Non esiste racconto impossibile
Sbobinato da Tiziano Scarpa
IO: Ho visto la nuova pubblicità del Bio Presto.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Dove?
IO: Alla tivù.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Non ho il televisore. Descrivimela.
IO: Lui e lei al ristorante. Lui si macchia, allora si alza da tavola e si getta nell’acquario del locale, poi versa il detersivo in acqua. Lei si vergogna. Il cameriere è sbalordito: “Impossibile!” lo redarguisce. Lui risponde serafico: “Non esiste sporco impossibile per Bio Presto.” Si smacchia la camicia e torna a sedersi a mangiare, tutto inzuppato.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Io mi ricordavo quella degli anni Settanta. C’era Franco Cerri…
IO: Il jazzista milanese…
IL MIO AMICO FILOSOFO: Infatti. Ma pochi sapevano che fosse un jazzista. Per tutti era l’Uomo in ammollo. Faceva una dimostrazione. Un numero da piazzista. Quelle cose folli da rappresentante, da imbonitore al mercato…
IO: Ti interrompo, senti questa. Ho un amico libraio. Una volta gli è entrato in negozio un rappresentante di detergenti ecologici. Per dimostrargli che erano prodotti assolutamente naturali e innocui per l’ambiente si è messo a bere un sorso di detergente al limone!
IL MIO AMICO FILOSOFO: Comunque l’Uomo in ammollo non era un rappresentante. Era un testimonial.
IO: Sì, e faceva questa azione in una situazione del tutto astratta.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Quella scena aveva qualcosa di assoluto, di metafisico. Ora che mi ci fai pensare, era qualcosa di molto minimal. Arte concettuale. Le performance autolesioniste di Marina Abramovic e suo marito Ulay.
IO: Be’, non tanto autolesionista, in questo caso. Diciamo un po’ sgradevole. Stare in ammollo in una vasca dove hai versato in abbondanza polvere di detersivo per gli abiti, non dev’essere sano, ma neanche letale.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Ma non era di questo che volevi parlarmi.
IO: Volevo che tu mettessi a confronto le due pubblicità del Bio Presto. Quella di trent’anni fa e questa qui.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Ma quest’ultima non l’ho vista.
IO: Però te l’ho descritta io.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Che cosa vuoi da me di preciso?
IO: Quello che sai fare meglio. Una generalizzazione. Sfonda il caso singolo. Amplifica. Esagera.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Be’, la prima cosa che mi viene in mente è che dalla pubblicità del Bio Presto anni Settanta a quella di oggi c’è stato un passaggio dall’assoluto alla storia, dall’arte concettuale a quella romanzesca. Il pubblicitario della nuova versione del Bio Presto, ai giorni nostri, ha dovuto motivare l’immersione dell’uomo in ammollo.
IO: Vai per ordine. Comincia da Franco Cerri.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Ok. Lì siamo nella visione pura. Nel dato di fatto senza premesse. C’è un uomo in ammollo, vestito dentro i suoi abiti sporchi. Perché si è immerso in acqua? Non lo sappiamo. È pazzo? Forse. E che cosa farà quando uscirà dalla vasca di vetro? Aspetterà finché torna asciutto? O si è portato un cambio d’abito? Che cosa sta rischiando, insomma? C’è il trucco? Eccetera. In ogni caso, quella visione non è analizzabile da un punto di vista narrativo realistico. Non avrebbe senso, e sarebbe meschino, commentare che quella non è una situazione plausibile, e che nella vita non si fanno il bucato e il bagno contemporaneamente, in una vasca trasparente, indossando i propri abiti.
