Due variazioni su Flaubert
(Continuo la pubblicazione di inediti di Kis e su Kis, apparsi su Nuova Prosa n. 40. A. I.)
Di Danilo Kis
Gli idioti e i martiri
Sino a Flaubert la letteratura rappresentava un insieme unitario (si pensi a Balzac), la totalità del mondo e dell’essere; era uno degli assi portanti della vita e della società, allo stesso modo dell’esercito, del potere, della filosofia, dello Stato, della famiglia. Con Flaubert inizia l’epoca della decadenza, che si protrae fino ai nostri giorni. La letteratura ha perso la propria superiorità, la propria imparzialità, la propria integrità.
Ma la letteratura ha dovuto continuare a convivere con la tragica coscienza del paradiso perduto. Da qui il vano tentativo di ritrovare, attraverso un’opera (ad esempio Bouvard et Pécuchet), per vie traverse, quello status di totalità, quella universalità divenuta impossibile. Come se Flaubert non avesse capito che il mondo si era frantumato in mille pezzi, che il modello, fino a quel momento immobile e statico, si era messo in movimento, che il cavalletto fisso era scomparso per sempre. Egli voleva, a ogni costo, incollare i cocci del boccale rotto: da qui lo stile, da qui il martirio. Se la prosa, dopo Balzac, non è scomparsa per sempre, bisogna ringraziare soprattutto Flaubert.
La letteratura “decadente”, nata con lui, perdura, passando per Joyce, ancora oggi. Cosciente dell’integrità irrimediabilmente perduta, ma a ciò rassegnata. Cosciente di essere condannata alla frammentarietà, ma desiderosa di dare, proprio attraverso questa frammentarietà, una visione completa del mondo e dell’uomo. Per questo Flaubert, nella Tentation de saint Antoine, si era messo alla ricerca, attraverso i documenti del passato, di un possibile punto fisso in questo mondo di strutture instabili; così era diventato il promotore di quella letteratura che Foucault definisce il fantastico da biblioteca.
Flaubert ci ha dunque insegnato che lo stile è un’entità a sé, introducendoci così nella grande famiglia degli idioti e dei martiri.
Flaubert e Borges
In primo luogo grazie all’epistolario, e anche agli sforzi creativi le cui tracce sono chiaramente visibili nei manoscritti, la ricerca che Flaubert operò della parola giusta e la sua angoscia dello stile (“affres de style”) sono ormai leggendari. Questo singolare sforzo creativo traeva origine da un presentimento di cui Flaubert non riuscì a liberarsi: che tra i suoi concetti (“Nessuno ha mai saputo immaginare un tipo di prosa più perfetto del mio”) e la loro realizzazione ci fosse una divario. L’infelice Flaubert credeva che l’errore fosse in lui, nel suo talento e non si rendeva conto del fatto che, dopo Stendhal e Balzac, la forma della finzione era caduta in disuso. Il genere, come avrebbero detto i formalisti, aveva iniziato a deperire.
Flaubert è arrivato troppo presto; per questo non è riuscito a rompere in modo radicale con la tradizione del genere realistico, anche se era molto vicino a trovare la soluzione. La sua impotenza nasceva dai suoi dubbi: presentiva l’arbitrarietà e i limiti del romanzo psicologico. Da qui la fuga nell’esotico, al cui interno i personaggi possiedono una maggiore integrità, una maggiore libertà d’azione, poiché il lettore non li può paragonare agli standard psicologici dell’epoca.
Intanto, già con Madame Bovary Flaubert cominciò a esprimere il proprio dubbio innato sul narratore onnisciente e sul ritratto psicologico, vale a dire sulle convenzioni letterarie più temibili e tenaci. Più l’azione del romanzo progredisce, più è presente il dubbio; l’affermazione categorica (“Alors le souvenir des Bertaux lui arriva”) sarà di volta in volta sempre più spesso temperata da parole che esprimono tentennamento – la psicologia dell’eroe sfugge allo scrittore. (“…d’écrire à son père: il était trop tard, et peut-être qu’elle se repentait maintenant de n’avoir pas cédé à l’autre”. Oppure: “Elle se laissa prendre à ses paroles, plus encore à sa voix et par le spectacle de sa personne; si bien qu’elle fit semblant de croire, ou crut-elle peut-être, au prétexte de leur rupture”).
Questa unica, semplice parola – peut-être, forse – rappresenta il primo passo dal genere psicologico verso la moderna prosa narrativa; questa parola getta un ponte sull’abisso che divide il narratore onnisciente dal narratore scettico (“inaffidabile”), primo sintomo dell’invecchiamento del genere, primo capello bianco nella folta capigliatura dei classici scarmigliati.
Se Flaubert avesse riassunto la gigantesca architettura del suo romanzo esotico in un racconto che esprimesse il soggetto di un libro fittizio e complesso intitolato La tentation de saint Antoine, se avesse condensato la materia di Bouvard et Pécuchet in una novella che contenesse in sé, esplicite, parti di quel materiale (cosa facile da immaginare, poiché Flaubert aveva già avuto l’idea borgesiana di far passare per vere false indicazioni bibliografiche), la letteratura non avrebbe dovuto attendere un centinaio di anni prima che apparissero le Ficciones di Borges.
(traduzione dal serbo di Dunja Badnjevi,)
Danilo Kis, 1980, 1986
Adelphi, 2004