Un omaggio a degli autentici rompicoglioni miscredenti

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di Andrea Inglese

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Non sono mai stato un lettore assiduo di Charlie Hebdo. D’altra parte, come scriveva Beckett, poiché “sono nato tetro come si nasce sifilitici”, non sono un gran consumatore di stampa umoristica. Ho fatto i miei maggiori sforzi seguendo con una certa regolarità Cuore durante il suo periodo fasto e del Vernacoliere mi basta adocchiare i titoli al chiosco dei giornali. Di Charlie Hebdo ho però apprezzato sommamente il numero dedicato alla morte di Papa Wojtyla, un numero con delle vignette che, in Italia, neppure se le Brigate Rosse fossero andate al potere, i giornali più audaci si sarebbero permessi di rendere pubbliche. Sì, perché è importante sottolinearlo, tra quei disegnatori e giornalisti riuniti nella sede di Charlie Hebdo ieri mattina e che sono stati abbattuti a colpi di kalashnikov, come se si fosse nelle vie di Homs, c’era un folto gruppo di autentici rompicoglioni, come in Italia è davvero raro trovarne. Parlo, in particolare, di Wolinski, Charb, Cabu, Tignous, che erano i vignettisti maggiori del settimanale francese. Perché da noi gli umoristi, anche quando sono feroci e di estrema sinistra, tendono comunque ad avere qualche piede nell’ortodossia, magari del marxismo-leninismo o delle teorie trans gender. Quelli di Charlie Hebdo ammazzati ieri, invece, davvero sembrano appartenere alla migliore tradizione francese di autori miscredenti e libertari, più portati dalle proprie idiosincrasie che dai principi di qualche dottrina, fosse pure progressista. Ciò non li ha messi al riparo, probabilmente, da possibili errori. In queste ore, soprattutto in Francia, qualcuno si è premurato di disturbare il discorso agiografico, formulato da tutti i media di massa e ribadito in rete. Alcuni hanno indirizzato aperte accuse di razzismo alla linea del settimanale, almeno a partire dagli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti. Altri, meno drasticamente, hanno individuato una complicità di Charlie Hebdo con il clima islamofobico percepibile ormai da anni nella società francese, clima che ha favorito il crescente successo elettorale del Fronte Nazionale. Per parte mia, non fui un entusiasta della campagna che Charlie Hebdo realizzò, nel 2006, a sostegno dei vignettisti olandesi, che denigrarono Maometto e l’Islam. Penso alla libertà d’espressione sempre in termini dialettici. Tale libertà è tanto più meritoria e urgente, quanto più dà espressione a voci e punti di vista che sono minoritari, o resi minoritari dai rapporti di forza all’interno di una società data. Ora, non mi sembrava che picchiare sulla religione musulmana, in un contesto di già palese islamofobia, fosse così opportuno. Queste perplessità di allora sono tristemente scomparse oggi, perché i fatti accaduti hanno dato, in modo macabro, ragione alla banda degli autentici rompicoglioni di Charlie Hebdo: irridere con una vignetta il profeta, significa esporsi al pericolo di morte anche in Europa, e non per qualche ragione politica, fosse pure il razzismo anti-arabo e anti-musulmano, ma per un semplice crimine contro la religione.

Non considero i giornalisti di Charlie Hebdo come martiri ammazzati per la difesa di principi che ovunque la Repubblica Francese o la cultura occidentale difende: il diritto alla libertà di stampa e d’espressione, e soprattutto il diritto di essere – come si riteneva Wolisnki – un umorista, ossia qualcuno che pratica “una miscredenza totale”. Non è, infatti, vero, e lo constatiamo quotidianamente, che la libertà di stampa, di espressione, e tanto meno di “espressione umoristica”, siano dei valori fondamentali e indiscutibili per l’esercito di giornalisti, opinionisti, esperti, commentatori che di fronte a una minaccia di licenziamento, o anche solo ai rischi di declassamento professionale, sono prontissimi a considerare le mille ragioni dell’opportunità o meno di scrivere o di dire una cosa. E se non lo sono per i giornalisti, tanto meno sono fondamentali per chi li paga e li ha assunti, per gli azionisti di maggioranza delle aziende che sono proprietarie delle testate su cui scrivono, ecc. Ai giorni nostri, anche se non viviamo in teocrazie ma soltanto in regimi oligarchici e tecnocratici, quelle libertà sono abbastanza rare. E certo, poi, ci sono quelli che di questi prodotti da centellinare ne fanno uno uso smodato, come i rompicoglioni blasfemi e libertari di Charlie Hebdo, e ignorando ben più terrificanti minacce.

Ecco, io ora vorrei, anche solo in nome di quell’insostituibile numero dedicato a Papa Wojtyla, dopo la cui morte, sommerso dall’onda celebrativa italica, io stesso mi preparavo ad andarmene da questa terra per togliermi tutti i finti e veri credenti dai coglioni, ebbene, grazie a quel numero che mi fece apprezzare di nuovo la vita, e mi fu di ristoro per le insolenze estreme a cui gli autori di Charlie Hebdo sottoponevano quella sacra icona papale&polacca, io oggi vorrei, ripeto, ricordarli con ammirazione e affetto, perché hanno mostrato un bel fegato e una straordinaria faccia tosta di fronte agli scandalizzati di ogni latitudine, ai seriosi, a coloro che non sanno ridere, che sono ben più dannosi dei tetri, i quali aspirano almeno ogni istante alla luce di una bella risata, mentre l’uomo serio crede di sapere ridere quando è il momento opportuno così come crede di sapere, invece, quando è delittuoso farlo.

