Sito di Biagio Cepollaro
Da circa un anno, periodicamente aggiornato, è sulla Rete il sito www.cepollaro.it del poeta Biagio Cepollaro che raccoglie vent’anni di attività letteraria. Il sito è concepito per una doppia navigazione: l’ascolto dei testi, in mp3 (si può ascoltare e intanto leggere un’antologia ‘sonora’) e la lettura degli scritti di poesia e prosa.
Oltre a video, foto, traduzioni, sono disponibili informazioni sulla rivista Baldus e sul Gruppo93. Si tratta di un sito-miniera, capace di raccontare attraverso la figura di Cepollaro, autore poligrafo (poeta, saggista, autore di un romanzo), alcuni momenti importanti dell’attività letteraria in Italia tra gli anni ’80 e il 2000, coinvolgendo una pluralità di voci, da Fortini a Pagliarani, da Amelia Rosselli a Balestrini.
Comments are closed.
Quello che Andrea Inglese omette di dire è che il sito è definito da Cepollaro “non collaborazionista”, tutto è in copyleft, il discorso si fa politico, ma di una coerenza e intransigenza politica forte. A questo proposito, siccome il web è anche questo, posto una parte di un’intervista a Lello Voce proprio sulla “proprietà intellettuale”. Penso che gli scrittori e poeti che si riempiono la bocca con l’anticapitalismo dovrebbero farsi un esame di coscienza su questa questione, sull’elevazione delle idee a merce, su quello che è un vero “capitalismo culturale” e che serve a impedire l’accesso alla cultura ai meno abbienti (comodo, no?). Inutile dire che so già che nessuno di NI interverrà (non lo dico per psicologia inversa, per spronarli a intervenire), perché gli indiani intervengono se si tratta di parlare dell’ultimo film o del connubio eros-thanatos nell’ultimo libro di tizio, ma quando poi si toccano temi che li riguardano in prima persona, che riguardano la loro coerenza intellettuale e anche in parte il loro portafogli, il silenzio è la regola. Comunque lo posto lo stesso, non per gli autori ma per i lettori di NI (con l’invito ad andarsi a leggere quello che scrivono i Wu Ming – vedi nel loro sito – sulla proprietà intellettuale). Ma ora parola a Lello:
“Sono profondamente disgustato dall’atteggiamento che la gran parte degli intellettuali e degli artisti (musicisti in testa) ha nei confronti del problema delle leggi sul diritto d’autore. Il copyright, così come esso viene inteso e applicato oggi in Occidente e in Italia, è… un crimine contro l’umanità, contro l’intelligenza, contro la libertà. In realtà, nonostante la terribilissima pirateria, le star sono comunque ultramiliardarie, dunque, quale sarebbe il problema? Quello che Dalla, Morandi o Pavarotti, tutti mega-soci SIAE, guadagnino qualche migliaio di euro in meno, sui milioni che già incassano, lucrando, come gli permette di fare la normativa, anche sul mio lavoro poverello, sulle royalties di tanti artisti bravissimi e sconosciuti? Dovrei esserne scandalizzato, o commosso? Non ci riesco, mi scandalizza di più il fatto che a milioni di persone sia impedito di accedere – per ragioni economiche, una volta si sarebbe detto di classe – a dei prodotti che io considero merci essenziali, di prima necessità. Il meccanismo è poi tanto distorto e incivile, che, ad applicarlo coerentemente, si rischiano gli scandali di certe normative europee che presto imporranno il pagamento dei diritti d’autore anche sui libri che si prendono in prestito in biblioteca. Una democrazia nella quale per leggere un libro in biblioteca occorre pagare, è ancora una democrazia? Tutto questo riguarda o meno la libertà di espressione? Pericle , nell’antica Atene, stabilì una tassa, il theorikòn, che serviva a permettere anche ai più poveri di potersi recare a teatro. Da questo punto di vista, le società borghesi e romantiche, col loro mito dell’originalità e il corollario conseguente del concetto (mostruoso) di ‘proprietà intellettuale’ sono, a confronto dell’Atene periclea, delle tribù paleolitiche… Il sapere non è una merce, è un diritto, e questo vale anche per l’arte. Mi rendo conto che, per ragioni di brutale sopravvivenza, non sempre è possibile produrre in copyleft, ma se un artista povero e certo non notissimo, quale io sono, può permettersi il lusso di rischiare a produrre un CD copyleft, mi chiedo cosa impedisca di fare lo stesso ad ultranoti alfieri della canzone e della musica alternativa. La via mostrata dai 99Posse è percorribile da tutti, anzi, più si è noti e più è facile. Rischiare cosa, poi, mi domando: quando mai il masterizzatore del PC di qualcuno di noi potrà competere con la forza distributiva ed editoriale delle major e davvero crediamo che basti vietare, per impedire che fenomeni assolutamente ‘naturali’ accadano? Quando si ha fame, se non si hanno soldi, si ruba del cibo: che c’è di male in questo? L’unica alternativa possibile al furto, mi pare quella di fare in modo che non ci siano affamati. Voi ne conoscete altre? Mi viene un magone incredibile quando prendo tra le mani certi CD i cui testi sono zeppi di bellissime parole alternative e che dietro, tanto quanto quelli di Mina e di Dalla, hanno stampato il pistolotto che avverte che il Cd è difeso da uno speciale sistema che lo protegge da duplicazioni, ecc… Caparezza , ottimo artista, è solo l’ultimo esempio di una lista lunghissima. Mi domando se certi signori, almeno nel loro privato, dopo aver partecipato alle eroiche marce contro la ‘pirateria’che uccide l’arte, si vergognano di tutto ciò. Ma credo di no. La situazione è tanto grave che magari ci credono davvero a quello che dicono, sembra loro naturale che sia più giusto proteggere i loro profitti che i diritti della gente ad accedere all’arte e al sapere: vantaggi delle società e delle culture del Libero Mercato, cosa volete farci…
“perché gli indiani intervengono se si tratta di parlare dell’ultimo film o del connubio eros-thanatos nell’ultimo libro di tizio, ma quando poi si toccano temi che li riguardano in prima persona, che riguardano la loro coerenza intellettuale e anche in parte il loro portafogli, il silenzio è la regola.”
Una stronzata di Malatesta. Che ogni tanto ne spara. Raramente. Con moderazione, ma ne spara. Gli Indiani qui lavorano gratis. E fanno decine (alcuni di noi CENTINAIA) di letture – non presentazioni di libri: ma LETTURE – con ingresso gratuito. Perciò, Malatesta vada da qualcun altro a dire queste belle cose (con il suo nome, possibilmente, e non con lo pseudonimo da Savonarola pacioso, che ogni tanto lancia l’accusa vigliacchetta: già, perché lui può imputare certe cose a NOI proprio perché noi ci presentiamo con il nostro nome e ci prendiamo la responsabilità di quel che facciamo qui e ANCHE altrove, proprio grazie al fatto che, riconoscendo il nostro nome, ci si può rimproverare una mancanza di coerenza ecc.).
Grandissima parte della cultura italiana (almeno quella scritta) è fatta GRATIS: e, quando lo scrissi anni fa su “Pulp”, addirittura mi arrivarono delle accuse da gente che diceva: “ma come, non ti fai pagare? Tu che hai avuto un casino di ‘successo’ con i cannibali i pulp ecc. NON TI FAI PAGARE? SCRIVI GRATIS?! Ma così rovini il mercato! Rovini, in prospettiva, la strada a me che sono più giovane o meno noto di te e vorrei fare il mestiere tuo, ma come faccio a chiedere i soldi IO se non li danno nemmeno a TE, se non li chiedi TU? Mi stai rovinando, mi danneggi, stronzo!”
Malatesta ci dica (possibilmente con il suo nome) come fare a NON pagare i tipografi, i camionisti, i magazzinieri, i librai e tutti quanti gli operai e impiegati che ruotano intorno all’editoria, come fare a non pagarli “in nome dell’arte e del sapere”, inventi, se lo sa fare, qualcosa di meglio delle civilissime e funzionantissime istituzioni plurisecolari (le biblioteche a prestito GRATUITO, per esempio; e mettiamoci anche i tascabili economicissimi, perché no), ci spieghi perché mai gli artisti e gli scrittori non dovrebbero guadagnare il giusto compenso per quel che fanno in modo da poter continuare a scrivere e inventare altre cose (a meno che la sua criptoansia di rivalsa e punizione verso gli artisti non gli detti una condanna dei suddetti a privazioni e macerazioni sociofisiche come unica condizione possibile per creare arte e scrittura autentica – cazzate totalitaristiche che abbiamo già sentito mille volte), e allora riprenderemo in considerazione i suoi interventi su questo argomento per quel che riguarda il versante letterario-editoriale.
mettiamo tra parentesi l’uscita commiserativa di scarpa su se stesso, che non si fa pagare, a volte- queste cose non le vogliamo sapere e non si capisce perchè, invece, deve sempre stare a sottolinearle?!( santo tiziano :)))- per il resto concordo con lui; malatesta ha sparato una cazzata! :))
Attenzione, non sono IO l’unico eroe imbecille che non si fa pagare, ma un po’ tutti gli operatori culturali in alcune o in molte situazioni. Quando racconto di me è solo per fare l’esempio che conosco meglio, e per non tirare in ballo altri (come feci, un po’ maleducatamente, in quel vecchio intervento su “Pulp” anni fa). Per esempio interi supplementi letterari (“La Talpa Libri” del “manifesto”), la quasi totalità delle riviste culturali, o alcune iniziative a scuola all’università eccetera non esisterebbero, semplicemente proprio NON AVREBBERO LA POSSIBILITA’ DI ESISTERE, se non fossero fondate sul volontariato o la disponibilità a ricevere compensi assiolutamente simbolici.
Io non sto a farmi bello del fatto che a volte non mi pagano (a parte che così non ci si fa belli: si passa per fessi e basta!): bensì RISPONDO quando mi chiamano in causa su questi argomenti. E’ diverso, non credi? Se qualcuno dice: “eh, ma quando vi si tocca il portafogli…” ALLORA io dico come stanno le cose.
A Malatesta facevo notare che è veramente assurdo che lo venga a dire proprio QUI su Nazione Indiana, dove si lavora gratis… Ma si trattava, per l’appunto, di una RISPOSTA a un’affermazione sballata.
Tiziano, c’è un fraintendimento, almeno parziale.
Io parlavo di una sana battaglia contro il copyright, come ad esempio la stanno facendo i Wu Ming. Loro dicono: le leggi sul copyright sono antiliberali, e vanno verso un’antiliberalità sempre maggiore.
Perché su internet io posso scaricarmi tutti i testi dei Wu Ming, che pure sono vendutissimi nella versione cartacea (vedi Q)? Perché i Wu Ming, pur guadagnando sul loro lavoro (cosa che non vorrei mai negare a nessuno scrittore), vengono incontro a due diverse fasce socio-economiche di pubblico, quella che tanti libri non se li può comprare e quella che una maerea di libri cartacei comunque è in grado economicamente di permettersela? E perché il fatto di rendere scaricabile un libro non influenza negativamente, come sostengono i più, o meglio quasi tutti, la vendibilità dell’equivalente cartaceo, come il caso Wu Ming dimostra? Perché sul retro del libro dei Wu Ming si legge “E’ consentita la riproduzione, parziale o totale, dell’opera e la sua diffusione per via telematica a uso personale dei lettori, purché non a scopo commerciale”? Sono dei “fessi”, per dirla come dici tu con la maggioranza, i Wu Ming?
