace con cui l’AntiCristo può presentarsi è quello che cerca di persuadere di operare in nome di Cristo? Ma questo è già stato annunciato molto tempo fa come profezia politica. E Cristo ha annunciato una soluzione che non è quella di Bush, né tanto meno quella della Chiesa Cattolica Apostolica Romana (e delle altre Chiese cristiane).
Più sotto leggo: “Ma è anche vero che le spinte, da cui questi “valori” muovono e di cui appaiono come una risposta deformata, sono dati reali di quella “vita psichica” che la razionalità illuministica e l’economicismo di gran parte della sinistra hanno cancellato dalla loro visione del mondo, consegnandoli di fatto alla religione o all’interiorità”.
Non è assolutamente vero! La razionalità illuministica mai come nel Novecento si è occupata tanto della vita psichica. Se qualcuno nel frattempo si è distratto e ne dubita si legga le oltre 1000 pagine dei due volumi Personalità e Scienza della Personalità pubblicati dalla Raffaello Cortina Editore. Il problema è che non ne è venuta a capo!
E la psiche sarebbe stata consegnata alla religione o all’interiorità?
Per quanto riguarda la Gnosi questa è stata sepolta dalla fede illuministica e oggi si assiste al suo degrado delirante: la New Age.
Per quanto riguarda la religione – quella cattolica sopratutto – essa si è sempre mostrata se non ostile quanto meno diffidente della soluzone mistica e l’ha utilizzata fondamentalmente come strumento di consenso e non come modello di vita da ricercare.
In quanto allo psicologismo cristiano questo non è altro che una delle tante correnti del razionalismo illuministico cristiano, un’altra tra le tante forme deboli dell’interpretazione di Psiche.
Poi: “In tempi in cui la “biopolitica” sembra voler penetrare fin dentro la cellula prima della vita -proclamando la personalità giuridica dell’embrione- è quasi incredibile che chi si batte per la giustizia sociale e per l’umanizzazione dei rapporti tra diversi, non si renda conto che sottrarre all’”insignificanza” storica le pulsioni e le componenti più elementari della “vita psichica” è il passo indispensabile per non esserne pesantemente condizionati e ostacolati”.
Mi sembra che le pulsioni della vita psichica sono storicamente significanti (due guerre mondiali non bastano a dimostrare? a dimostrare tra l’altro l’alleanza profonda di Psiche con la razionalità illuministica) e che liberarsene sia invece ciò che è necessario Infine l’articolo finisce con Lea Melandri che contesta Rossana Rossanda. Una dice che la politica deve occuparsi della Psiche, l’altra che non lo deve fare. In ogni caso fanno della Politica il soggetto che ha le soluzioni per l’Uomo. Ritengo che il futuro mostrerà sempre più la tendenza della Politica a voler inglobare tutto, Politica guidata dalla concezione sempre più unilaterale (volontà di potenza) e deformata della concezione giuridica del Mondo (cos’è il diritto? una comica deformazione della vita psichica, una triste necessità fintantoché non ci liberiamo di Psiche) e dalla fede nell’Apparato scientifico-tecnologico che incarna rigorosamente una concezione vitalistica della vita, dove la vita finisce col coincidere con la volontà e bìos mostra la propria sconcertante vicinanza a bìa, la violenza. In ogni caso sarà Psiche a occuparsi della Politica e non viceversa. La politica non è fatta forse dagli uomini che sono dominati da Psiche? Quindi è meglio ascoltare chi ha indicato (non si tratta né della politica, né dell’illuminismo) delle strade per liberarsi di Psiche! e se gli uomini non fossero dominati da Psiche allora la preoccupazione della Melandri, la necessità che la Politica se ne occupi e la traduca in linguaggi e leggi, è superflua e inesistente.