A Wolinski, Charb, Cabu, Tignous, e a gli altri che sono stati fucilati per aver preso in giro dio, i profeti, le sacre scritture, dedico un breve passo di uno dei loro massimi maestri:

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Dove Panurgo illustra in modo nuovissimo di costruire le mura di Parigi*

(…)

Al ritorno, Panurgo osservava con commiserazione le mura di Parigi. “Guardate che belle mura!” disse, “Come sono fatte proprio a modino per custodire gli anitroccoli in muta. Dico, per la mia barba!, roba assolutamente da far pietà per una città come questa. Una vacca, con un mezzo peto, ne butterebbe giù più di sei braccia.”

“Lo sai, amico” disse Pantagruele, “cosa rispose Agesilao quando gli chiesero come mai la grande Sparta non era cinta di mura? “Ecco le nostre mura” disse – mostrando gli uomini della città così forti e così bene armati; con ciò volendo significare che le vere mura son le mura d’ossa, e che non v’è cittadella o città meglio difesa di quella che si affida al valore dei cittadini e di tutti gli abitanti. Per cui questa nostra città è così forte per la moltitudine della gente guerriera che c’è dentro che non si cura di erigere altre mura. D’altronde, chi volesse fortificarla come Strasburgo, Orléans o Ferrara, non sarebbe possibile, tanto sarebbero eccessivi il costo e la spesa”.

“Sì” disse Panurgo. “Ma per me è sempre meglio avere un qualche parnaso di pietra quando si è assaliti; se non altro per chiedere chi è. Quanto poi alle spese così grandi che voi dite ci vogliono per tirar su le mura, be’, se i signori magistrati della città si degnassero di allungarmi qualche bottiglia di quello buono, glielo spiego io come devono fare per costruirle con quattro soldi. È un sistema nuovo”.

“E quale?” chiese Pantagruele.
“Però non dovete mica dirlo a nessuno se ve lo insegno”, disse Panurgo.
“Non avete notato che le passerine delle donne di questo paese costano meno delle pietre? È con quelle che si dovrebbero costruire le mura, disponendole in bella simmetria a regola d’architettura: in basso, al contrafforte, le più grosse, poi, salendo e incurvando a schiena d’asino, le mediane, e in alto le più piccole. E poi, tra l’una e l’altra, a incastro come lardelli, tanti bei cazzi ritti, che si trovavano a iosa nelle braghette dei reverendi claustrali, da rifinire a punta di diamante a imitazione della grande torre di Bourges. Non c’è metallo al mondo che regga la botta meglio di quelli. Che poi venissero a fargli il solletico con le cogliumbrine, li vedreste subito pisciar giù di quel succo benedetto dal malfrancese a pronta presa da restarci secchi, fitto come pioggia. E notate che il fulmine si guarderebbe bene dal caderci su. Lo sapete perché? Ma perché sono tutti benedetti e consacrati!”

(…)

*François Rabelais, Gargantua e Pantagruele, I, tradotto da Augusto Frassineti, Rizzoli, 1984, pp. 425-427.

39 COMMENTS

  1. Come fa, caro Inglese, a dire una cosa così esatta e giusta (“Penso alla libertà d’espressione sempre in termini dialettici. Tale libertà è tanto più meritoria e urgente, quanto più dà espressione a voci e punti di vista che sono minoritari, o resi minoritari dai rapporti di forza all’interno di una società data. Ora, non mi sembrava che picchiare sulla religione musulmana, in un contesto di già palese islamofobia, fosse così opportuno.”) e poi a contraddirsi immediatamente? “Queste perplessità di allora”, a mio parere, non “sono tristemente scomparse oggi”, perché sono questioni permanenti. Ogni sacrosanta simpatia antireligiosa, né la commozione per i morti e l’esecrazione per l’orrendo crimine perpetrato, spostano di un millimetro il problema. E Rabelais, francamente, non c’entra nulla. Sono situazioni socio-politico-comunicative imparagonabili, e lei lo sa benissimo. O crede forse che i vecchi strumenti della retorica laico-umanistica, della quale la satira erasmiana o rabelaisiana era uno, abbiano la stessa forza e lo stesso significato di un tempo nel mondo globalizzato, turbo-capitalistico, massmediatico ecc. ecc.?