Scusa, Tiziano, se sono risultato “infamante”? Non volevo criticare il tuo lavoro, la tua passione né rimproverarti il fatto di guadagnarci, visto che hai scelto di dedicarci la tua vita è giusto, giustissimo. Il riferimento era diretto ai libri, non a NI, naturalmente: su NI non c’è copyright, non c’è lucro, non c’è meritoriamente una virgola di pubblicità.
E’ ovvio però, che non segui tutta la battaglia contro il copy right, non solo elettronico e musicale ma anche letterario, che – a causa del web e a partire dal web – si sta combattendo in questi anni. Se frequenti un po’ il sito di Quintostato e soprattutto se ti leggi gli interventi dei Wu Ming sul loro sito alla pagina http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/tematico_copyright.html, ti puoi rendere meglio conto di quello che volevo dire.
Chiedo umilmente scusa a tutti per la cazzata dei portafogli, però Tiziano, io ti chiedevo di usare la stessa capacità di approfondimento del problema e di estremismo intellettuale di cui ti mostri meritoriamente capace per la questione tv, anche per la questione copyright. Se approfondisci il tema, come per la televisione, forse riesci a liberarti di qualche luogo comune (che, lasciatelo dire, pure hai), e il discorso potremmo farlo. Se la tua invece è una posizione tradizionale, non problematica (per fare un parallelo col caso tv, quella di chi ti dice: la tv è il più importante mezzo di comunicazione di massa, ce l’hanno tutti, non puoi non averla), e tu mi dici che il copyleft è una cazzata, che il copyright esiste dalla notte dei tempi, è usato da tutti ed è perfetto e giusto, allora non parliamone più, TI CHIEDO UMILMENTE SCUSA, e il discorso finisce qui.
Caro Malatesta,
lascia stare le scuse. Ringrazio e apprezzo, ma non devi scusarti. Tanto meno “umilmente”. Non è proprio il caso.
Sul copyleft ho letto molto e riflettuto parecchio e anche parlato e discusso (guarda che, tanto per dirne una, conosco Raf Valvola da quasi dieci anni e ho pure LAVORATO in una casa editrice NELLA STESSA STANZA per un anno con lui. Era come andare a un corso universitario, stare a sentire Raf. Ho imparato tonnellate di cose).
In pochissime parole, senza pretendere di approfondire, penso che offrire la possibilità di scaricare i testi di un romanzo sia un’operazione simbolica importantissima, una questione di principio. Ritengo però che sia improponibile, e malsano per gli occhi, leggere un romanzo di 500 pagine su schermo. Stamparlo credo che costi in cartucce d’inchiostro almeno quanto una ventina di copie del libro. Temo sia questo il motivo per cui il gesto dei Wu Ming non intacca le vendite: NESSUNO si legge un romanzo di 500 pagine su schermo, nessuno se lo stampa: lo dico senza alcuna intenzione denigratoria. Semplicemente penso che, allo stato attuale della tecnologia, sia una soluzione politicamente nobile ma operativamente nulla o comunque quasi del tutto inefficace. Che i romanzi scaricabili non se li legga nessuno è un’ipotesi mia, è solamente un’impressione, sia chiaro; ma devo ancora trovare qualcuno sulla faccia della Terra che mi dica di aver letto un romanzo al computer. Controprova: tutti quelli che mandano romanzi inediti in file allegato agli amici per avere un parere di lettura si sentono dire: “abbi pazienza, non potresti mandarmi una stampata cartacea?”. Si preferiscono di gran lunga i cari vecchi faldoni di fotocopie…
Allora, molto bene la discussione, benissimo i gesti simbolici e di principio, ma intanto, in termini politici e antropologici (la sofferenza degli occhi) e di fattibilità immediata, continuo a trovare civilmente insuperata l’istituzione della biblioteca e del prestito gratuito (che, tra l’altro, in tempi recentissimi pare a rischio pure quello, come sappiamo). Semmai bisognerebbe potenziare questa istituzione, di cui dovremmo andare orgogliosi.
Sul diritto d’autore, il dibattito è interessantissimo e va assolutamente portato avanti.
Grazie della tua risposta fin troppo educata, mi scuso anch’io con te per aver usato certi termini un po’ esagerati. Certe volte ci resto un po’ male e reagisco così.
Grazie della risposta, Tiziano, e puntualizzo qualcosa.
Detto senza perfidia: quando ti rimproveravo che il tuo gesto di non avere una tv e di far sapere di non averla, che tu proponevi come alto esempio e atto simbolico e perciò politico, era poco adottabile come comportamento diffuso, pragmaticamente parlando “inefficace”, tu mi rispondevi con assoluta intransigenza e purezza d’idee (ti ho dato del cataro, o no?) che comunque tu pensavi fosse giusto così, che non importava quante persone convincessi ecc. Questa purezza, sebbene fintamente la contestassi (per vedere fino a che punto di radicalità di pensiero e azione eri capace di spingerti), non mi dispiaceva affatto, anzi, la apprezzavo e la apprezzo moltissimo. Ora invece, davanti a un comportamento esemplare, gesto simbolico e politico, come quello dei Wu Ming, tiri fuori dal cappello la categoria della pragmaticità, che prima mettevi in secondo piano, e definisci questa via poco praticabile e inefficace. Ora, concordo con te sul fatto che non è fisicamente e praticamente possibile (o almeno è difficilissimo, davvero per pochissimi stoici della vista) leggersi un libro di centinaia di pagine sul computer e che stamparlo è più costoso che comprare la versione cartacea, ma per il resto ho qualche obiezione da fare:
1) il gesto simbolico e politico resta, e non è poco. Lo stesso web, se ci rifletti, è molto spesso qualcosa di simbolico che diventa, perciò, politico. I principi di gratuità, reciproco scambio, libertà ecc. che stanno alla base di internet diventano mentalità, si diffondono anche fuori dal web (e per questo una lotta contro il copyright a livello elettronico si estende poi ad altre realtà, come quella libraria), la gente ci si abitua e soprattutto vede e sperimenta la possibilità ed esistenza di alternative, di modi di pensare e di agire secondo logiche diverse da quelle esterne e questo modo di pensare, di agire lo trasporta anche fuori. Faccio un’ipotesi assurda: tutti i libri di Scarpa, Moresco, Montanari, Voltolini, Raimo ecc. sono scaricabili su internet, insieme a quelli di tanti altri classici per i quali da tempo è caduto il copyright, beh, tu pensi che la gente che, pur non leggendo i libri tuoi e degli altri sul video, comunque vedesse e sapesse che quei libri, non avendo i soldi, potrebbe comunque vederli, leggerli, anche solo consultarli, pensi che questa gente accetterebbe passivamente una legge come quella che impone il pagamento dei prestiti in biblioteca? In fondo io personalmente (dico sul serio) non scarico musica da internet, preferisco i cd originali, ma solo il sapere che la musica può essere gratis o comunque a prezzi molti più bassi, mi permette di gridare allo scandalo per gli altissimi prezzi che oggi impongono le case discografiche. Come vedi, io non usufruisco del servizio, ma l’evento nella sua portata simbolica, il fatto in sé di sapere che un’alternativa è possibile, mi influenza. Ma tu obietterai che se anche tu metti i tuoi libri in web, non è detto che lo facciano gli altri, e che la gente che vede il concretizzarsi di una simile mentalità e la ingloba e fa sua, sarebbe comunque una cerchia ristretta. Così, però, ricadi nella categoria del pratico, e soprattutto non tieni conto che di simili eventi il web è una fortissima cassa di risonanza, le idee e le mentalità si diffondono, se una cosa è ritenuta bella o giusta, spesso non tarda a spargere il contagio. E’ una questione, insomma, di cultura, nel senso di modalità di pensare e percire le cose, e di agire di conseguenza. Ad esempio: in Francia hanno la una cultura secondo la quale se chiedi “une carafe d’eau”, una carafa d’acqua, nessuno pretende che la paghi, è una mentalità diffusa, acquisita, e se in Francia aprissero un ristorante in cui, ordinando una caraffa d’acqua, poi te la ritrovassi sul conto, beh, io penso che quel ristorante non farebbe molta strada. Lo stesso avverrebbe di fronte alla capitalizzazione della cultura (pensa anche ai beni culturali) se gli scrittori, con un gesto come quello dei Wu Ming o anche altri gesti, diffondesero una cultura del libro e dell’arte in genere alternativa, una mentalità diversa…
2) Ammettiamo pure che il tuo discorso di praticità ed efficacia valga per la prosa, beh, sicuramente non vale per la poesia, e io ho postato un commento – diretto a tutti gli indiani, quindi anche poeti – sulla pubblicità del sito di un poeta (Biagio Cepollaro) postato da un poeta (Andrea Inglese) e postando una parte di intervista di un poeta (Lello Voce). Le poesie sono spesso brevi, sul video si leggono con facilità, anzi le poesie più belle e famose girano su internet come un polline: prova a digitare la parola “amore” e “prevért” o altri simili, e vediamo che trovi… In più, come nota benissimo Lello, la poesia vende pochissimo, quasi niente, questo gesto altamente simbolico e politico, dunque, non solo è dovuto, ma diventa facilissimamente praticabile, anzi i poeti dovrebbero essere i pionieri di questa mentalità e comportamento rivoluzionari. In parole povere, nessun poeta si campa con le royalties, moltissimi non vedono neanche un soldo: dunque, perché non provare… ?
