Zero a zero

Giorgio Mascitelli

Ma io ti dico, tu dagli fiducia alla squadra tua.

Se anche il campionato va male, la posizione di classifica è anonima, l’eliminazione dalle coppe già avvenuta, perfino la fortuna ci ha abbandonato e la sfera maledetta incontra il legno, quando già ti aspetteresti che sia avvolta dalle gioiose spire della rete, io ti dico: tu dagli fiducia alla squadra tua. Se il disappunto ti assale, questo mal sottile che rode dentro, che ti conduce brano a brano a cercar la rovina di te medesimo con la voluttà del vaffanculeggiare tutti quanti , come quella volta che la contestazione dagli spalti della Nord partì ancor prima del fischio di inizio quando vedemmo apparire le amate maglie nerazzurre, quelle stesse che una settimana prima all’Olimpico contro una formazione di cadaveri ambulanti erano state infangate dall’ignominia e dal ridicolo dei loro portatori, gridando all’indirizzo di queste “Campioni, campioni, ma solo coi milioni”, “Andate a lavorare”, “Tutti in cantiere”, “Bastardi capaci solo di andare a fighe in discoteca”, che pure è una discreta abilità, e causandone indirettamente l’ulteriore sconfitta. Se il disappunto, che rosica rabbioso entro di te la tua ragione e il tuo amor proprio, sale nel trovare realizzato sul terreno di gioco il naufragio del progetto e della speranza a causa delle indecorose giocate di attaccanti indolenti, che magari non sono indolenti, ma giocano con le infiltrazioni o sotto antibiotici e tu non sai cosa vuol dire giocare con le infiltrazioni o sotto antibiotici, tu dagli fiducia alla squadra tua. La vita è un’ottima metafora per il calcio. E allora io ti dico, tu dagli fiducia alla squadra tua: forse non la meriterà, anzi probabilmente non la meriterà, ma tu lancia il cuore oltre l’ostacolo. Essere tifosi è come scegliere un oggetto d’impegno nella vita, non importa quale, perché queste cose veramente non importano, e a quello dedicarsi con ostinazione e passione. Nel conflitto tra ragione e sentimento è sempre il secondo che prevale. Tu allora dagli fiducia alla squadra tua.
Oh, Jason è un casino bello di parlare con te perché mi sembra di essere non a San Siro, ma alla Sorbona.
Sì, Marcone, tieni conto che però sarebbe più corretto dire ‘è un casino bello di ascoltare te’ perché tu non hai mai parlato, hai solo ascoltato. Non c’è stata conversazione tra noi perché io sono sempre stato il mittente e tu sempre il destinatario della comunicazione. La conversazione si ha invece quando di volta in volta il mittente e il destinatario si cambiano di posizione.
Nel bar sotto la curva nord di San Siro si trovano questi due cristi di Jason e Marcone, due cristi come tanti altri, venuti su con le onde e con le onde, a suo tempo, destinati a rifluire. Come gli altri, attendono di entrare alla partita dell’Inter e qualcuno con cui hanno un appuntamento. Come gli altri, hanno dipinto in volto i colori della delusione, lo zero a due subito dall’Inter in un campo di provincia come quello di Perugia una domenica fa e la negativa prestazione del difensore centrale Tombolato. Non che Tombolato sia un pessimo giocatore, anzi tutt’altro: difensore centrale aitante dalle leve lunghe, particolarmente adatto al gioco aereo, può anche sostenere il centrocampo con un piede discreto nei lanci, certo nella difesa a quattro bisognoso al suo fianco di un brevilineo più portato alla scatto di quanto sia lui. Al suo fianco invece un alto lungo scandinavo ancora più lento e per di più davanti un mediano sempre pronto a perdere la palla e mai a conquistarla. “La puta che te pariò me lo suca” gli disse il centravanti argentino del Perugia nel saltarlo sullo scatto presentandosi solo davanti a Cumano. Tombolato è una persona decente, corretto con i compagni e al di fuori delle beghe di spogliatoio, seriamente impegnato in un’associazione cattolica di volontariato, Tombolato è una persona decente che non salta mai gli allenamenti, rispettoso della maglia che porta, uno di quelli dei quali il direttore sportivo dirà, quando sarà un po’ più anziano, ‘un autentico esempio per i giovani’. Tombolato è una persona decente, ma nell’uno contro uno in velocità con un guizzante centravanti di baricentro basso è destinato a soccombere, soprattutto se a centrocampo il mediano non lo protegge e non ritorna, ma protervo s’ostina a cercare di saltare il suo uomo. E la gente s’incazza. Tombolato si allena con regolarità, non fuma, mangia correttamente, ha il volto gentile e onesto della gente di campagna di un tempo, in una circostanza, che qui è pietoso tacere, aiutò un compagno in un frangente difficile, se non drammatico, e oggi al primo errore anche veniale verrà fischiato dal suo pubblico. D’altronde sono professionisti pagati milioni e milioni anche per questo. Impazzire, Tombolato, impazzire.
