Best seller
di Riccardo Ferrazzi
La busta era troppo leggera. Brutto segno: un editore, se vuole pubblicare, telefona. Se scrive è per rifiutare. E infatti.
“Gentile Augusto Rossi, Le siamo grati, eccetera. Peraltro, il Suo scritto non rientra nell’indirizzo editoriale delle nostre collane, eccetera eccetera.”
Tutto ciclostilato. Il nome, inserito a macchina, un po’ storto. Ciclostilata anche la firma, debitamente illeggibile per evitare che lo scrivente la riconosca e assilli il funzionario con lettere e telefonate. I rifiuti editoriali sono così: anonimi e ipocriti.
Augusto Rossi passò in copisteria a ritirare tre copie fascicolate. Le avrebbe spedite a tre editori contemporaneamente. Tanto valeva lavorare all’ingrosso.
***
Una donna apatica, immersa in un silenzio carico di noia e di indifferenza, infilò i tre fascicoli in una busta di plastica. Senza dire una parola, stampò lo scontrino, incassò, porse il resto, e tornò a sedere fissando lo sguardo nel vuoto.
Una lettera di rifiuto, il muso di una cartolaia, una giornata grigia. Non restava che cercare consolazione in qualche vizio. Rossi allungò l’itinerario per passare dall’enoteca. Si affacciò sulla porta e si vergognò. Troppo presto. Bere a quest’ora era da alcolizzati.
Però.
Però l’enoteca semivuota aveva i suoi vantaggi: per esempio, si poteva stare al banco senza ritrovarsi in mezzo a una discussione fra collezionisti di auto d’epoca o di bicchieri art déco. Si poteva opporre un educato silenzio ai tentativi del gestore di attaccare bottone sul retrogusto del Pigato di Ortovero. Si poteva sedere al tavolino con un giornale e un bicchiere di vino novello, e restare in pace per due ore, senza sogni ma anche senza rotture di coglioni, a stufare la delusione fino a ridurla come certi brasati ben cotti, che si potrebbero mangiare con il cucchiaio.
***
“Porc… ! Si è scaricato. Hai mica da accendere ?”
“Cosa ? Ah, sì. Però guarda che il fumo rovina il gusto del vino.”
“Oh Cristo. Un altro dell’Esercito della salvezza.”
“Sbagliato. Quelli ce l’hanno con l’alcol.”
“Oh cazzo, anche pignolo.”
“Pignolo ? Preciso, semmai. Al giorno d’oggi l’imperativo è: professionalità.”
“Ma quante balle. Il mio mestiere è dilettantismo al cubo. Tu cosa sei, un contabile, un ingegnere ?”
“Beh… a dir la verità, non sono niente.”
“In che senso ?”
“Nel senso che non lavoro.”
“E come fai a mangiare tre volte al giorno ?”
“Una eredità. Ho avuto fortuna, almeno in questo. E tu, come sarebbe un mestiere da dilettante ?”
“Invento storie e le racconto.”
“Cioè sei uno scrittore !”
“Ebbene sì. Un giorno potrai dire ai nipotini che hai bevuto un bicchiere di dolcetto con Dario Moroni, l’immortale autore di Vite a rate e di Fragilità. Sentiti onorato per non meno di quattro secondi e non più di dieci. OK, basta così. Sul serio non fai il contabile ? Quei fascicoli lì cosa sono, manuali per computer ?”
“Questi ? No. È roba… senza importanza.”
“Fammi dare un’occhiata.”
***
Fu così che, in un imprecisato pomeriggio, in una enoteca vuota, Dario Moroni lesse il primo capitolo di Facciamoli neri, il romanzo che avrebbe segnato la storia del costume quasi quanto La capanna dello zio Tom.
Perlomeno, questa è la versione di Rossi.
I filologi hanno rintracciato sei diversi dattiloscritti negli archivi di altrettante case editrici che, in maggioranza, non si disturbarono nemmeno a spedire la solita lettera di rifiuto. Una leggenda metropolitana insinua che una responsabile di collana abbia fatto balenare a Rossi la possibilità di una pubblicazione in cambio di favori sessuali. Ma il libro fu pubblicato solo tre anni dopo, presso un altro editore e in tutt’altre circostanze. Se la leggenda ha un fondamento, può darsi che l’ansia da prestazione abbia giocato un brutto scherzo ad Augusto Rossi (e alla malcapitata).