Si rendono conto la Melandri e Rossana Rossanda di considerare la Politica un soggetto trascendente? come può la Politica tradurre il mondo pulsionale psichico in linguaggi e leggi senza “farsi toccare” dallo stesso mondo pulsionale che vuole rimanere impolitico? si rende conto che la realizzazione di questo obiettivo sarebbe il tentativo di rendere schiavo l’Uomo e conseguentemente provocare un altro grande terremoto psichico? violenza su violenza!
no, luminamenti noooooooooooooooo!
Lumina, come al solito non fai una grinza. Mi sbaglierò, però credo che il discorso di Melandri vada inquadrato all’interno del suo percorso (da dove parla?) a partire ad esempio dall’infamia originaria, fino ai mostri che non promettono nulla di nuovo (contenuto in un bellissimo AAVV di baldini castoldi dalai, “un’appropriazione indebita, l’uso del corpo della donna nella nuova legge sulla procreazione assistita”.)
Credo comunque che crisi della politica rappresentativa non significhi necessariamente crisi della politica (io più che liberarmi di psiche mi libererei dei suoi interpreti:).
lu. è inutile farla così lunga se non hai capito,in primis, che cosa dice la Melandri. Dice che la società, la storia, la politica sono fondate sulla rimozione originaria del corpo della donna dal quale l’uomo è nato. Corpo insieme temuto e desiderato perché fantasticato come onnipotente. Le fobie e le difese che ne scaturiscono, dall’individuo al collettivo, se rimangono non-analizzate o addirittura lusingate per il loro potenziale emotivo e incanalate in religioni, fondamentalismi, partiti, si “realizzano” in atti di barbarie. Vecchio discorso, mi pare – come dice gina – ma che evidentemente non è stato ancora assimilato, né in fondo pienamente capito (d’altronde, ci vuole uno sforzo, e non sempre il soggetto ha interesse a farlo).
No caro ho capito bene e appena posso la farò molto molto più lunga (esegui esercizi di Bates per gli occhi e EMDR per non incazzarti con me se non ce li vuoi appizzare).
In quanto al fatto che la Melandri “Dice che la società, la storia, la politica sono fondate sulla rimozione originaria del corpo della donna dal quale l’uomo è nato”, penso in due parole: la donna non è Dio (sebbene a mio parere meglio lo ha interpretato)! e la storia, la società, la politica non sono il mancato trascendimento o incarnazione del corpo della donna, perchè allora la storia, la società e la politica sarebbero le tenebre del subconscio rimosso della donna. E invece, io, ho una opinione, un concetto e una esperienza (alla maniera di Ronald Laing) molto più forte e nobile e preziosa dell’espressione femminile (che non compendia il possesso: tendenza pulsionale equivalente, non uguale, nell’uomo e nella donna). Ho tenuto un corso su Speculum di Luce Irigary, conosco molto bene la questione.
E conosco le allieve di Luisa Muraro (che ha scritto un bellissimo libro: Il Dio delle Donne).
Inoltre ti consiglierei di leggerlo meglio l’articolo, per esempio: “non sembra tener conto che è proprio l’idea di una politica ristretta alla sua funzione”calcolatrice e amministrativa” a costituire una minaccia di assimilazione, e a lasciarsi perciò ai margini una vasta area di “impoliticità”, resistente a farsi omologare o anche soltanto tradurre nei suoi linguaggi e nelle sue leggi. Finchè questo “residuo” immenso di sapere, energie e risorse creative resterà tale, le democrazie non potranno dormire sonni tranquilli e le rivoluzioni perderanno un apporto indispensabile per togliere consenso alle logiche del dominio e della guerra”.
So anche io che le donne hanno sapere, energie, risorse creative non espresse e utilizzate a pieno, ma so anche che anche al massimo del loro utilizzo (ma vale anche per l’uomo)la strada della riscoperta del corpo femminile non è la soluzione alla politica. Esiste inoltre anche una rimozione originaria del corpo maschile. Su come le idee di corpo nel maschio e nella femmina si articolino in tutta la loro complessità relazionale ed esistenziale, consiglio la lettura del testo La Passione nel Matrimonio, Raffaello Cortina Editore.
