L’odiatore
di Roberto Saviano
Odio. Odio vivo, sanguinante, pulsante. Odio vero, non gioco di prestigio, sotterfugio letterario, pigro sfogo di penna. Odio, odio, odio. Scriverlo tre volte di seguito forse basterà nella somma a far intuire cosa ha scritto e chi è stato Dante Virgili. I francesi, in letteratura sanno quando si parla d’odio vero, con che cosa si ha a che fare.
Louis-Ferdinand Céline, che non abbisogna altro che d’esser citato, Blaise Cendrars e la sua mano mozza artefice di pagine dove l’odio umano vibra in un incredibile meccanismo armonioso ed il padre assoluto degli odiatori: Charles Baudelaire, sono autori capaci d’usare la parola come arnese acuminato contro tutto ciò che si pone a portata d’affondo, di staffilata. L’odio totale non ha un obiettivo preciso, o un piano d’accusa, è un’irradiazione circolare che investe ogni elemento e soprattutto l’origine del proprio odio: se stessi. Nell’attività dell’odiatore letterario vi sono oggetti prediletti, preferenze di distruzione, precedenze di disprezzo ma non v’è una chiara gerarchia ed ancor più non v’è una politica dell’odio, una possibilità di soluzione dialettica tra odiatore ed odiato. E’ una scrittura fatta col martello!
Detto ciò, prendete le pagine di Dante Virgili e schiacciatele con un pestello in un robusto mortaio di pietra viva, dopo pochissime pestate nel fondo del mortaio troverete un liquido bilioso, denso, simile ad un bolo di catarro narrativo e rigagnoli di sangue, un pasticcio d’ossa umane ed ali di falena. Non mi sovviene altra figura descrittiva per meglio rappresentare la scrittura di questo osceno narratore ritrovato. Il nome Dante Virgili è sconosciuto ai più. Anche gli addetti ai lavori non ricordano questo strano nome, anzi si arrovellano nel cercare di venire a capo dello pseudonimo così assurdo da sembrare banale. Nessuno pseudonimo. Dante Virgili è il nome reale dell’unico scrittore “nazista” italiano autore di un solo romanzo pubblicato (e con diversi pseudonimi autore di molti romanzi western e libri per ragazzi), personaggio solitario, ipocondriaco, di lui non esiste neanche una fotografia. Nel 1970 la Mondadori pubblica un romanzo, La distruzione, in copertina campeggia il volto di Adolf Hitler in una sua smorfia tipica, costruita con una molteplicità di colori a chiazze. Una grafica particolare per un testo davvero singolare. Il libro è provocatorio, dannatamente tormentato, un inno disperato al nazismo ed al Führer come negazione assoluta di un presente decadente e decaduto. L’Italia intellettuale ha ancora nelle mani il libro di Mario Tronti, Operai e Capitale, Eco, Sanguineti, Manganelli, Balestrini, imbastiscono metafisiche d’avanguardia, il fermento marxista sta mutando verso lidi libertari e si contamina di suggestioni strutturaliste. Il libro di Dante Virgili è una cassa di nitroglicerina pronta ad esplodere. Potrebbe accendere nuove attenzioni sul delirio nazionalsocialista, sul carisma del Führer, sulla possente e fallita impresa del Terzo Reich, sulla brama di distruzione d’un uomo solitario ed indolente, nemico giurato del vivere borghese. Invece, il romanzo è ignorato. Gli ambienti politici non lo considerano, i cenacoli intellettuali non lo detestano, non lo stroncano, nessuno mette il naso nella poltiglia “virgiliana”. Tutto ciò che secondo ragionevole previsione, avrebbe potuto suscitare un libro d’apologia nazista e di distruzione sadomasochista, non si compie. Virgili e La distruzione sono riassorbiti nell’oblio.