Episodi boccacceschi a parte, capire come mai Facciamoli neri fu rifiutato da cinque case editrici è impresa ardua. Incontestabilmente, non è mai esistito un best seller più best seller di questo. Ancora oggi si continua a tradurlo nelle lingue più improbabili, dal basco all’urdu. La Quarterly Publisher Review ha recentemente calcolato che Facciamoli neri, da solo, ha venduto quanto l’intera produzione letteraria di Ken Follett. C’è chi, senza dar credito alle posteriori ritrattazioni, attribuisce a Dario Moroni un commento di questo tenore: “Gli editor leggono i dattiloscritti cercandoci dentro l’argomento che era di moda sei mesi prima. Io non ci ho neanche pensato: il libro era troppo bello.”
Ma le storie vere non sono mai lineari. La paternità di Facciamoli neri è avvolta nel dubbio. E anche questo ha con-tribuito non poco alle sue fortune editoriali.
***
Se dobbiamo credere a quanto dice Augusto Rossi, Moroni fu letteralmente catturato dal primo capitolo. Si portò via una copia del dattiloscritto e la lesse avidamente. Telefonò alle tre di notte per complimentarsi. Senza la minima sollecita-zione, promise il suo interessamento. “Ne parlo domani stesso in Certaldi&Bandini ! Lo faccio leggere a Calzolari e a Stefanin ! Consideralo cosa fatta.”
Per qualche giorno l’entusiasmo di Moroni fu alle stelle. Ma in capo a tre settimane Certaldi&Bandini non si sbilanciarono. Il redattore che aveva letto il manoscritto trovava mille scuse per non mostrare la scheda di valutazione. Il responsabile delle collane di narrativa parlava solo di due autori pakistani che vendevano molto bene negli USA, e ogni tanto si lasciava scappare qualche commento scettico sugli esordienti in genere.
Moroni si scocciò. Portò il dattiloscritto alla Rebaudengo, dove confidava nel supporto di Stefanin e di Calzolari. Ma anche i due noti autori si mostrarono tiepidi. Moroni arrivò a chiedere un appuntamento al responsabile editoriale (cosa che non aveva fatto neppure per i suoi romanzi), ma l’incontro non avvenne mai.
La svolta, sempre a dire di Rossi, avvenne nell’enoteca che già una volta era stata segnata dal destino, davanti a due bicchieri di bonarda dell’oltrepo.
***
“Ma cosa cazzo credono, questa manica di tirapiedi, che io non ne capisca di libri ? Credono di capirne loro, dopo i flop che hanno messo insieme negli ultimi anni ? Se io dico che il libro vale, vuol dire che vale ! Diecimila copie garantite. E se ingrana il passaparola…”
“Dario, tu sei davvero gentile, ma io ormai ho smesso di prendermela. Non pubblicano ? Chi se ne frega.”
“No, no. Ascolta: non devi abbatterti. Bisogna picchiare, picchiare e picchiare ancora finché funziona.”
“Ma io mica mi abbatto. Solo, non ci credo più. Avevo spedito il dattiloscritto anche ad altri editori. Uno ha mandato la solita lettera ciclostilata, gli altri hanno cestinato e basta. Francamente, insistere mi sembra patetico.”
“Ma non dirlo neanche per scherzo ! Sarebbe patetico se il romanzo fosse una porcheria. Invece è ottimo e sarà un successo. Ci devi credere.”
“Gli editori hanno il problema di rientrare nella spesa. Sono loro che non ci credono.”
“Uhm ! Il guaio è che ormai gli editori non esistono più. Sono tutti funzionari. Invece che a far libri pensano a far carriera. Dal punto di vista di un funzionario, un miliardo per i diritti di un Wilbur Smith è un investimento, dieci milioni sul libro di un esordiente sono una scommessa.”
