Una meravigliosa storia d’amore
di Romano A. Fiocchi
Cristò (Chiapparino), La meravigliosa lampada di Paolo Lunare, 2019, TerraRossa Edizioni.
È un libretto di un centinaio di pagine. Eppure credo uno dei più belli usciti nell’ultimo anno. Perché La meravigliosa lampada di Paolo Lunare non è solo una meravigliosa storia d’amore ma una raffinata analisi del rapporto di coppia, del sistema di menzogne – a fin di bene o a fini personali – su cui tale rapporto regge. Fantasioso, bizzarro, immaginifico, echeggia il celebre Ghost cinematografico ma se ne distacca attraverso la sua struttura letteraria, i cambi alternati di prospettiva (ora quella di Paolo, ora quella di Petra), l’approfondimento psicologico dei caratteri, l’uso di una lingua fatta nel contempo di scorrevolezza e di eleganza. Cristò – al secolo Cristò Chiapparino – deve aver sicuramente letto le Lezioni americane, e aver appreso i princìpi di leggerezza rapidità esattezza.
Princìpi che erano già presenti, per quanto con minore evidenza, nel suo precedente romanzo, Restiamo così quando ve ne andate (Terrarossa, 2017). Un romanzo che con la densità delle sue duecentotrenta pagine offriva una lettura gratificante e impegnativa, fatta di intrecci e di cambi di scena, senza però raggiungere la perfezione e la bellezza che incarna la storia di Paolo e Petra. Non per nulla mi piace considerare Restiamo così una sorta di palestra di allenamento dell’autore. A cominciare dall’esercizio dei cambi di prospettiva della voce narrante: prima quella di Francesco, il protagonista iniziale, che gradatamente viene sovrastata da quella della casa, che poi si rivela il vero fulcro del romanzo. Perché gli uomini vanno e le case restano. I ricordi delle case sono i fantasmi degli inquilini che se ne sono andati: “Eppure certe volte ci sentite e avete paura di noi, ci chiamate fantasmi, presenze, spiriti. E invece siamo noi”. Noi, le case.
Affinità nei due romanzi anche per quel che riguarda le ossessioni che tormentano i personaggi: Francesco, in Restiamo così, si industria nel costruire una Dream-Machine, sorta di lampada dinamica che produce stimoli visivi, per stordire il proprio disagio. Paolo, nella Meravigliosa lampada, cerca di costruire una lampada che produca “la luce del sole così com’è”, per farne un regalo. Ecco, questa divergenza di finalità lascia intendere l’impostazione realistico-concreta del primo libro e quella magico-poetica del secondo. Francesco porta sino in fondo la sua agonia esistenziale senza accorgersi minimamente dell’animismo della casa in cui abita. Viceversa, Petra e Paolo scoprono la magia del mondo che li circonda e la vivono (Paolo addirittura da morto) come se fosse la più normale delle cose. Normale una lampada che consente di vedere gli ologrammi dei morti. Normale Petra che scrive con la luce della lampada magica per comunicare con il fantasma di Paolo. Normale Paolo che da morto vede Petra come una lucciola. Normale, per Petra, dire ad un fantasma l’ultima menzogna a fin di bene: “Sono stata in ospedale, scrisse Petra nel buio. Come stai ora, mimò Paolo. Meglio, mentì Petra”.
È un realismo magico, quello di Cristò, tutto speciale, che ti immerge in una realtà-altra con poche esatte parole: “Paolo aprì gli occhi in mezzo alla campagna nella consapevolezza precisa e inequivocabile di essere morto”. Cose banali diventano straordinarie e svelano i loro segreti. Persino lo schema di un sudoku, riprodotto fedelmente in un circuito di ottantuno lucine di nove colori diversi (da un blu quasi nero all’arancione), ti permette di generare una luce che illumina quella parte del mondo fuori di ogni dimensione, il mondo misterioso dove si muovono gli ologrammi dei morti.
Magia e poesia, dicevo più sopra. Magia del mondo nascosto, che esiste ma che non vediamo se non attraverso la poesia. E attraverso l’amore. Perché è solo grazie all’amore che Paolo si inventa la sua lampada straordinaria. Emergono insomma, nella storia di Paolo e Petra, tutti i tentativi dell’uomo moderno di superare l’isolamento e comunicare all’altro/altra i propri sentimenti, nella speranza di essere corrisposto. Cosa che non accade in Francesco, che incarna invece il malessere del nostro tempo e l’impoverimento dei rapporti umani: i social network, la televisione, la precarietà del lavoro, l’individuo ridotto a un numero, abbrutito in mansioni denigranti come passare la giornata a contare le monetine del supermercato e a dividerle in sacchetti.
È dunque una storia positiva, quella di Paolo e Petra, che nonostante l’amarezza (non si tratta certo di un romanzo rosa a lieto fine) lascia del dolce in bocca al lettore. Sia chiaro: non si tratta di leziosità, ma di un sentimento profondo, che va appunto oltre la morte, senza che i due protagonisti vestano i panni di eroi o figure eccezionali. Paolo e Petra sono due esseri semplici che il destino ha legato casualmente, che si sono trovati, forse proprio per condividere inconsciamente il peso dei problemi delle rispettive famiglie. E la loro solitudine di esseri umani.
Tutto questo è narrato con la leggerezza di un concerto strumentale a due voci, che ti prende dalla prima all’ultima pagina con la forza di un brano di Chopin (non per nulla, Cristò è anche pianista). La stessa leggerezza con cui le lapidarie parole dell’autore scandiscono la postfazione: “La letteratura è una menzogna. Ogni storia è una finzione. Niente di ciò che avete appena letto è accaduto fuori da queste pagine. I personaggi non corrispondono a persone viventi o vissute, sono spiriti erranti, esistenze potenziali, funzioni narrative. Se quindi dovesse sorgervi il sospetto di aver riconosciuto in qualche anfratto di questa novella la vostra vita, o quella di qualcun altro, siate certi che si tratta di una coincidenza”.