Chi sono Danièle Huillet e Jean-Marie Straub?

di Gianluca Gigliozzi

[Gianluca Gigliozzi è sopratutto conosciuto entro una cerchia forse ristretta, ma esigente, di autori e lettori, a cui ha dato in pasto Neuropa (Pensa editore, 2005, pp. 236) un romanzo per certi versi neorabelesiano, eccessivo, fantasmagorico, dalla cui lettura nessuno può uscire con la stessa idea di cosa sia (e cosa possa fare) la letteratura italiana contemporanea che aveva prima di leggerlo. Ora Gigliozzi torna a noi, imprevedibile come sempre, con un saggio intitolato Straub/Huillet. L’enigma del visibile (Falsopiano edizioni, 2018, pp. 160). Ne pubblichiamo volentierissimo un estratto dall’introduzione. a. i.]

Nell’estate del 1992, al festival cinematografico di Bellaria, fermai, al termine di un dibattito, Paolo Benvenuti, che aveva presentato qualche ora prima uno dei suoi film più belli, Confortorio, e gli domandai quale fosse a parer suo il regista più importante dei nostri tempi. Mi rispose senza esitazioni facendo due nomi per me nuovi: “Jean-Marie Straub e Danièle Huillet sono il futuro del cinema!”. Rimasi talmente impressionato da questa risposta (oltre che imbarazzato dalla mia ignoranza) che decisi di informarmi al più presto sui due coniugi alsaziani, che peraltro, come seppi in seguito, già dal 1969 vivevano a Roma. Da quel giorno non ho mai smesso di occuparmi di loro. Diversi anni dopo, al termine di un incontro pubblico presso l’Accademia dell’Immagine de L’Aquila, chiesi a Gianni Amelio cosa ne pensasse di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet. Lui, che non mi aveva mai visto prima, mi abbracciò energicamente e mi disse con gli occhi che gli brillavano di un entusiasmo giovanile che non dimenticherò più: “Ma loro sono la Grammatica!”. A me venne spontaneo controbattere: “Già, ma allora perché non se ne parla mai?”. Chi sono o chi sono stati per il cinema e per la cultura degli ultimi cinquant’anni Jean-Marie Straub e Danièle Huillet? Tento di rispondere illustrando una situazione che trovo paradossale. Chi non li conosce può ritrovare Huillet e Straub citati e discussi in tutte le storie del cinema serie, e perfino in testi di teoria ed estetica cinematografica, eppure potrebbe meravigliarsi nel constatare al tempo stesso come la maggior parte dei cosiddetti appassionati di cinema ne ignori l’opera e persino l’esistenza, il che è in parte anche dovuto al fatto che i loro film non sono effettivamente distribuiti nei normali circuiti delle sale cinematografiche nazionali, ma possono essere al limite “scovati” solo in alcuni festival, o tutt’al più a tarda notte in televisione (ove per televisione qui in Italia si intenda: il terzo canale della RAI). Chi non li conosce, d’altronde, potrebbe per di più sorprendersi non poco venendo a sapere che nel vasto insieme dei cinefili si distingue un piccolo sottoinsieme formato da persone che invece conosce parzialmente (e di solito superficialmente) il loro lavoro, e che proprio per questo lo rifiuta, etichettandolo sdegnosamente come non-cinema. Eppure chi non conosce i film della signora e del signor Straub potrebbe forse sorprendersi perfino di più nel venire a sapere che esiste un sottoinsieme ancor più ristretto di cinefili che invece conoscono i loro film da cima a fondo, e li adorano ad oltranza tanto da considerare i due coniugi dei maestri assoluti, e al punto da sostenere che nel desolato panorama del cinema contemporaneo si salvano solo loro e pochissimi altri.

Questa degli Straub potrebbe sembrare, a chi ne ha solo sentito parlare, un’opera destinata a delle élite di super-colti, di raffinati intellettuali, di palati difficili. Purtroppo bisogna ammettere che finora sono stati visti ed apprezzati soprattutto da una cerchia di individui a cui si potrebbero attribuire queste caratteristiche, ma non ritengo che essa sia stata concepita e realizzata per loro, né credo che questa cerchia, eleggendoli appunto maestri assoluti e celebrando la loro sovrana purezza e magnifica indipendenza, abbia reso buon servizio alla loro opera, anzi sono quasi certo che abbia contribuito se non altro a renderli ancora più marginali. Chi sono io per affermare una cosa del genere? Nessuno, ma un nessuno che da quasi vent’anni non cessa di interrogare e di farsi interrogare dai loro film – film che hanno in verità moltissimo da dare e da insegnare non solo ai super-colti, ma soprattutto, spero, ai super-curiosi, agli autentici irrequieti, a qualsiasi gruppo sociale essi appartengano e di qualsiasi bagaglio culturale essi dispongano. Questo libro è rivolto a quelle persone che sarebbero curiose di conoscere l’opera di Huillet e Straub, non perché desiderose di far parte di una cerchia esclusiva (formata, ahimè, tra gli altri, da marxisti assai finti, da risentiti rivoluzionari da salotto e da apocalittici fin troppo integrati), ma semplicemente perché insoddisfatte del modo in cui il cinema è riuscito nel corso degli ultimi anni a mostrarci qualcosa, del nostro presente, che non sapessimo già.