Rossi crede di ricordare che a questo punto ci fu una pausa, come se tutti e due avessero bisogno di tempo per assor-bire il concetto. Poi la cosa si precisò. E da quel momento il destino prese in mano le redini della faccenda.
***
Il patto, sostiene Rossi, fu scritto su un foglio strappato dalla sua agendina e siglato dai due contraenti. Ma quel foglio è andato perduto. Sempre secondo Rossi, fu consegnato al notaio Ariberto Stucchi, il quale, due mesi dopo la firma dell’atto, morì stroncato da un infarto. Il figlio, subentrato nello studio, negò l’esistenza di un preliminare scritto. Segretarie e giovani di studio dissero di non saperne nulla.
L’atto in carta bollata, timbrato e autenticato, contiene pattuizioni di dubbia legittimità e, come è noto, fu oggetto di lunghe controversie civili e penali. Lecito o illecito che sia, l’atto stabilisce quanto segue:
1) Moroni si impegnava a cercare un editore per Facciamoli neri spacciandolo per opera sua.
2) Rossi si impegnava a non rivendicarne la paternità.
3) Alla morte di uno dei due, il notaio avrebbe reso pubblico il patto.
4) Anche nel caso in cui Rossi fosse morto per primo, il patto sarebbe stato comunque reso pubblico. Moroni avrebbe ereditato una cifra sufficiente a indennizzarlo da ogni danno pecuniario e morale.
Oltre a queste disposizioni, l’atto contiene due prolisse dichiarazioni dei contraenti che si dipingono pieni di candore e di disinteresse. In buona sostanza, Rossi dichiara di aspirare solo alla gloria letteraria, ancorché postuma; Moroni giura di avere a cuore il romanzo e, in definitiva, le patrie lettere. Curiosamente, nell’atto non si fa cenno ai diritti d’autore. Secondo Rossi, Moroni non aveva ancora deciso.
***
A quei tempi Giansiro Guidarelli non era nessuno. Postavanguardia era una minicasa editrice che occupava un ufficio di due stanze in un seminterrato dove si alternavano giovani studentesse con contratti temporanei e, più spesso, senza contratto. All’epoca dei fatti c’erano sei mesi di affitto arretrato e due cambiali in scadenza. Il catalogo era costi-tuito da soli nove titoli, alquanto disparati.
Quando Moroni gli propose Facciamoli neri, la prima reazione di Guidarelli fu di sospetto: perché mai un autore affermato andava a proporre un romanzo proprio a lui ?
Moroni tagliò corto.
“Non vuoi leggerlo ? Peggio per te.”
Guidarelli lo rincorse, lo blandì, gli strappò il dattiloscritto dalle mani. E ancora oggi si congratula con se stesso: quelle cinquecento cartelle furono l’equivalente di una vincita alla lotteria. Gli bastò leggere le prime trenta per convincersi di avere messo le mani su una bomba.
Lo stile era molto diverso da quello dei precedenti romanzi di Moroni: più carico di metafore e di effetti, meno curato nell’articolazione di trama e intreccio. A dirla tutta, la storia in sé era quasi banale, ma era trattata con una forte vena moralistica che rimestava pregiudizi e sensi di colpa in modo davvero originale.
Guidarelli pensò che gli editori commerciali avessero rifiutato il libro perché non se la sentivano di rischiare: un autore che cambia pelle è un maledetto azzardo. Quando poi il cambiamento è così radicale, rischia di compromettere il catalogo. Insomma, per Postavanguardia era un’occasione da non perdere.
E ancora più ghiotta diventò al momento di discutere le condizioni.
Guidarelli intonò il discorsetto: “Caro Dario, ti renderai conto che un editore in trincea, che fa ricerca e sperimentazione, non può pagare gli anticipi ai quali sei abituato…”
Moroni diventò rosso fuoco.
“Guarda, Giansiro, sono un po’ di notti che ci penso…” articolò annaspando. “Non mi interessa far soldi con questo libro. Devolvi i diritti all’Unicef e alla Fao. Non chiedermi perché: ho i miei motivi.”
Il contratto fu firmato, senza anticipo e con i diritti al 12 per cento. Il libro fu stampato in duemila copie, mille delle quali vennero spedite, oltre che ai critici letterari, a tutte le organizzazioni di volontariato e ai movimenti che lottano per i diritti delle minoranze.
