Gli interventi economici cinesi e italiani in Africa

di Marta Tufariello

Stupisce che l’opinione pubblica occidentale ignori quasi totalmente che nell’ultimo decennio molti stati o regioni del continente africano hanno sperimentato un importante processo di stabilizzazione politica e di crescita economica. L’Africa si sta ritagliando un ruolo di crescente rilevanza nel sistema economico mondiale ed è diventata fonte di interesse per tutti i principali attori internazionali. In un mondo dove la popolazione è in costante aumento, ma le riserve di risorse naturali sono in progressivo esaurimento, l’Africa rappresenta una importante fonte di materie prime. La scarsità di materie prime è una delle principali sfide che gli uomini dovranno affrontare, probabilmente in un futuro non troppo lontano. A differenza di quanto sia largamente creduto negli stati occidentali, tale sfida non riguarda solamente i paesi meno sviluppati economicamente, le cui popolazioni sono afflitte da alti livelli di povertà e malnutrizione. Oltre alla forte limitazione della crescita economica mondiale e all’aumento dell’instabilità politica a livello globale, è in gioco anche il mantenimento degli alti standard di vita e dei consumi delle popolazioni dei paesi più ricchi. Di conseguenza, il continente africano ha acquistato sempre più rilevanza nel panorama internazionale, soprattutto dopo l’arrivo all’inizio del ventunesimo secolo di nuovi importanti attori economici come la Repubblica Popolare Cinese (RPC). Inoltre, le vicende interne degli stati africani riguardano in misura sempre maggiore la comunità internazionale, basti considerare l’emergenza causata dalle attività terroristiche negli stati europei e statunitensi e le difficoltà nella gestione delle ondate migratorie.

Africa: una breve panoramica storica

A partire dalla metà dell’Ottocento il continente africano si trova a dover affrontare numerose trasformazioni e continui stravolgimenti politici ed economici. Il processo di conquista delle terre africane da parte delle potenze europee, iniziato nella seconda metà del diciannovesimo secolo, segna un profondo cambiamento nell’assetto politico-territoriale dell’Africa e inserisce il continente nel sistema dell’economia mondiale in una posizione di totale sudditanza economica. Con la fine della prima guerra mondiale termina l’epoca dell’imperialismo coloniale e si assiste alla nascita del movimento nazionalista africano. Dopo la seconda guerra mondiale ha inizio la storica fase della decolonizzazione: tra gli anni cinquanta e sessanta quasi tutti gli stati africani conquistano l’indipendenza e vengono (almeno formalmente) riconosciuti come stati sovrani. Tuttavia, il riconoscimento formale dell’indipendenza non si traduce nella cessazione del controllo europeo sui possedimenti africani un tempo appartenenti agli imperi coloniali: ha inizio la successiva fase del neocolonialismo, nella quale gli stati occidentali continuano a esercitare una forte influenza politica ed economica nella vita del continente africano. Gli stati africani sono deboli e limitati da una forte instabilità politica ed economica. Di conseguenza, prevale l’assetto dello stato autoritario e repressivo e si verifica una militarizzazione del potere. La politica degli aiuti allo sviluppo promossa dai donatori occidentali e dalle istituzioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale non ha gli effetti sperati: nonostante vengano inviati centinaia di milioni di dollari agli stati africani, non si riescono a raggiungere gli obiettivi di crescita economica e di riduzione della povertà. Al contrario, la dipendenza dagli aiuti condanna gli stati africani a un circolo vizioso di corruzione, indebolimento delle istituzioni, conflitti armati, inflazione, riduzione degli investimenti e infine scoraggiamento della crescita economica.[ii] È solo durante gli ultimi anni del Novecento che si possono osservare i primi segnali di ripresa economica e di riforma politica.

Il continente africano inizia il ventunesimo secolo registrando una incoraggiante crescita economica e una maggiore stabilità politica, alle quali si aggiungono importanti progressi sul fronte sanitario e dell’istruzione. L’Africa è riuscita a ritagliarsi un nuovo ruolo di preminenza a livello internazionale ed è diventata principale terreno di competizione per l’acquisizione delle risorse globali. Inoltre, tra il 2000 e il 2017 il continente africano è stato il principale destinatario di Investimenti Diretti Esteri (IDE) tra le regioni meno sviluppate del mondo.[iii]

La Repubblica Popolare Cinese emerge tra i principali attori internazionali presenti nel continente africano: in pochi anni è diventata primo partner commerciale dell’Africa e può vantare una solida presenza economica e politica nel continente grazie all’istituzione del Forum on China Africa Cooperation (FOCAC), alla presenza di ambasciate in quasi tutti gli stati africani e allo sviluppo della nuova iniziativa One Belt One Road (OBOR).

