La lista di Natale

di Marco Candida

Seguo da svariati anni ciò che fa, dice, scrive il giovane Marco Candida. Ieri ha pubblicato nel suo estroso blog un pezzo assai interessante; che ha l’aspetto di un racconto ma non è un racconto (è però letteratura); che è in sostanza l’ennesima formulazione di una domanda semplice, semplice: una di quelle domande che un narratore dovrebbe scriversi sul muro, e contemplare tutti i giorni; e pur essendo l’ennesima formulazione, mi è sembrata così elegante e utile (fare bene le domande, è un’attività utile) da meritare di essere letta da più persone. Così mi permetto, con il suo consenso, di riprendere il pezzo qui in Nazione Indiana. [giulio mozzi]

La lista di Natale, di Marco Candida

Original Message
From: francescod@stradesicure.com
To: isa.bell.a@libero.it
Sent: Dicember 21, 2003 10:15 PM
Subject: La lista di Natale

Ciao Isa,
ti sto cercando il regalo di Natale, così giro con la lista delle cose che nel corso dell’anno hai detto che ti piacciono e che vorresti avere. ti ricordi quando tre mesi fa siamo stati a Venezia e davanti alla vetrina di quel gioielliere hai detto che ti piaceva quella fila di perline rosso corallo particolarissima – e, hai aggiunto, nemmeno troppo costosa? bene, senza farmi vedere, in un foglietto, io la ho annotata. ti ricordi quando due mesi fa all’ipermercato di Voghera hai visto quella macchina fotografica e hai detto che ti piacerebbe averne una? bene, si tratta di una macchina fotografica digitale Magnex DC-3320 Digital Camera e sai perché lo so? perché, senza farmi vedere, in un foglietto, la ho annotata. e la scorsa settimana? ti ricordi quando la scorsa settimana siamo stati a Milano all’Ikea e tu hai visto quel letto matrimoniale tutto da montare? bene, io lo ho annotato – e, te lo devo dire, lo ho anche già depennato. cosa te ne fai di un letto matrimoniale dell’Ikea?

(Ho annotato anche altre cose, Isa, non ti preoccupare :-D)

Lo sai che non faccio altro che annotare cose, è naturale, Isa, che abbia annotato anche le cose che ti piacciono e che ti potrei regalare ed è naturale anche che tu non te ne sia accorta, visto che non faccio altro che scrivere e scrivere e scrivere – come troppo spesso tu stessa mi rimproveri. ho inserito nella lista un buon numero di cose che ti piacciono e che ti potrei regalare. non ti dico il numero – non voglio farti preoccupare –, però voglio dirti che sono un buon numero. non so ancora quale ti comprerò di queste cose, ma ho già delle idee e, comunque, sto girando per cambiarne alcune e farmene venire delle altre. vado per ipermercati, supermercati, grandi magazzini, negozi.

E’ curioso, non ci avevo mai fatto caso prima, ma, girando, mi sono reso conto che ci sono moltissimi negozi e grandi magazzini che nel nome della loro insegna portano la parola “mondo”. che so? Mondo Sposi; Mondo Arredi; Mondo Bagni; Mondo Flora; e via così. è curioso per me, lo sai, perché scrivo e sono necessariamente interessato alla “costruzione di mondi”. anche tra di noi ne abbiamo parlato – o meglio discusso – qualche volta. ti ricordi quattro mesi fa quando siamo stati a casa di tua cugina a Courmayeur? mi hai accusato dicendo che io vivo in un altro mondo – hai precisamente detto, me lo ricordo, “tu vivi in un altro mondo” – e io ti ho risposto che no, non è così, che è questo il mondo nel quale vivo e mi sposto e incontro resistenze ai miei sensi. ma tu, imperterrita, hai continuato a dire che io non parlo mai di questo mondo, di un mondo che ci assomiglia, questo, magari, sì, ma non di questo mondo, di sicuro non di questo mondo qui. mi hai detto, me lo ricordo, perché avevamo ordinato caffé con la grappa in un bar fatto tutto di legno, ricordi?, compresi i portacenere, mi hai detto, dicevo, che io, poi, nemmeno parlo di un mondo, ma di tanti mondi, anzi, me lo ricordo, hai usato l’espressione di “tanti pezzetti di mondi”. e poi hai aggiunto, mentre sorseggiavi il caffé con la grappa, hai aggiunto che tutti questi pezzetti di mondi, tutti insieme, però non fanno un solo mondo, un mondo intero. lo hai detto e io me lo ricordo – come mi ricordo il mal di stomaco che mi ha procurato quel caffé con la grappa a Courmayeur.