Il protagonista de La distruzione è un uomo brutto, che lavora come correttore di bozze in un giornale squallido, burocratizzato, circondato da mediocrità e stupidaggine. Sogna la fine dell’umanità, gode nell’immaginare la tragedia ultima di una guerra nucleare che possa far terminare “l’esperimento umano, come quello dei dinosauri”. Il distruttore non ha famiglia, non ha moglie né figli, osserva la politica internazionale nella speranza che i tempi per il conflitto nucleare si velocizzino, che la catastrofe sia prossima. Il distruttore ha nostalgia del Reich, ammira la Germania di Hitler, adora le possenti armate tedesche, ha svolto il ruolo di traduttore per le SS, durante l’occupazione tedesca in Italia, ha assistito estatico a Berlino ad un discorso del Führer. Eppure Dante Virgili non sembra essere un’intellettuale conservatore, un ammiratore del pensiero d’acciaio e di terra di Ernst Jünger, né un seguace di Oswald Spengler e del suo sguardo universalista sopra il brulicare della storia delle civiltà umane. Dante Virgili ed il suo personaggio non sono dei militanti non combattono per un ideale, semmai come intuì Vittorio Sereni, la loro tensione passa “dalla volontà di potenza alla nostalgia di potenza”. Certo, in filigrana è possibile cogliere tutta l’energica forza distruttiva della rivolta contro il mondo moderno di Julius Evola, sentire tutti i lugubri echi del Mein Kampf hitleriano, nonostante ciò, Virgili non è in continuità con l’impegno neofascista, con l’onore del combattente e del cavaliere. Piuttosto, il distruttore, si appella all’ideologia nella misura in cui gli permette di negare il quotidiano, il giorno scandito dal lavoro, la vita ordinata sulla copula e la riproduzione. La sua antimodernità non è progettuale, non possiede manifesti politici, piani di azione ribelle. Virgili detesta la vita così com’è costretto a viverla, la felicità banale ed insulsa della borghesia che si appaga della merce, della proprietà, della finzione delle pantomime umane. Virgili predilige il suono del cingolato, la marcia della Wermacht, la protervia del soldato, gli scenari di sangue che appaiono nella sua mente gli ricordano, nella melma della pigrizia, cosa può ancora significare essere uomo.
“Ho evitato la mediocrità. Moglie scialba prole male allevata. Accettando la pura sopravvivenza non mi sono compromesso. Vivendo in attesa della vendetta non mi sono alienato. Sono ancora IO. Dovrò solo eliminare alcuni. Più irriducibile e coerente che mai. L’orgoglio della mia integrità. In ultimo un conflitto nucleare mi salverà. E’ fatale che scoppi prima o poi. DEVE scoppiare. Si strazieranno a vicenda bruceranno vivi nel loro calderone di streghe. Si macereranno in un’orgia di fuoco.”
La distruzione è l’elemento che lega il distruttore al mondo infausto che è costretto a subire, il collante tra l’io e il circostante. V’è un’unica possibilità di liberarsi dall’odio ed è il suicidio: “Aveva deciso di morire, e questa gli sembrava la migliore decisione che avesse preso nella vita”, così Virgili, pensava all’incipit di un suo nuovo romanzo. Ma forse proprio ogni tensione autodistruttiva viene esorcizzata nella prosa, nella costruzione della narrazione. La scrittura de La distruzione è complessa, come afferma Bruno Pischedda, Virgili è assai più vicino ai modelli futuristi, marinettiani che al surrealismo o uno sperimentalismo joyciano. Un proteico slancio contro la composizione della società, una scientifica esattezza nella vivisezione psicologica del proprio io, che si compie con continui flashback, estemporanee riflessioni, caotici e imperativi corsivi. La prosa è intessuta di frasi in tedesco, ma come lo stesso autore dichiara, è soltanto “una massa fonica” non è cosa necessaria comprendere la lingua. Basta ascoltarlo nella crudezza della decisione, nel gelo della pronuncia. Il tedesco come strascico di memoria.
“Ho scelto la parte sbagliata. Sbagliato tutto. La mia inutile vicenda umana. Scelto che. Le esperienze giovanili mi hanno condotto là mio padre mi portò in Germania. Morto senza lasciarmi una lira carogna. Mi ha trasmesso solo la sua libidine”
La libidine e la Germania sono due cardini, due ossessioni che tempestano il romanzo. Il sadomasochismo, spinto sino ad aneliti pornografici, è una costante per Virgili che lo usa con un accento misogino. Il distruttore considera la donna null’altro che la vita trionfante che si manifesta in tutta la sua versatilità. Le donne rifuggono dal distruttore, lo disprezzano a volte persino lo usano. Trionfo della vita, che nel tempo del capitalismo significa trionfo della merce, attrazione per il danaro, rapporti finalizzati all’accumulare finanze: “In un paese democratico se non sei ricco sei spacciato, il denaro è il solo mezzo di comunicazione. Non vorrai negare che da noi tutto è merce ”. Il distruttore vede nella possibilità di pagare le donne un mezzo per dominarle, per esperire il potere su quegli esseri che essendo lui squattrinato, brutto e trascurato, non si avvicinerebbero mai: “io pago per arrivare dove gli altri arrivano gratis”.