IO: A me sembra anche che Franco Cerri rischiasse. Testimoniava un’efficacia, l’efficacia del detersivo, dimostrando di essere disposto a scontare le sue parole mettendo alla prova tutto se stesso, con il suo corpo.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Vero. “Guardate, mi immergo in acqua vestito, e rischio pure il contatto con il detersivo per abiti, che non fa di certo bene alla pelle, potrei avere una reazione allergica”. Ma c’è anche un’altra cosa. Ti faceva la lezione, una dimostrazione mercantile. Non faceva finta di fare qualcos’altro. In un certo senso, quella scena forse non era realistica, ma era senz’altro veritiera: ti mostrava la verità. E la verità era ciò che si vedeva, né più né meno: una marca di detersivi voleva mostrarti quanto lavava bene il suo prodotto con una dimostrazione da imbonitore, e ti mostrava niente più che questo; e tu quello vedevi: una dimostrazione da imbonitore. Senza finzione. La fiction era assente. Non cercava di spacciartela per un episodio narrativo, per un microsceneggiato. Se ho capito bene il tuo riassunto, la nuova pubblicità del Bio Presto, al limite, potrebbe essere una breve sequenza presa da un film, un pezzettino di una storia più grande: lui finisce di mangiare, esce ancora bagnato, accompagna a casa lei, si prende il raffreddore…
IO: Ecco, addentrati nella nuova versione della pubblicità del Bio Presto.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Aspetta, prima lasciami dire ancora una cosa sulla vecchia pubblicità anni Settanta. Quella messa in scena poteva sembrare letterale, ingenua: una pubblicità che mostra un imbonitore. E invece era ipersofisticata: era teatro sperimentale che ti portava sulla ribalta la scena senza scenografia, il “dietro le quinte” senza quinte… Metteva in scena le intenzioni d’autore, il messaggio della ditta produttrice, senza filtri, le didascalie del copione!
IO: Va bene. Ma adesso àpplicati sul Bio Presto anni Duemila.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Nel nuovo spot bisogna dare una motivazione narrativa all’uomo in ammollo. Dalla metafisica si è passati alla storia. Tutto è diventato storia, concatenazione di avvenimenti. Voi romanzieri avete rovinato qualsiasi contemplazione artistica gratuita, qualunque dono visionario immotivato. Voi romanzieri non sapete accogliere la Grazia.
IO: Urka, mi aspettavo che galoppassi verso le generalizzazioni – anzi, era quello che volevo da te – ma non così tanto! Fa’ marcia indietro e cerca di sostare ancora un po’ nell’analisi della pubblicità del Bio Presto di oggi.
IL MIO AMICO FILOSOFO: A che pro? Hai già capito, no? Lì c’è un personaggio, non più un’antonomasia. L’irrelato Uomo in Ammollo del Bio Presto anni Settanta era un’antonomasia…
IO: Giusto. Chi è Philosophus? Aristotele! Chi è L’Uomo in Ammollo? Franco Cerri! L’uomo in ammollo per antonomasia…
IL MIO AMICO FILOSOFO: Ti stavo dicendo: oggi invece quel personaggio, il protagonista dello spot Bio presto versione anni Duemila, lo vediamo in azione già prima dell’immersione in acqua. E la situazione di partenza è quanto di più banale si possa immaginare: lui e lei al ristorante; una macchia sulla camicia. C’è bisogno di una rincorsa realistica per ottenere un uomo in ammollo. Lui si butta nell’acquario: perché? È un po’ pazzerello? Vuol far colpo sulla sua commensale? È un esibizionista? Soffre di una nevrosi igienistica acuta, non sopporta di avere addosso un vestito macchiato, è disposto a escogitare qualsiasi soluzione per lavarsi gli abiti? Il cameriere è la vittima di una candid camera? L’uomo si getta nell’acquario per far riuscire al meglio la gag di Scherzi a parte? In ciascuno di questi casi, c’è una motivazione umana, psicologica, narrativa. Siamo, al massimo, nell’ambito dello strano, direbbe Todorov, ma non più nel meraviglioso, nel fantastico… Non siamo disposti ad accettare più nulla che non sia prodotto da una concatenazione di motivi, cause, prologhi ben chiari e resi del tutto espliciti… Persino con trenta secondi a disposizione: devi mostrare il prima e il dopo. Inizio, sviluppo, catastrofe, scioglimento… Aristotelici, aristotelici anche con trenta secondi di tempo…
IO: Aristotele oggi va forte a Hollywood. Ho letto il libro di un esaminatore di soggetti cinematografici per le case di produzione hollywoodiane, che spiega come la Poetica di Aristotele sia alla base di tutti i successi al botteghino degli ultimi dieci anni, dai successi inaspettati (American Beauty), ai film fatti con due lire (The Blair Witch Project), dalle megaproduzioni (Titanic), a…
IL MIO AMICO FILOSOFO: Lo vedi?
IO: Eh, ma prenditela con Aristotele, allora! Non con i romanzieri.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Me la prendo con i narrificatori a oltranza… Con la narrificazione.
IO: “Narrificazione“? Che cosa intendi?
IL MIO AMICO FILOSOFO: Il ridurre tutto a narrazione.
IO: Allora ti chiedo il tuo parere anche su quest’altra, vediamo se l’idea di “narrificazione” qui funziona.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Dimmi.