Nel 2000 viene inaugurato il primo Forum on China Africa Cooperation (FOCAC), di cui fanno parte cinquanta stati africani e che si pone l’obiettivo di istituzionalizzare le relazioni tra Cina e Africa e favorire un percorso di sviluppo comune basato sul dialogo paritario, sulla comprensione e sulla cooperazione. Tenutosi ogni tre anni, alternativamente in Cina e in uno stato africano, il FOCAC ha segnato un cambiamento delle relazioni sino-africane, che cessano di essere prevalentemente diplomatiche e riflettono invece i nuovi interessi commerciali e politici cinesi: verso la fine del Novecento gli interessi della Cina in Africa abbandonano l’ambito ideologico, focalizzandosi sull’acquisizione di risorse naturali e sul supporto politico che i cinquanta stati africani possono garantire alla Cina all’interno delle organizzazioni internazionali. Il FOCAC rappresenta dunque una piattaforma per coordinare e potenziare queste relazioni, creando un’alternativa alle istituzioni occidentali. Ogni forum approva un piano per i due anni seguenti che prevede lo sviluppo di diverse forme di cooperazione economica e finanziaria, come l’erogazione di prestiti e di aiuti allo sviluppo, che interessano diversi settori (infrastrutture, agricoltura, sviluppo tecnologico, progetti sociali). Nel corso di questi forum il governo cinese ha annunciato la cancellazione del debito contratto dagli stati africani per un valore superiore a 2 miliardi di dollari e lo stanziamento di notevoli prestiti (10 miliardi di dollari nel 2006, 20 miliardi di dollari nel 2010 destinati allo sviluppo delle infrastrutture, dell’agricoltura, della manifattura e delle piccole e medie imprese).[iv] Il 3 e 4 settembre 2018 Pechino ha ospitato la settima edizione del Forum, al quale hanno preso parte oltre 50 capi di stato e di governo africani e attori internazionali. Il presidente della RPC Xi Jinping ha annunciato lo stanziamento di altri 60 miliardi di dollari per l’Africa in forma di prestiti, linee di credito, fondi speciali, sgravi fiscali e progetti infrastrutturali, stessa cifra di aiuti stanziata nei tre anni precedenti. Questo impressionante flusso di investimenti deve essere considerato nell’ambito del nuovo grande progetto lanciato dalla RPC nel Forum del 2013: la One Belt One Road (OBOR), definita anche Belt and Road Initiative o Nuova Via della Seta. L’OBOR è un piano commerciale e infrastrutturale di ammodernamento transcontinentale, che prevede la costruzione di una cintura di trasporti e servizi, terrestri e marittimi, al fine di collegare la Cina all’Africa, all’Asia e all’Europa, e di consolidare la sua egemonia mondiale. Nel caso specifico dell’Africa è prevista la costruzione di una rotta via mare e di investimenti per lo sviluppo logistico del continente, in particolare di determinati paesi strategici, con la costruzione di nuove linee ferroviarie e l’ammodernamento di porti come Gibuti, Tripoli, Port Said e Lagos.[v] L’Unione Africana ha riconosciuto l’OBOR come progetto complementare agli obiettivi di Agenda 2063, un piano di sviluppo infrastrutturale che mira alla trasformazione socio-economica del continente africano, e ha deciso di aprire una sua sede a Pechino, come segno della volontà di rivestire un ruolo attivo nei processi decisionali della Nuova Via della Seta.[vi]

L’impegno cinese in Africa viene guidato dal concetto della win-win cooperation, che consiste nell’instaurare relazioni economiche da cui possono trarre vantaggio sia la RPC che gli stati africani. La strategia della RPC mostra sostanziali differenze rispetto al modello occidentale, in quanto basata sul principio di non interferenza e sulle nozioni di eguaglianza politica, di indipendenza e di autodeterminazione degli stati africani. I paesi del continente africano possono dunque avere accesso a prestiti agevolati svincolati da qualsiasi criterio di condizionalità economica e politica.