Jason e Marcone, come gli altri del resto, stanno al bar sotto la curva nord perché aspettano qualcuno. In particolare aspettano la Roby che è la non si capisce bene di Jason; d’altronde è una situazione tipica della contemporaneità quella in cui non si capisce bene cosa facciano due. Stanno insieme? No sono solo amici, anche se trascorrono molto tempo assieme, prima di prendere una deliberazione di qualsiasi entità informano dettagliatamente l’altro e hanno una loro canzone. Magari non stanno insieme ma intrecciano commerci carnali l’un con l’altra, magari stanno insieme e per scelta comune non intrecciano detti commerci, magari a settimane alterne. “Sono veramente solo amici”, così spesso si esprime la migliore amica di lei, “Ma se lui mi ha detto che sono andati in camporella e lei gli si è data alla pecorina” replica un sodale da bancone del bar di lui, va be’ è un’amicizia alla pecorina. Ad ogni modo la Roby esegue abbastanza prontamente gli ordini di Jason. Più facile decifrare i rapporti della Roby con Marcone: inesistenti e neanche troppo garbati ( le forme sono tutto).
Gli occhi di Jason dicono delusione quando vedono arrivare la Roby che calza comode scarpe da ginnastica, veste pratici e attillati pantaloni sportivi, indossa una variopinta maglia felpata e una sciarpa con i colori nerazzurri e la scritta rosa “Pink ladies”. Gli occhi di Jason dicono delusione perché egli aveva chiesto alla Roby di vestirsi da donna con una gonna sommariamente breve, le calze, certe calze, e soprattutto le giarrettiere. Gli occhi di Marcone non dicono nulla per la difficoltà sua e del suo vocabolario a collocare con più precisione il termine giarrettiera entro una vasta area semantica grosso modo delimitata dai sostantivi clitoride ed oroscopo. Si sa che la scuola italiana non è più quella di una volta.
La giarrettiera! Ti avevo parlato delle giarrettiere sai, ti avevo detto di presentarti con le giarrettiere.
Quella sbatte gli occhi e fa presente in un sussurro foriero d’altri sussurri che tutto ciò è soltanto rinviato, che il diniego non è assoluto, ma circostanziale. Non si può andare in curva con i tacchi, la gonna e così via, soprattutto in una partita tesa come quella che si annuncia oggi contro la Roma. E poi la Roby un pochino piccata chiede al suo verosimile drudo se la trovi desiderabile solo con le giarrettiere.
Cosa c’entri tu adesso? Ti ho solo chiesto di indossare le giarrettiere e tu non lo hai fatto.
La Roby è sempre più piccata perché, per quanto lo consenta la tenuta casuale e sportiva e presente, non ha certo rinunziato a qualche dettaglio meritevole di un occhio maschile più attento. E poi il desiderio che non ha regole precise, ma è la forza che muove tutto, talvolta si fissa su questi oggetti, detti per l’appunto oggetti del desiderio. Ma, come direbbe un filosofo non sprovvisto di profondità linguistica, bisogna passare dagli oggetti del desiderio al desiderio degli oggetti ed è forse questo passo che Jason non osa compiere. Il sole alquanto pallido è peraltro alto in cielo, Marcone contempla la scena con occhi rotondi e Jason sbotta.
Speriamo in Zanica almeno.