IO: C’è quest’altra pubblicità che si vede in questi giorni: a un semaforo si affiancano due macchine. In una ci sono tre ragazze, nell’altra un giovane uomo.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Ma questo è lo spot della Renault Clio.
IO: Allora la tivù la guardi!
IL MIO AMICO FILOSOFO: Ho detto che non ho il televisore, mica che non guardo la tivù.
IO: Lo spot della Renault Clio, allora. Anche lì una situazione narrativa.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Al massimo grado. Proviamo a immaginarla in versione Bio Presto Anni Settanta: ci sarebbe solo la parte centrale, quella dove il giovane mette in bocca una caramella ancora incartata, manovra la lingua e le ganasce nella bocca chiusa, come se impastasse un boccone, poi apre la bocca, tira fuori la lingua dove è appoggiato un uccellino origami di carta stagnola, perfettamente piegato e ripiegato. Perché lo farebbe? Perché gli piace. Per amore dell’arte. L’arte per l’arte. Formalismo. Gratuità. Miracolo della tecnica artistica. Talento. Genio.
IO: E invece anche qui c’è una cornice narrativa. Perché il giovane fa quel numero da prestidigitatore? Anzi, da presti… da presti…
IL MIO AMICO FILOSOFO: Prestilinguatore?
IO: Prestiglossatore?
IL MIO AMICO FILOSOFO: No, presti- e digito- sono radici latine, se ci metti il greco glossa- insieme a presti- fai un barbarismo, che non è mai elegante.
IO: Vabbe’.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Il prestiganascione fa quel numero per rispondere alla provocazione della ragazza, quella che si sporge dall’auto affiancata al semaforo. La ragazza gli aveva indirizzato una specie di boccaccia, facendo scoppiare il palloncino di gomma da masticare, e le due amiche della ragazza, nella stessa auto, avevano fatto anche loro smorfie di irrisione al giovane uomo. Nella coda della pubblicità, il giovane guida soddisfatto, si compiace di se stesso e dell’umiliazione che ha inflitto alle tre smargiasse. Sembra quasi che non aspettasse altro, nella vita, che l’occasione di usare quell’abilità inaudita (piegare una carta stagnola con l’uso della bocca dando forma a un origami) per sfoderarla come arma a sorpresa nelle relazioni, per uscirne vincitore nei conflitti sessuali…
IO: La guerra dei sessi… Sempre le solite cose!
IL MIO AMICO FILOSOFO: Caro mio, prenditela con te stesso e con i tuoi colleghi romanzieri. Voi narratori, anzi, voi narrificatori. Siete voi che riducete tutto a motivazione, personaggio, plausibilità, “l’amore vince qualsiasi ostacolo”, “i soldi fanno girare il mondo”, “il potere fa gola a tutti”, “la sete di vendetta spinge fare cose inaudite” e altre tre o quattro banalità con le quali vi accontentate di dare spinta e giustificazione a tutte le vostre macchinette narrative…
IO: Ce l’hai con me? Stiamo parlando di pubblicità, di spot televisivi, mica di letteratura.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Chi è che sta parlando di letteratura?
IO: Infatti!
IL MIO AMICO FILOSOFO: Non hai colto la venatura sarcastica nella mia ultima domanda. Io non sto parlando li letteratura, ma di romanzi. E questa frase dovresti considerarla quasi un’offesa personale…
IO: Figurati. Non c’è problema. Ce ne dicono di tutti i colori.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Oppure -– scusa la parola assai bruttina – sto parlando di romanzizzazione totale, di romanzificazione… insomma, la mania di narrare che si è mangiata tutto il resto. La narrificazione. Dappertutto storie, narrazioni, racconti… Ma se dici racconto, dici personaggio, e se dici personaggio, dici motivazione, e se dici motivazione, dici plausibilità antropologica, e se dici plausibilità antropologica, chiudi la porta a tutto il resto, il Non Necessariamente Umano: la visione gratuita, il meraviglioso, il fantastico, la Grazia, l’irruzione dell’incongruo inestimabile, la bellezza assoluta senza piccinerie psicologiche, il sublime, il roveto ardente, la trasfigurazione, la luce abbagliante…
IO: Il monolito di Kubrick!
IL MIO AMICO FILOSOFO: Ecco, bravo, cioè, anzi: asino! Hai fatto l’esempio sbagliato, concettualmente opposto alla serie che stavo elencando io, ma nel fare questo questo hai preso proprio uno dei primi “romanzificatori dell’Assoluto”, il Kubrick di 2001 Odissea nello spazio.
