State a casa a fare i compiti #1
di Federica Fracassi e Jacopo Guerriero
ISTRUZIONI PER L’USO:
Questa è la prima parte di un’intervista a Daniele Luttazzi che abbiamo incontrato a Milano qualche giorno fa in occasione del suo spettacolo “Sesso con Luttazzi” in scena al Teatro Franco Parenti.
Leggete se siete persone libere.
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Una definizione di Daniele Luttazzi su Daniele Luttazzi.
Sono un ragazzo gentile con una luce satanica negli occhi.
Quale definizione delle nostre ti calza meglio:
Daniele Luttazzi è un dottore
Daniele Luttazzi è un comico
Daniele Luttazzi è un maniaco
Un comico, io sono un comico fondamentalmente.
Che ruolo ha, nella tua comicità, il concetto di tabù, inteso in un senso sociale, politico o sessuale?
Esistono vari modi in cui il potere economico e quello religioso condizionano la vita delle persone. Molto spesso, nella storia dell’umanità, sono state definite tabù delle aree di comportamento edificate allo scopo di tenere insieme una società. Questo l’aveva già notato Freud, anche se in modo meno sistematico di Michel Foucault.
Io ho ben presente questa realtà. Ma poi, quello che faccio, non è dire: “Questo è un tabù, adesso esploriamolo…”. No.
Per me la comicità è la via maestra per cui, con metodo, ogni mattina io mi metto al tavolo e incomincio con fatica a scrivere le mie cose. Scrivo moltissimo, alla fine del mio lavoro tengo al massimo tre, quattro battute. Quelle che tengo, però, sono oro colato.
La comicità è un metodo che ti consente, se la pratichi con devozione e rigore, di arrivare dove non pensavi mai di poter arrivare, di spingerti verso una zona che non avevi previsto all’inizio.
Tutta l’elaborazione teorica, svolta a riguardo della comicità, è compiuta a posteriori e non serve al comico.
Se tu leggi Il motto di spirito di Freud dici: “Ok, ma adesso?”. Forse, addirittura, sarebbe meglio che il comico si tenesse alla larga da questi testi. Potrebbe finire come il millepiedi che cammina perfettamente con tutte quelle sue gambe ma, appena glielo fanno notare, finisce per scivolare, bloccarsi.
La comicità, lo ripeto, è un criterio. Un criterio da cui partire.
Da sempre la comicità porta in scena l’osceno. In linea teorica, poi, è possibile domandarsi: “Perché l’osceno è tale?”. “Perché l’osceno rimane fuori dalla scena?”. Il comico però se ne frega e, dai tempi di Aristofane e di Plauto porta sul palco persone con falli enormi, persone che architettano danni a carico della società degli anziani e a favore della nuova società nascente etc. etc.
Nel mio caso particolare questa tensione si unisce a un mio certo rigore nei confronti di tradizioni che trovo assolutamente inconciliabili con i miei sentimenti.
Ad esempio io sono per la poligamia, davvero… E per me è drammatica questa cosa: nel nostro contesto sociale io non posso ufficializzare questa mia idea. Mi do da fare per realizzarla in pratica, però non posso ufficializzarla. E’ strano…
In Italia ci sono ancora tabù?
Sì, moltissimi. Alcuni la gente non li percepisce nemmeno come tali, li percepisce come natura e questa è la cosa più grave. Non si riesce per esempio a capire che buona parte di tutto quello che ti viene inculcato è “Cultura”, si pensa sempre molto che “quello che è sempre stato sempre sarà”.
Mi sembra che a questo riguardo sia necessario spezzare una lancia a favore della lettura, la lettura è fondamentale.
Io ho avuto un’educazione cattolica molto rigida, i miei erano dirigenti di Azione Cattolica: grazie alla lettura mi sono davvero liberato da una serie di veri e propri modi di guardare la realtà, ho dovuto fare tabula rasa degli strumenti con cui percepivo il mondo e ora ho la sensazione di essere molto più libero.
Solo grazie ai libri?
Sì grazie ai libri e alle persone che hanno condiviso con me un certo tipo di percorso.
Da solo rimani isolato e rischi di diventare pazzo, ma siamo esseri razionali e, secondo me, davanti a un problema occorre partire da un semplice assioma: che nessuno ne sa niente. Siamo su un pianeta e quindi divertiamoci, esploriamolo.
Ci sono tabù che tu non hai ancora superato?
No, non ho tabù particolari. Ma, come ricordavo prima, questo discorso c’entra e non c’entra con la mia comicità; la mia logica non è: “Ecco il tabù, adesso mi ci butto!”
Un esempio? Io non ho mai fatto uso di droghe eppure sono del tutto favorevole a ogni liberalizzazione. Personalmente non mi piace cedere il controllo, ma neppure mi va che debba essere messo fuori legge chi prova liberazione nell’assumere certe sostanze.
Non è un caso che ogni volta che si insedia un governo di un certo tipo i discorsi che senti sono cose come: “Tutte le droghe sono uguali, adesso mettiamo in galera anche chi consuma marijuana”. Salvo poi garantire con leggi le multinazionali del farmaco che producono gli anti-depressivi per le massaie che, povere, diventano controllate senza sapere di esserlo. Ecco: è questo che a me non va.