Nel suo libro Cronaca della fine (Marsilio pag. 262 Euro 14) Antonio Franchini racconta della vicenda umana ed intellettuale di Dante Virgili, della complicatissima vicenda editoriale dei suoi scritti, delle sue manie di tormentare i funzionari della Mondadori. Franchini, certamente una delle menti più brillanti del bel paese, descrive nel migliore dei modi questo scrittore: “Dante Virgili non poteva essere considerato né l’uomo né il cane, ma il morso stesso, la ferita.” Il mito di Dante Virgili nasce proprio all’interno della sua bizzarra vicenda editoriale. Il suo romanzo generò nella valutazione, pareri contrastanti, decisioni tormentate. Vittorio Sereni non fu convinto della pubblicazione, Alcide Paolini invece ne era entusiasta: “che ti devo dire? A me, dopo tanti manoscritti pieni di cacatine di mosca sulla carta immacolata, di lamenti di quarantenni falliti, di nevrosi di cinquantenni incompresi, di balordaggini intelligentissime e precisissime e lucidissime di trentenni frigidi o al massimo impotenti, trovarmi di fronte a un testo così “sinistro” hai detto bene, così pieno di celiniani vomiti e veleni mi ha fatto tirare un sospiro.”
Il libro come prima detto, non ebbe alcun’eco, le speranze di successo ed affermazione, che pur attraversavano Dante Virgili, furono frustrate, la carriera di scrittore terminò ancor prima di nascere. Anche Antonio Franchini, vent’anni dopo l’uscita del La distruzione, bocciò il secondo romanzo (rimasto tuttora inedito) di Dante Virgili Metodo della sopravvivenza: “Lo rifiutai nel nome di una piatta ragione in cui però credo. Credo che si possa imbandire il male agli uomini se c’è qualcosa che lo trascende, e allora non mi sembrava che nelle pagine del Metodo il male fosse trasceso”. Quel male non trasceso, ma anzi, difeso, reso forsennato è proprio l’elemento di bellezza e di disprezzo che rende complessa la valutazione dell’opera di Virgili. Ciò che emerge dal libro di Franchini è che molti funzionari della Mondadori, si erano legati a Virgili (venne mantenuto per gran parte della sua vita dai funzionari Mondadori, con donazioni e raccomandazioni per qualche lavoretto), nonostante la sua insistenza, antipatia, spesso tracotanza. Insomma Virgili pur avendo tutte le caratteristiche del solito aspirante scrittore scocciatore e rompiballe, aveva lasciato traccia di se nella casa editrice. Il suo primo romanzo fu pubblicato quasi come tentativo provocatorio, l’altro testo fu bocciato, eppure quando Dante Virgili si presentava, fisicamente, alla Mondadori un capannello di persone gli si raccoglieva d’intorno. Cosa questi funzionari vedevano nelle pagine e nella vita di Virgili? Solo curiosità per un mostro metropolitano, nascosto al terzo piano di un qualsiasi palazzo ad imbrattare fogli? C’era la voglia di sapere a cosa stava lavorando, in attesa di un capolavoro che certamente sarebbe stato in grado di scrivere? Meglio, i funzionari sapevano che Virgili era già autore di un capolavoro, ma impubblicabile! Dante Virgili è impubblicabile. Non per ragioni di censura politica, di leggibilità di massa, di senso morale, di tendenza al pornografico, motivi che pure hanno determinato la sua assenza dal mondo letterario; la scrittura di Virgili è impubblicabile perché non possiede misura, non adopera la tecnica della bugia, è una prosa simile ad una massa di carne senza epidermide, le budella sono ostentate. Il pensiero distruttivo è spifferato direttamente allo stomaco, è un inno, una fanfara alla disperazione intima, alla malvagità individuale, alla miseria umana. E’ chiaro che nel nostro tempo dove molti individui perdono tempo a leggersi diari di veline, pippofrancate, elkannate d’accatto, merdate su fogli bianchi, tentare di dare spazio a Dante Virgili è cosa doverosa. Non per forza nella scrittura però, tutto ciò che può risultare interessante, importante e bello deve esser trascinato nella pubblicazione. La sua rimane una scrittura privata, forse adatta esclusivamente ad un unico lettore che dopo averla letta dovrebbe distruggerla, o farsi distruggere. Bisogna forse comprendere che c’è una ragione oltre le volontà del mercato e la qualità di un testo, ed è proprio il significato primo del verbo “pubblicare”. Virgili non è per il pubblico, la sua non è arte di diffusione, foss’anche minuta, elitaria. Può finire sulla carta (come tutto del resto) ma il suo è un messaggio legato alla zampa d’un piccione, inserito nella bottiglia gettata in mare, è un grido urlato nella tuba d’un ottone.