3)Dell’epigrafe sul copyleft dei Wu Ming, tu prendi in considerazione solo la parte sulla riproduzione virtuale, ma non quella sulla riproduzione generale, quindi anche in fotocopie, del libro. Qui con un discorso sulla praticità ed efficacia, secondo me, non te ne esci. Se poi parliamo di testi universitari, il discorso è serissimo: se non si fotocopiassero libri spesso circolanti a prezzi impervii, il costo di tutti i testi universitari di tutti gli esami della più piccola facoltà penso sarebbe molto vicino al resto delle spese complessive, d’iscrizione e varie. Quand’ero all’università, ad esempio, per fare l’esame di storia dell’arte (libri con figure a colori, su cui fare la critica, quindi non fotocopiabili in bianco e nero), spesi qualcosa come duecento euro, quattrocento milalire, quasi mezzo milione per un solo esame! Tu mi dirai: io non scrivo testi universitari e i prezzi dei miei libri non sono così alti. E io ti obietto ancora una volta che si tratta di una questione generale, di mentalità e pratica diffusa: o si possono fotocopiare tutti i libri o non se ne può fotocopiare nessuno, quindi se tu ti battessi dalla tua postazione di scrittore di libri di letteratura in edizione tascabile (e mettiamo caso, per assurdo, riuscissi ad ottenere qualcosa), naturalmente non interferiresti solo con la tua fetta di settore, ma con tutta la produzione libraria. Esempio pratico: ho un’amica che non versa in condizioni economiche splendenti, un po’ di tempo fa l’ho incontrata in libreria, aveva in mano un libro e ne leggeva il retro di copertina, l’ho salutata, ho comprato i miei libri e sono uscito. Ci siamo rivisti qualche giorno dopo, le ho chiesto che libro avesse in mano quel giorno, mi ha risposto Il processo di Weiss. Dico: beh, e ti è piaciuto? Mi risponde: Veramente non l’ho comprato, sai, devo risparmiare per l’università, e poi questa settimana devo tornare dai miei, ho il treno da pagare. Chiedo: quanto costava? Risponde: 8 euro. Naturalmente, avrei voluto comprarglielo io, ma è una ragazza molto morale e austera, non vuole l’elemosina di un figlio di papà come me, già altre volte ha rifiuto regali e prestiti che le proponevo. Aggiungo che la ragazza è intelligentissima, leggeva Silone a tredici anni annotandosi riassunti e riflessioni su un quadernetto che mi ha mostrato, ha voti altissimi ma, grazie alla riforma universitaria, probabilmente non potrà proseguire gli studi iscrivendosi a uno dei costossimi corsi di specializzazione postlaurea! Ora, mettiamo che questa ragazza volesse leggere (potendolo sottolineare, conservare per magari andare a rileggerselo o consultarlo) il tuo Venezia è un pesce, caro Tiziano, e io le proponessi di fotocopiarselo dalla mia copia originale, a un costo più che dimezzato, tu come la prenderesti? Il tuo libro non c’è nelle biblioteche di Lecce (che sono arretretissime), lei non ti arreca nessun danno economico perché comunque, se non fotocopiato, il tuo libro a quel prezzo non lo leggerebbe mai (al massimo glielo potrei prestare, ma lo stesso non venderesti una copia in più, idem se fosse accessibile in biblioteca). Accetteresti? Se no, sei un farabutto (oltre che poco furbo)… Se sì, ti dico: perché non ufficializzi questa possibilità, dal momento che se beccano una persona a fotocopiare più del 15% di un libro o forse anche meno (non sono aggiornato), oggigiorno ti prendi un multone? Naturalmente, di ragazze e ragazzi come la mia amica, neanche a dirlo, ce ne sono tanti là fuori, e fanno una bella fetta di pubblico… E poi c’è sempre il discorso di principio, ideologico, politico, simbolico: la gente vede che alcuni libri si possono focopiare, anche integralmente, e si chiede: e perché non gli altri? e perché pagare il prestito in biblioteca quando un libro si può fotocopiare gratis? Ma allora io penso, caro Tiziano, che accanto al discorso sicuramente onesto sulla praticità ed efficacia di un simile comportamento, non me ne volere, ci sia anche un riflesso – magari inconscio, o meglio istintivo – di mancanza di coraggio, perché si teme che provare possa essere in qualche modo rischioso, o perché così in fondo le cose non vanno malissimo e dunque perché cambiarle, o perché fare un’azione simile con la probabilità molto alta di non cambiare nulla e magari di essere derisi e tacciati di velleità rivoluzionarie, o… insomma, dimmi tu caro Tiziano, e anche tu Andrea, oppure cosa?
Scusa per la lungaggine, ma ho scritto a braccio, così come mi veniva…
Beh malatesta l’hai detto?? Parli dall’alto scranno di figlio di papà!! Facile così però fare il rivoluzionario:))
scarpa mica è figlio di papà!
Beh malatesta l’hai detto?? Parli dall’alto scranno di figlio di papà!! Facile così però fare il rivoluzionario:))
scarpa mica è figlio di papà!
beh malatesta considera però che parli dall’alto scranno di figlio di papà, troppo facile così fare il rivoluzionario! :))
scarpa mica è figlio di papà!
Malatesta, non ci siamo.
Il tuo è populismo.
Io ero esattamente come quella ragazza che tu descrivi. Non sono figlio di papà come te, lavoravo durante l’università, mi facevo il mazzo eppure in certi periodi riuscivo a comprarmi quasi un libro al giorno, sottraendo quei soldi a qualsiasi altra spesa (vestiti pizze birre). Li compravo e li leggevo, a rotta di collo. Avevo la passione, non mi frenava nulla. Nei periodi economicamente più bui (e anche negli altri, per la verità), andavo in biblioteca.
Le cose si devono anche conquistare. Lascia stare gli altri, se sei figlio di papà come affermi tu stesso, non immedesimarti avventurosamente con la fantasia in situazioni che non conosci. Io quella situazione lì l’ho vissuta. I libri che mi sono letteralmente GUADAGNATO come lettore li ho inglobati, assorbiti, metabolizzati.
Ti rispondo in ordine sparso:
1) Io ho detto a chiare lettere che il gesto dei Wu Ming è politicamente nobile e, in linea di principio, simbolicamente importante. Però, anche se la rete offrisse TUTTI I LIBRI DEL MONDO gratis, lo stesso temo che saremmo nella stessa situazione. Nessuno si leggerebbe i libri su schermo. Sarebbe solo un lavarsi la coscienza senza agire nel concreto. Vuoi una controprova? La CATASTROFE dell’e-book. Io li ho sentiti con le mie orecchie, pochi anni fa, i manageroni dell’editoria che si riempivano la bocca di libri in formato elettronico da vendere in rete bla bla. Disastro. NESSUNO è disposto a stare con gli occhi per ore su un romanzo o un saggio da leggere sullo schermo. Sarà un retaggio culturale, un cascame vetreroumanistico… Ma il libro è ancora la forma più attuale della lettura.
2) Bisogna potenziare le biblioteche e il prestito (che ovviamente deve rimanere gratuito), secondo me.
3) Ti sfugge il fatto che i diritti d’autore incidono per l’8-10 per cento sul prezzo di copertina. I tascabili per il 5 per cento. Su “Venezia è un pesce” io prendo il 5 per cento del prezzo di copertina, al lordo delle tasse, meno un tredicesimo, per motivi tecnici che sarebbe lungo spiegare (in breve, gli sconti che l’editore fa ai librai, e di cui si rivale sull’autore). In generale, il 5 per cento è la quota standard dei tascabili. Prova a togliere i 5 per cento dal prezzo di copertina, e dimmi se hai risolto il problema.
5) La tua utopia è bella, ma dimentica una cosa: che il mondo ESISTE. E il mondo è fatto di carta, di tipografi, di magazzinieri, di facchini, di trasportatori, di redattori, di librai, di affitti della libreria da pagare… Il mondo non è mica fatto solo di spirito, di proprietà intellettuale, di diritti d’autore… di anime belle… In altre parole, se tu fotocopi un mio libro mica danneggi solo me!
6) Sulla tivù il discorso è diverso. Io sono CONTRO la tivù italiana attuale pressoché in toto. Mentre dissento su molti aspetti dell’editoria, ma non certo tanto quanto dissento contro la tivù. Non vedo perché dovrei essere PER FORZA contro QUALSIASI cosa. Se lo sei tu, mi sta bene, ma non vedo perché sia scontato che io debba essere radicale su TUTTO. Certe cose le apprezzo, non vedo Male ovunque. Non puoi venirmi a rimproverare che non sono radicale su certe cose quanto lo sono su altre: ma certo! Io mica le valuto allo stesso modo, le cose! Essere radicali non è mica un valore in sé. Potrei essere radicale a favore della pena di morte. Ti farebbe simpatia un’eventuale purezza della mia radicalità a favore della sedia elettrica?
7) I tuoi esempi sono un pochino patetici, in senso tecnico, senza offesa, mi raccomando: nel senso che enfatizzano il pathos… Le fotocopie, io che perdo i diritti… il bacino di lettori, le copie perdute, quelle guadagnate… ma chissenefrega! E’ chiaro che a me sta benissimo che la gente si fotocopi i miei libri! Protesto forse perché la gente li legge gratuitamente in biblioteca? Come ti accennavo sopra, il problema è che se tu fotocopi un libro NON STAI FOTOCOPIANDO MICA SOLO IL DIRITTO D’AUTORE, riesci a capirlo, questo? Stai rubando TUTTO il lavoro della catena produttiva e distributiva che ha FATTO quel libro e te l’ha portato fra le mani. Non è mica solo l’autore che perde la sua quotina (che è LA PIU’ BASSA fra quelle che si spartiscono i vari “prodittori” e distributori del libro: come sai guadagna più di tutti il distributore, poi il libraio, poi l’editore e l’autore; la quota media del tipografo, e del costo della carta, sinceramente, non so in che posizione si collochino. Se non pagassimo i diritti d’autore sul “Processo” di Weiss, quel libro, anziché 8 euro, costerebbe 7,50 euro, arrotondando per difetto. Temo che la tua amica continuerebbe ad avere la stessa SCUSA per non leggerlo – in biblioteca c’è sicuramente; e, se non c’è, è affiché ci sia che ti dovresti battere). L’editore E TUTTI COLORO CHE PRODUCONO IL LIBRO E LO DISTRIBUISCONO E LO VENDONO subiscono un danno dalla fotocopia, altro che i diritti d’autore!
8) Inoltre, dimentichi che anche le fotocopie costano. Perché non lo fai alla copisteria, il tuo bel discorsetto? “Ma come, vuoi i soldi per la cultura! Esigi denaro per lo SPIRITO? Simoniaco! Io fotocopio per STUDIARE, e tu mi chiedi i soldi? Farabutto!”
Perché non vai a farlo in cartoleria, il tuo discorso? “Aguzzino! Io su questa risma di carta ci devo fotocopiare Joyce! Dante! L’ultimo libro di Tizianozzo Scarpozzi! E tu vorresti che io questi fogli te li PAGASSI?”
9) Su Nazione Indiana è pieno di poesie e racconti gratis… Sulla poesia posso essere d’accordo, non è come leggere prosa, che dopo venti o trenta pagine su schermo affatica davvero. Ma sui dettagli della diffusione della poesia sono meno preparato, devi chiedere a Lello e a Andrea Inglese e agli altri…
_______
Mangiare è importante.
Perché pagare per il pane?
Chi ci fa pagare il pane ci affama!
Chi ci fa pagare il pane è un assassino.
Una società in cui non si paga il pane sarebbe una società bellissima.
Facciamola!