A queste parole l’irritazione della Roby cresce inevitabilmente: Zanica, a dispetto del bel nome leggiadro, non è una pulzella più spregiudicata della Roby nell’arte del vestirsi discinta, ma è un giovane di indole generosa che ha l’incarico di portare i panini per tutti e quattro, che tutti e quattro amano consumare all’antica sugli spalti dello stadio poco prima dell’inizio della partita. La roba che ancor l’offende è poi che a parer suo Zanica non è molto stimato dal gruppo, cioè da Jason, sempre a parer suo ingiustamente, come evidenzierebbe l’eponimo di questi che poi è un ortonimo del paese da dove viene, perché lui al secolo si chiama Gianguido Rezzonico. E qui forse l’interpretazione della Roby è eccessivamente ingenerosa perché in realtà anche numerose famiglie europee di sangue blu hanno come nome un ortonimo, quali i Savoia, i Sassonia-Coburgo, i Giacobazzi. Zanica è un giovane generoso che porta i panini per tutti e quattro, che amano consumare sugli spalti e ama la sua squadra di un amore puro e senza riserva come attesta la sciarpa che suole portare al collo durante la partita: nerazzurra con la scitta in giallo “Per la legge delinquenti per l’Inter combattenti”. Arriva Zanica.
Ma gioca ancora Tombolato? Quello si è bevuto il cervello e si ciuccia lo stipendio.
Zanica, hai portato i panini?
Jason non ama parlare di tattica e formazioni con i propri sodali, al massimo elargisce qualche commento durante la partita del tipo “Non giocano negli spazi” o “Ma devo curarlo io il sette?”. Jason non ama parlare di tattica e formazioni come se fosse qualcosa di superfluo per lui discutere di queste cose con i compagni di partita. Zanica ha portato i panini. Lo annuncia a Jason prima ancora che la scontata risposta affermativa del predetto, un odore intenso.
Zanica cosa hai messo nei panini?
Il gorgonzola.
Come il gorgonzola?
Tu non mi hai detto cosa dovevo metterci dentro e a me piace il gorgonzola.
Sì, va bene in definitiva sono affari tuoi: solo sarà tutto più scomodo. Zanica ti ricordi quella trasferta di coppa in Spagna in cui ebbri di gioia cantavamo nel silenzio totale dello stadio sconfitto.
Jason, come potrei dimenticarlo? Fu una delle emozioni più belle di questo intervallo che mi vede qui nel mondo.
Ti ricordi dei nostri gesti, dei nostri canti, dei nostri balli? Ti ricordi dei sorrisi muti che ci scambiavamo? Ti ricordi di quella birra che ci dividemmo sorso a sorso? E quella sera nulla sembrava contenerci. Ti ricordi il nostro rauco gracidare quando i nostri facevano scorrere la palla con quell’eleganza innata che la certezza della vittoria conferisce? Quello che avevamo in cuore non bastavano le parole a contenerlo. E noi eravamo lì, duecento passeri infreddoliti che avevano valicato i passi impervi di una strada impervia per essere lì a vedere disegnarsi sul terreno di gioco le nostre speranze. Ti ricordi? Perché se ti ricordi sarai tu a portare dentro i panini.
Zanica si ricorda. A questo punto Jason tira fuori i bulloni per fare gli scontri con i tifosi avversari e chiede a Zanica di metterli dentro i panini perché sfuggano alla perquisizione delle forze dell’ordine, ma l’odore di gorgonzola potrebbe eccitare i cani antibullone. I bulloni sono avvolti in un foglio i giornale e Jason spiega a Zanica che rischia di sporcarsi le mani, per questo erano preferibili i panini al prosciutto, e inoltre prima di tirarli bisogna pulirli. A Marcone che domanda come tirarli Jason risponde che basta una giarrettiera e che qualcuno avrebbe dovuto portarla, guardando espressivamente la Roby. Ma l’ingegno di Jason escogiterà sicuramente una variante. E Marcone sospirando:
E tutti questi sagrifizi, incocciando magari in un Tombolato in giornata no.
Marcone, tu sei l’unico ad avere il senso tragico delle cose.
Gli dice Jason, pensando che sarà Marcone a scagliare i suddetti bulloni sulle teste dei malcapitati romanisti. Il problema del gorgonzola è anche che bisognerà lavare i bulloni prima di usarli perché non si possono lanciare bulloni sporchi di gorgonzola. Non si può dare fiducia alla propria squadra lanciando bulloni immersi nel gorgonzola e più in generale nel formaggio, anche se forse sarebbero ammissibili certe forme di roquefort artigianale, per difendere le quali la gente va anche in prigione. A questo proposito Jason ha modo di affermare quanto segue:
Noi che ci slanciamo nel nostro oggetto d’impegno, e veramente non importa quale, dobbiamo farlo in maniera non dozzinale: colui che sarà ferito dal bullone merita il nostro astio e il nostro rispetto; non possiamo umiliarlo con un bullone non pulito e per di più sporco di gorgonzola.