  2. Oggi sono scomparse perché, appunto, la situazione non è più la stessa. Oggi la guerra fatta altrove, in gran parte coseguenza della politica USA in Medio-Oriente, ma non solo, anche conseguenza ovviamente delle interne logiche medio-orientali, comincia a tornarci in casa. Per davvero. Non nei fantasmi dell’immaginazione. Quella guerra che ogni giorno esiste altrove, comincia ad esistere un po’ anche qui. E quando arriva la guerra (quali e quanti ne siano i suoi fautori), la questione della libertà di stampa e di espressione è minacciata globalmente. E mi preme allora difendere il principio di ascoltare anche cose che a me non sembrano opportune, in modo che domani non mi si faccia tacere quando dirò io cose importune. Se la questione della possibilità o meno di dissacrare, in contesti non-violenti come la creazione umoristica, comincia a diventare una questione di vita o di morte, allora quella possibilità ha un prezzo. E non è più un gesto che rafforza senza rischi un sentire comune. Potrei rivolgere a lei la stessa obiezione che ha rivolto a me. La situazione di oggi non è più quella del 2006, le mie perplessità di allora scompaiono “adesso”. Con ciò, e sia chiaro, non voglio rinnegare i miei dubbi sull’operazione di allora, ma dopo quello che è successo ieri e potrà succedere domani il discorso prende un’altra piega. Se oggi uno si dicesse: vedete, le esagerazioni della satira, gli sbagli della satira, cosa provocano? Ora fate silenzio tutti, perché qui siamo in una situazione di guerra. E lei sa bene, che ci sono momenti in cui nulla è più “sacro” della guerra.

    Quanto a Rabelais, se lei avesse ragione, allora visto che c’è il turbo capitalismo, buttiamo tutto quanto nel cesso, da Epicuro a Marx, passando per Dante, Shakespeare, Cervantes, Leopardi, perché è certo tutto in gran parte obsoleto. Così poi saremo veramente perfettamente “aggiornati” e “inermi”.

  3. Ma in Italia, quanti dei nostri giornalisti si sentono in pericolo come i colleghi francesi uccisi in quanto veramente liberi? Credo molto pochi, semmai qua si può rischiare qualcosa in termini di incolumità personale per eccesso di faziosità.

    Purtroppo il giornalismo italiano non eccelle, a livello mondiale, per meriti in materia di libertà di stampa. Un problema antico per questa professione che, nonostante possa contare su un ordinamento giuridico che sulla carta consente un buon livello di libertà di espressione, non lo permette dal punto di vista industriale. Infatti il grande problema (non solo italiano) è proprio la scomparsa degli editori liberi, quelli cioè svincolati dal potere politico/economico, da cui ne deriva il condizionamento della linea editoriale come principale conseguenza.

    https://campionaridiparoleeumori.wordpress.com/2015/01/08/la-stampa-libera-e-se-la-sono-andata-a-cercare-cit/

  4. Più semplicemente si potrebbe dire che dei più o meno simpatici rompicoglioni di professione hanno picchiato ostinatamente duro su Maometto. Ovvero la Francia orgogliosamente laica (e non para confessionale) non poteva ammettere un fanatico revival della Religione (mussulmana in questo caso, nemmeno cristiana). Punto. Nel mio articoletto (NI febbraio 2014) su Cavanna fondatore di Charlie Hebdo e inventore della sua formula vi erano in nuce certi germi. Mi illudevo che la maggioranza degli arabi-francesi moderati…Ma nel frattempo le atrocità dell’IS trasmesse in via interplanetaria….E in questo va riconosciuto l’eroismo, se così si può chiamare, della posizione dei vignettisti francesi, difendevano e riaffermavo il sacrosanto principio della laicità dello Stato. E solo per questo sono morti ammazzati. Ove vi fossero state rivendicazioni contro l’ingerenza della Francia etc. sarebbero state attaccate delle istituzioni. E invece no.
    Noi italiani? Distanti anni luce purtroppo….

  5. C’è una cosa che mi preme puntualizzare sottolineare: quei principi di libertà chiamati anche tra virgolette “miscredenza totale” non sono una negazione dei valori altrui, tantomeno un modo di irridere gli dei, o gli Dei, ma al contrario un’affermazione, quella della pura libertà di parole e di pensiero, un principio di sacralità laica che incorpora e difende ogni dissacrazione – principio sul quale la Francia, come nessun altro Paese al mondo, ha fondato se stessa. Il Paese di Voltaire e di Diderot è anche il Paese in cui in nome del principio di libertà, e non prima di averlo argomentato pubblicamente, è stata tagliata la testa al Re e alla Regina. Non c’’è un altro Paese che sia passato attraverso questa fondazione.
    Ora il problema è un altro: fino a che punto esercitare quel nobile e celebre principio liberale enunciato proprio da Voltaire – “non sono d’accordo con le tue idee ma darei la vita per difendere la tua possibilità di esprimerle” – se le tue idee comportano non solo la negazione della libertà e della possibilità di esprimere le mie e le altrui idee, ma addirittura all’eliminazione della mia vita e quelle degli altri portatori di idee? Può la democrazia liberale difendere chi vuole sopprimere la democrazia liberale?
    Da qui prenderà forma una riflessione su un altro livello di senso, di orizzonte, e che non può escludere le decisioni e le azioni più gravi – sanzioni, violenza, forme di resistenza, addirittura guerra. Non può anche non farci riflettere su un uso alto e consapevole, e direi anche accorto, della responsabilità (di parola e pensiero, sì).

  6. P.S. Dove scrivo “libertà”. a proposito della Francia, la parola ne presuppone un’altra, “laicità”. ‘Sacralità laica’ è il paradosso più alto incarnato e praticato da una democrazia liberale. Viceversa, l’espressione usata en passant nel testo di Inglese, con valore di iperbole, “governo delle Brigate Rosse”, è una metafora sbagliata perché, al contrario, nulla come le Bierre si avvicina al modello del fondamentalismo islamico (o cattolico). Sembra ovvio, ma non è facile pensare con le parole giuste, ma dobbiamo sforzarci di farlo (rientra nella responsabilità).