Una delle case editrici più talentuose e valide in circolazione, la Pequod, ha deciso di ripubblicare La distruzione e ciò è una fortuna, altrimenti si sarebbe smarrito questo potenziale bellico letterario ma è davvero un’impresa coraggiosa (come sempre accade nei mari editoriali) sobbarcarsi di un autore così ambiguo. D’altronde proprio la Pequod aveva mandato in libreria un bel libro di Giuseppe Genna, Michele Monina e Ferruccio Parazzoli dal titolo I Demoni dove il personaggio Dante Virgili (modificata in Dante Virgilio) è mostrato in tutto il suo aspetto mitico, amalgamato agli spettri dostoevskijani di cui sembra essere figlio abortito. Proprio la magica impubblicabilità di Virgili, rende le sue pagine così importanti, e necessarie, ma d’una necessità che trascende il piano d’un romanzo. Le parole di Virgili marchiate a fuoco su pagine bianche, potranno anche esser pubblicate (come ci auguriamo) ma manterranno la loro labirintite scompaginata, l’accumulazione parossistica d’odio ed efferatezza, la tenerezza nascosta di un’umanità in letargo. Virgili non è da leggere ma da iniettare.
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Una versione ridotta di questo articolo è uscita su “Pulp” nel 2003.
ho letto il libro di franchini e l’ho trovato bellissimo. bene fa saviano a parlare di virgili, un grande autore incompreso. un fante all’ennesima potenza. del resto, saviano, insieme a bregola, è uno degli scrittori più interessanti – per me – che pubblicano su nazione indiana.
Mah, la recensione di Saviano – almeno per me – è importante. L’anno scorso lessi quella di Genna al libro di Franchini (“il più bel libro scritto in Italia negli ultimi dieci anni” o qualcosa del genere, puro stile genniano, manco a dirlo) e poi a Virgili. Il rumore sulla sua ripubblicazione – l’unico scrittore nazista italiano, un inno a hitler ecc. – mi ha sconsigliato, allora, la lettura, anche se avevo letto il primo capitolo (è possibile farlo sul sito della pequod) e il forte impasto linquistico, l’impatto espressionistico effettivamente c’è, ed è notevole. Quanto al mio caso personale, ormai sono un paio di anni che, quando Genna parla di un libro in toni iperentusiastici, ottiene su di me l’effetto contrario, e anzicché avvicinarmi al libro me ne allontana. Anche perché le pulsioni reazionarie, autoritarie e naziste che vibrano sotto la facciata liberal-rivoluzionaria di Genna, manco a dirlo a volte vengono a galla (vedi l’ukase contro Moresco e De Benedetti, ma ci sono anche altre spie). Ma ecco il mio caso personale: il fatto che il libro ora lo recensisca favorevolmente Saviano, che è un lettore ed estimatore dei Malatesta, Berneri ecc., cioè della marmaglia anarchica, mi riappacifica con alcuni miei pregiudizi. Penso proprio che lo leggerò…
Sinceramente non mi sembra che ne “La distruzione” Virgili faccia un’apologia del nazismo, il personaggio si presenta in modo fin troppo evidente come un vero e proprio disadattato (e si badi che questo è solo un’eufemismo). Forse stilisticamente il romanzo poteva rappresentare negli anni 70 un qualcosa di sperimentale e d’avanguardia, con questo continuo borborigmo delirante in lingua; leggere oggi questa prosa, rotta da troppe (e alla lunga ammorbanti) citazioni in tedesco è impresa ardita.