C’è una frase di Umberto Eco, adesso che scrivo, che mi torna in mente. lo so che non ti piace quando faccio citazioni, ma questa è una frase che ci sta proprio a pennello, Isa. la frase dice:”Leggendo Ruggero Bacone, ci stupiamo come egli avesse decisamente asserito la possibilità di macchine volanti e lo consideriamo altrettanto brillante di Leonardo; ma Leonardo le aveva rozzamente descritte, Bacone le aveva solo genialmente postulate limitandosi a nominarle”. ecco, Isa, io, al momento, credo di fare la stessa cosa che faceva Ruggero Bacone molti secoli fa e che ricorda Umberto Eco: io non costruisco mondi, li nomino soltanto. dico che ci sono alcune cose di questo mondo e alcune cose di quest’altro mondo, ma queste cose non le metto mai in alcuna relazione tra loro: cioè non costruisco un mondo, un congegno coordinato che funzioni secondo leggi proprie.

Ora, per tornare alla lista di cose che ti piacciono e che ti potrei regalare, negli ultimi periodi, girando per ipermercati e grandi magazzini e negozi, spesso sono entrato in questi ipermercati-mondo o grandi magazzini-mondo o negozi-mondo. superavo la porta d’ingresso di uno di questi posti ed era come oltrepassare una nuova dimensione e venire a contatto con un mondo parallelo: un mondo tutto fatto di bagni o tutto fatto arredamenti o tutto fatto di piante e fiori o di articoli per la caccia e per la pesca. girando per gli scaffali di questi mondi e osservandone la merce con la lista in mano, in cerca dell’oggetto per te, Isa, ho pensato che un mondo è innanzitutto un campo di oggetti e che per definire un mondo è necessario innanzitutto definirne gli oggetti. esistono mondi di due pagine e mondi di duecento pagine, esistono mondi di quattordici versi e mondi di quattrocentoquattordici versi, ma il principio non cambia: definire un mondo è definirne gli oggetti. prima di affrettare conclusioni, però, ho pensato ad alcune riviste come MondoMotori o MondoLegno o MondoCasa. in queste riviste non ci sono solo oggetti come succede negli ipermercati, nei grandi magazzini e nei negozi, ma ci sono anche soggetti: i motociclisti nel caso di MondoMotori o, per dire, i designer e gli architetti, nel caso di MondoCasa. orbene, Isa, non vorrei apparirti troppo cinico, ma tendo a mettere i soggetti descritti all’interno di queste riviste sullo stesso piano degli oggetti. anche un soggetto, almeno quando bisogna costruire un mondo in una narrazione, non è altro che un campo di oggetti alla stessa stregua, insomma, di un mondo vero e proprio: non è forse vero che un soggetto è qualificato dagli oggetti che possiede e che utilizza più frequentemente? è plausibile ipotizzare che un motociclista, per essere tale, sia attorniato da oggetti che fanno parte del mondo dei motori e che, quando parla, si riferisca, almeno prevalentemente, ad oggetti appartenenti al mondo dei motori: questo, almeno dal punto di vista della costruzione di un mondo in una narrazione, lo mette in una posizione di sostanziale parità con gli oggetti del mondo di cui fa parte. descrivere un soggetto – una persona, ma anche un animale o un essere semovente – significa descrivere gli oggetti che gli stanno intorno e che gli riempiono la testa e che, di conseguenza, almeno nei casi più frequenti ed elementari, diventano parole e discorsi e determinano le sua azioni e i suoi comportamenti.