La mia impressione è che tu cominci dalla parte sbagliata. Guardi solo il sale e il lievito, e dimentichi: gli agricoltori, il concime, gli anticrittogamici, il grano, la benzina per il trattore, le macine, la farina, i trasportatori, il fornai, i rivenditori…
Ok ok…
Premessa autobiografica: i miei nonni sono stati tutti contadini, mio padre insegna alle elementari e mia madre fa l’impiegata comunale, siamo tre fratelli (e i maschi costano di più), ergo non è che io sia proprio un figlio di papà, volevo dire che me la passo meglio della mia amica, anche io faccio i miei sacrifici, e tanto di cappello a te, Tiziano, senza ironia ma con profonda stima, per come sei riuscito a costruirti dal nulla …
Quanto alla faccenda della tv, usavo quell’esempio per dire: perché non sei così radicale anche in questo caso? e non: se sei radicale in quel caso, devi esserlo anche in questo, e devi esserlo in tutti i casi. Tu dici: allora dovrei essere radicale anche con la pena di morte? Certo, da te me lo aspetto, come lo sei con la tv, ma non radicalmente “a favore”, bensì radicalmente “contro” la pena di morte. Ma lasciamo stare, il mio era solo un parallelo, non volevo importi di ragionare per tutte le cose e situazioni allo stesso modo…
D’accordo con te sul potenziamento delle biblioteche e anche su certi miei toni patetici (ma che vuoi farci? a volte si cede), ma:
Punto primo: io non voglio che la cultura sia gratis, capiamoci bene (non lo vogliono neanche i Wu Ming), così come il pane non può essere gratis perché dietro c’è materiale e lavoro. Io vorrei (e passo al condizionale) che la cultura fosse gratis per chi non ha i soldi per permettersela, come vorrei che il pane la sanità la scuola l’università ecc. fossero gratis per chi non se li può permettere. Tu studiavi e lavoravi insieme e, te lo ripeto, per questo mi tolgo il cappello: ma tu, lo ammetterai, sei un caso raro, nelle famiglie meno abbienti molto spesso un figlio e soprattutto una figlia devono badare alla casa, ai fratellini ecc. (ancora toni populistici, ma che posso farci se i miei compagni di scuola e università sono stati per la maggior parte figli di contadini, muratori, meccanici ecc.?, mica vengo da una grande città industriale, io, e di esempi così ce n’ho negli occhi a bizzeffe, e dammi pure del populista, se vuoi), e comunque non tutti trovano lavoro (specie qui al sud), e comunque non tutti riescono a conciliare studio e lavoro ecc. (voglio dire, prendi un Montale, che c’aveva sofferenza solo ad uscire di casa, se non nasceva con certe agiatezze economiche, mica diventava Montale, mica riusciva a conciliare studio e lavoro come te – a parte che l’università manco se l’è fatta -, ma faccio per dire, c’è caso e caso) … E poi guarda che i Wu Ming non vogliono fare beneficienza, loro dicono: se c’hai i soldi e preferisci il libro, ben venga, compralo, ma se non c’hai i soldi, anche se con molti sacrifici (vai a lavorare, risparmia ecc.) te lo potresti comunque comprare, io ti vengo incontro: leggitelo su computer (trenta pagine alla volta? e sia, trenta pagine alla volta) o fotocopiatelo … Io, Tiziano, sarò populista, ma tu (influenzato dal tuo esempio, ma non tutti sono o possono essere come te) fai certi ragionamenti quasi berlusconiani: io ho lavorato per diventare ricco, quindi se uno è povero vuol dire che è scanzafatiche (e tu sai che non è così, il caso del povero che diventa miliardario – non è il caso di Berlusconi – è l’eccezione, per il resto, dato lo stato attuale delle cose, uscire dalla povertà come dall’ignoranza o meglio dalla superficialità e mediocrità intellettuale, è difficilissimo, non basta la volontà, ci sono dei paletti messi là all’uopo, e aggirarli è difficile, uno su mille ce la fa…) …
Punto due: (e questo lo dicono i Wu Ming , ma per la musica lo dicono tutti i detrattori del copyright e delle major) chi sceglie di leggere un libro in fotocopia o in file non arreca un danno ai lavoratori che ci stanno dietro (produttori, stampatori ecc.), perché chi rinuncia a leggersi un bel libro confezionato, pratico, con tanto di copertina a colori e cartonata ecc. per leggerselo su fotocopia o file, è nella maggior parte dei casi uno che il libro, altrimenti, non se lo leggerebbe (e a questo punto ti chiedo, e per favore rispondimi: qual è la tua posizione nei confronti della pirateria musicale, cinematografica e informatica?, perché ci sono delle affinità enormi) …
Punto terzo: tu eludi il nocciolo della questione, che ho tante volte ripetuto nel mio post, cioè il discorso culturale, il fatto di diffondere una mentalità ecc. Il gesto nella sua praticità è inefficace, ok, perché il libro sul computer non se lo legge quasi nessuno e perché sui tascabili ci guadagni solo il 5%, ma quali ripercussioni un gesto materialmente inutile può produrre sulla mentalità, sul modo di concepire la cultura (cioè in maniera non capilastica)? E’ un discorso, come dice Lello, di diritto alla cultura (mentre tu, ti rendi conto?, non usufruivi di questo diritto, hai dovuto procurartelo con sacrifici e lavoro, la tua è stata una “conquista”, ed è bellissimo, ma non sarebbe più giusto che fosse, appunto, un “diritto”?). Se il gesto simbolico dei Wu Ming è nobile e giusto, anche se con scarsi risvolti pratici, perché non lo metti in atto anche tu? che ti costa? è una questione di cultura, di diffondere una mentalità, come fa internet col peer-to-peer e altri sistemi, non importano solo i risvolti pratici, ma importa la carica simbolica, esemplare del gesto: io ho la tv e so che tu non la hai, non per questo io rinuncio alla tv ma così so che la tv si può non averla e vivere tranquillamente comunque, che c’è un’alternativa; io non scarico, ripeto, musica da internet ma la compro originale, ma so che la musica può essere gratis o a bassi prezzi; io non leggo il libro di Scarpa su internet ma so che c’è, che se volessi potrei, che se non avessi i soldi il diritto a leggere Scarpa mi sarebbe comunque garantito… dimmi, ti sembra poco? sto sparando “cazzate”? è un’utopia, la mia e quella di altri, e come utopia vuoi liquidarla? e se in un futuro non lontano inventassero un sistema defaticante per leggere i libri su video o se stamparselo arrivasse a costare pochissimo (pensa alle stampati laser, agli ibridi stampante-fotocopiatrice sempre più economici, alle cartucce sempre di prezzo sempre più basso o ricaricabili, alle risme di carta riciclata che arrivano a costare anche 2 euro)? allora metteresti i tuoi libri su internet? con stima …
P.S. Senti, Tiziano, a volte vai oltre la lettera, o forse prendi troppo alla lettera, non so, ma ricavi dallo scritto toni o accuse che mi sono estranee, e mi dipingi di una meschinità che io non ho: ad es., prima, sul mio primo intervento, hai pensato che io attaccassi (con la solita “accusa vigliacchetta”) Nazione Indiana come se dicessi: ah, manigoldi, il vostro sito ve lo fate pagare, e altre cose che non ho detto e non penso; ora hai l’impressione che io ti conti le copie vendute e quelle no, quasi dicessi: Tiziano, guarda che è inutile che fai questi ragionamenti per qualche copia venduta in più, sei proprio venale … Naturalmente, non volevo dire questo… Tieni conto, ti prego, che qui si scrive molto vicino a come si parla, non mi prendo il tempo di rileggermi ogni volta quello che scrivo e di correggere certe sfumature, non te la prendere sempre come volessi insinuare che, accusarti di ecc. A volte, ammettilo, parti un po’ prevenuto, o non so che, insomma, non farmi così vile e meschino…
Guarda, scoppierai a ridere, ma io penso che sia anche una questione di MODESTIA. Cioè, io penso che non sia grave se uno non può leggersi i miei libri. Non sto scherzando. Penso che sia un pelino presuntuoso renderli così accessibilissimi e disponibilissimi. Sì. c’è una forte presunzione nell’idea che il proprio libro debba essere per forza disponibile. Manco fosse una cosa così NECESSARIA. Si può vivere benissimo senza i libri dei Wu Ming, e a maggior ragione senza quelli di Scarpa… Sono nato, ma potrei non esserlo. Staremmo tutti bene (o male) uguale.
Ma oltre a questa, c’è una questione uguale e contraria: il desiderio di essere fortemente VOLUTI. Se uno ha bisogno così tanto di leggere le mie cose, be’, che faccia un sacrificio, che rubi un libro, che metta via dieci euro, accantonando venti centesimi al giorno per due mesi, che rompa le palle al bibliotecario perché glielo ordini… Se mi vuoi, mi devi VOLERE davvero. Può darsi che sia una mia debolezza caratteriale, lo ammetto. Io ho amato alla follia Thomas Bernhard, Giorgio Manganelli o Alberto Savinio ANCHE perché i loro libri me li sono conquistati uno dopo l’altro. E’ una piega umana forse non pertinente all’argomento, ma per me è importante.
Per il diritto allo studio, il discorso è TUTT’ALTRO. E’ chiaro che mi batto anch’io per il diritto allo studio, i manuali, i testi d’esame ecc. Ma questo secondo me non c’entra nulla con il copyright sui libri di letteratura contemporanea. Oggi la Newton Compton ti tira dietro le opere complete degli autori fondamentali per una pipa di tabacco. Ce n’è da leggere per decenni…
Tieni conto ( e se puoi non scoppiare a ridere di nuovo) che i Wu Ming sono 4 (o cinque, perdo sempre il conto…), e di conseguenza devono avere un sacco di tempo ed energie psichiche in più, rispetto a un autore singolo, per star dietro a tutte le loro battaglie. Non si possono condurre dieci crociate contemporaneamente: mancano le forze. E’ proprio vero, per fare un autore non ne basta uno: ce ne vorrebbero 4 o 5! Dovremmo tutti moltiplicarci per seguire tutto, essere i segretari e i faccendieri e gli agenti di noi stessi, informarci, leggere, guardare la tivù, scrivere libri che finalmente piacciano a Mauro Covacich :-)
Ci penserò, ma questa cosa proprio non mi convince. Non mi convince. Non penso che il punto sia quello di rendere disponibili i propri testi in rete. C’è da condurre tutt’altra battaglia per la cultura, oggi. Altre cose mi sembrano ben più urgenti (a mio modo di vedere, naturalmente). Voglio dire: ottenere una cosa simile dall’editore, realizzarla praticamente (avviare un sito dove tenere un archivio dei propri testi rendendoli scaricabili, e ancor prima approntare il file, impaginarlo informaticamente – già, perché nopn posso mica pretendere che l’editore mi regali il SUO lavoro di impaginazione, no?), ecc., farlo contando anche su una FORZA CONTRATTUALE che mica tutti gli autori possono permettersi (lo sai questo, o no?) sono tutte cose che mi sembrano enormemente secondarie (e anche complicate, che tolgono tempo ad altro e richiedono impegno) rispetto a quel che c’è da fare nel campo culturale oggi. E poi temo che sarebbe una cosa puramente promozionale. Voglio dire: uno si scarica il libro, ne annusa cinque pagine su schermo, decide che è bello, se lo va a comprare…
Piuttosto, vedrei bene un convegno, una coalizione, una specie di “sindacato” per ottenere tutti quanti le stesse condizioni. Un sito collettivo con archivio di testi, una legge che imponga agli editori di archiviare in una biblioteca virtuale nazionale una copia informatica del libro consultabile (e scaricabile) da tutti, così come per legge ogni editore deve inviare 5 copie di qualsiasi libro pubblichi, una per ciascuna delle biblioteche Nazionali italiane… ecco, per un’idea del genere, collettivamente, mi batterei. Farlo singolarmente, per i miei librini, mi puzza un po’ di muffetta egologica. Anzi, sai che cosa ti dico? Mi hai dato un’idea. Cioè, discutendo con te mi hai fatto venire in mente questa idea. Forse è questo il livello in cui collocarsi, per cui battersi. Esigere una legge che renda disponibili in rete la versione informatica di OGNI libro che viene pubblicato in Italia, in una Biblioteca Nazionale Virtuale. Bisognerebbe verificare se questa cosa farebbe collassare il mercato librario (appunto: metti che tra due anni si inventa e si mette in commercio uno schermo ancor più riposante e portatile di un libro?). E allora si innescano problemi sociali: ci vai tu a chiudere le tipografie, Malatesta? Ci parli tu ai librai da mandare a casa? Le firmi tu, con il tuo pseudonimo anarchico, le letttere di licenziamento dei magazzinieri?