La conoscenza del corpo, maschile o femminile che sia, comporta proprio la liberazione da Psiche. La Melandri sembra quasi dire: lasciamo che siano le donne a governare Psiche. Ma Psiche è uomo e donna e non si fa governare!
Non sono cmq le questioni di genere, seppure importantissime, a essere decisive nella comprensione di cos’è un essere umano e nello sradicamento dell’ingiustizia, della sofferenza e della violenza.
Mi riferisco a quest’unico paragrafo della Melandri:
“Oggi, di fronte all’esito delle elezioni americane, lo stupore è analogo, anche se sono cambiati i termini della contrapposizione.”
Si sarà stupita la signora Melandri, io no.
Bush è convincente perché parla con slogan di quattordici parole semplici e fa punto.
Bush va in chiesa con la moglie e prega in pubblico e dice di non bere più e che la moglie gli ha fatto il miracolo, in un paese dove il 70 per cento degli abitanti la domenica va al suo culto e l’alcool spesso è considerato come un diavolo.
Kerry è stato ambiguo, ha mentito pure lui sul suo passato, patriota e no, cattolico e no.
populista e capitalista insieme, pasticcione insomma, presenza fisica incerta.
Tutto questo conta e non mi sono stupito, sono amareggiato però che l’espressione dei democratici abbia sortito ‘sto tozzo Kerry, che poi era il male minore, in quest’epoca una sua vittoria sarebbe stato già tanto.
Non discutevo la tua posizione Lu., dicevo che non avevi capito quella di Lea Melandri che peraltro la pensa assai diversamente di Luisa Muraro (o Luce Irigaray. Tu le accomuni come se tutte le donne che riflettono sul genere non potessero che produrre un unico discorso). Nella tua conclusione, comunque, seppure al negativo, ti ci avvicini, nel senso che L. M. pensa certamente, e questa convinzione mi pare alla base del suo articolo, che :
“*Sono* le questioni di genere a essere decisive nella comprensione di cos’è un essere umano e nello sradicamento dell’ingiustizia, della sofferenza e della violenza.”
o lumina, come sai io sono tardo,
e non capisco che vuoi dire quando scrivi:
” Quindi è meglio ascoltare chi ha indicato (non si tratta né della politica, né dell’illuminismo) delle strade per liberarsi di Psiche!”
Non comprendo a che Psiche ti riferisci.
Vuoi forse alludere all’insieme di pensieri che soffocano la mente e da cui ci si libera solo praticando la meditazione, la contemplazione per arrivare alla individuazione del Sè, per conoscere l”anima”?
La via del miste?
Per Antonio: sì, certo le posizioni nel mondo femminile sono molteplici. Può darsi anche che non abbia compreso al meglio la Melandri. Grazie per le tue osservazioni e critiche.
Per Mario: mi riferisco alla teologia mistica. Ma esiste anche una mistica atea. Non necessariamente però la farei passare obbligatoriamente per la meditazione e contemplazione (seppure mi sembrano supporti di rilievo). Mi riferisco anche alla possibilità gnostica (per me l’Arte, la cultura è anch’essa strumento di possibilità gnostica). Il Dio delle Donne di Luisa Muraro mi sembra degno di attenzione. Credo nella necessità di un rinnovamento della mistica. Ma il discorso sarebbe molto lungo. Spero cmq di aver seppure sommariamente risposto.
Scusa Mario, ho dimenticato. Psiche è il nostro subconscio. Su questo tema della liberazione: L’amante invisibile di Elemire Zolla, pag 27- 39.