    • Se mi correggi le iperboli (umoristiche), sei come coloro che dicono che Charlie Hebdo non andava bene perché era sopra le righe. Le Brigate rosse, credo che in Italia lo sappiano tutti, non era un partito che mirava alla presa del potere, ma una sedicente avanguardia armata che doveva accelerare la rivoluzione (secondo loro) in atto.

  7. a carlo c.
    premetto che in questo contesto ci sono due cose di cui non voglio discutere: la linea editoriale di Charlie Hebdo e gli scenari politici che hanno provocato questa strage e quelli che la seguiranno. M’interessa rendere omaggio a persone che mostrano come il nesso miscredenza-libertà di espressione-possibilità della democrazia sia decisivo.
    Per questo non intervengo sulla sua lettura di “un fanatico Revival della religione”, che in modo per nulla evidente si potrebbe applicare alla Francia di questi anni.
    Intervengo solo su una formula: “arabi-francesi moderati”. Ecco, si tratta per me di una formula abbastanza assurda, e lo dico perché sono stato esortato alla reponsabilità delle parole, e in quanto scrittore prende questa esortazione sul serio, e la estendo a tutti i miei interlocutori.

    Bisogna decidersi. Se usiamo il termine “musulmano moderato” o “islam moderato”, cancelliamo dal nostro vocabolario termini come “integrista” e “integrismo”. Diciamo: ci sono i musulmani (sottintesto: generalmente integristi), c’è l’islam (essenzialmente integrista) e in questo paniere distinguiamo allora “i musulmani moderati”, ecc. Ora, lei crede che questo rinnovamento delle categorie concettuali rispecchi più precisamente la realtà? Io no, anzi credo che abbia conseguenze estremamente nocive.

    Ci sono precisazioni che implicano dei sottintesi non innocenti. Quando Beppe Sebaste sente il dovere di precisare che “la miscredenza assoluta” di Wolisnki “non è una negazione dei valori altrui”, rischia per me di sottintendere, come in Italia molti lo fanno, che un ateo, un miscredente, sono persone che hanno la fastidiosa tendenza al non rispetto dei valori altrui.

    • no, in realtà sento il dovere di sottolineare che l’irriverenza di Charlie Hebdo e di Wolinski (non uso la parola ateo perché, appunto, “non ci credo”), non è una negazione, ma un’affermazione (la funesta ipoteca politico-filosofico del negare dovrebbe essere nota).

  8. riflettevo su quanto questo modo sanguinario di opporsi alla libertà di pensiero sia infantile e controproducente. piango chi è stato assassinato, com’è ovvio, ma trovo che gli assassini integralisti responsabili di questo (o di altri) raid siano poco più che orrendamente ridicoli. è immensamente più pericolosa ed efficace nell’imbrigliare la libertà di pensiero e di parola la disinformazione di massa portata avanti in modo scientifico dal potere mediatico di stati che si definiscono “democrazie liberali”. suggerirei in proposito di andarsi a rileggere Orwell o Chomsky. difatti, ecco che subito, l’indomani-quindi-oggi, come sottolinea Andrea, il vero pericolo è quello rappresentato dalla manipolazione mass-medio-logica pronta ad offrire le sue *soluzioni a buon mercato* (“vedete, le esagerazioni della satira, gli sbagli della satira, cosa provocano? Ora fate silenzio tutti, perché qui siamo in una situazione di guerra”). d’altro canto, giusto per ristabilire un po’ le proporzioni, in Grecia l’austerity pilotata dagli oligarchi europei per rimpinguare le casse delle banche del nord responsabili della nota crisi debito privato (come pubblicamente ammesso da V. Costancio, vice presidente della BCE), ha avuto impatti ben più devastanti sulla società di una democrazia liberale quale è la Grecia, “making Greece an important test of the relationship between socioeconomic determinants and a population’s well-being. Suicide and homicide mortality rates among men increased by 22.7% and 27.6%, respectively, between 2007 and 2009, and mental disorders, substance abuse, and infectious disease morbidity showed deteriorating trends during 2010 and 2011.” (Kondilis et al, 2013, Am J Public Health. 2013 Jun;103(6):973-9). non mi risulta che l’aumento di circa il 25% (!!!!) sia di suicidi che di omicidi in Grecia nel giro di due anni (ohi, si parla di esseri umani come i disegnatori di Charlie Hebdo, seppure assai meno “spendibili” nel mercato globale della disinformazione), abbia ricevuto una qualche attenzione mass-medio-logica.

    • malos hai usato il termine “infantile” e “ridicolo”… anch’io ho una sensazione simile. Qui si misura davvero non un un fantomatico scarto di civiltà, ma una vero fossato culturale tra la nostra cultura e quella incultura che quei terroristi incarnano. Qualcuno vede in quella cosa una guerra di religione, o una guerra di civiltà, o una guerra di culture. Io ci vedo innanzitutto una guerra tra chi ha una cultura e chi non ne ha: e si aggrappa a un kalashnikov, o a un libro sacro, come un naufrago in mezzo al mare, si aggrappa a un velleitario pezzo di legno.