IO: Non ho capito niente di quello che hai appena detto. Spiegati.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Il monolito, un parallelepipedo di arte minimal, pur restando misterioso, nel film di Kubrick viene motivato. Non può essere tollerato nella sua inesplicabilità aliena di oggetto senza senso, come quelli che si trovano esposti nelle gallerie d’arte, nei musei… Dev’essere per forza reinglobato in un sistema di senso che contenga anche l’alieno, l’incomprensibilie: l’irriducibile. Ed ecco che per capire, per comprendere, per “prendere dentro” un’opera d’arte minimal (perché quello è il monolito nero, se lo guardi bene: un’opera d’arte minimal! Un parallelepipedo di Sol LeWitt, di Frank Stella…), è necessario inserirla nell’orizzonte fantascientifico, nelle regolette di quel sistema realistico, negli ingredienti di quel genere letterario, dove per l’appunto è previsto anche l’alieno, l’intelligenza superiore, l’oggetto apparentemente senza senso che ha un senso più profondo e più grande (l’oggetto che ha un senso più grande proprio perché è apparentemente senza senso) ecc. Kubrick ha dovuto girare un kolossal di fantascienza per fare una recensione d’arte contemporanea…
IO: Scusa, ma così Kubrick non ha forse ampliato il nostro mondo? Voglio dire: ha mostrato che quegli oggetti inesplicabili, quelle visioni senza cornice, senza storia, come gli oggetti dell’arte concettuale, o come – se vuoi – anche l’Uomo in Ammollo, presupponevano un mondo più grande, più ampio, abitato da altre realtà, da altri livelli dell’Essere… E non solo da scenette realistiche dove tutto dev’essere motivato psicologicamente in una concatenaziione narrativa spicciola.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Sì, avrà anche ampliato il nostro mondo piccino, il nostro romanzetto della plausibilità psicologica e sociale meschinamente realista, ma per poterlo fare ha dovuto rimpicciolire le infinite possibilità, anzi, le infinite attualità dell’Essere! Ha attualizzato una cornice romanzesca, quella del monolito inteso come Presenza Aliena Superiore, ma così facendo l’ha comunque razionalizzato narrativamente, l’ha reso parte di un mondarello appena un pochino più grande del nostro…
IO: Un pochino più grande del nostro? Ma che dici?! Il viaggio verso l’infinito!
IL MIO AMICO FILOSOFO: Poca cosa, poca cosa…
IO: Ma tu che cosa vuoi? Non ti basta l’infinito?
IL MIO AMICO FILOSOFO: Non mi basta nulla.
IO: Te la ricordi quell’altra pubblicità degli anni Settanta?
IL MIO AMICO FILOSOFO: Ce n’erano migliaia.
IO: Ma ce n’era una che a un certo punto diceva: “Scusi, ma lei è proprio incontentabile, sa?”
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Allora, Tiziano. Ho letto questo dialogo e con un certo stupore/piacere ho trovato una distinzione che vado portando avanti da parecchio tempo tra amici e quindi in nessun-luogo: quella tra narrazione e scrittura: l’avranno detto mille altri ma – come ti ho già detto da un’altra parte – siamo nell’epoca in cui l’invasione di sapere ci salva dal sapere alcunché. Prima che mi si rubi il titolo, sappi che prossimamente mi proverò a scrivere un “Contro la trama” (che potrebbe risultare un racconto e non necessariamente un micro-saggio). Per restare, poi, con i piedi per terra e cioè restando corpo quale si è sempre: ogni volta che vedo un post così lungo mi sento male. I miei occhi (è di loro che parlo) si rifiutano a queste lettere piccole su fondo azzurrognolo.
“Gli Incontentabili”, un “must” di Carosello anni 70. Con l’indimenticato e indimenticabile Giampiero Albertini. Grande!!!