Un tabù, in definitiva, è un archetipo immaginario. E’ qualcosa che non conosciamo e che ci terrorizza, che istintivamente sentiamo come pericoloso per la nostra integrità psichica e che dunque teniamo alla larga.
Il mito ci permette di avvicinarci a queste aree nascoste, ci consente di avvicinarci al Minotauro. Con la comicità, però, possiamo ridere del Minotauro, anche senza sapere cosa sia, qualunque cosa esso sia.
Perché, nell’introduzione a La castrazione e altri metodi infallibili per prevenire l’acne, scrivi: “Uno dei motivi per cui mi ostino a fare satira è che mi piace far ridere la gente. No, è una bugia. Ogni volta che faccio una battuta e la gente ride, giuro a me stesso che mi vendicherò”?
Da comico mi rendo conto, auto-esplorandomi, di quali sono i molteplici motivi per cui uno fa comicità. Una cosa che si tiene nascosta (ma di cui uno deve essere per forza consapevole se sale su un palco a far ridere la gente) è che i comici sono dei killer.
Discutendo tra noi, mentre venivamo qui, usavamo per te proprio questo termine…
Eh.. Per fortuna il comico sublima questa pulsione che è un tabù e la veicola per far ridere. C’è un aspetto naturale, della risata, che è stato poco esplorato e che è questo: il riso mostra le arcate dentarie e questo, antropologicamente, è segno di spavento nei confronti di un avversario. Chiaro che oggi, questo atteggiamento, si è del tutto dissipato. Di fatto, però, la pulsione di morte rimane.
La comicità è Dioniso, il concetto d’ironia –normato da una maggiore riflessione intellettuale- viene dopo. La comicità ha a che fare con Dioniso proprio perché si relaziona al corpo: quindi – e questa è forse la maggiore intuizione di Freud – da un lato c’è sì il riso sfrenato, ma dall’altro c’è anche la morte.
Sì, Freud ha avuto due o tre intuizioni potenti, ma il resto credo sia un insieme di bubbole clamorose…
Cosa pensi dei comici italiani, perché i loro libri vendono così tanto?
E’ un motivo ben poco nobile. E’ una conferma del fatto che la gente legge poco e male.
Non a caso non entrano mai in classifica i libri di quei comici che sono tali nel senso nobile del termine, come ad esempio Alessandro Bergonzoni, che sta a casa a fare i compiti e quando esce ti porta il risultato delle sue ricerche.
Noi non siamo un paese colto. In Inghilterra, ogni volta che nasce un nuovo comico, un comico vero, questa cosa viene celebrata come una vittoria. I giornali ne parlano, il suo repertorio entra subito nel discorso culturale del paese. In Italia essere comici significa essere irrilevanti, a meno che uno non faccia business, programmi di grande successo. Ma è un gatto che si morde la coda: perché per arrivare a quel punto devi far ridere la gente con motivi di gregge, devi rinunciare ad ogni tecnica.
I personaggi che spesso entrano nell’immaginario collettivo, in Italia, si basano su materiale comico che dal punto di vista tecnico è irrisorio.
Quindi si può fare un serio lavoro critico anche sui comici…
Uno cosa che pochi sanno è che fra i comici esistono vere e proprie gerarchie, stabilite dai comici stessi: noi sappiamo chi è bravo e chi è pessimo. Fra di noi tutti lo sanno.
Sappiamo chi fa i compiti a casa, chi è davvero meritevole in modo del tutto indipendente dal successo di pubblico, da quello che scrivono i giornali ecc.
Al riguardo, peraltro, va anche aggiunto che la maggior parte dei giornalisti non è in grado di giudicare i comici. Quando va bene li analizzano da un punto di vista teatrale, ma anche questo è sbagliato. Il comico va valutato rispetto a tutta la tradizione comica da cui proviene. Si ammette la specialità nel giornalismo sportivo e non in questo ambito, in questo mare magnum della comicità, non è incredibile?
Io da questo punto di vista sono tranquillissimo: so che moltissime delle cose che faccio sono nuovissime, i comici vengono a vedere e rubacchiano maldestramente le tecniche nuove che io mi sono inventato a tavolino.
In definitiva io spero che questa pletora di libri dei comici serva a far sì che la gente si stufi, che incominci piano piano a capire chi vale e chi no.
Uno dei comici più grandi in Italia si chiama Maurizio Milani ed è quasi sconosciuto. E’ un genio, davvero. Eppure ha pubblicato un libro per la stessa casa editrice che pubblica tutti gli altri libri dei comici e per me è uno scandalo che nessun giornalista di grido lo abbia segnalato come grandissimo talento comico.
Sì, è vero, anche in TV si vede meno degli altri…
Proprio così.
Se lui è l’Everest gli altri sono una collinetta ciliegi, ma nessuno lo nota.
D’altra parte se “quelli che sono preposti a smistare il traffico” (giornalisti, critici, intellettuali) non hanno i metri giusti per poter giudicare è ovvio che l’andazzo sarà sempre quello.
(1 – continua)
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Ma Jacopo Guerriero è lo stesso che era alla conferenza stampa del crt la settimana scorsa?
Viva gli indiani..