Ad ogni modo, ognuno ha i suoi talenti e le sue sensibilità. Tutta questa faccenda dei libri degli scrittori italiani gratis in rete per dare il buon esempio a me non convince, mi tocca poco, mi sembra anche un po’ pretestuosa. Non sono migliore del sistema di cui faccio parte, non è con un atto puramente emblematico che mi posso lavare la coscienza. L’oblatività della cultura la vivo facendo altre cose che adesso non elenco perché sarebbe anche un po’ stucchevole, autocelebrativo. Ripeto, questa cosa dei diritti d’autore non è in cima alle mie priorità. Gli altri dicano pure che la questione principale. Io non la penso così. Avere il diritto a scaricarsi della musica orrenda? Ma chi se ne frega! La musica classica è la più economica, la si porta a casa a pochissimi soldi dalle edicole o anche nei negozi di dischi, dai supermercati delle stazioni, a prezzi irrisori, e attualmente è l’unico genere musicale che ritengo andrebbe diffuso (insieme, forse, al jazz, anch’esso molto economico). Non mi batterò mai perché più gente si scarichi gratuitamente Eros Ramazzotti o Celentano o Anastacia! Rendere gratuiti prodotti che sono già diffusi anche TROPPO rispetto al loro valore? Ma VIVA il diritto d’autore e le major che tengono altissimo il prezzo dei dischi, che almeno preservano dalla contaminazione con un cumulo di monnezza putrida le classi più povere! Ricordati che un tempo registravamo dalla radio, nelle audiocassette, vivevamo bene lo stesso, stavamo benissimo. Oggi la filodiffusione trasmette musica sopraffina 24 ore su 24. In FM. Si riceve da qualsiasi radiolina. Spesso la cultura MIGLIORE è gratuita. E’ già offerta gratis da istituziioni di cui dovremmo andar fieri e usare, semmai, come modello per ampliarle e diffonderle.
E comunque il discorso su musica e film è molto diverso, e complesso: non si può scorporare il discorso sui diritti d’autore di quei prodotti dalla enorme, madornale macchina pubblicitaria, televisiva, mediatica che supporta questi prodotti. Ma è un discorso complesso che ora non sono in grado e non ho il tempo di affrontare.
Ok ok, Tiziano, tono estenuato, la discussione volge alla fine, dunque tiro le mie conclusioni insieme ai remi in barca…
1) Ho scritto a Lello se voleva dire la sua, ma al momento è alle prese, indovina un po’, con Massimiliano Parente, che negli ultimi tempi non è stato molto carino con lui (ma anche con voi) e che, guarda caso, gli ha fatto una visitina minatoria al suo sito… Mi dispiace invece non aver potuto ascoltare in merito l’opinione di Andrea Inglese, un poeta che non disdegna il discorso politico (ma in parte a conferma di certe renitenze di scrittori a confrontarsi non dico con me – sarei immodesto -, ma con la questione, nel senso che due righe – sono d’accordo, non sono d’accordo – poteva anche postarle) …
2)Quanto alla musica, sì, la cosa è più complessa, come dici tu. La tua uscita anticonformistica mi è simpatica, ma non mi convince del tutto (mi ricorda Beppe Grillo, che diceva: per i danni che fa, facciamolo pagare di più ancora il petrolio, così bisogna per forza cercare e sviluppare energie alternative; o anche quel comico che compare in Bowling a Coulumbine di Moore, e che dice: se una pallottola costasse cinquemila dollari, vedi che la gente non si ammazzerebbe più) …
3)Mi interessava sapere il tuo parere sulla questione del copyright musicale perchè, al di là delle divergenze che ci sono, il caso “diritti d’autore” ha una base ideologica abbastanza comune, e poi per capire se nel tuo approccio al discorso c’è un elemento, diciamo, personale, autobiografico: ad es., se tu mi avessi detto che sì, i diritti d’autore nel campo musicale vanno rivisti, i prezzi dei cd sono troppo alti e vanno abbassati, allora non avresti tenuto conto della catena produttori, registratori, rifornitori ecc. dell’ambito musicale, al contrario di quanto fai, un po’ paternalisticamente, per la sfera letteraria, di cui certamente hai una conoscenza diretta, privata, se vogliamo anche emotivamente impegnata … perchè, ecco, Tiziano, il fatto è che adesso il populista lo fai tu: “allora si innescano problemi sociali: ci vai tu a chiudere le tipografie, Malatesta? Ci parli tu ai librai da mandare a casa? Le firmi tu, con il tuo pseudonimo anarchico, le lettere di licenziamento dei magazzinieri?” Qui sei, appunto, populistico (ma lo sei come lo ero io prima, avendo una conoscenza personale, immedesimata delle persone in questione, o così mi sembra), ma non mi trovi d’accordo… Allora quella di Gutemberg fu davvero una vigliaccata, t’immagini tutti quei preparatori di pergamene, papiri ecc. tutto d’un tratto, pum, col culo per terra! per non dire poi degli effetti collaterali dell’invenzione e diffusione del computer: gli scrivani, i costruttori di stilografiche, di macchine da scrivere ecc., poveretti, al lastrico! e poi tutti quegli elettrodomestici… per colpa loro, che fine avranno fatto le lavandaie e gli altri lavori di un tempo? poveretti! No, dico Tiziano, qui sei quasi reazionario, nostalgico: certo, dispiace dei casi personali, ma se domani si avesse la possibilità con un vaccino di debellare tutte le malattie, che faresti? rinunceresti per non trasformare in disoccupati dottori e farmacisti? voglio dire, che se il cambiamento è positivo, anche se esso nel momento di passaggio è naturalmente – per alcuni – traumatico, non per questo bisogna rinunciare…
4) Quanto al discorso della modestia, non peccarne troppo: il diritto allo studio va bene, ma io parlavo di un più generale diritto alla cultura. Fuori c’è una parte di giovani e non solo giovani che, come te da ragazzo, smaniano di leggere l’autore contemporaneo, gli autori contemporanei, che hanno qualcosa da dirgli del presente. Certo, non sono la maggioranza, e certo i classici costano pochissimo – e infatti chi ha voglia di leggere, si legge quasi sempre quelli -, ma qui si fa tanto parlare di ampliare i programmi scolastici, di inserire la letteratura più contemporanea nei canoni … E quanto all’essere voluti sì, certo, hai ragione, ma se tu sei al quarto, quinto posto tra i miei preferiti e non al primo, pur risparmiando soldino soldino mi sa che a leggerti non arrivo lo stesso…
5)D’accordo con te sul fatto che le cose che non vanno sono tante, e siccome per affrontarle ciascuna richiede un certo grado di conoscenza e azione, un solo individuo non può sobbarcarsi tutte le battaglie del mondo. Insomma, non si può rimproverare a Gino Strada di non battersi contro il copyright o a Marco Travaglio di non manifestare contro la guerra in Ruanda ecc. Lo sai, comunque, che siamo telepatici? proprio ieri pensavo: ma che cazzo gli rompi i coglioni a Scarpa, ognuno c’ha le sue battaglie, lo sai benissimo che uno non può essere iscritto a tutti i movimenti (ce l’hai la schieda del wwf, quella della lav, di amnesty ecc.?) e non si può partecipare a tutte le manifestazioni, proteste, scioperi ecc. e non per questo non si è contro! certo, però, che in questo mondo globalizzato e totale, un po’ totali dobbiamo cercare di esserlo anche noi (io, ad esempio, sono anche vegetariano, come Busi mi sono letto Del magiare carne di Plutarco e Ecocidio di Rifkin e ne sono rimasto sconvolto, sono vegetariano per radicalità di pensiero, in quanto anarchico mi vien da dire, perché la violenza e il potere che si deprecano quando usati dagli uomini contro gli uomini, gli anarchici non dovrebbero tollerarli mai, anche quando usati contro gli esseri animali) … quindi, anche senza essere soci di, partecipare a ecc., penso che oggi si possa e quindi si debba essere schierati su più fronti…
6) Guarda che l’idea del sindacato e del sito collettivo non è male. Sia per un discorso di diritto, come dico io, sia per un discorso anche promozionale, come dici tu (una grande vetrina, uno si legge le prime tre pagine di tanti autori e decide), sia perché nel web ultimamente stanno iniziando a costruire ampie biblioteche virtuali dei classici, per facilitare la consultazione e anche le ricerche: e perché non farla anche dei contemporanei? certo, sarebbe bello, digitare una parola (metti “vegetariano”) e vedere che ne pensano Scarpa, Moresco, Montanari Voltolini, Covacich ecc. Ma qui non so quanto tu faccia sul serio…
7) Infine: ma perché ce l’hai tanto col mio pseudonimo? “lo pseudonimo da Savonarola pacioso”, “le firmi tu col tuo pseudonimo anarchico le lettere di licenziamento ai magazzinieri” … se lo cambiassi con uno meno impegnato, tipo “Topolino” o simili, ti piacerebbe di più quello che scrivo? Ti faccio presente che io mi firmo sempre con lo stesso pseudonimo, esprimo sempre il mio pensiero (più o meno coerentemente), non saccheggio il nome altrui (tipo firmandomi tizianoscarpa, aldonove o altro), insomma , che vuoi? Accetterei le tue critiche se davvero io lanciassi accuse gratuite e non invece, il più delle volte come dici tu, cioè quasi sempre, critiche motivate e argomentate, oppure se fossi uno scrittore famoso come te che, vilmente, si nascondesse dietro un nickname, ma si dà il caso che io non lo sia, che il mio nome e cognome proprio non ti direbbero niente (e comunque alcuni, tipo Paoloni, Biondillo e Saviano, il mio nome ce l’hanno, che è colpa mia se tu non lasci l’indirizzo e-mail? così magari un giorno ti spiego) …
Ok ok, Tiziano, tono estenuato, la discussione volge alla fine, dunque tiro le mie conclusioni insieme ai remi in barca…
1) Ho scritto a Lello se voleva dire la sua, ma al momento è alle prese, indovina un po’, con Massimiliano Parente, che negli ultimi tempi non è stato molto carino con lui (ma anche con voi) e che, guarda caso, gli ha fatto una visitina minatoria al suo sito… Mi dispiace invece non aver potuto ascoltare in merito l’opinione di Andrea Inglese, un poeta che non disdegna il discorso politico (ma in parte a conferma di certe renitenze di scrittori a confrontarsi non dico con me – sarei immodesto -, ma con la questione, nel senso che due righe – sono d’accordo, non sono d’accordo – poteva anche postarle) …
2)Quanto alla musica, sì, la cosa è più complessa, come dici tu. La tua uscita anticonformistica mi è simpatica, ma non mi convince del tutto (mi ricorda Beppe Grillo, che diceva: per i danni che fa, facciamolo pagare di più ancora il petrolio, così bisogna per forza cercare e sviluppare energie alternative; o anche quel comico che compare in Bowling a Coulumbine di Moore, e che dice: se una pallottola costasse cinquemila dollari, vedi che la gente non si ammazzerebbe più) …