Sebbene l’intervento cinese in Africa presenti numerosi aspetti positivi, emergono anche diverse criticità. L’arrivo della RPC in Africa è riuscito a ridare al continente un valore reale, risvegliando l’interesse della comunità internazionale per le terre africane, a lungo dimenticate e sottovalutate. Inoltre, la diffusione di prodotti a basso costo e la costruzione di importanti infrastrutture hanno permesso un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione africana e una consistente diminuzione della disoccupazione. Tuttavia, non sono da sottovalutare il forte danno ambientale e i pericolosi effetti competitivi per alcuni settori dell’economia locale, generati dalla massiccia importazione di prodotti cinesi a basso costo. Risultano ancora problematiche le condizioni di lavoro degli operai africani nelle società cinesi: in Zambia gli operai sono costretti a lavorare senza sosta in zone a rischio, con insufficienti dispositivi di protezione e perennemente sotto minaccia di licenziamento. Infine, la RPC sostiene militarmente regimi dittatoriali responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Analogamente alle potenze occidentali, la Cina infatti sfrutta le situazioni di conflitto per avere accesso alle risorse e far circolare le proprie armi in Africa.

 

La Repubblica Italiana in Africa

La presenza italiana in Africa invece rimane estremamente limitata e inferiore al potenziale per tutto il corso del Novecento: il continente africano si è limitato infatti a rivestire un ruolo marginale nella politica estera della penisola, che ne ha fortemente sottovalutato l’importanza e le potenzialità.

Da tale quadro di scarsa presenza economica ed esigua influenza politica si distacca solamente l’Eni, multinazionale italiana dell’energia che è attiva in Africa fin dagli anni cinquanta ed è riuscita a imporsi come principale operatore petrolifero mondiale nel continente africano. Proprio grazie ai cospicui investimenti di Eni è stato possibile porre le basi per una riscoperta di interesse da parte dell’Italia per gli stati africani. Negli ultimi anni si è assistito infatti a un improvviso e consistente aumento degli investimenti diretti esteri italiani verso il continente e in poco tempo l’Italia è tornata in cima alla classifica degli investitori in Africa, collocandosi come terzo investitore mondiale.

A differenza dell’approccio sistematico e organizzato del governo della Repubblica Popolare Cinese, l’intervento italiano in Africa non è guidato da una chiara strategia statale. Tuttavia, vi sono iniziative di singoli enti o imprese italiane che meritano di essere prese in considerazione. Uno degli attori pubblici più rilevanti presenti in Africa è l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che sebbene sia nata da pochi anni è già operativa nel continente africano con diversi progetti orientati allo sviluppo rurale, al supporto delle imprese e del settore pubblico africani e all’intervento umanitario. Di grande rilievo sono anche le numerose Organizzazioni Non Governative, come il Centro Laici Italiani per le Missioni (CeLIM), che ha contribuito a migliorare sensibilmente le possibilità lavorative di molti giovani in Zambia grazie alla creazione dello Youth Community Training Centre.

Tra le imprese italiane presenti in Africa emergono per importanza Eni, Salini Impregilo e il Gruppo Trevi. L’impegno del gruppo Salini Impregilo in Africa risale agli anni cinquanta e ha permesso la realizzazione di progetti in 40 stati africani in tutti i settori delle grandi infrastrutture, tra i quali si distinguono GIBE III e GERD in Etiopia (le più grandi dighe in Africa). La costruzione di tali impianti idroelettrici ha consentito la creazione di migliaia di posti di lavoro e ha costituito un impulso alla crescita economica dello stato africano. Inoltre, la popolazione ha beneficiato di corsi di formazione professionale e della costruzione di scuole e di strutture sanitarie.

Tuttavia, gli interventi delle aziende italiane nei settori dell’estrazione petrolifera e della costruzione delle infrastrutture hanno presentato numerosi aspetti problematici. L’attività di estrazione petrolifera di Eni in Congo ha causato ingenti danni ambientali: l’acidificazione del terreno, l’inquinamento delle falde acquifere e dell’aria hanno reso impossibile praticare la pesca e l’allevamento e hanno provocato un consistente peggioramento delle condizioni di vita della popolazione locale. Analoghe problematiche sono state osservate in Etiopia a causa della costruzione delle dighe da parte di Salini Impregilo: i danni ambientali minacciano la sicurezza alimentare di centinaia di migliaia di indigeni, che sono costretti a subire violenze e trasferimenti forzati.

