Eugenio e i mulinelli
di Dario Voltolini
Il vento soffiò così forte
che sbriciolò Eugenio:
lo sfarinò
e ne disperse la polvere ai quattro punti cardinali.
Polvere microscopica sparsa in ogni direzione,
libera nelle correnti d’aria,
vola via un atomo qua, un atomo là.
Spazzato e soffiato via
quello che resta di Eugenio.
Intanto altre polveri,
abrase dalle pareti delle catene montuose da un lento caparbio lavoro del vento,
franano a valle,
sollevando ancora polvere,
nuvole di polvere dissipate dall’aria,
sparse sulle automobili in sosta nelle vie di città lontane,
portate dalle nuvole,
precipitate con la pioggia sui parabrezza.
Gente che cammina si ripara gli occhi e la gola dal vento,
ma la polvere finissima arrossa le sclere, passa in bocca.
Si voltano, tossiscono.
Nel cielo fonti di armonia riversano vibrazioni
che si compongono producendo persino i colori
mentre un uccello
con il suo occhio sbalordito
plana controvento.
Nelle vastità e nelle ampiezze c’è posto per tutto.
Così da luoghi imprecisati e collaterali spesso udiamo delle voci,
frasi che ci dicono cose che ci riguardano,
a noi che siamo i più ciechi poiché non vogliamo vedere,
e i più sordi,
perché non vogliamo sentire.
L’orizzonte con tutti i suoi suoni
s’incurva,
mentre l’atmosfera si scalda, si arroventa e si ghiaccia,
verso il buio impallinato di stelle,
il pianeta rotondo di sotto,
con tutto l’orizzonte richiuso in un unico cerchio,
mentre il freddo è solcato da filamenti azzurri,
non esiste differenza, tutto è mescolato.
Ma qualcosa nel flusso comincia a individuarsi.
L’orizzonte ora è laggiù e non termina contro un muro.
Blu atlantico sprofondato,
bolla liquida a sé stante,
goccia roteante zeppa di sali
e proteine
e gellificate correnti, meduse, ossigenanti.
Un arco luminoso irradia in fondo,
riplanando piano piano come quando la marea si ritira.
Atmosfere incrementate, pressioni aumentate,
l’uccello sente la resistenza dell’aria tra le ali,
sbarra gli occhi,
le piume.
Atlantico, atlantico, a perdifiato.
Pianeta,
dal peso immenso così sospeso,
incurvature di schiene che si tuffano,
movenze intenzionali,
attrito,
contrasto,
presa.
Binari invisibili per carrelli in corsa infinita,
sembravano perdersi lontano,
ma improvvisamente si piegano con grande eleganza
dando al moto un che di circolare.
refoli di vento australe,
virgole seminali.
Linee non visibili si intrecciano,
fosforescenti nel mattino.
Aspettano.
Passano correnti lente,
poi accelerano all’improvviso,
cercano altre correnti,
si involgono e cominciano a vorticare.
Trascinano nel centro cieco piccoli frammenti,
cosette leggere,
polvere.
Vortici presi dentro altri vortici in siderali figure danzanti,
che formano,
nessuno sa dire in che modo
oggetti articolati,
piccole forme semoventi.
Spirali si staccano dalle onde
(atlantica forza blu,
sparata avanti e indietro con un suono di lamiera),
si accavallano correndo verso il continente,
la massa d’acqua che a poco a poco si assottiglia,
fino al balzo finale dell’onda furiosa che si allunga a coprire lo stesso mare,
rimbalza furibonda poi più tenue,
fino a solcare l’ultimo braccio di mare.
Giovane e piena di forza corre in salita,
il suo bordo è schiumante,
il suo gesto è ampio,
corre lungo una falce,
come il gesto di chi largamente semina un campo.
Invisibili piccolissimi capillari si arrotolano
e si srotolano di continuo dentro la schiuma,
nelle sue simmetrie incomprensibili
che non hanno nemmeno il tempo di durare.
Lontano, acque stagnanti conservano fibre vegetali,
altre finestre si spalancano,
figure sembrano passare.
Che la schiuma sia fatta di altra schiuma?
Non sappiamo.
Intanto,
per quello che ci è dato di capire,
vortici spiraleggiano dovunque.
Prendono a defluire i fiumi,
scendono nel loro corso,
accelerano,
si allargano,
precipitano,
hanno zattere che in cauti movimenti
scendono sul loro groppone di fango,
dai limpidi ruscelli al mare.
Pervadono grandi città,
come serpenti visti dai pinnacoli e dalle torri,
si perdono fra valli di colline
oltre le mura antiche,
ciò che ne rimane.
Ponti collegano le rive.
Passanti camminano affacciati.
Una folla scende per le strade,
memoria del fiume lei stessa,
nella sua univoca direzione,
con ciascuno che mulinella per conto proprio,
ma nel movimento generale.
Palazzi come sponde,
angoli e piazze,
confluenti,
emissari.
Scalinate come fossero cascate.