La Roby allora comincia, con tono querulo, a protestare che non si può esporre Zanica al rischio maggiore, che è quello di portare i bulloni dentro lo stadio. Si chiede ancora perché non sorteggiare o perché non affidare l’incarico a Marcone. Zanica replica con uno stentoreo “Io non mi sottraggo”.
La Roby afferma che questo è uno sporco gioco e nessuno batte ciglio a tale affermazione, forse perché non è del tutto chiaro il suo senso. La Roby dice anche sotto voce a Jason “Perché lui? Perché lui e non un altro?”. La Roby accampa mille ragioni. La Roby è colta da un accesso di pietas e questo accesso perdura, vieppiù cresce e si propaga alle cose del mondo e crea nuove ragioni e formula nuove obiezioni, finché Jason prende la parola.
Ci vai tu, allora?
I quattro si avviano mestamente all’entrata, seguendo peraltro quell’ordine sparso concordato meticolosamente prima con Jason, come si esprimerebbe Marcone, o diramato meticolosamente da Jason, come preferirebbe dire lo stesso Jason.
La partita si disputa in un pomeriggio domenicale e primaverile e ancora freddino, ancorché allietato da un pallido sole che consente agli spettatori di sfoderare i loro occhiali da sole. Le due formazioni hanno visibilmente più paura di perdere che desiderio di vincere, come un sano spirito agonistico imporrebbe. Va da sé che Tombolato al primo appoggio sbagliato, che peraltro arriva molto presto, sente sul collo i fischi del pubblico. Il pubblico non gli perdona nulla e, come si è visto, sono solo affari suoi perché si tratta di un professionista profumatamente pagato e se non gli va bene così, può sempre andare a lavorare. La fortuna però è amica di Tombolato ché l’unica corbelleria grossa in difesa la commette lo svedese, senza che peraltro gli avanti avversari ne sappiano trarre vantaggio.
Jason, Jason hai visto?
Non c’è niente da vedere, Marcone, è una partita che va stancamente a morire senza che nessuna delle due squadre abbia voglia di vincere.
Jason non riesce a trattenere un moto di stizza nei confronti dell’entusiasmo sovraeccitato di Marcone che strepita di ogni minima cosa non in quanto minima, ma in quanto stupida. E tuttavia un fatto nuovo si produce e Jason si accorge che è già tempo di togliersi gli occhiali da sole e che il tempo è trascorso in maniera impensata, nonostante la noia della partita faccia pensare che il tempo non scorre velocemente. Tra breve l’arbitro fischierà la fine. I panchinari continuano a riscaldarsi con una lena affievolentesi perché sanno che il lembo d’incontro a loro concesso sarà trascurabile. Il triplice fischio di chiusura restituisce a molti degli spettatori quel po’ d’inquietudine che nasce da una sorpresa, che non avrebbe dovuto essere tale, ma che pure è stata sorprendente. Ma la visione della città dall’alto di San Siro è maestosa. Nello scendere le rampe Jason si accompagna alla Roby cingendole le spalle con il braccio sinistro.
E guarda poi per Zanica non ti devi preoccupare particolarmente. Non è che abbia perso una grande partita, anzi diciamolo il più squallido degli zero a zero. Stasera o piuttosto domani lo libereranno e poi al massimo per qualche mese dovrà a firmare in commissariato la domenica anziché andare allo stadio.
Ma perché?
Capita che ci sono quelli che danno fiducia alla squadra loro in una giornata sbagliata e finiscono in un certo modo, ci sono quelli che per accortezza o per fortuna la danno in una giornata giusta e la loro sorte è di tutt’altro segno. In entrambi i casi la passione è sempre la stessa e questo è di consolazione perché significa che non è questione della generosità di Zanica, egli difatti è molto generoso, ma piuttosto delle circostanze in cui quella si estrinsecò. E non è nemmeno vero che la sacrificale generosità di Zanica salvi il mondo, anche se gli altri non se ne accorgono: il mondo resta imperterrito, il generoso agisce da generoso e le cose capitano così. Certo, se avessimo avuto anche il numero di casa e non solo il cellulare, quanto meno avremmo potuto avvertire la madre.

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andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.