3)Mi interessava sapere il tuo parere sulla questione del copyright musicale perchè, al di là delle divergenze che ci sono, il caso “diritti d’autore” ha una base ideologica abbastanza comune, e poi per capire se nel tuo approccio al discorso c’è un elemento, diciamo, personale, autobiografico: ad es., se tu mi avessi detto che sì, i diritti d’autore nel campo musicale vanno rivisti, i prezzi dei cd sono troppo alti e vanno abbassati, allora non avresti tenuto conto della catena produttori, registratori, rifornitori ecc. dell’ambito musicale, al contrario di quanto fai, un po’ paternalisticamente, per la sfera letteraria, di cui certamente hai una conoscenza diretta, privata, se vogliamo anche emotivamente impegnata … perchè, ecco, Tiziano, il fatto è che adesso il populista lo fai tu: “allora si innescano problemi sociali: ci vai tu a chiudere le tipografie, Malatesta? Ci parli tu ai librai da mandare a casa? Le firmi tu, con il tuo pseudonimo anarchico, le lettere di licenziamento dei magazzinieri?” Qui sei, appunto, populistico (ma lo sei come lo ero io prima, avendo una conoscenza personale, immedesimata delle persone in questione, o così mi sembra), ma non mi trovi d’accordo… Allora quella di Gutemberg fu davvero una vigliaccata, t’immagini tutti quei preparatori di pergamene, papiri ecc. tutto d’un tratto, pum, col culo per terra! per non dire poi degli effetti collaterali dell’invenzione e diffusione del computer: gli scrivani, i costruttori di stilografiche, di macchine da scrivere ecc., poveretti, al lastrico! e poi tutti quegli elettrodomestici… per colpa loro, che fine avranno fatto le lavandaie e gli altri lavori di un tempo? poveretti! No, dico Tiziano, qui sei quasi reazionario, nostalgico: certo, dispiace dei casi personali, ma se domani si avesse la possibilità con un vaccino di debellare tutte le malattie, che faresti? rinunceresti per non trasformare in disoccupati dottori e farmacisti? voglio dire, che se il cambiamento è positivo, anche se esso nel momento di passaggio è naturalmente – per alcuni – traumatico, non per questo bisogna rinunciare…
4) Quanto al discorso della modestia, non peccarne troppo: il diritto allo studio va bene, ma io parlavo di un più generale diritto alla cultura. Fuori c’è una parte di giovani e non solo giovani che, come te da ragazzo, smaniano di leggere l’autore contemporaneo, gli autori contemporanei, che hanno qualcosa da dirgli del presente. Certo, non sono la maggioranza, e certo i classici costano pochissimo – e infatti chi ha voglia di leggere, si legge quasi sempre quelli -, ma qui si fa tanto parlare di ampliare i programmi scolastici, di inserire la letteratura più contemporanea nei canoni … E quanto all’essere voluti sì, certo, hai ragione, ma se tu sei al quarto, quinto posto tra i miei preferiti e non al primo, pur risparmiando soldino soldino mi sa che a leggerti non arrivo lo stesso…
5)D’accordo con te sul fatto che le cose che non vanno sono tante, e siccome per affrontarle ciascuna richiede un certo grado di conoscenza e azione, un solo individuo non può sobbarcarsi tutte le battaglie del mondo. Insomma, non si può rimproverare a Gino Strada di non battersi contro il copyright o a Marco Travaglio di non manifestare contro la guerra in Ruanda ecc. Lo sai, comunque, che siamo telepatici? proprio ieri pensavo: ma che cazzo gli rompi i coglioni a Scarpa, ognuno c’ha le sue battaglie, lo sai benissimo che uno non può essere iscritto a tutti i movimenti (ce l’hai la schieda del wwf, quella della lav, di amnesty ecc.?) e non si può partecipare a tutte le manifestazioni, proteste, scioperi ecc. e non per questo non si è contro! certo, però, che in questo mondo globalizzato e totale, un po’ totali dobbiamo cercare di esserlo anche noi (io, ad esempio, sono anche vegetariano, come Busi mi sono letto Del magiare carne di Plutarco e Ecocidio di Rifkin e ne sono rimasto sconvolto, sono vegetariano per radicalità di pensiero, in quanto anarchico mi vien da dire, perché la violenza e il potere che si deprecano quando usati dagli uomini contro gli uomini, gli anarchici non dovrebbero tollerarli mai, anche quando usati contro gli esseri animali) … quindi, anche senza essere soci di, partecipare a ecc., penso che oggi si possa e quindi si debba essere schierati su più fronti…
6) Guarda che l’idea del sindacato e del sito collettivo non è male. Sia per un discorso di diritto, come dico io, sia per un discorso anche promozionale, come dici tu (una grande vetrina, uno si legge le prime tre pagine di tanti autori e decide), sia perché nel web ultimamente stanno iniziando a costruire ampie biblioteche virtuali dei classici, per facilitare la consultazione e anche le ricerche: e perché non farla anche dei contemporanei? certo, sarebbe bello, digitare una parola (metti “vegetariano”) e vedere che ne pensano Scarpa, Moresco, Montanari Voltolini, Covacich ecc. Ma qui non so quanto tu faccia sul serio…
7) Infine: ma perché ce l’hai tanto col mio pseudonimo? “lo pseudonimo da Savonarola pacioso”, “le firmi tu col tuo pseudonimo anarchico le lettere di licenziamento ai magazzinieri” … se lo cambiassi con uno meno impegnato, tipo “Topolino” o simili, ti piacerebbe di più quello che scrivo? Ti faccio presente che io mi firmo sempre con lo stesso pseudonimo, esprimo sempre il mio pensiero (più o meno coerentemente), non saccheggio il nome altrui (tipo firmandomi tizianoscarpa, aldonove o altro), insomma , che vuoi? Accetterei le tue critiche se davvero io lanciassi accuse gratuite e non invece, il più delle volte come dici tu, cioè quasi sempre, critiche motivate e argomentate, oppure se fossi uno scrittore famoso come te che, vilmente, si nascondesse dietro un nickname, ma si dà il caso che io non lo sia, che il mio nome e cognome proprio non ti direbbero niente (e comunque alcuni, tipo Paoloni, Biondillo e Saviano, il mio nome ce l’hanno, che è colpa mia se tu non lasci l’indirizzo e-mail? così magari un giorno ti spiego) …
Abbasso il livello del dibattito… solo per dire che avevo trovato l’ennesimo nick, appunto Nick Names, e qualcuno me l’ha gattonato… Dannato gattonatore e anzi proselita del nick, accolito esegeta malnato, almeno firmati minuscolo, che continuo anch’io. Altrimenti mi toccherà ricorrere a un’ulteriore mutazione. Bon. E’ il bello dell’intera faccenda, in fondo. Ciao.
D’altra parte, Nick, non hai un Names originale…
;-) G.
Grazie della risposta, Malatesta.
Mi pare che le cose siano venute fuori.
Due commenti brevissimi:
Io non approvo il fatto che ti esprimi con uno peseudonimo, che sia “Malatesta” o “Topolino” è lo stesso. E’ la mia linea. Non dialogherei proprio con te, come faccio del resto con tutti gli pseudonimi che vengono su Nazione Indiana. Perché allora questa eccezione? Perché avevamo comonciato a discutere sul sito di Lello Voce, e a quel punto ormai mi sembrava strano non risponderti anche qui.
Non voglio frenare il progresso tecnologico. Ma ammetterai che non ha senso avere due pesi e due misure mercantili. Non puoi offrire gratis una cosa che contemporaneamente si paga altrove. Il discorso sui tipografi ecc. va considerato in questa cornice concettuale, anche se mi sono spiegato male. Vorrei sapere perché un editore dovrebbe lavorare tanto a leggere libri inediti, scegliere i migliori, pagare traduttori se sono libri stranieri, eccetera, per non avere nessun tornaconto economico. Lo trovo assurdo. O si cambia tutta la società, si abolisce il denaro (parliamone), oppure non si può pretendere che solo una parte della società sia fessa e munifica, non credi?
La questione dello pseudonimo è stata lungamente e più volte affrontata su Nazione Indiana, da Carla Benedetti soprattutto, e un pochino anche da me.
Non importa se il tuo nome e cognome, famoso o sconosciuto, non mi direbbe nulla. Ciò che importa è il gesto simbolico (politico) di assunzione di responsabilità.
Esempio: tu puoi rimproverarmi una mancanza di coerenza perché puoi mettere insieme e confrontare TUTTE le mie parole pubbliche e i miei gesti pubblici GRAZIE al mio nome.
Chi non si assume pubblicamente questa responsabilità, io non lo accetto come interlocutore. Facciamo così, allora. Tu vieni qui a firmarti con nome e cognome, e io continuerò a prendere in considerazione i tuoi interventi. Non posso accettare questo dislivello simbolico (politico) di discussione.
Non mi interessa se “la rete funziona così”. E’ un’obiezione reazionaria. Allora anche gli editori potrebbero dirti: “che vuoi, il copyright funziona così, è un dato di fatto…”. Allora anche a Cesare Beccaria si poteva rispondere: “eh, ma il mondo funziona così, la legge prevede la pena di morte…” Anch’io, fra le altre utopie ben più grandi che nutro, ho questa piccola utopia (come tu hai quella del copyleft, e molte altre), desidero che la Rete funzioni diversamente, che ciascuno si prenda la responsabilità delle proprie parole, perché secondo me questa è la sola via di POTENZIAMENTO politico della parola stessa; nel frattempo, desidero e lavoro affinché funzioni diversamente almeno qui, in Nazione Indiana, ossia in quella minuscola porzione della Rete dove è in mio potere seguire questa linea di condotta (così come i Wu Ming giustamente non aspettano che tutto il mondo del copyright cambi, cominciano a farlo in prima persona per quanto li riguarda, o perlomeno per quanto è in loro potere; così come io a casa mia non ho la tivù e tu sei vegetariano).
Io lavoro contro l’indebolimento della parola. Tu indebolisci la parola, se non sei nemmeno disposto a coinvolgerti in essa simbolicamente (politicamente) con il tuo nome e cognome (non conta NULLA che sia famoso o no): ecco cosa cambia, caro “Malatesta”, se tu deponi il tuo pseudonimo. Non mi interessa nulla sapere il tuo nome e cognome in forma privata: non sono curioso, non voglio fare indagini poliziesche. Voglio semplicemente che la discussione pubblica avvenga allo stesso livello simbolico (politico) di assunzione di responsabilità nei confronti delle proprie parole.
Consideralo un mio congedo dal tuo pseudonimo. Che non è affatto personale: mi sono congedato da TUTTI gli pseudonimi che intervengono qui, critici, elogiativi, amichevoli o offensiiv che fossero (forse qualche volta, soprattutto negli ultimi tempi, avrò sgarrato da questa linea: capita, sono un essere umano, spesso faccio errori).
D’ora in avanti comunque ti tratterò come gli altri: non necessariamente ti leggerò, dato che con lo pseudonimo compi l’atto linguistico di non prenderti la responsabilità di ciò che dici, e allora a me non interessano le parole proferite da chi per primo non impegna simbolicamente (politicamente) se stesso in ciò che dice; di sicuro non risponderò più a “Malatesta”.
P.S.: Preciso che questa è una mia posizione assolutamente personale, mentre molti o quasi tutti gli altri membri di Nazione Indiana invece non hanno nessun problema a dialogare ribattendo a pseudonimi o nickname.
Una postilla.
Come ho già spiegato tempo fa, non rendo visibile il mio indirizzo di posta elettronica da quando ho ricevuto settecento mail virali in un colpo solo da qualche buontempone.