  9. a Beppe S.
    Caro Beppe tu mi solleciti a una maggiore responsabilità nell’uso delle parole. In questo momento è un invito giusto e da prendere sul serio. La responsabilità, per me, va però a braccetto anche con lucidità, e anche con una dimensione di partito preso, di rischio, che non si può eliminare, appellandosi a qualche principio superiore – e dunque sacro – sia pure la ragione sovrastorica o i principi repubblicani. Se domani il Fronte Nazionale avesse una grande maggioranza parlamentare e un alleato politico in parlamento, quei principi repubblicani, con una bella riforma della costituzione, si scioglierebbero come neve al sole.

    Veniamo dunque alla tua precisazione. Perché senti il bisogno di precisare che la “miscredenza totale dell’umorista” (l’espressione è dello stesso wolisnki) non è una negazione dei valori altrui? Perché mai un miscredente totale dovrebbe essere per forza un negatore dei diritti altrui. La storia è andata in un ben diverso modo. Il povero miscredente totale ha dovuto combattere, e tutt’ora combatte nel mondo, perché se afferma in un caffé o su un palco, che “dio non esiste”, che la “bibbia” è stata scritta dagli uomini, ecc., non gli venga tagliata lo testa o non finisca a marcire in prigione. I diritti dei miscredenti sono tra gli ultimi ad essere stati salvaguardati. E non perché il clero di tutto il mondo unito si è battuto per lui. Ma perché lui in prima persona si è battuto per questo diritto. Alle spalle aveva un terrificante precdente favorevole: le guerre di religione. Senza la memoria di questi orrori in Francia la tradizione libertina, atea e materialista, non avrebbe mai trovato alleati nei teisti illuministi, e non sarebbe mai divenuta una componente culturale della Rivoluzione francese.
    Detto questo, sono ovviamente d’accordissimo quando tu ricordi che è appunto la rivoluzione francese e le sue conseguenze che in Francia hanno avuto un peso determinate per l’instaurazione di un valore Repubblicano come la laicità, che non può essere concepito al di fuori della libertà di espressione.

    Ma veniamo all’oggi, e alla Francia reale e non a quella dei principi (Francia in cui io vivo). Il quadro è estremamente teso: la crisi economica e le politiche di austerità sono andate ad aggravare una frattura sociale già esistente. La Repubblica dei principi (dell’uguaglianza, libertà, e fratellanza) è molto lontana da quella reale. Con tutte le tensioni che ne seguono, tra cui anche, fenomeno evidentemente minoritario, ma non meno scioccante, normalissimi giovani ragazzi, non per forza praticanti, non per forza d’origine araba, che partono per far la guerra. Perché in ogni tempo, la guerra ha sempre attirato i molto giovani. In tutto questo scenario, due mandati di Sakozy, e il lavoro costante del Front National hanno di volta in volta usato la popolazione immigrata o di recente immigrazione come bersaglio. E oggi la campionessa della laicità è Marine Le Pen. Ieri ancora, all’inizio del mandato di Hollande, i cattolici più reazionari e l’estrema-destra riempivano le piazze per contrastare il matrimonio per tutti.
    Dunque sì, la cultura francese ha nel dna laicità e rivoluzione, ma non come un’acquisizione permanente, una risorsa inesauribile, uno spirito santo sempre circolante con la stessa quantità in istituzioni e cittadini.
    Per questo nonostante ambiguità e errori, i giornalisti e disegnatori di Charlie Hebdo vanno, per me, omaggiati: perché di quella tradizione laica hanno mantenuto viva una componente ineliminabile: la miscredenza assoluta. E l’irrisione degli dei (e dei prìncipi) loro la esprimevano nel loro giornale che uno poteva comprare o meno, e non era certo letteratura di stato o di catechismo.

    Un’ultima osservazione. I francesi per primi amano parlare di principio di sacralità laica. In un’ottica radicalmente e lucidamente democratica (e quindi laica), non vi può essere nessuna “sacralità”. Sacro vuol dire “indiscutibile”, fuori dalla presa degli uomini, fuori dalle loro scelte. Sarebbe comodo e bello, ma è peggio di così, perché lo sfondo della storia è tragico. La fragilità della democrazia sta nella sua impossibilità di appellarsi – propriamente parlando – a principi sacri. Possiamo contare su principi umani che hanno storia, stratificazioni, istituzioni, ma nulla che sia veramente sacro, almeno per ciò che è deciso e fatto dagli uomini. Poi sono d’accordissmo su quanto dici. E proprio la mancanza di sacro, che impone ai veri democratici di pensare la questione del limite. Individualmente e collettivamente, io devo darmi il limite.

    (Per chi volesse approfondire il nesso: democrazia-dissacrazione-autolimitazione, un’indicazione qui)

    • Credo che i paradossi (cosiddetti) siano l’unica cosa sensata – da studiare praticare abitare e incarnare. Sacralità laica è uno di questi, ed è reale. Un’altra cosa che mi viene in mente, parlando delle destre. Non dobbiamo dimenticare o passare sotto silenzio in questi momenti di confusione che Charlie Hebdo è un giornale di sinistra, che è sempre stato odiato dalle destre, e sfido i vari Salvini o Le Pen a dichiarare quale articolo o vignetta non avrebbero censurato o peggio. Di fatto, i fondamentalisti islamici (proprio come le Brigate rosse, coincidenza) non hanno mai colpito, che io sappia, dei fondamentalisti occidentali, nazionalisti e fascisti, e si capisce facilmente perché.