Impeccabile quest’analisi (per non parlare della rivisitazione del Dialogo, una formula che avevi già adottato e che risulta molto più efficace dell’articolo, del minisaggio o dello sfogo diaristico). Ma hai capovolto gli orizzonti, invertito le epoche: un lettore poco attento all’evoluzione pubblicitaria potrebbe pensare che gli spot sotto esame siano rappresentativi delle epoche considerate. Invece sono in controtendenza. E’ vero che ci sono in giro spot molto “narrativi”, con l’esasperazione di quella pubblicità dell’utilitaria “a puntate” (con il “continua”) ma ve ne sono moltissimi che fanno tranquillamente a meno della storiella. Storiella che era massicciamente presente nelle pubblicità degli anni settanta. Sebbene in quel periodo ci fosse un’evoluzione rispetto ai precedenti Caroselli (nei quali la storia era così necessaria e importante da essere, in alcuni casi, assolutamente slegata dal prodotto, senza neanche la foglia di fico del “quindi”, del “come”, di una qualsiasi bretella) gli spot restavano, nel complesso, piuttosto narrativi.
Grazie delle pazienti letture.
Per Elio: hai senz’altro ragione, ma come hai visto ho chiesto al mio amico filosofo una generalizzazione teorica, non una storia della pubblicità italiana. Ma, ripeto, è senz’altro vero che è una forzatura, dal punto di vista filologico e storico, applicare questa descrizione a TUTTA la pubblicità italiana degli ultimi trent’anni…!
Per Gino Tasca: il sito ha questa grafica, per ora. Il carattere è fra i più grandi della rete e dei blog. Comunque vedremo di migliorare, grazie dei suggerimenti. Quanto alla lunghezza dei post: ricordo di aver letto cose lunghe trenta cartelle, su salon.com, quando era ancora gratis, memorabili saggi di critica letteraria. li selezionavo, copiavo e incollavo su un file di word, ne ingrandivo il carattere…
Non sono d’accordo sulla distinzione fra “narratori” e “scrittori” (La sento fare da Raul Montanari da ANNI). Forse che i narratori non SCRIVONO anche loro? Secondo me la distinzione è un’altra, ma non la dico ora. Ho chiesto lumi al mio amico filosofo e sto già sbobinando un’altra conversazione che abbiamo avuto ieri proprio su questo tema.
Grazie anche a Franz per avermi ricordato il nome di quell’attore dal ceffo imbronciato.
Io la dico un po’ così come viene, pane al pane, vino al vino, quale è stata la mia reazione alla lettura del dialogo. Credo che l’amico filosofo, amico dell’arte minimal e della metafisica, non concepisca il fatto che le parole si muovono, crescono e opplà ne è venuta fuori una frase e poi un movimento e poi una trama e poi un racconto. Le parole, che sono le ossa e la pelle della letteratura, difficilmente possono descrivere il monolito nella sua scarna essenza. E se lo fanno rimane un monolito scritto che non produce l’effetto visivo da arte minimal. Ecco forse è questo uno dei punti che non mi suona granché. L’immagine ha due dimensioni: il fotogramma e l’insieme di fotogrammi che danno la sequenza. La parola singola a confronto con una foto è denigrata. La descrizione di un monolito può essere arte minimal, ma è nella narrazione che trova il suo senso, le sue ombre, le sue sfaccettature.
Faccio un breve esempio: un uomo che sta in una vasca a inzupparsi d’acqua e deterviso può essere ritratto da una foto o da una sequenza. Ma in “letteratura” già questo diventa azione, racconto.
Almeno credo.
Per Tiziano: Non ho mai visto lo spot della Renault Clio, ma l’idea circola in una pubblicita’ che negli Stati Uniti e’ in giro da qualche tempo. E’ “narrificato” anche lo spot americano(e’ della caramella stessa, o forse una birra) ma non ricordo bene come, non guardo molta tv. Da un lato e’ piu’ semplice, la caramella viene messa in bocca intera e la cartina esce aperta, non ripiegata ad uccellino. Pero’ a fare il numero con la bocca e’ una gran figa bionda, e a guardare sono due ragazzotti bietoloni, molto diffusi da queste parti. L’allusione sessuale e’ brutale. Ho la sensazione che l’inversione dei sessi (nello spot di un’automobile europea!) possa avere motivazioni piuttosto divertenti, non so…. con stima
Luca
Per Vins Gallico: molto sensata la tua obiezione, ma nel caso del monolito si confrontava ARTE minimal (statica, enigmatica, “senza senso”) e cinema, non letteratura e cinema. La frase che si muove non è necessariamente sequenza narrativa aristotelica (inizio, complicazione, catastrofe, scioglimento). Esiste una letteratura descrittiva (Francis Ponge, Giorgio Manganelli…) che è narrazione senza per questo essere “narrificata” a forza.
Grazie della lettura e del commento
Ma…le care, utili, vecchie pippe, no?