Era ora! Finalmente un bel gesto radicale, estremo, di quelli che sai tu (perché uno non è che se è radicale, poi lo è necessariamente in tutto, però è un modo di pensare, di tirare le conseguenze e agire, che molto spesso amalga certi comportamenti…)
Bah, mi sono andato a leggere post e commenti sulla questione dello pseudonimo, quindi non ti starò a ripetere la solita solfa (alcune obiezioni, comunque, sono interessanti e non scontate)… potrei dirti che, quanto a responsabilità, coerenza e rintracciabilità, io mi posto sempre con questo nick, il mio stesso indirizzo porta questo nick (erricomalatesta@libero.it), se ad esempio vuoi andarti a vedere se quello che ho scritto qui sul copyright è coerente con quello che ho scritto sul sito di Lello Voce sullo stesso argomento, puoi benissimo: sono sempre io e dico le stesse cose, volevo anche aprire il mio sito con questo nick, quindi potevi rintracciare, confrontare tutte le mie azioni “pubbliche” ecc. (certo, semmai il problema è quello di aver scelto come nick un nome così famoso e diffuso, quindi con google faresti fatica a rintracciare i miei interventi su NI, Lellovoce, Pordenonelegge ecc.) …
Il peso dell’individuo, l’io debole ecc. di cui parla la Bendetti, francamente, mi sembrano cazzate: io il mio io lo metto in gioco, lo giustifico continuamente, molto coerentemente, se è vero che tu sai di me che sono meridionale, anarchico, che per coerenza sono vegetariano, che scrivo poesie ecc. Anche la questione del corpo, dello stare nel mondo, è una gran cazzata (già uno dei bloggers anonimi rispondeva che loro fanno incontri, si vedono ecc.): non starò qui a ripeterti (ma nello stesso momento lo faccio) che tanti autori hanno usato pseudonimi, che certo non potevi rintracciarne gli indirizzi, e che, ad esempio, quello che si sapeva durante i primi dischi di Fabrizio De André era solo un nome, né una foto due righe di biografia o altro, era una sorta di uomo misterioso (e perché? piccole serie motivazioni: oltre ad essere ritroso e introverso, aveva una palpebra cascante, e si vergognava ad apparire col suo corpo, ma non per questo a stare e agire nel mondo). Insomma, uno scrittore (nel senso minimo del termine) è soprattutto quello che scrive, lui sta nel mondo con le sue parole e le sue idee, io Tiziano il tuo corpo non lo vedo, potrei non vederlo mai, e tu potresti non uscire di casa o, chessò, come in certi film di fantascienza, essere solo un cervello montato su un computer: forse, con le tue idee, non staresti nel mondo? ma, capisco, tu vuoi il gesto simbolico (ché nella pratica – su questo dovremmo essere d’accordo – non cambia niente)…
Potrei anche dirti: voltati e guardati dietro, tutto il discorso che abbiamo fatto sulla questione copyright, le due posizioni contrastanti che ne sono venute fuori come qualche altra volta (in modo, come hai detto tu, che uno che legge può farsi un’idea), ti sembra che se il dialogo tra un nome vero e un nick produce tanto, poi debba essere rigettato per una questione di principio?… ma anche questa sarebbe un’obiezione inutile, perché tu mi dirai: il dialogo si costruisce benissimo e anche meglio, se alla fine tu ti firmi… e poi: non sei tu quello delle questioni di principio e del rifiuto della categoria della praticità?…
Dunque, sarò onesto, caro Tiziano. Io ho i miei motivi, più di uno, per usare un nick. Non ci sono dietro storie di spionaggio o altro, ma le piccole serie motivazioni cui accennavo prima, la palpebra di De André… Non credere che io mi sia dato lo pseudonimo da “Savonarola pacioso”: semplicemente, nel momento di registrarmi non sapevo cosa inventarmi, avevo sottomano un libro di Errico Malatesta (Il buon senso della rivoluzione, Eleuthera) e, così, per gioco e per caso (conoscevo internet da pochissimo, non sapevo tutto quello che ne sarebbe derivato), ho scritto Malatesta, tutto qui (il calembour “mala testa” mi è venuto in mente dopo, non è il motivo principale). Dunque, nessuna ambizione da Catone il censore del web e della letteratura su web ….
Purtroppo su questo non siamo, per l’ennesima volta, d’accordo, e visto come la metti non c’è proprio possibilità di incontro. C’è, tuttavia, fattelo dire, qualcosa di sottilmente prevaricatorio nel tuo comportamento: io e te siamo di opinione diversa sulla questione, ma il fatto di non accettare la tua posizione mi impedisce a priori di ribatterla o contrastarla (perché su questo – concediti il beneficio del dubbio – tu potresti anche sbagliarti)…
Lasciati dire comunque che non condivido affatto la tua idea che questa possa essere una delle “piccole” utopie per cui battersi, più importante della battaglia contro il copyright per la quale, non schierandoti se non con le parole come fai, visto quello che succede fuori e le leggi che stanno per approvare, anche tu – come intellettuale, scrittore di una certa fama ecc. – avrai la tua bella fetta di colpa, e allora io ti auguro di non essere letto nei prossimi cinquanta, cento, duecento anni perché costerai più del pane, e perché le biblioteche avranno pezzi proibitivi per molti, e perché, come vuoi tu, solo il “diritto allo studio” sarà garantito (e forse neanche quello) e non il più ampio, generale e fondamentale “diritto alla cultura”, e perché la mentalità diffusa (per me, il nocciolo della questione, che tu non vedi) sarà che la cultura, bene non primario (perché altrimenti rientrerebbe nei servizi sociali come studio sanità ecc.), ha sempre un prezzo e che questo prezzo è uguale per tutti (e quindi i suoi detentori saranno come già sono, nella stragrande maggioranza dei casi, selezionati per fascia economica, di classe mi verrebbe da dire), ma tu, quando tutto ciò avverrà anche a causa della tua indifferenza (perché, anche se conosci il problema, diciamo la verità: gli sei indifferente), forse avrai già con tua gioia realizzato da tempo la tua “piccola” utopia, e pincopallino si firmerà mario bianchi… ma lasciamo stare…
Dunque tu, con un gesto simbolico, ti congedi da “Malatesta”, una sorta di ostracismo personale (sia chiaro: liberissimo di farlo). Io, di ricambio, con un gesto altrettanto simbolico, mi congedo da “Tiziano Scarpa” e da “Nazione Indiana” (tranquillo, non riposterò con altro nick, ti ho detto che sei tu a dipingermi così vile e meschino)… Quindi ciao a tutti e soprattutto ciao Tiziano…
P.S. E va là, che “Venezia è un pesce” me lo leggo comunque…
Gesù, che banda di fondamentalisti!
Malatesta (oops, stavo per scrivere il tuo vero nome, menomale che me ne sono accorto) ma scusa, che fai? “Muoia Sansone con tutti i filistei”?
Tiziano ha dato le sue ragioni. D’accordo o meno (e io gli sono più d’accordo che meno) non vedo perché tu debba lasciare NI. Per fargli un dispetto? Hai personalizzato la questione. Almeno Tiziano dice: “io non parlo con chi usa un nickname a prescindere, anche se con te ci parlerei volentieri”; non personalizza. Tu dici: “vuoi il mio nome? Allora me ne vado da casa tua.” Ma non mi sembra che NI sia SOLO la casa di Tiziano, no?
Ed è qui che Tiziano ha ancora ragione. Vedi che una questione che dovrebbe essere generale alla fine viene discussa come se fosse una questione fra due singole persone? Allora come posso parlare, singolarmente, a uno che si chiama Puffobuffo? E che poi si offende e se ne va sbattendo la porta? La porta di chi? Della casa di Tiziano?
Insomma, Malatesta, coerenza. O te ne vai perché NI, così com’è TUTTA, con TUTTI i suoi partecipanti, non ti va, (compresi quelli che sul nickname non hanno un bel niente da dire, che anzi gli va strabene) oppure rivedi la tua posizione… No?
ciao, Gianni
Trovo tutta questa questione oltremodo bizzarra, ritengo le vostre posizioni affascinanti perchè dotate di una rigidità fuori misura… è un vero peccato che si chiuda così una serie di confronti e scambi di idee. Non è l’uso dello pseudonimo che toglie forza alle parole, la scelta di uno pseudonimo andrebbe rispettata, quando dietro non c’è la volontà di sabotare. Quando parlo con Luminamenti non mi cambia nulla sapere il suo vero nome, gli scambi con lui mi hanno sempre arricchito come anche leggere i post di Malatesta.
Non so, mi sembra un falso problema. Un caro saluto a tutti e due.
Vorrei scrivere ora, di getto, un elogio dei nick, un peana immortale, qualcosa, ecco, che riporti la gioia tutta di crearsi e ricrearsi in questi pseudonimi balordi. Il carnevale perenne che si rinnova ogni volta che entri in rete. Il piacere di mollare l’identità a cui sei appiccicato da sempre per caracollarti nel gioco, puro e semplice, forse un po’ tangenzialmente massonico, di mascherarti, contraffarti, re-inventarti per poco. Per me l’intera questione si risolve in questo: impegno ludico, se volete. Se non ci fossero gli pseudonimi, la loro carica strampalata, le bestialità e a volte anche gli insulti – insomma, se la discussione fosse sempre e solo sui massimi sistemi e sempre e solo portata avanti da soggetti nomecognomati, impegnati a rappresentarsi come contriti soggetti nomecognomati, io me ne andrei di volata da troppi siti. Non sarebbe male mantenersi permanenti in un nick (fa testo l’e-mail… sì, giusto, ma anche qui ti viene da tirar palle di tanto in tanto) però in fondo a me non dispiace parlare con Smith una volta e Wesson la volta dopo, e sapere e non sapere che sono la stessa persona.
Lunga vita alla varietà, Malatesta, non abdicare…
Ok, ok, Tiziano, hai vinto tu…
Non perché mi arrendo, ma perché riconosco, ecco… che hai ragione (ma solo in parte).