      • Sono d’accordo con te su Charlie Hebdo. Ricordo solo che dall’Humanité (giornale comunista) al Manifesto, in Italia, non c’è stato un giornale a sinistra che ha cavillato sulla solidarietà e il senso di fratellanza. Ho messo in homepage questa immagine, perché tutti i reazionari italiani che si sono insigniti della spilla di Charlie Hebdo, tirino le conseguenze anche di fronte a un’immagine come questa.
        E molto d’accordo con l’abitare il paradosso di una “laicità sacra”. Sapendo quanto sia difficile abitare un paradosso, piuttosto che stare seduti su un dogma :)

  10. senza contare che secondo criteri di reciprocità le manifestazioni di adesione a un culto potrebbe offendere la sensibilità dei laici(in un mondo dove le religioni paradossalmente sembrano forgiate per colmare i vuoti dei poveri di spiritualità)

  11. Trovo che Andrea abbia trovato un giusto equilibrio tra la necessità di essere comunque dalla parte di Charlie in questo momento e l’evidenza che non tutte le posizioni di charlie possono essere le mie : mi sento rappresentato dal suo pezzo. Vorrei aggiungere che in questo momento non ha particolare senso relativizzare l’eccidio della redazione con considerazioni del tipo che le colpe del capitalismo o dell’occidente sono più gravi di quelle degli estremisti islamici. Non perché questa cosa sia in sé sbagliata, ma perché di fatto diventa una scappatoia retorica per non affrontare la domanda che questo massacro ( benchè non sia certo il primo e nemmeno il più cruento perpetrato da islamisti nelle città occidentali) pone: quale è lo spazio di critica e di parola in una guerra civile mondiale tra un fanatismo teocratico e un potere manipolatore capitalistico, formalmente però rispettoso della libertà di parola.

  12. anche se sono nato tetro come pare te e beckett, io amo molto la satira…penso anzi che le uniche esperienze artistiche che saranno ricordate degli ultimi 30 anni siano certe gag di corrado guzzanti…credo tuttavia che anche la satira debba essere “responsabile” (in senso diverso da beppe.s). è un’arma, e non cambia nulla se ha effetti solo psichici e linguistici. è responsabile ad es. quella durissima contro razzi, non lo è quella sull’altezza di brunetta. in tal senso non sono sicuro che le vignette tipo: il corano è una merda – fossero opportune, anche se sono sicuro che i terroristi che hanno ucciso siano ignoranti e sciocchi (per la verità non più dei nostrani fans di santi e fanfaluche cattoliche varie)oltre che privi di ogni autentico senso religioso.

  13. Non sono in grado di avere una riflessione intelletuale.
    Sono ancora sotto l’emozione.
    Non condivido tutto di l’articolo.
    La Francia è un paese di libertà, di audacia nella critica delle religione.
    Le vignette erano l’espressione di questa libertà. Charlie Hebdo rideva anche della religione cattolica.
    La minaccia oggi è la potenza del fanatismo, dell’estremismo, dell’ignoranza.
    Dobbiamo difendere l’intelligenza , la tolleranza, la cultura.
    Tutto comincia alla scuola.
    Oggi nella mia media qualche alunno diceva che era cosa meritata per chi aveva creato le vignette.
    Un lavoro importante per i professori per dialogare, fare capire l’importanza de la pensée critique.
    Come è importante di non mescolare fanatismo e islam.
    Grazie a Andrea Inglese

  14. Scrivo in francese.
    Sotto choc

    je viens d’apprendre qu’une attaque se déroule actuellement dans une épicerie casher à Paris. 4 personnes seraient mortes.

    • Prima il massacro, poi la caccia all’uomo, poi altri morti (compresi ‘i terroristi’). Domani forse è bene anche idealmente ESSERCI. Domani Parigi proverà a riprendere….la luce del mondo. Chissà. Veronique che tristezza (tutta ‘italiana’) nei commenti (tutti ‘italiani’)dei tuoi ragazzi. A loro va consigliato il breve video/intervista alla compagna (forse araba-francese) di Charbonnier il direttore di Charlie Hebdo: dolore-distacco, qualcosa di intenso, difficile a esprimere. Dal volto di Charb si ricavava la stessa partecipazione, la stessa eleganza distaccata. E’ finita da un pezzo l’epoca delle religioni demoniache. C’è qualcos’altro che affratella gli uomini tutti. Un ‘qualcosaltro’ che forse domani trapelerà. J’en suis sure….

  15. PS Dimenticavo…il piccolo, italiano pulcinella-arlecchino-renzi ci sarà, ma non rappresenta quella parte (minima forse) di noi…che ci crediamo.

  16. Si Carlo,

    Grazie del sostegno. C’è speranza perché in ogni città sarà marche silencieuse.
    Nella mia città piccola anche.
    Camminare in silenzio, pensare alle vittime, difendere la libertà.
    Restare uniti.

    Grazie agli amici italiani. E’bello che Renzi venga a Parigi domani.