Accostarlo a Céline è una bestemmia.
CalMa
Pensa che io sull’onda dell’entusiasmo genniano ho comprato tutti e due i libri quest’inverno e mentre quello di Franchini è veramente bello, per La distruzione ho sempre rimandato la lettura, dopo aver letto la recensione di Roberto credo proprio che mi toccherà farlo.
ps
Non essere così severo con Genna, è un impulsivo e in gamba, è che ogni tanto si fa prendere dai sacri fuochi…
In base a che cosa è possibile dare grandezza a un autore quale il Virgili? Quale comprensione si ha di tali borborigmi, quali alchimie architetturali vi si trovano?
In ordine: bene ha fatto chi ha pubblicato Virgili, bene ha fatto, lo stesso, a non ripubblicarlo; ma da qui ad ipostatizzarlo ne corre…
perchè lo “gnommero” virgiliano rischia di mostrarsi molle massa blobbosa e gelatinica se confrontata con,ad esempio, il trasceso gliommero gaddiano, per capirci?
la mia opinione al riguardo è questa: una cosa è la pubblicazione del ’70, un’altra quella pequodiana; una cosa è il libro di franchini, un’altra quello a tre mani “I demoni”.
Una cosa è rileggere un testo, contestualizzarlo, un’altra cosa è cavalcarlo! Virgili nella tomba sentirà il peso di alcuni abili cavalcatori del sensazionalismo! Non si rende un buon servizio alle nostre lettere…
saluti,
vostro carotenuto.
Abile cavalcatore. Non male come definizione. Sarebbe piaciuta al vecchio Dante (Virgili intendo…). Io però preferisco cavalcare la tigre piuttosto che il sensazionalismo. Ma dileggi a parte non mi piacciono i rigori e le stanze a tenuta stagna. Una cosa è …un’altra è…non gusto molto chi non ha visioni d’insieme. Per questo scelgo d’esser trasversale ed ogni materia diviene mia materia.
Gabriella, ho amato molto il Genna (e ancor più il Domanin) di “Forget domani”. Ma Malatesta ha dipinto esattamente la sensazione che prende il lettore di fronte alle iperboli del Miserabile: troppe volte ha gridato al Genio, al Genio, come altri gridano al Lupo. In passato mi incantavano quelle sue eruzioni apologetiche, il fervore ricco e disordinato del linguaggio, lo scandalo degli accostamenti inopinati. Mi affannavo a seguire il filo delle sue letture, angosciato per l’essermi perso tutte le svolte epocali Ma ora trovo che non c’è una linea nelle sue scelte: sempre più mi rendo conto che un nome potrebbe essere tranquillamente sostituito da un altro (e succede: si disinnamora facilmente). Provocazioni, paradossi, stiracchiamenti, va bene, sono stimolanti, per un po’. Ma io mi ostino a ritenere che non si può dire Bevilacqua come se si dicesse Dante (hai notato che parla degli scrittori, non delle opere, anche se, ovviamente, accenna a dei titoli?). Accostare il primo collega che passa ai giganti della letteratura è esattamente quello che, secondo gli apocalittici come lui, non si dovrebbe fare: la mancanza di gerarchia è perniciosa. Insomma, per chi pensa ancora che i discorsi debbano avere un senso, che i libri vadano esaminati in qualche modo, che dopo quaranta puntate al modo apodittico debba accompagnarsi qualche argomentazione, il Tribuno della critica è “illeggibile”. Detto con simpatia.
caro saviano, così giovane e già così impertinente! badi bene, il mio intervento voleva allargare la discussione, ampliarla; la visione d’insieme la potrà vedere se sarà capace di unire i compartimenti stagni, i rigori!
caro mio, cavalcare la tigre è sensazionale! mi meraviglio solo del fatto che un impegnato come lei non riesca a cogliere l’analisi fatta su certi stagni letterari e su certa scrittura!!
ma si venga al dunque: dove mettiamo Virgili?