 

Le due strategie a confronto

Emerge chiaramente che esiste una profonda differenza tra l’approccio perseguito dalla RPC e quello italiano in Africa. Il continente africano riveste un ruolo molto rilevante nella strategia del governo cinese, che negli ultimi venti anni ha impegnato ingenti risorse per acquisire il controllo delle materie prime localizzate in Africa (e in altre regioni del mondo), di cui ha fortemente bisogno per sostenere la propria straordinaria crescita economica e per soddisfare la domanda interna. Inoltre, il continente nero rappresenta una delle destinazioni della diaspora cinese, favorita dal governo per alleviare la pressione demografica in Cina, creare occupazione e gestire l’incremento del consumo di beni e servizi, prodotto dal miglioramento degli standard di vita sperimentato dalla popolazione cinese. Di conseguenza, il governo cinese, che riveste un ruolo centrale nelle attività economiche e commerciali dello stato, spinge tutti i soggetti economici ad aderire ai suoi obiettivi di investimento in Africa e favorisce il consolidamento della presenza cinese nel continente. Le aziende cinesi infatti possono contare sul completo appoggio dello stato in termini di finanziamenti, di prestiti agevolati e dell’accesso privilegiato a contatti governativi esteri. Tali vantaggi consentono alle compagnie cinesi di vincere la concorrenza e di assicurarsi la maggior parte delle gare d’appalto.

Al contrario, nella strategia del governo italiano gli stati africani rivestono solamente un ruolo marginale e l’impegno italiano nel continente rimane limitato a iniziative improvvisate e altalenanti orientate sul breve termine. Sebbene le aziende italiane abbiano enormi potenzialità in Africa date dai prodotti di alta qualità del made in Italy e dalle competenze nel settore dello sviluppo sostenibile, la loro presenza nel continente rimane molto limitata. Il principale fattore alla base del mancato sviluppo della presenza italiana in Africa è la totale assenza di sostegno del sistema bancario-creditizio e delle istituzioni di supporto pubblico nazionali. A differenza delle aziende cinesi, le imprese italiane non possono contare su finanziamenti statali dedicati e di conseguenza non possono competere con la concorrenza cinese. Il mancato sostegno statale e la forte discontinuità nella politica estera italiana costituiscono due fattori estremamente penalizzanti per le aziende italiane, come testimonia Paolo Porcelli, amministratore delegato della Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna (Cmc), che opera in Mozambico da trent’anni.[1] Porcelli afferma che sebbene vi siano enormi possibilità per le imprese italiane in Africa, si soffre l’assenza del sistema bancario italiano e, mancando il necessario supporto finanziario, risulta impossibile competere con i cinesi che finanziano intere grandi opere grazie alle risorse statali.

Ulteriori fattori che incidono negativamente sulle possibilità di espansione delle società italiane in Africa sono la comunicazione mediatica pervasa di stereotipi tradizionali, che rallenta la percezione collettiva delle opportunità offerte dalle economie africane in crescita, l’assenza di coordinamento tra le aziende e l’insufficiente organizzazione per affrontare i mercati internazionali.  Il personale delle imprese italiane infatti non dispone spesso di sufficienti conoscenze linguistiche e manca la conoscenza della struttura geografica ed economica del continente e delle dinamiche di sviluppo locali.

 

Per concludere

Da quanto emerso dalle mie ricerche posso affermare che gli investimenti della RPC abbiano un impatto più positivo sul benessere delle popolazioni africane rispetto a quelli italiani. L’arrivo della Cina in Africa ha permesso di spezzare il controllo che gli stati occidentali detenevano sul campo delle risorse naturali africane e ha consentito al continente africano di abbandonare il ruolo marginale a cui era stato condannato dalle potenze occidentali per iniziare a essere considerato come importante destinazione di investimenti.[vii] Inoltre, l’aumento degli scambi commerciali tra Cina e Africa riapre delle possibilità per il commercio africano che le misure protezioniste occidentali avevano negato. La RPC si è impegnata nello stringere relazioni economiche con gli stati africani basate su mutui benefici e su un rapporto di parità, a differenza del tradizionale approccio “paternalista” occidentale. Grazie alla costruzione di scuole, strade, ferrovie e di ospedali la RPC ha contribuito a un reale miglioramento della vita locale. Diverse indagini mostrano infatti che la presenza cinese gode di un consenso diffuso in numerose regioni dell’Africa, venendo spesso preferita rispetto all’intervento occidentale. Tuttavia, la Cina deve impegnarsi per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori africani, soprattutto nel settore dell’estrazione mineraria. Gli stati africani spesso condividono parte della responsabilità per le pessime condizioni di lavoro che gli operai locali devono sopportare. Risulta quindi fondamentale per i diversi governi africani dotarsi di nuove e chiare regolamentazioni ambientali, politiche e lavorative. Inoltre, in numerosi paesi emerge la necessità di incrementare i fondi e il personale a disposizione del governo, al fine di garantire il rispetto delle leggi da parte degli investitori stranieri e di assicurare una maggiore tutela ai propri cittadini lavoratori.