  17. Carlo,

    La maggioranza degli alunni hanno manifestato per dire: Je suis Charlie.
    E’solo una minoranza che pensava che Charlie Hebdo l’avait bien cherché. (non so tradurre)
    Parole che miei amici hanno sentito dalla parte di uno o due alunni.
    In scuola media sono nell’adolescenza.
    Ma c’è speranza perché la giovinezza ha manifestato.
    C’è una grande tristezza in Francia e per quanto mi concerna un’inquietudine.
    Domani spero che ogni cittadino sia della marche silencieuse.
    Forse esprimo male le miei idee.
    La lingua italiana non è la mia lingua materna.
    Spero che ogni lettore ha capito che non ho niente contro l’islam.
    Il mio cuore è spezzato , quando accade un atto antisemito, come quando si esprima odio verso l’islam.
    Allora il mio cuore di francese è ferito.

  18. a giorgio che scrive:
    “quale è lo spazio di critica e di parola in una guerra civile mondiale tra un fanatismo teocratico e un potere manipolatore capitalistico, formalmente però rispettoso della libertà di parola?”
    ecco, la cosa mi sembra bene espressa. Non è perché esiste un grande male (politica americana e israeliana in medio oriente), che gli altri mali, come il fanatismo teocratico, per magia, diventano innocui. Si tratta evidentemente di situazioni per nulla comode e disseminate di trappole.

    una cosa per liviobo
    è interessante vedere che su FB, una commentatrice che ha messo come foto del profilo “Io sono Charlie”, commenti la vignetta che ho postato in testa al mio pezzo in modo negativo: sono atea, ma una cosa del genere davvero esagerata offende anche me.
    A parte la contraddizione palese che risulta da un tale commento, per chi si presenta come “io sono Charlie”, è sollevata di nuovo la questione dell’opportunità e dell’esagerazione delle vignette satiriche. Ancora una volta non voglio discutere della linea specifica di Charlie Hebdo. Non ne ho gli strumenti né mi sembra così importante in questo contesto (come ha ben sottolineato Giorgio).
    Il punto è un altro, e riguarda in generale la satira. Ovunque nel mondo, i vignettisti satirico sono confrontati alla questione dello “stare dentro le righe”. Lo stare dentro le righe vuol dire, in una data cultura, in un dato regime, disegnare cose umoristiche che non mordano davvero i poteri e istituzioni esistenti. Per questo stesso motivo, ogni vignettista – se vuole fare autentica satira – è obbligato a forzare i limiti, ad andare poco o tanto sopra le righe. Ogni volta, per ogni caso e cultura, i limiti cambiano, ma ogni vignettista, da chi scrive a Tunisi, in Cina, o negli USA, ha come compito di forzare quei limiti: senza forzatura la satira non esisterebbe, perché non morderebbe, divertirebbe e basta.

  19. non so se il problema sia andare fuori le righe…io sono contro il politically correct, che riguarda le righe e l’ortopedia satirica…ma parlando di responsabilità non intendo questo… essere responsabili è “rispondere”… e in questa risposta possono essere considerate varie situazioni specifiche e particolari, fra cui, perché no, quella della particolare suscettibilità all’humour di un popolo che ha subito peraltro enormi violenze da parte dell’occidente… si può quindi applicare il concetto di opportunità cui tu stesso ti eri riferito anche al caso di vignette come quella del “corano merda” (che poi non è che sia granché, e infine morde meno delle battutine del papa…)…rispondere significa cmq valutare ogni volta…nel caso di s.rushdie ad es. la penso diversamente…e cmq per un altro verso ho ammirato le scelte di charlie…

  20. …o in altri termini: siamo andati a imporre il nostro “vero” dio con le crociate, la nostra vera civiltà con la colonizzazione, la nostra vera democrazia con le bombe di bush… non è che ci sia qualche affinità coll’idea di imporre la vera libertà con le armi psichiche della matita?
    meglio allora porsi nell’ottica: ok, finora abbiamo sbagliato noi, stiamo un po’ più attenti …seppure stavolta invece avessimo ragione…

  21. Andrea Inglese, scusa, leggo e rileggo ma non riesco a capire questa tua frase:

    “Perché da noi gli umoristi, anche quando sono feroci e di estrema sinistra, tendono comunque ad avere qualche piede nell’ortodossia, magari del marxismo-leninismo o delle teorie trans gender.”

    O meglio: intendo anche se vagamente cosa può essere una “ortodossia marxista-leninista”, ma non riesco ad attribuire nemmeno un significato all’espressione “teorie trans gender”, quindi figuriamoci a immaginarmi una ortodossia.

    Mi spiegheresti:
    1. cosa intendi per “teorie trans gender”;
    2. cosa intendi per ortodossia su queste (magari se mi fai un esempio di ortodossa/o capisco meglio).

    Grazie

  22. a andrea:

    teoria transgender:

    Il termine transgender ha assunto nella lingua italiana diversi significati a seconda degli ambiti in cui è usato.La sua origine è da identificarsi all’interno del movimento LGBT, nato negli Stati Uniti d’America intorno ai primi anni ottanta, per indicare un movimento politico che contesta la logica eterosessista e genderista secondo la quale i sessi dell’essere umano sono solo due, che l’identità di genere di una persona debba necessariamente combaciare con il sesso biologico e che il tutto debba restare immodificabile dagli esseri umani.

    *

    teoria marxista-leninista

    Il marxismo–leninismo è un’ideologia comunista, basata sull’unione delle teorie di Karl Marx e Friedrich Engels (marxismo) e di quelle di Vladimir Lenin (leninismo), che promuove la creazione e lo sviluppo di una società comunista internazionale attraverso la leadership di un partito d’avanguardia in uno stato socialista rivoluzionario in rappresentanza della dittatura del proletariato

    *

    ortodossia: è l’accettazione piena e coerente dei principi di una dottrina.