Che ti posso dire Elio? per certi versi hai anche ragione, ma io al Genna voglio bene di un affetto fraterno e quindi le sue intemperanze non mi toccano più di tanto. Quello che mi piace è la sua capacità di muoversi su ampi territori, dalla letteratura alla filosofia, alla psicanalisi, alle neuroscienze, tutti temi che sono il centro del mio interesse e di cui lui parla con cognizione di causa. E con questo chiudo il discorso perché non amo parlare degli assenti che per di più sono anche amici(detto con simpatia). Per quanto riguarda Virgili, non avendolo letto non posso esprimere un’opinione, posso solo dire che il pezzo di Roberto è molto pacato e incuriosisce alla lettura, che poi forse è lo scopo stesso dell’articolo. Franchini è sicuramente una delle menti più brillanti in circolazione, sono d’accordissimo con Roberto.
Il mio è solo un giocare caro Carotenuto, con le parole e tu mi hai dato la possibilità di farlo. Come fai a sapere della mia giovane età? Visto che io sono d’origine ebraica posso pensare che sei un controllore del Mossad!! Orsù, grazie per l’attenzione al pezzo. Virgili lo posizioniamo tra i narratori biliosi, nel girone dei violenti contro le parole o forse lo promuoviamo nei violenti contro se stessi? un caro saluto
saviano, le sono grato per il pezzo, però veda che
c’è poco da giocare!facile uscirsene con queste affermaziuncinette! Qui si rende un servizio! mica siamo all’asilo!!
saluti,
g.carotenuto.
Nessuna uscita di sicurezza. Si figuri (il lei vedo che piace…) potrei citarle Genet in una delle sue ultime interviste “la letteratura è il più intelligente degli asili” ma non lo farò. Nè mi piace rendere “UN SERVIZIO”. In ogni caso le mie affermaziuncinette erano riferite alla mia risposta nei suoi confronti giammai al testo che è cosa seria. Sottoscrivo quanto ho scritto su Virgili, continuando a considerarlo un autore di talento ed un bilioso letterarro. Ciò mi attrae, di questa attrazione ne ho fatto analisi. Tutto qui. Aut regem aut fatuum nasci oportet
Ma che lo stai pure a senti’, Roberto. Questo è Carotenuto lo psicanalista come Little Tony è Elvis Presley!
ma cosa mi deve citare, finiamola con le scemenze!non la metta sul piano ignobile, non mi interessa!lei rende un servizio, non faccia il latinorso, non mi prende, e non le fa onore. dovrebbe pensare più a disponibilità e dedizione, non a schiavitù. vedo che lei vuol fare il re, ma non si rende conto che nell’essere fatuo c’è già tutto!!
e comunque mi riesce difficile capire perchè si sia così permalosi, quando il mio invito era semplice: penetrare più a fondo certe questioni(vedi mio primo commento), e non fare sterili polemiche, e liti babbiose, cose dalla quali mi son sempre tenuto lontano.
saluti,
vostro dott. gerardo carotenuto.
Su Virgili, credo, si potrebbe fare una discussione lunghissima.
Forse un thread non è la sede più opportuna, allora mi limito a svolgere qualche notazione.
La lettura de La distruzione che fa Saviano è per me la sola lettura possibile. Nel senso che se esiste un Virgili Letterato è, appunto, quello che dice Roberto. Bilioso, magmatico, fuori da ogni morale borghese. A proposito di magmatico: uno dei pochissimi a capire qualcosa di Virgili, ai tempi della prima edizione, fu Guido Sommavilla (caro amico..), uno dei pochi, con Giudici -lettore del manoscritto-, che diede qualche chance all’opera. Magmatica, scrisse appunto.
Leggo poi, più sopra, che qualcuno è infastidito dal tedesco (per lo più in uso fonico).
Non sta al di fuori della lingua di Virgili, invece. Concorda in pieno con l’uso che lui vuol fare della parola.
C’è però un punto che mi lascia perplesso, questo: fare il tifo per il Male (è senz’altro vero, come dice Roberto, che i francesi, in letteratura, sanno quando si parla d’odio), insistere così tanto su questo tasto, certe volte mi convince poco.
Esiste ancora una distinzione tra pessimismo (à la Bataille, chiaro) e pensiero tragico?
Con la sua tensione a chiudere Virgili dove si colloca?
E poi:
“Chi può conoscere i limiti della possibilità?” scriveva Leopardi nello Zibaldone?
Siamo sicuri di vivere nel peggiore dei mondi possibili?
Si può ancora fare un gioco a riaprire, credo..