La mossa di Guidarelli fu un misto di lungimiranza e di cinismo. Oggi, Facciamoli neri è riconosciuto come il manifesto del “politically correct”. Ma all’epoca, quando nessuno era in grado di prefigurare gli sviluppi, l’intuizione di Guidarelli fu un colpo di genio imprenditoriale che trasformò il romanzo da evento letterario a vero e proprio fatto di costume. Il passaparola partì con fulminea rapidità. Nessuno si curò della finezza con cui la storia (tanto tragica quanto plausibile) veniva asservita alla tesi dell’autore. Le analisi sociologiche, la complessità dei personaggi vennero totalmente trascurate. Il messaggio che circolò fu più o meno questo: “Facciamoli neri ci rappresenta con una coerenza che non sapevamo di avere. D’ora in avanti nessuno potrà accusarci di essere in contraddizione se criticheremo le multinazio-nali dalla terrazza di un attico ai Parioli o dalla tolda di una barca a vela.”
Ben prima della settima ristampa il libro fu richiesto dai maggiori agenti letterari internazionali. Uscì negli USA accompagnato da una campagna pubblicitaria a dir poco aggressiva: chi non lo leggeva era una carogna, un maschilista guerrafondaio nemico delle minoranze, un fautore della vivisezione e della pena di morte. In meno di un anno vendette tre milioni di copie.
***
“Ti rendi conto ? Da quando il libro è uscito non vedo più una lira ! Vivo con le ospitate nelle televisioni, i gettoni di presenza, i rimborsi spese.”
“Addirittura ! E gli altri tuoi romanzi ?”
“Ma per amor del cielo ! Da quando è uscito il maledetto best seller non vendono più neanche una copia. Sono troppo diversi. Il pubblico li considera cose minori, superate. Intanto, Guidarelli reclama il seguito di Facciamoli neri. Le riviste mi chiedono articoli sull’attualità. E dovrei anche scriverli con il tuo stile !”
“Scusa, ma perché diavolo hai rinunciato ai diritti ?”
“Oh, dico, ho un amor proprio ! Ho una dignità ! E poi, come facevo a immaginare…? Fatto sta che Certaldi& Bandini mi accusa di avergli portato via Facciamoli neri sotto il naso. Rebaudengo idem. Stefanin e Calzolari semplicemente mi odiano, come se fosse colpa mia se hanno fatto la figura dei babbioni. Postavanguardia, che ci ha fatto sopra i miliardi, adesso ha la puzza sotto il naso: se non è scritto con il tuo stile e se non è politically correct, non mi pubblica neanche un raccontino di due cartelle. L’unica cosa che ho è un blocco creativo: non riesco più a scrivere una riga. Soltanto l’ idea di mettermi a imitare il tuo stile mi fa star male. Insomma: sono rovinato.”
“Beh, questo non potevamo proprio prevederlo !”
“Eh, certo che no. Ma io sono nei guai fino al collo. Devi darmi una mano. Non hai qualcosa nel cassetto ?”
“Un momento ! Quel che ho nel cassetto sono affari miei. Scrivere un romanzo mi costa anni di vita. Il prossimo deve uscire con il mio nome.”
“Uhm ! Ma l’hai scritto o ce l’hai soltanto in testa ?”
“È scritto, è scritto. Ma come faccio a presentarlo a un editore ? È troppo evidente che è il seguito di Facciamoli neri ! Direbbe che è un’imitazione del tuo stile !”
“Oh madonna, in che casino siamo andati a cacciarci !”
***
È bene sottolineare una volta di più che questa è la versione di Augusto Rossi. La verità di Dario Moroni è tutt’altra. Ma va anche detto che, analizzati in dettaglio, sia il resoconto di Rossi che quello di Moroni presentano lacune e incongruenze. Come è noto, solo la finzione è accurata, la realtà molto spesso appare approssimativa.
Rossi sostiene di aver passato a Moroni due raccontini e un breve saggio che furono pubblicati su “Donna moderna” e su “L’intransigente” e vennero ripresi dalle riviste più prestigiose: Time, Spiegel, Paris Match. Risulta dalle fatture che quelle poche pagine furono pagate a peso d’oro.