Sempre sulla liberazione, tutti i lavori di stampo fenomenologico di Roberta de Monticelli (L’ordine del cuore, La conoscenza personale).
grazie Emanuele,
ho compreso
Mi sembra che, nel corso della discussione, si sia perso di vista un punto importante del testo di Melandri, relativo all’economicismo e alla centralità dei rapporti di produzione. Attacco di seguito, in chiusa, un estratto dall’infamia originaria, facciamola finita col cuore e la politica, 1977 “Che cos’è che non si può rischiare di perdere , oltre al cibo, perchè sia garantita la vita? Soggetto individuale e soggetto sociale si presentano, all’interno dell’attuale struttura economica, entrambi con connotazioni alienate: gli individui, che l’ideologia borghese descrive come soggetti attivi, liberi, autonomi, sono in realtà ridotti a oggetti passivi, individui astratti; la massa dei produttori e degli esecutori risulta, al contrario, formata di individui ignoti gli uni agli altri, isolati e spodestati dal prodotto del loro lavoro.
Contrapponendo il soggetto sociale (classe) all’individuo come se la classe fosse già in se stessa , oggettivamente, il soggetto della rivoluzione, il materialismo dialettico rischia di attribuire concretezza e forza rivoluzionaria a un’entità non meno astratta e alienata dell’individuo.
La ricerca di un’individualità concreta si lega quindi, inevitabilmente, alla ricerca di una nuova socialità.
Quando si parla di ” personale” e ” politico” , come istanze entrambi presenti al movimento rivoluzionario, il rischio è, al contrario, di restituire consistenza e polarità a due momenti che si presentano invece fusi e confusi.
Calarsi nella storia di ciò che è stato visto solo come privato e individuale è come farsi ingoiare da un imbuto.
Il tempo reale e l’intenzione politica diventano sempre più sfocati, mentre sembra prendere corpo una profondità senza storia dove si agitano poche passioni, intense, sempre uguali.
Il “personale” assume l’aspetto del diverso : una sorta di “natura” immutabile e negata che riaffiorando produce sgretolamento e confusione entro un tessuto sociale che ama rappresentarsi omogeneo.
Dietro la verità che c’è in tutto questo (la parzialità contro un’unità immaginaria, la conflittualità contro una solidarietà fittizia ) si può finire tuttavia per riprodurre involontariamente la mistificazione ideologica: vedere come impulso “naturale” e separato ciò che è effetto e sostegno nello stesso tempo al perdurare di una socialità distorta e astratta.
La gelosia, la competizione, la domanda d’amore sono la faccia stravolta di un’integrazione nel sociale che passa costrittivamente attraverso la dualità-triangolarità dei rapporti familiare.
Da questo punto d’origine il modello di una sopravvivenza alienante e distruttiva sembra attraversare, con leggere modificazioni, tutta l’organizzazione sociale.[…]
PRECARIETA’
Diritto di resistenza
Lavoro La difesa di una effettiva trasformazione delle forme di vita
PAOLO VIRNO
Seattle, Nizza, Praga, Genova: il movimento new global ha guadagnato visibilità e autorevolezza grazie alla ripetuta, drammatica rottura dell’ordine pubblico. Negarlo non è certo un reato: come non lo è, del resto, sostenere che i bambini nascono sotto i cavoli. E’ solo una sciocchezza autolesionista. Se non si vuole «uscire dal Novecento» a passo di gambero, discettando cioè sugli eccessi della Comune di Parigi e aggrottando il sopracciglio al ricordo della protervia sanguinaria di Cromwell, conviene porsi una questione spinosa: come concepire l’uso della forza oggi, nell’epoca in cui va in rovina lo Stato moderno e il suo «monopolio della decisione politica»? Sarebbe facile spiegare a Giampaolo Pansa (che su la Repubblica di ieri ha intonato un livido mantra contro il movimento del 1977) perché fu cosa buona e giusta cacciare Luciano Lama dall’Università di Roma nel febbraio di quell’anno lontano. Facile, ma ozioso. Ciò che conta è orientarsi nel presente, dopo che molte delle vecchie bussole si sono scassate. Tutto