 

NOTE

[i] Gian Paolo CALCHI NOVATI, Pierluigi VALSECCHI, Africa: la storia ritrovata, Roma, Carocci, 2016, p. 46

[ii] Moyo DAMBISA, Dead Aid: Why Aid Is Not Working and How There Is Another Way for Africa, Allen Lane, Penguin Books, Londra, 2009, pp. 48-67

[iii] Maddalena PROCOPIO, Investimenti: chi gioca la partita in Africa, in ISPI, ottobre 2018, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/investimenti-chi-gioca-la-partita-africa-21298, consultato il 7.11.18

[iv] Giovanni CARBONE, Gianpaolo BRUNO, Gian Paolo CALCHI NOVATI, Marta MONTANINI, La politica dell’Italia in Africa, ISPI, 2013, p. 54

[v] Paola BOSSO, “I nuovi enormi investimenti della Cina in Africa”, in Il Post, 4 settembre 2018, https://www.ilpost.it/2018/09/04/i-nuovi-enormi-investimenti-della-cina-in-africa/, consultato il 15.09.18

[vi] Maddalena PROCOPIO, “Forum Cina-Africa: cosa è cambiato in 18anni?”, cit., https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/forum-cina-africa-cosa-e-cambiato-18-anni-21173, consultato il 15.09.18

[vii] Moyo DAMBISA, Winner take all “China: Race for Resources and What it Means for Us, cit., p. 89

 

 

Riferimenti bibliografici

Gian Paolo CALCHI NOVATI, Pierluigi VALSECCHI, Africa: la storia ritrovata, Roma, Carocci, 2016

Giovanni CARBONE, Gianpaolo BRUNO, Gian Paolo CALCHI NOVATI, Marta MONTANINI, La politica dell’Italia in Africa, ISPI, 2013

Moyo DAMBISA, Dead Aid: Why Aid Is Not Working and How There Is Another Way for Africa, Allen Lane, Londra, Penguin Books, 2009

Moyo DAMBISA, Winner take all “China: Race for Resources and What it Means for Us, New York, Basic Books, 2012

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biagio cepollaro
biagio cepollaro
Biagio Cepollaro, nato a Napoli nel 1959, vive a Milano. Esordisce come poeta nel 1984 con Le parole di Eliodora (Forum/Quinta generazione), nel 1993 pubblica Scribeide (Piero Manni ed.) con prefazione di Romano Luperini e Luna persciente (Carlo Mancosu ed.) con prefazione di Guido Guglielmi. Sono gli anni della poetica idiolettale e plurilinguista, del Gruppo 93 e della rivista Baldus . Con Fabrica (Zona ed., 2002), Versi nuovi (Oedipus ed., 2004) e Lavoro da fare (e-book del 2006) la lingua poetica diventa sempre più essenziale aprendosi a una dimensione meditativa della poesia. Questa seconda fase del suo percorso è caratterizzata da pionieristiche attività editoriali in rete che danno vita alle edizioni on line di ristampe di autori come Niccolai, Di Ruscio e di inediti di Amelia Rosselli, a cui si aggiungono le riviste-blog, come Poesia da fare (dal 2003) e Per una Critica futura (2007-2010). Nello stesso periodo si dedica intensamente alla pittura (La materia delle parole, a cura di Elisabetta Longari, Galleria Ostrakon, Milano, 2011), pubblicando libri che raccolgono versi e immagini, come Da strato a strato, prefato da Giovanni Anceschi, La Camera Verde, 2009. Il primo libro di una nuova trilogia poetica, Le qualità, esce presso La Camera Verde nel 2012. E' in corso di pubblicazione il secondo libro, La curva del giorno, presso L'arcolaio editrice. Sito-archivio: www.cepollaro.it Blog dedicato alla poesia dal 2003: www.poesiadafare.wordpress.com Blog dedicato all’arte: http://cepollaroarte.wordpress.com/