La religione di Gollum
di Franco Del Moro
Entro le prime 48 ore dall’uscita nelle sale, tutti i miei amici sono andati al cinema a vedere il Signore degli Anelli.
Ci sono andati quelli con e quelli senza figli, quelli che vivono in città e quelli che vivono in provincia, gli atei, i buddhisti, i cattolici e persino uno islamico; quelli che seguono le mode ma anche quelli che le evitano, quelli di sinistra, quelli di centro, quelli di destra.
Ci sono andati tutti, con una determinazione e una volontà che nessun altro evento sociale, né politico, né religioso né tantomeno culturale (perché io non considero cultura questo tipo di film) è in grando di infondere nelle persone.
Non in quest’epoca, almeno.
Oserei dire che ci sono andati con atteggiamento mistico, rituale, ossia con lo stesso spirito con il quale, una volta, si andava in chiesa o nel tempio: per cercare di dare senso alla propria esistenza.
Le nostre povere anime bisognose di effetti speciali evidentemente oggi pregano con gli occhi, non più con il cuore.
Nessuno di loro mi ha saputo spiegare in modo convincente l’origine esatta delle motivazioni che l’hanno spinto al cinema in modo così precipitoso per vedere quel film. Accenni vaghi al desiderio di evasione, alla bellezza degli effetti speciali non bastano. Non bastano a spiegare la fretta convulsa, la stessa con la quale mia nonna, in tempo di guerra, usciva di casa per arrivare in tempo a prendere l’ultima razione di pane. Allora era questione di lotta per la sopravvivenza, ma oggi, da quali tormenti siamo infetti per avere bisogno di una così vacua medicina?
Tutti poi si saranno sentiti come Aragorn, Arwen, Galadriel, Frodo… ma a me sembra di vivere in mezzo a una marea di Gollum, e forse anch’io un po’ lo sono.
“E ora che l’hai visto – ho chiesto loro – ti senti meglio?”
Le risposte non meritano di essere riportate.
Ehmm… io non l’ho visto. E neppure il secondo. E neanche il primo. E… non ho letto il libro.
Ho dei problemi?
Gianni
Anch’io! Niente di niente! Gianni, saremo malati?
Li ho visti tutti e tre, il ruolo di mamma lo imponeva e non ho letto il libro…però la sera che ci sono andata ho incontrato un amico scrittore, che stimo moltissimo. Sornione, mi ha detto che lui gode come un pazzo a vedere questi film. Ecco,alla fine del film non mi sono sentita meglio. No, io mi sono proprio divertita e ho goduto come una pazza come da bambina quando andavo al luna park!
Dunque, e con questo? Lei non è andato a vederlo? Perché non valeva la pena riportare le risposte dei suoi amici? Qual è la morale? Che gli effetti speciali sono la protesi del capitalismo? Che gli spettatori del Signore degli Anelli sono tutti stupidi, ignoranti? Ci dica…
Ho letto il libro quando ero piccola. A 10 o 11 anni. Un compito dato a scuola per il periodo estivo. Ricordo che ero riluttante. Non mi sono mai piaciute le saghe, né i romanzi di fantasia. Invece Il signore degli anelli mi sorprese, anzi mi fece letteralmente impazzire. Avventura, fantasia, mondi diversi, personaggi umani, con sogni semplici e gesti eroici.
Per cuiriosità ho visto anche il film. Trasportata da un amico. Immagino che non l’avrei mai scelto da sola.
Jackson ha realizzato un perfetto allestimento spettacolare che rappresenta una gioia per lo spettatore, ma a mio parere però perde tutta la ricchezza letteraria del romanzo. Non ho ritrovato la semplicità e l’umanità del mondo che avevo sognato, leggendo il libro, da piccola. Troppo spettacolo per quelli hobbit, anti eroi per eccellenza, umani troppo umani, che falliscono anche nel supremo tentativo di salvare il mondo.
Sono andata al cinema con un amico che aveva letto il libro. “C’era forse un’altra ottica, un altro approccio per affrontare il mondo tolkieniano”, ha suggerito. Ci voleva un regista che fosse uno hobbit non solo nel fisico, come Jackson, ma anche nello spirto. Tra il serio e il faceto, come quando si parla a ruota libera, è volato nell’aria un nome: quello di Eramanno Olmi.
Sono d’accordo. Un atteggiamento mistico, rituale, che chissà perché colpisce più parlando di questo film che delle varie vacanze in india(che quanto a ritualità non scherzano). Una determinazione e una volontà che affrontano eroicamente il cimento di quattro ore di film, spesso visto in una multisala fuori città, con incalcolabili disagi di rientro all’una di notte, bloccati in un parcheggio. A vedere il Signore degli Anelli è andata gente che non sapeva niente del libro, che non l’ha mai letto né lo leggerà mai, oltre a quelli (come me) che se n’erano cibati, imbevuti, ubriacati da piccoli, nella prima, autentica, acritica passione letteraria, del tutto scevra dall’inquadramento ideologico (che invece, almeno ai miei tempi, era fondamentale, la bussola con cui orientarsi nella vita adulta). Lo sapevamo, noi, che quel libro lì generava mostri che organizzavano il raduno della Contea, e che lo rivendicavano come loro, ma non ce ne fregava niente, ci lasciavamo instupidire dai nomi, i luoghi, i volti mai davvero descritti ma che lasciavano una specie di marchio, un ricordo tenace e incancellabile che ci ha fatto sbarrare gli occhi anni e anni dopo, di fronte allo schermo. Effetto di un casting benedetto da dio? O forse l’astutissimo (o istintivo, animalesco, gastronomico) Peter Jackson è rimasto drogato come me, da piccola, e ha tirato fuori quella droga dalle sue e mie budella, rendendo di colpo pubbliche visioni che credevo private e mettendomi di fronte alla mediocrità del mio godimento estetico? Perché? Non so spiegarlo, ma mi piacerebbe che chi può ne parli, di questo immaginario che sposta masse di persone e fantastilioni di euro da Pieraccioni a Vanzina a Matrix al Signore degli anelli. Che me lo spieghi. Perché io, almeno, ero già corrotta a quindici anni. Ma gli altri?
Ben arrivata, Azira,
sono mesi che ti aspetto.
ciao, Gianni