Ritorno, dato che finalmente ho un po’ più di tempo.
Mi pare che Jacopo tocchi il nodo della questione: virgili ha scritto un romanzo senza una “ultravisione”, ha vomitato tutto quel che c’era da vomitare, è andato in massa. Più che magma, è blobba!
ritorno al punto centrale:”fare il tifo per il Male,insistere così tanto su questo tasto, certe volte mi convince poco.” scrive Jacopo, e tutta la sua chiusa è di estremo interesse, verificabile soprattutto in certi sensazionalismi recensorii!
Ecco, anche a me pare che in Virgili giochi un istinto autodistruttivo, rivelatore di apocalissi e pateracchi, quando l’alto ingegno scaturente da grande scrittura porterebbe piuttosto a riaprire, come giustamente sostiene Jacopo,riaprire verso un visibile clinico più che allucinato.
Ecco perchè alla fine Virgili non ritorna utile per nuove strade di riflessione, anzi,è il gioco tutto postmoderno della leggenda biografica,del mescola e pesta e ripesta, che ti sprofondo!!
Jacopo chiude così:”Si può ancora fare un gioco a riaprire, credo..”, si arresta, mi piacerebbe continuasse, perchè da quei puntini di sospensini, che sono tracce, si giunge alla prateria!indi, maggior convinzione, non convenzione!!
saluti carissimi,
dott.g. carotenuto.
Si, Virgili ha vomitato. Non tutti gli odiatori riescono o vogliono guardare oltre la propria palude. Bataille, ma anche in qualche modo il marchese de Sade di cui Virgili condivideva certe perversioni sessuali, possiedono una soluzione, una possibilità di riaprire il gioco, una chiave rintracciabile nella fanghiglia della loro scrittura che potrà aprire una porta la cui mappa per raggiungerla è anch’essa già presente nella loro scrittura. In Virgili no. N’è chiave, n’è porta, n’è salvezza alcuna. Per questo l’ho definito impubblicabile e rimarrà impubblicabile. Ma il fatto di dare traccia e vita all’impubblicabile mi è sembrata cosa preziosa. Virgili è un odiatre. Si ferma qui, non riesce a fare altro. Questo è il suo talento o forse la sua idiozia.
“Insomma, per chi pensa ancora che i discorsi debbano avere un senso, che i libri vadano esaminati in qualche modo, che dopo quaranta puntate al modo apodittico debba accompagnarsi qualche argomentazione…”
Che coraggio che a dire questo sia l’illustre Paoloni, preso in castagna il mese scorso a coprire di merda e di palle un libro che aveva a malapena preso in mano, di cui non sapeva nemmeno cosa c’era scritto in copertina!
Roberto, “L’Odiatore” è un grande articolo: per te deve essere stata una prova di maturità parlare di uno scrittore con cui niente hai a che spartire come uomo, con cui non condividi nulla, il cui pensiero è lontano dalla tua vita… eppure sei riuscito a parlarne, a far capire cosa poteva passare nella mente di un uomo che sognava la fine dell’umanità! La tua penna è stata capace – rovistando nella melma della pigrizia di Dante Virgili – di tentare di far capire cosa potesse significare, per lui, essere uomo… Dai pochissimi brani che citi, s’intuisce che Dante Virgili quando scrive che “bruceranno vivi”, “si macereranno in un’orgia di fuoco”… si riferisce agli altri, togliendo lui dall’apocalisse. Forse è questo che distingue gente dalla mente libera come siamo noi, Roberto… da uno di destra: uno di destra non ha mai dubbi, lui sistemerebbe tutto eliminando il problema, non risolvendolo! In uno di destra non c’è speranza, perché non c’è coscienza sociale che nasce da quel piccolo gesto di aprire gli occhi la mattina e sentirsi felice di essere vivo, di capire che potevamo non essere mai nati, potevamo non aver mai conosciuto la vita…
E nei tuoi scritti affiora questa piccola luce.
Perché iniettare Dante Virgili… allora, Roberto? Forse il significato sta nascosto nella tua scelta del verbo “iniettare”. Un virus si inetta, il vaiolo si inietta a piccole dosi affinché il nostro corpo impari a conoscerlo, a riconoscerlo… e a combatterlo.
E’ un articolo forte, Roberto, che stimola la coscienza ed il senso di responsabilità del lettore.