Ma nei mesi successivi cominciarono a circolare indiscrezioni sul seguito di Facciamoli neri.
Sempre stando a Rossi, i due scrittori si accusarono reciprocamente di aver fatto filtrare la notizia allo scopo di forzare la situazione. Rossi sospettava una manovra per espropriarlo del secondo romanzo, Moroni temeva che Rossi aves-se deciso di rendere pubblico il contratto prima del tempo. I rapporti fra i due si deteriorarono rapidamente.
Rossi sostiene di aver proposto una soluzione: rivelare la verità presentandola come una burla, servirsene per il lancio pubblicitario del secondo romanzo, fare a metà dei diritti.
Moroni avrebbe controproposto: anticipo e diritti da dividersi 60% Rossi e 40% Moroni, ma il libro uscirà con il mio nome e Facciamoli neri resterà mio.
Non ci fu modo di trovare un’intesa.
Pochi giorni dopo la rottura, Rossi sporse denuncia per un furto con scasso nel suo appartamento. Non erano stati rubati oggetti di valore, ma era stato distrutto il computer ed era-no spariti tutti i floppy disk. La denuncia era contro ignoti. Solo tre anni dopo Rossi accusò Moroni di avere trafugato il testo di AntiBigMac, il seguito di Facciamoli neri.
All’epoca del presunto furto, Moroni viveva come un recluso. Aveva acquistato un revolver e lo teneva carico sotto il cuscino. Non usciva di casa se non accompagnato. Aveva fatto testamento. Tutti i suoi amici confermano che temeva un attentato. Si parlò di manie, depressione, paranoia. Nessuno poteva immaginare l’esistenza di un patto in virtù del quale
Rossi avrebbe tratto enormi vantaggi dalla morte di Moroni.
***
La data esatta in cui Moroni sparì non fu mai accertata. Per qualche giorno, quotidiani e televisioni cucinarono la notizia in cento salse. I periodici insistettero per un mese. Le chiacchiere dei salotti stiracchiarono l’interesse ancora per un po’.
Quando il clamore si ridusse a rumore di fondo, una notizia sconvolse il mondo letterario: un agente londinese aveva ricevuto il dattiloscritto di AntiBigMac. Il plico gli era pervenuto tramite un corriere internazionale, aveva come mittente una banca svizzera e conteneva, oltre al testo, una procura e due pagine di dettagliate istruzioni. Il tutto in forma rigorosamente anonima.
L’argomento, lo stile, il linguaggio, tutto concordava nel far ritenere che anche questo libro fosse stato scritto da Moroni (o quantomeno dallo stesso autore di Facciamoli neri).
Ma l’anonimato stuzzicò la curiosità del pubblico e della critica.
Per la vendita dei diritti l’agente organizzò una vera e propria asta. I maggiori editori del pianeta si svenarono per disputarseli. In America e in Europa le campagne pubblicitarie furono ossessive. AntiBigMac rimase in cima alle classifiche per ottantasei settimane.
Il fatto che, questa volta, i diritti non andassero in beneficenza scatenò discussioni e dibattiti. Gli intellettuali italiani e francesi si divisero trasversalmente in due partiti: gli indignati e i concilianti. In America, un celebre giornalista indagò sul percorso dei bonifici bancari per il pagamento dei diritti d’autore. Ma dopo sei mesi di indagini, durante i quali era rimbalzato da Nassau a Zurigo, a Curaçao e a Lussemburgo, approdò alle Isole Tongue, repubblica islamica dove il segreto bancario era scritto nell’articolo 1 della Costituzione e gli impiegati di banca, in caso di infrazione, erano puniti con il taglio della lingua.
***
Un anno dopo l’uscita di AntiBigMac, un aereo da turismo precipitò nella selva ecuadoriana. Il pilota, lanciatosi con il paracadute, riuscì a salvarsi e, dopo sei giorni di marcia fra serpenti e cannibali, raggiunse un villaggio dal quale poté fare ritorno a Quito. Alla commissione d’inchiesta della Aviazione Civile dichiarò di avere avuto a bordo un solo passeggero, registrato come Moreno da Rio, che in realtà era lo scrittore italiano Dario Moroni. Il passeggero non aveva vo-luto paracadutarsi. La notizia fece il giro del mondo.
