Un nuovo internazionalismo # 2
di Una città
Poteva andare diversamente?
Forse dalla guerra all’Irak non poteva venir nulla di buono. E’ stata una guerra di invasione, illegittima perché al di fuori di ogni regola del diritto internazionale e, peggio, politicamente criminale perché ha strumentalizzato i morti delle Torri e la lotta al terrorismo (che quindi si continuava a sottovalutare) per perseguire, con una campagna di menzogne, tutt’altro obiettivo: acquisire, attraverso la conquista dell’Irak, che con il terrorismo non c’entrava nulla, una posizione di supremazia sullo scacchiere geopolitico internazionale.
Ora, la furbizia in politica forse può essere usata, ma solo per facilitare il perseguimento di un obiettivo dichiarato (“Rambouillet” per far finalmente cadere Milosevic e salvare il Kossovo), mai per far passare interessi e obiettivi inconfessabili. Diventa solo cinismo che si associa, spesso e volentieri, con la stupidità.
Nel suo piccolissimo anche Aznar ha tentato di fare il furbo. Doveva semplicemente dire: “Spero solo che a fare questo scempio non sia stato uno spagnolo”. Ha lasciato intendere che desiderava ardentemente il contrario per non essere danneggiato alle elezioni. Di fronte ai corpi straziati di tanti suoi concittadini ha pensato alle elezioni, cioè a sé. Così, alle elezioni, ci hanno pensato anche tanti altri.
In questi giorni tanti “opinionisti” nostrani si sono sprecati senza vergogna a offendere gli spagnoli, che avrebbero votato per Bin Laden, che sarebbero scappati al primo attentato. Offendono solo la democrazia in cui dicono di credere e che vorrebbero esportare ovunque a suon di bombe. Un indecente foglio di propaganda della destra, che non aveva battuto ciglio per la sistematica campagna di menzogne sulle armi di Saddam, è arrivato a sostenere che il risultato elettorale era stato influenzato da una campagna mediatica di sinistra incentrata sulla menzogna che Aznar avesse detto “Eta”. (In realtà questi democratici non sanno nemmeno cosa sia lo spirito democratico: disprezzano la gente, soprattutto se povera; desiderano pensare che sia manipolabile, bieca massa di manovra. Che in 24 ore, tramite telefonini ed email, si siano mossi milioni di elettori, e abbiano discusso, e abbiano casomai deciso come votare e che tutto questo sia stato una prova straordinaria della forza e della grandezza della democrazia, non li sfiora neanche: qualcuno deve aver complottato, deve aver orchestrato. Lasciamo perdere, non val la pena).
Agli altri chiediamo: se uno spagnolo pensava che la guerra all’Irak fosse ingiusta, che fosse anche un disastro foriero di altri disastri, che il terrorismo ne avrebbe tratto tutti i vantaggi possibili, che l’allineamento servile della Spagna all’America della guerra preventiva fosse controproducente per la Spagna e l’Europa, cosa doveva fare? Votare per Aznar e quindi per Bush per via dell’attentato? Ma basterebbe anche solo la prima delle questioni -la guerra era giusta o ingiusta?- a far mettere da parte ogni considerazione sul “a chi giova?”. Altrimenti ogni gerarchia di valore salta: in questo momento, siccome battersi per la causa cecena vorrebbe dire anche aiutare i patrioti ceceni divenuti islamisti, dovremmo restare indifferenti di fronte a quello che potrebbe essere un genocidio? L’opposizione a una guerra odiosa come quella del Vietnam era sbagliata visto che andava anche a rafforzare l’altro totalitarismo, quello rosso?
Il fatto è che la domanda “a chi giova” è sempre insidiosa, tendenzialmente paranoica; l’esercizio delle libertà democratiche, non può che essere “spensierato”. La stessa debolezza che tale esercizio implica -perder tempo a discutere, far decidere alla maggioranza, attribuire a ogni testa un voto, concedere la libertà a chi vuole distruggerla, nonché, a volte, dover “mandar su” per pochi voti una testa vuota- è la sua forza, al fondo.
Hanno pure tirato fuori lo “spirito di Monaco” e ne parlano come se fare la guerra, sempre e comunque, sia il rimedio per scacciare tale spirito. Noi non sappiamo bene, ma immaginiamo che lo spirito di Monaco sia l’incapacità di capire il nemico e le sue mire, la tendenza a scambiare i propri desideri con la realtà, che in quel caso, certo, erano desideri di pace, di quieto vivere, e di lì l’arrendevolezza, la disponibilità a compromessi inutili, se non ignobili. Ma questo cosa c’entra con l’invasione dell’Irak? Chi sono gli attori? Chi sarebbe la Cecoslovacchia e chi se la vuol prendere? Se l’Europa per quieto vivere fosse rimasta inerte di fronte all’invasione del Kuwait poteva essere il caso, ma fece la sua parte. Allora?
Attenzione, perché poi l’incapacità di capire il nemico può agire anche al contrario: un presidente americano ossessionato dallo spirito di Monaco avrebbe potuto scatenare la guerra atomica per la crisi di Cuba. Il primo dovere per un politico, e anche per un capo militare, visto che per professione vogliono, e devono, assumersi la responsabilità della vita degli altri, è l’intelligenza. E’ quasi un dovere morale ed è vissuta come tale. La domanda “che fare?”, “cosa è giusto fare?” è drammatica per un capo. Guai, allora, allo zelo. Lo zelo mina nell’intimo la capacità di decidere con intelligenza.
C’è lo zelo del coraggio, appunto. Poi c’è quello del parvenu, che purtroppo è quello che ci sta coprendo di ridicolo nel primo, secondo, terzo e quarto mondo (entrare nel salotto dei potenti della terra inebria, ma non basta, non basterà mai nulla, e allora bisogna esser di casa, mostrare familiarità, così una bella pacca sulla spalla all’amicone Putin e via, “la Cecenia?”, “bene, tutto bene”). C’è lo zelo dell’imboscato che è il peggiore, perché può mutarsi in quello del linciatore; meglio, di colui che al momento giusto dice la parola giusta e poi si mette alla finestra con gli occhi di traverso. Li vediamo, li sentiamo. C’è qualcosa nell’aria, come suol dirsi nei film. Un miserabile che dirige un quotidiano, rivolgendosi ai sequestratori degli italiani, ha scritto: “Attenti, abbiamo circa 800.000 potenziali ostaggi a portata di mano”, e parlava dei nostri extracomunitari originari di paesi di religione musulmana. Ebbene costui è stato poi invitato in Tv a spiegare meglio cosa volesse dire e anche a dir la sua sull’Irak… Se pensiamo che nel frattempo in Francia il sociologo Edgar Morin, che immaginiamo persona mite, è sotto processo perché ha scritto: “Gli ebrei di Israele, discendenti di vittime di un apartheid chiamato ghetto, ghettizzano i palestinesi. Gli ebrei che furono umiliati, disprezzati e perseguitati umiliano, disprezzano e perseguitano i palestinesi…”… Il reato è quello di diffamazione razziale perché con l’espressione “ebrei di Israele” si addita tutta una nazione, con l’aggravante dello slittamento semantico della seconda frase, dove addirittura si omette (forse l’aveva solo sottinteso, no?) “di Israele”. “Slittamento semantico”. Sarà pure grave, ma… Sembra un mondo impazzito.
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Una città, 119, marzo 2004 – Continua