    *

    Ecco, ho fatto copia-incolla da Wiki, ma mi ritrovo nelle sue definizioni. Ho preso due esempi di dottrine che sono oggi rivendicate da una parte della sinistra. Credo che ora hai tutti gli elementi per capire il senso della frase e magari, ovviamente, esserne in disaccordo.

  23. Andrea Inglese, innanzitutto un po’ mi dispiace che tu non abbia tue parole per rispondere. Comunque vediamo quello che hai scritto:

    Il blocco di testo sulla parola “transgender” viene da qui:
    http://it.wikipedia.org/wiki/Transgender

    Quella pagina di wikipedia si intitola “transgender”, non “teoria transgender”. Un movimento di attivisti che contesta il genderismo sostenendo di esistere e di avere diritto a un’esistenza in dignità non è una “teoria”.
    Per fare un esempio analogo: sostenere che un essere umano con la pelle nera nasce libero non è una teoria.

    Il marxismo invece è una teoria, di tipo storicistico, in quanto si sostiene che in determinate condizioni economiche gli esseri umani hanno un certo comportamento. Ci sono degli elementi di osservazione della realtà, da questi si trae uno schema causale con una funzione predittiva.

    Si può anche utilizzare la parola “teoria” in un senso molto meno tecnico, intendendo dei discorsi descrittivi di un qualche oggetto con una certa sistematicità, che è l’uso della parola “theory” per esempio in “gender theory”. In questo caso la parola teoria è svuotata, diventa solo un’etichetta che non ha omogeneità con la teoria marxista.

    Ma tu fai un’operazione ancora più forviante, perché fai scivolare la parola teoria nel significato di “dottrina”.

    Quindi ci sono due passaggi che il tuo lettore deve seguire:
    1. quelle persone transgender affermando due cose che dovrebbero essere per tutti autoevidenti: la loro esistenza e la pari dignità rispetto a tutti gli altri, farebbero “teoria”.
    2. questa teoria sarebbe una “dottrina”, quindi una dogmatica, in altri termini una teoria infondata e un potenziale imbroglio.

    Tutto ciò finisce in uno scenario italiano in cui alcuni comici “di sinistra” sarebbero indottrinati (e probabilmente indottrinatori non so). Avevo chiesto qualche esempio concreto di questi comici, ma forse su wikipedia non si trovano.

    Insomma, non è che sono in disaccordo, sono addirittura sbalordito da quello che hai scritto.

  24. Sbalordito.
    L’accordo/disaccordo si gioca nelle regole della discussione razionale, purtroppo ci sono degli atti che la fanno saltare.
    Lo sbalordimento è sul piano umano.

  25. Vedi Andrea, io non so perché hai bisogno di travisare quello che dico, e nemmeno travisare la “sostanza” di quello che dico, ma un inciso, una valutazione secondaria sulla satira italiana, che non è certo l’argomento del pezzo.
    Comunque non è mia intenzione passare ore a discutere e correggere i tuoi travisamenti, anche perché tu è un po’ che ci segui, e un po’ che mi conosci, quandi se vuoi travisare quello che dico, devi davvero mettercela tutta. Non ti contrasterò in questo sforzo.

  26. Allora, visto che parli di travisamento, rileggiamo le tue parole:

    “Perché da noi gli umoristi, anche quando sono feroci e di estrema sinistra, tendono comunque ad avere qualche piede nell’ortodossia, magari del marxismo-leninismo o delle teorie trans gender.”

    – Questa non è solo una “valutazione secondaria” sulla satira italiana.
    E’ anche una valutazione su ciò che fumosamente chiami “teoria trans gender”. La valutazione è quella di una ‘ortodossia’, quindi implicitamente c’è qualcosa di importante che non va nelle rivendicazioni degli attivisti.

    – La valutazione di “ortodossia” non è supportata da alcun argomento.

    – Utilizzi malamente la parola la parola “teoria” per quelli che sono discorsi e studi. (Questo uso infelice ricorda quello di “teoria gender” del Vaticano – attenzione con questo non sto dicendo che sei vicino alle posizioni critiche del Vaticano, sto solo dicendo che c’è una operazione linguistica simile sulla parola “teoria”).

    Detto questo, parlare di travisamento mi pare ridiciolo. E se tu avessi davvero voglia di parlare nel merito, invece di dare risposte piccatine, potresti spiegare con tue parole quali sono secondo te le cose che non vanno nelle rivendicazioni di quegli attivisti tanto da trasformare tutto in ortodossia “trans gender”, e farci esempi di questi comici al servizio dell’ortodossia. Così possiamo valutare la consistenza di ciò che dici.

  27. Caro Francesco,
    grazie di avermi fatto conoscere il tuo pezzo.

    “Voglio dire che la libertà non divide il noi e il loro, non è nitida, non è evidente ma riempie tutto lo spazio, invischiata in un intrico di lamiere e di canti; poi scompare e lascia come un vuoto nella calura. La libertà penetra l’interno delle situazioni e di volta in volta sprigiona il suo odore ma non si può dire cosa sia, né si può congelarla in un concetto;”

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.