Con la tipica procedura sommaria sudamericana il tribunale di Quito convalidò le dichiarazioni del pilota ed emise una sentenza di morte presunta per Dario Moroni. Il consolato italiano la notificò allo studio del notaio Ulderico Stucchi fu Ariberto, il quale convocò il corrispondente dell’Ansa e gli consegnò una fotocopia del patto Rossi-Moroni.
Lo scalpore fu immenso. Facciamoli neri venne immediatamente ristampato e andò a ruba. Augusto Rossi fu conteso da televisioni e riviste, invitato al Festival di Sanremo e a un the in casa di Camilla Parker Bowles. In Francia, Facciamoli neri ricevette il premio Goncourt; in Italia, la giuria dello Strega si riunì per decretargli un premio straordinario.
***
Sul finire del millennio una spedizione di antropologi finanziata dall’ONU entrò in contatto con una tribù di indios Auca stanziata sul versante amazzonico delle Ande ecuadoriane. Per la prima volta nella storia un gruppo di uomini bianchi entrò in un villaggio di cannibali e ne uscì vivo. L’impresa fu possibile grazie a una circostanza del tutto eccezionale.
Ai margini del villaggio, in una capanna separata, viveva un uomo bianco al quale gli indigeni portavano ogni giorno cibo e acqua. In contropartita, gli proibivano di avvicinarsi alle femmine e gli chiedevano dei responsi. Insomma, lo trattavano come uno sciamano.
L’uomo era Dario Moroni. Miracolosamente sopravvissuto allo schianto dell’aereo, era stato estratto dai rottami da una pattuglia di Auca i quali, credendolo cadavere, avevano cominciato a incidergli una coscia con l’idea di cuocerla allo spiedo. Il dolore aveva fatto riprendere i sensi al povero Moroni, che aveva mormorato parole confuse. Gli indios le avevano prese per una invocazione. In quel momento, dal folto della selva era uscito strisciando un anaconda, animale sacro agli Auca. Il grosso rettile aveva attraversato la radura e se ne era andato per i fatti suoi, del tutto ignaro di aver salvato la vita allo scrittore.
Nella sua qualità di pontefice del dio anaconda, Moroni si fece garante per gli antropologi e li mise in grado di studiare usi e costumi degli Auca. Gli antropologi, partendo, gli lasciarono una torcia elettrica. Rientrati a Manaus, noleggiarono un elicottero. Atterrarono in piena notte nella radura sacra (e quindi tabù), dove Moroni faceva segnalazioni con la torcia. Riportarono a Manaus uno scrittore redivivo e due rotoli di carta igienica fittamente coperti da una scrittura continua e faticosa.
***
Quando Dario Moroni rimise piede in Europa era stato informato di tutto: la sua morte presunta, la pubblicazione del patto, l’apoteosi di Augusto Rossi.
Prima di incontrare la stampa, Moroni consultò un avvocato ed ebbe un colloquio con Giansiro Guidarelli. La versione che espose ai giornalisti risultò semplice e lineare.
Il contratto esibito da Rossi era falso: Rossi aveva ingannato il vecchio notaio grazie a un complice che si era spacciato per Dario Moroni. La firma in calce all’atto era apocrifa. Altrettanto fasullo era il furto in casa di Rossi: l’ originale di AntiBigMac, l’unica copia esistente, era quella giunta a Londra per corriere. L’aveva spedita lui, Moroni, e poteva provarlo. Si era dato alla clandestinità per sottrarsi alle minacce di Rossi, ormai deciso a eliminarlo fisicamente. Ma fuggire non era stato sufficiente: Rossi l’aveva rintracciato e voleva la sua morte. Aveva pagato il pilota per simulare un’avaria e salvarsi con l’unico paracadute di bordo dopo aver diretto l’aereo verso il folto della selva. A riprova di ciò, Moroni richiamò l’attenzione sul fatto che il pilota era ricomparso nella civiltà a ovest della cordigliera delle Ande, mentre l’aereo era precipitato a est. Il pilota, raccontò, si era lanciato con il paracadute dopo aver innestato il pilota automatico. L’aereo aveva continuato a volare ed era precipitato solo dopo aver esaurito il carburante.