Mi spiego meglio. Io le cose che ho detto sui nick le penso davvero. Ognuno ha i suoi motivi, che possono essere serissimi (pensa a Sbancor, il banchiere anonimo che sputtana in rete l’economia e la politica mondiale) o anche meno seri (l’impiegato che si collega a internet dall’ufficio e deve nascondersi da capufficio e colleghi ecc.). Quindi il nick, secondo me, in moltissimi casi è lecito, se non doveroso. A questo aggiungi che i blogger che disquisiscono di inutilità o, pur di cose importanti, in maniera inutile (cioè la stragrande maggioranza), non sono tenuti a nessuna responsabilità, non recano alcun danno col loro anonimato. Sono solitudini che si incontrano. Insomma, vedila come vuoi, il firmarsi con nome e cognome in molti casi non ha un grande rilievo (anche tu, mi sembra, una volta non ti sei firmato con nome e cognome ma “agenziaantipuffi” o qualcosa del genere, perché in quel caso il tuo nome non “importava”, anzi era meglio tacerlo perché non sembrasse una questione personale o per non fare la figura del detective da strapazzo)… Io, insomma, non penso che l’anonimato in internet sia una grande rivoluzione, ma non penso neanche, al contrario di te, che la rivoluzione sia il non-anonimato…
Ma veniamo a noi. Io, te lo ripeto, non ero e non sono mai stato per il mascheramento vile o ipocrita, né per il saccheggio dei nomi, né per il salto continuo da un nome a un altro. Né sono stato per il mascheramento del mio io: ti ho detto quello che penso e l’ho detto anche in altri siti e forum, ti ho scritto il mio albero genealogico, il lavoro dei mie nonni e dei miei genitori, se vai su Pordenonelegge ci trovi anche qual è il mio paese natale. In parole povere, tranne il mio nome, tu puoi sapere di me quasi tutto … Il fatto è che le mie azioni pubbliche, al contrario delle tue, sono solo su inernet, capisci? Io posso mettere a confronto, ad esempio, una tua dichiarazione contro un certo premio letterario e poi il fatto che tu a quel premio letterario ci vada (è un’ipotesi, sto immaginando) e ricavarne la tua incoerenza. Ma le mie azioni pubbliche nel mondo fuori non ci sono, non esistono, insomma avvengono esclusivamente su internet (almeno finora è stato così)…
Inoltre, una cosa mi turba… Mentre nel poter confrontare tutto e tutti, magari con un semplice click su google, tu vedi una grande possibilità di chiamare ciascuno alla coerenza e alla responsabilità delle proprie azioni, perché tutti possono sapere tutto di tutti, a me l’incameramento di tutti i dati attraverso internet, nell’era di echelon bsa raccolte di impronte digitali ecc., non mi convince troppo, cioè mi dà a pensare… E’ l’altra faccia della medaglia, assolutamente da non ignorare: in questo senso, e non puoi negarlo, il carnevale dei nick, come lo chiama il caro Nick Names, pone un freno a questa eventualità (pensa un attimo se sul web fosse d’obbligo, come vorresti tu, firmarsi con nome e cognome: diventerebbe una enorme banca dati, dove potrebbero pescare tranquillamente società d’ogni tipo, terroristi, governi ecc., e anche per questo, secondo me, i nick sono importanti)…
Ma, detto questo, mi rendo conto che tu, nel caso in questione, hai ragione. Perché io ti ho spesso chiamato a discussioni serie e approfondite, e tu mi hai dedicato il tuo tempo e la tua esperienza (invece di “scrivere cose belle” per dirla con te), e riconosco che spendersi tanto con una persona che non dice neanche il suo nome e cognome, certo, non è bello (ok ok: non è giusto!). E se in un primo momento ho risposto al tuo gesto dichiarando di non voler più avere a che fare con te e con tutta NI, l’avevo fatto anche per questo. Dandoti ragione, cioè riconoscendo l’ingiustizia del dislivello in cui avveniva il dialogo tra me e gli autori di NI, non volevo più dialogare all’ombra del mio nomignolo non solo con te, ma neanche con gli altri, a prescindere da che cosa loro ne pensassero della questione dei nick…
Ma ora, ripeto, ho deciso di dichiararmi (tranquillo, non è una dichiarazione d’amore), non perché tu abbia ragione in assoluto, ma perché ce l’hai in questo caso: io ti ho chiamato a dar conto dei tuoi comportamenti, delle tue scelte, dei tuoi pensieri, utopie e azioni, e quindi hai ragione sul fatto che, considerato che mi hai dato tanto (la tua voglia e capacità di spenderti non la nega nessuno), almeno questo gesto te lo devo. Dunque, ecco i miei nome e cognome, per i seguenti motivi:
1)perché mi prendo la mia responsabilità;
2)perché ci tengo a te (ad apprendere da te un sacco di cose, ma anche a darti addosso!);
3)perché Biondillo è un ottimo negoziatore (che dici, lo mandiamo in Iraq?)
Con stima sempre vigile
GRAZIANO DELL’ANNA
P.S. Nel tempo che mi ci vuole per farmi un nuovo indirizzo, il vecchio erricomalatesta@libero.it resta valido…
Grande Graziano!
Ti ho sempre riconosciuto, come Malatesta, una nobile disponibilità ad ascoltare DAVVERO – e spesso ad accettare – le ragioni degli altri, e anche questa volta non mi hai deluso.
Bene, chiusa questa parentesi sdolcinata e ricchiona, ricominciamo a darcele di santa ragione! ;-)
In fondo sono una sentimentale anch’io… Graziano, sono proprio felice di rileggerti! la dimostrazione che le discussioni quando sono produttive danno frutti. Chiudo la parentesi da mamma.
A rileggervi presto mentre ve le date di santa ragione. :-))
ciao
E a me niente baci?
:-)
ciao Graziano, questa è casa tua,
G.
un amico mi ha segnalato che il breve annuncio del sito di Cepollaro era divenuto laboratorio polemico su questioni importanti; l’ho scoperto solo ora; ma è troppo tardi, forse Malatesta si è esaurito e non tornerà più qui e io dovrei chidergli almno una settimana di tempo per leggere tutti gli interventi che si sono mandati lui e Scarpa. Ci provero’. Dico subito che la questione è importante. Io, in quanto poeta, pero’, non me la sono mai posta. D’altra parte non mi sono nemmeno mai posto il problema di cosa farei dei 3 miliardi che vincessi alla lotteria. In quanto non ci gioco. Per quanto riguarda invece Cepollaro, le cose sono più complesse. Ha un nuovo progetto sul suo blog che implica la messa in rete di libri in pdf, scaricabili gratuitamente. Ne riparlero’.
E mi scusi Malatesta della latitanza.
Grazie, Andrea. Ci tenevo particolarmente, proprio perché la poesia, al contrario del romanzo – il quale ha la pur minima scusante di una lunghezza difficilmente sopportabile sullo schermo – può, come dimostra Cepollaro, scavalcare il copyright. Ho scritto che i poeti dovrebbero essere i pionieri di questa rivoluzione. Innanzitutto, perché i diritti d’autore, a meno che non si sia Zanzotto e si abbia la fortuna di vedersi pubblicare un meridiano in vita (fortuna rarissima, toccata per primo a Montale, poi ad altri come Luzi e per ultimo… a Camilleri), insomma, coi diritti d’autore della poesia non ci si campa proprio. Quindi, cade qualsiasi remora d’interesse economico. E poi perché la poesia – soprattutto la poesia politica negli intenti o nei contenuti e quella sperimentale – secondo me oggi ha il dovere dell’azzardo, del gesto politico esteso alla propria vicenda esterna (editoriale e economica), della sperimentazione esterna, economica, politica. Il fatto è che la poesia, editorialmente, commercialmente, economicamente ecc., è in Italia così marginale che è normale per un poeta non porsi neanche il problema. Come sottolinea il buon Giulio Mozzi, la maggior parte delle edizioni di versi sono pagate di tasca dagli stessi poeti, dunque i poeti avrebbero una “forza contrattuale” in alcuni casi superiore a quella di tanti amici narratori. Insomma, si è eversori della lingua, si è rivoluzionari nei versi e negli sfoghi pubblici: perché non estendere questa eversione e rivoluzione anche ai fatti concreti, al fuori, al e contro il “capitalismo culturale” del copyright? Senza contare, poi, che in parte la poesia è già in rete senza copyright. Se digitate “Valerio Magrelli” su google e vi fate un giro per il web, troverete quasi tutte le sue “Didascalie”, oltre ad altri pezzi ancora inediti, come quello sull’11 settembre o le poesie sul computer scritte e promosse per thelema. In questo caso, anzi, si tratterebbe di disciplinare e dare un senso politico a qualcosa che, di fatto, esiste già. E poi le poesie hanno il dovere di circolare, su foglietti, diari, quaderni, e anche siti, blog ecc. Lo dice benissimo Erri De Luca nell’introduzione alla sua Opera sull’acqua (anche se in copyright). Hikmet, uno dei poeti più tradotti al mondo, scriveva su fogli le proprie poesie e le faceva circolare, voleva che circolassero. A volte circolavano diverse stesure della stessa poesia. Aveva una concezione etica, politica della poesia. E noi: ce l’abbiamo?
Graziano alias Malatesta
Graziano, il tuo discorso fila, ma se la lotta contro la proprietà intellettuale ha un senso (quindi un minimo di efficacia anche politica) è del tutto superfluo che siano i poeti a portarla avanti. La lotta contro la proprietà intellettuale ha senso dove esistono degli interessi, dove questa proprietà vuol dire qualcosa in termini economici. Per noi poeti è quasi fisiologico far circolare liberamente i testi. E in cio’ esiste qualcosa anche di positivo, una libertà, almeno in potenza, molto maggiore di quella dei narratori. Quindi se invitassi la gente a fare dei miei testi tutto cio’ che vogliono, magari perfino leggerli e basta, non mi sentirei tanto eroe. (Detto questo, l’idea che qualcuno prenda una mia poesia e la pubblichi a suo nome mi fa molto piacere, ma mi dà anche molta voglia di tirargli un ceffone.)
Andrea, la tua osservazione è in parte giusta. Ma non sono d’accordo sul fatto che un gesto simili da parte dei poeti sarebbe, come tu lo definisci, “superfluo”. Io scrivevo che i poeti possono dare inizio a qualcosa, visto la loro condizione più riparata. Dire: guardate, noi lo facciamo, si può. E’ chiaro che se restano da soli, se è vero che i narratori vendono molto di più e per questo sono più rappresentativi, la questione resta irrisolta. Si parlava di inizio, di esempio, di un piccolo primo movimento sottocutaneo. E poi è anche un gesto simbolico, ergo politico, per dirla con Scarpa. La gente inizia a vedere un po’ di libri in copyleft, inizia a porsi il problema, a chiedersi: che cos’è il copyleft? esiste qualcosa di alternativo al copyright? Ad esempio anni fa, non ricordo chi – mi sembra Vassalli – fece uscire il suo libro con la fascetta che recitava: questo libro non partecipa a nessun concorso letterario. Che senso aveva? Dal punto di vista pratico, quell’azione era nulla. Non lo era invece in un’ottica simbolica-politica. La maggior parte del pubblico, che ha una concezione ingenua, quieta e non problematica dei premi letterari, davanti a quella fascetta – vero e proprio gesto di antipropaganda – inizia a domandarsi: e che c’è da vantarsi? c’è qualcosa che non va nei premi letterari? E poi iniziano a parlarne recensori, giornalisti, blogger ecc. (io addirittura l’avevo sentito in tv, per dire). Insomma, prima della portata pratica, effettiva, a me sembra che il gesto simbolico-politico sia importante e in sé produttivo, soprattutto se dovesse diffondersi. Non lo credi? Quanto alle poesie che girano in internet, tutte quelle che io ho letto riportano sempre fedelmente il nome dell’autore ma, soprattutto, i bloggers le leggono, le trascrivono nei loro diari e le comunicano agli altri. Ripeto, si tratta di ufficializzare, disciplinare e dare un senso simbolico-politico a quello che in gran parte già avviene. Come i Wu Ming, come Voce che mette in rete buona parte della sua opera, come Cepollaro e il suo blog “non collaborazionista”. E’ un modo anche per promuovere di più la poesia. La tua casa editrice ad esempio, Andrea, non ha una grande forza di distribuzione e propaganda, nonostante come dice ancora l’ottimo Mozzi la maggior parte delle raccolte poetiche – e quelle più valide, prima di passare alle edizioni prestigiose – passino proprio per piccole invisibili case editrici. E che dire della questione delle generazioni poetiche più giovani, che praticamente hanno poco e nessuno spazio fuori? E’ una battaglia della poesia in senso politico, ma anche per se stessa. Mi sembra che valga la pena provare. D’altronde, qualcosa già si muove…
si volesse segnalare anche sito http://www.sparajurij.com
quale (no)luogo dove prendere con libertà poesie, racconti, foto, video, canzoni, virus, lezioni.
inoltre presenti sezioni dedicate ad autori altri che piaccioni a noi.
ma senza pensare chissà che.