Da dove siamo venuti tutti quanti,
da quali vortici,
atomi,
subatomiche invenzioni,
truffe?
Quale probabilità calcola l’evento
che tutti gli atomi di un corpo
sparpagliati nell’universo
possano poi ritrovarsi a forza di vortici
e di centripetazioni sbalordite
a formare – tutti loro e solo loro – un altro corpo?
Esiste un numero più piccolo forse?
Me lo dica lei, signor matematico.
Mi dica lei se si tratta di un numero maggiore di zero oppure uguale.
È maggiore, non è vero?
Maggiore di zero!
Lo sforforato corpo,
rimulinato nei vortici del cosmo e del boulevard,
lo sfarinato soma,
spappolato,
macinato e sparso
nell’universo,
accanto al caniveau
(l’acquetta che scende nelle fogne,
nel mare primordiale,
lo straccio comunale,
la scopa di saggina,
le cartacce che scivolano via:
biglietti, zatterine lungo i marciapiedi)
si ricompone.
Un uomo
appare
camminando nella folla
per le strade.
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Questo brano l’ho scritto e letto in diretta su Radiotre come testo ispiratomi da un poema sinfonico a mia scelta. Io avevo scelto la Moldava di Smetana. Si può ascoltare il tutto cliccando qui.
E’ un adattamento per la radio di una parte del romanzo Autunnale che sto finendo di scrivere. Siccome sono in dirittura d’arrivo, voglio festeggiare con i lettori di Nazione Indiana.
Eugenio è già apparso su queste pagine elettroniche. C’è una relazione tra il mio personaggio e Ionesco. Ci tenevo a finire Autunnale a dieci anni dalla sua morte.
DV
Questa sorta di poemetto mi è piaciuto assai,
è, come si diceva una volta, ispirato ed ha infatti respiro grande.
Che bella notizia, Dario! E che boccata d’aria dopo i miasmi che vengono su dai ferri da stiro sfondati…
Magari è solo una mia impressione, ma a me sembra che leggendo una cosa così si inneschi in testa una specie di felicità e di curiosità che poi spinge a guardare la realtà in modo diverso: come se desse al lettore il la per diventare un realista molto ricettivo. Mi rendo conto che è un discorso un po’ strano ma a me succede così. Forse quello è lo spirito di chi l’ha scritto e una letteratura fatta così è un buon modo per trasferirlo al lettore.
Grazie Dario, leggerti mi riconcilia con la vita. Mi piace moltissimo l’apertura che trasmette questo brano…
un caro saluto
Grazie per le cose che mi dite. Il testo di cui questa è la riduzione leggibile per radio è quel tassello che mi mancava per concludere la stesura dei materiali che compongono “Autunnale”. Ora mancano alcune cerniere e poi basta, come è è.
Il progetto di scrittura di “Autunnale” – lo confido qui a voi indiani e amici di indiani – è questo: dal 1998 ogni volta che mi è stato richiesto su commissione un racconto, se solo mi era possibile (cioè se la cosa era compatibile con le esigenze del committente) scrivevo il racconto pensandolo parò anche come tassello di “Autunnale” (che quindi è abbastanza “a mosaico”). In altre parole, tutti i tasselli di “Autunnale” sono già stati pubblicati, su riviste o altri tipi di supporto (come libri collettivi, eccetera: il primo pezzo l’ho scritto su commissione di Raul Montanari, per il libro “Il ’68 di chi non c’era ancora”; ciao Raul!). Resterà inedito solo il testo che qui ho ridotto per la radio. E le cerniere. Ecco tutto. Grazie di cuore, siete un po’ miei complici.
Dario
I mulinelli di Arsenio e l’Eugenio nazionale non c’entrano niente?
O è una parodia, una rielaborazione… un omaggio a tutti gli Eugeni – passati, presenti e futuri?
Ma sì, facciamo che è un omaggio a tutti gli Eugeni, ché è un bel nome, Eugenio, no?
Ciao
Ho messo il link al pezzo, così si può ascoltare il brano radiofonico (cliccando per esempio sull’immagine)
Io ho provato a sentirlo, ma mi sa che non funziona.
Io ho provato a sentirlo, ma mi sa che non funziona.
L’indirizzo dovrebbe essere questo:
http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=86286
e poi in quella pagina si deve cliccare “ascolta”.
Prova così, poi dimmi se gira. Ciao
Non so se è colpa del mio computer o di Radio 3, ma, dopo vari e pazienti tentativi, dei 12 e passa minuti sono riuscito ad ascoltarne soltanto tre, ovvero l’inizio della sinfonia e le prime due strofe del tuo poemetto. Il resto si blocca e non ne vuol sapere d’andare avanti. Spero che gli altri abbiano avuto più fortuna di me.
Finalmente sono riuscita ad ascoltarlo per intero. Bello. Perfino in tema con la giornata.
Bella musica. Bella voce.
Vins, devi aspettare, non far caso alle interruzioni forzate, essere molto paziente.
Auguri.