Quello stesso giorno Guidarelli annunciò che Moroni aveva scritto un nuovo romanzo in un uno stile del tutto diverso dai precedenti. Il libro sarebbe stato in vendita nel giro di due mesi, era intitolato Inciviltà, ed esprimeva la nuova visione della vita che l’autore aveva maturato nel suo esilio amazzonico.
Augusto Rossi non ebbe il tempo di emettere un comunicato o di rilasciare un’intervista. Una pattuglia di carabinieri gli consegnò un avviso di garanzia che ipotizzava molteplici reati, fra i quali il tentato omicidio. In presenza del rischio di reiterazione del reato, il Gip convalidò l’arresto.
Dario Moroni tornò a essere la star dei talk show. Inciviltà vendette un milione di copie in un mese. Il partito radicale gli offrì una candidatura al senato. In televisione, una matura ma non del tutto sfiorita soubrette si dichiarò pazzamente innamorata di lui.
***
L’inchiesta giudiziaria andò avanti con la lentezza, le fughe di notizie e i falsi scoop di prammatica. In capo a dieci mesi, dopo il solito ping pong di sentenze e ricorsi, Augusto Rossi ottenne gli arresti domiciliari. Il processo era ancora di là da venire.
Poco dopo uscì Calunnia, il nuovo libro di Rossi che, nello stile di Facciamoli neri, stemperava le tesi originarie in una visione più pacata.
In coincidenza con la sentenza di primo grado che derubricò il tentato omicidio a lesioni colpose, Moroni diede alle stampe Je m’en fous du passé, il romanzo che segnò la sua adesione all’induismo e la sua presa di distanza dalle banalità del quotidiano.
Nonostante la disapprovazione degli intellettuali, Moroni rimise la querela penale contro Rossi e venne a una transazione per la causa civile. Rossi si impegnò nel volontariato. Moroni riprese a girare il mondo. A carico di Rossi rimase in piedi solo l’accusa di tentato omicidio, per la quale la pro-cura era ricorsa in appello e sulla quale giornali e televisioni specularono ancora a lungo. La causa finì due volte in Cassazione. Non se ne venne a capo finché il presunto reato non fu estinto da un’amnistia.
Rossi e Moroni, liberi e separati, seguitarono a viaggiare, scrivere, far parlare di sé. Ebbero mogli passeggere e amanti bellicose. Sopravvissero alle une e alle altre. Finirono per ritrovarsi, a novanta e più anni, nello stesso albergo sulla costiera amalfitana.
***
“Abbiamo vissuto ?”
“Me lo domando anch’io. Certe volte mi sembra tutto così stupido.”
“Sarebbe bello se, almeno, restassero i nostri libri.”
“Già. Facciamoli neri, AntiBigMac…”
“Non ricominciare: quelli li ho scritti io !”
“Vecchio balordo, non ricordi neanche cosa hai mangiato a colazione: Facciamoli neri e AntiBigMac sono roba mia ! E comunque, chi se ne frega. A quelle idee non credo più. Non ci crede più nessuno.”
“Ma non è vero ! A me continuano ad arrivare email di lettori entusiasti.”
“Imbecille ! Non hai ancora capito che ogni vent’anni il mondo cambia interessi ? I nostri libri sono già dimenticati. Il massimo che possiamo sperare è che qualche critico li riscopra fra un secolo o due.”
“Ma dici davvero ?”
“Ho paura di sì.”
“Mah…”
“Eh…”
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Riccardino… ma dai. Ci hai fatto sbadigliare tutti.
[Cfr. Posted by riccardo ferrazzi at 21.10.04 10:13]
io l’ho trovato molto divertente… ricorda “Notizie sull’autore (About The Author) di John Colapinto…
S T R E P I T O S O
Lo conoscevo già…
Magnifico.
Bellissimo! e divertente!