consiglia di non indulgere ad alcuna forma di feticismo riguardo alla non-violenza e alla violenza. E’ certamente stolto identificare la radicalità di una lotta con il suo tasso di illegalità. Ma non lo è meno elevare la mitezza a inossidabile criterio-guida dell’azione. D’altronde, non c’è di che preoccuparsi troppo: il passaggio del conflitto dalla latenza alla visibilità si incarica sempre di travolgere gli «eterni principi» adottati di volta in volta dai politici di professione. Sull’antica, ma non consunta, questione delle forme di lotta la discussione gira in tondo, indulgendo a sofismi privi di arguzia e a citazioni passepartout. A ben vedere, essa sconta gli effetti a catena di un drastico mutamento di paradigma teorico. Un mutamento tale, da scindere ciò che pareva indisgiungibile e da accostare quanto si collocava agli antipodi. In breve: la lotta contro il lavoro salariato, a differenza di quella contro la tirannia o contro l’indigenza, non è più correlata all’enfatica prospettiva della «presa del potere». Proprio in virtù dei suoi caratteri assai avanzati, si profila come una trasformazione interamente sociale, che con il «potere» si confronta da presso, ma senza sognare un’organizzazione alternativa dello Stato, mirando bensì a rattrappire e a estinguere ogni forma di comando sull’attività delle donne e degli uomini e, quindi, lo Stato tout court. Come dire: mentre la «rivoluzione politica» era considerata la premessa inevitabile per modificare i rapporti sociali, ora questo bottino ulteriore diviene il passo preliminare. La lotta può espletare la sua indole distruttiva, solo se già spicca in alto rilievo un altro modo di vivere, di comunicare, perfino di produrre. Solo se, insomma, si ha qualcosa da perdere oltre le proprie catene.
Il tema della violenza, idolatrato o esorcizzato, è stato comunque legato a filo doppio alla «presa del potere». Che cosa accade, allorché si considera quella esistente l’ultima possibile forma di Stato, meritevole di venir corrosa e di andare in rovina, non certo di venir rimpiazzata da un Iperstato «di tutto il popolo»? La non-violenza diventa forse il nuovo culto da officiare? Non sembra proprio. Semmai, ecco un ossimoro imprevisto, il ricorso alla forza deve essere concepito in relazione a un ordine positivo da difendere e salvaguardare. L’esodo dal lavoro salariato non è un gesto concavo, un meno algebrico. Fuggendo, si è obbligati a costruire diverse relazioni sociali e nuove forme di vita: ci vuole molto gusto per il presente e molta inventività. Pertanto, il conflitto verrà ingaggiato per preservare questo «nuovo» che intanto si è istituito. La violenza, se c’è, non è protesa ai «domani che cantano», ma a prolungare qualcosa che già esiste, seppure informalmente. Di fronte all’ipocrisia, o alla svagata dabbenaggine, che contrassegna oggi la discussione su legalità e illegalità, conviene rivolgersi a una categoria premoderna: lo ius resistentiae, il diritto di resistenza. Con questa espressione, nel diritto medioevale, non si intendeva affatto l’ovvia facoltà di difendersi se aggrediti. Ma nemmeno una sollevazione generale contro il potere costituito. Netta è la distinzione rispetto alla seditio e alla rebellio, nelle quali ci si scaglia contro l’insieme delle istituzioni vigenti, per edificarne altre. Il «diritto di resistenza» ha, invece, un significato assai peculiare. Esso può venir esercitato allorché una lega artigiana, o la comunità tutta, o anche un singolo, vedano alterate dal potere centrale certe loro prerogative positive, valevoli di fatto o per tradizione.
Il punto saliente dello ius resistentiae, ciò che ne fa l’ultimo grido in tema di legalità/illegalità, è la difesa di una effettiva, tangibile, già avvenuta trasformazione delle forme di vita. I passi grandi o piccoli, gli smottamenti o le slavine, della lotta contro il lavoro salariato ammettono un illimitato diritto di resistenza, mentre escludono una teoria della guerra civile.
(Il manifesto, 14 novembre 2004)