Questo libro è rivolto però anche a quelle persone che hanno avuto occasione di imbattersi per puro caso in un film degli Straub, e che sono riuscite a incuriosirsi al loro lavoro con un atteggiamento libero da preconcetti, concedendosi perfino il lusso fondamentale della perplessità. Non vorrei mettermi in mezzo, ma ritengo possa essere utile, al fine di intrigare ulteriormente i miei lettori, poter affermare con franchezza che i loro film mi hanno insegnato tre cose che considero essenziali per la mia formazione: primo, a non considerare il passato come passato, cioè come qualcosa di separato dal presente (nel corso di questo lavoro si vedrà meglio cosa intendo, ma anticipo fin da ora che mi sto riferendo soprattutto alla dimensione della Storia con la s maiuscola…); secondo, mi hanno insegnato che tentare di capire (anche senza riuscirci) qualcosa di ciò che ci circonda vuol dire partire dalla propria situazione concreta di individui intesi non come delle singolarità assolute, ripiegate in sé e incuneate nel proprio sacro recinto privato, ma semmai come individui le cui singolarità sono sempre in una relazione assai sfaccettata con il proprio tempo e con la propria comunità (in senso ampio); last but not least, mi hanno insegnato ad amare Cézanne: difatti prima di conoscere i loro film e le loro idee sul cinema e sull’arte, i quadri dell’immenso Paul mi lasciavano abbastanza freddo, come lasciano abbastanza freddi la maggior parte dei miei contemporanei (anche se non lo ammetteranno mai per non passare da incolti); dopo che gli Straub (insieme a Merleau-Ponty!) mi hanno insegnato a vedere, gradualmente, cosa c’è davvero dentro un suo quadro, mi è sufficiente scorgerne uno anche solo per pochi istanti per sperimentare un’intensità quasi intollerabile: un vero orgasmo dello sguardo! A ben pensarci mi hanno insegnato anche una quarta cosa: l’importanza dell’asciuttezza del discorso, e una corrispondente aderenza rigorosa al testo.

Ecco perché in questo libro troverete poche acrobazie speculative, se non quando strettamente necessario, e, al contrario, molta analisi: anzi questo libro dovrebbe essere un tentativo di mettere a frutto degli strumenti di analisi che, almeno nel caso dell’opera di Huillet e Straub, sembra funzionare ancora abbastanza bene. Queste analisi spero non abbiano nulla di quell’aridità respingente che già solo il termine evoca; avrebbero per la verità lo scopo di incuriosire fin da adesso e ancor di più il lettore che non abbia ancora conosciuto gli Straub, magari per spronarlo a verificare se i loro film siano davvero costruiti nei modi in cui li descrivo, e magari, perché no, per far venir voglia ai cineasti del futuro a cui capiterà di imbattersi in queste pagine, di mettersi alla prova con quella che qui si delinea appunto come una Grammatica, prima ancora che come una Stilistica…

2 COMMENTS

  1. Grazie per questo incipit. Non conoscevo l’autore e non conoscevo i due registi di cui sono subito andata alla ricerca (nonostante ore ed ore di fuori orario passate nei miei vent’anni la notte). Ho trovato anche una bella intervista a Deleuze che ne parla.
    Grazie ancora per questa/queste scoperte.

Comments are closed.

articoli correlati

“Neuropa” reloaded

. Dall'INTRODUZIONE di Andrea Inglese Per comprendere l’intensità, la ricchezza e l’oltranzismo narrativi che caratterizzano Neuropa possiamo comodamente rifarci al concetto di...

cinéDIMANCHE #31: Vertov, Frampton, Gioli

  Cineocchi, per uomini senza macchina da presa       1. “Vertov: lo sguardo e la pupilla" di Mariasole Ariot     https://www.youtube.com/watch?v=cGYZ5847FiI   “Un cineocchio”, un manifesto, una dichiarazione:...

Nuvolo: Nuntius Celatus nel suo splendido eremo

di Bianca Battilocchi   È stato ed è tuttora arduo dipanare i fili intrecciati nelle opere di pittura aniconica, particolarmente in...

Jonas Mekas. Anti-100 Years of Cinema Manifesto

      Anti-100 Years of Cinema Manifesto Come sapete bene è stato Dio a creare     questa Terra e ogni cosa sopra...

In principio fu Full Monty (sei disoccupato? Balla!)

di Emanuele Di Nicola (Pubblichiamo un estratto dal volume La dissolvenza del lavoro. Crisi e disoccupazione attraverso il cinema, Emanuele Di...

Cine-occhi e cine-pugni: due modi di intendere il cinema

  di Rinaldo Censi Tra i film che Sergej Michalovich Ejzenstejn avrebbe voluto realizzare e che sono rimasti allo stadio meramente...
andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.