Ciò a cui tento di arrivare, Isa, è che tutte le volte che sono entrato in un mondo-ipermercato o mondo-grande magazzino o mondo-negozio e poi ne sono uscito, con uno scontrino nel portafoglio e in mano un sacchetto di plastica con dentro qualche oggetto incartato, avevo con me, dentro a quel sacchetto, un pezzetto di quel mondo. è come se ogni volta avessi prelevato un pezzetto di mondo da un negozio, poi da un altro negozio, poi da un altro negozio ancora, o da un grande magazzino o da un ipermercato, come se avessi portato a casa tanti pezzetti di mondi: e ciascun pezzetto di mondo, ognuno di questi pezzetti, finiranno prima o poi nel tuo mondo – e di riflesso, quindi, anche nel mio. insomma, Isa, ho pensato che il mio mondo e il tuo mondo e tutti i mondi di tutte le persone non assomigliano per niente al mondo degli ipermercati o dei grandi magazzini o dei negozi, ho pensato che questi mondi sono finzioni, sono, come ho detto, mondi plausibili, ma altamente improbabili: perché non esiste davvero un mondo tutto fatto di bagni e di accessori per il bagno o di cucine e di accessori per la cucina. non esiste davvero un mondo totalmente uniforme, congruo e omogeneo, ma, anzi, esiste soltanto un mondo totalmente multiforme, incongruo e disomogeneo, tutto fatto di pezzetti di mondi gli uni diversi dagli altri, che stanno uno accanto all’altro, il pezzetto di un mondo e il pezzetto di un altro mondo: un mondo di mondi, se vuoi. quello che voglio dire, Isa, è che nessuno di noi sa costruirsi e sa vivere davvero dentro un solo mondo, un mondo intero – come tu lo hai chiamato quella volta a Courmayeur. nessuno. è vero, ci proviamo continuamente. cerchiamo quel principio unificatore alla luce del quale tutte le persone e tutte le cose e tutti gli eventi appaiano finalmente omogenei, seguano tutti finalmente lo stesso senso: principi come la fede, i figli, la destra e la sinistra, l’amore, il danaro, essere juventini e essere contro gli juventini, avere tutti i capelli biondi e gli occhi azzurri e via così. gli artisti e soprattutto i filosofi altro non fanno che andare a caccia di questi principi attorno ai quali organizzare la realtà, la vita, questo mondo che è fatto di tanti pezzetti di mondi gli uni diversi dagli altri; però lo sappiamo, è banale dirlo, ma lo sappiamo che nessuno riesce davvero a trovarlo, magari lo trova per un po’, o pensa per un po’ di averlo trovato, ma non è vero, perché il principio non c’è, non c’è mai.

La mia incapacità a costruire un solo mondo nelle narrazioni, a descriverlo nei dettagli e a renderlo sensato e credibile, rispecchia la mia incapacità a costruire un solo mondo nella vita reale, un mondo dove “tutto va come deve andare” in forza di una qualche logica, di un qualche principio che lo ispiri e che lo guidi. io non ho la minima idea di quale sia il mio mondo nella vita reale, Isa, e non so proprio quale posto occupare in questo presunto mondo della vita reale. non sono ancora in grado di trovare un principio attorno al quale coagulare tutti gli oggetti e tutte le idee che riempiono i miei spazi e la mia testa, un solo principio alla luce del quale organizzarmi la vita. semplicemente, Isa, io ancora non ce la faccio. per me, per adesso, riuscire a fare questo – a costruire il mio mondo – è riuscire a credere in una illusione, e, considerami un immaturo, se vuoi, io ancora non riesco a farlo, né credo che riuscirò a farlo mai.

La vita, per me, Isa è solo un gran casino e non credo proprio che sia di aiuto, che risolva il casino, o che sia di una qualche consolazione – dove sta la consolazione se il casino non si risolve? – immaginare un mondo dove nei paesaggi non si incontrano mai edifici incongrui, o un mondo dove esistono solo bagni e ogni altro oggetto che non sia un bagno ha però a che fare con i bagni – e non oso nemmeno immaginare quali potrebbero essere gli abitanti di un mondo così fatto – o dove tutte le persone sono eroi valorosi pronti a morire per un ideale, o dove il pessimismo ispira la lettura di qualunque evento, o dove la morte non esiste ed esiste solo la felicità – solo la felicità, senza nessun altro sentimento, Isa, è possibile immaginarlo?… e consola? – o chissà cos’altro ancora.

Anche la lista delle cose che ti piacciono e che ti potrei regalare è un gran casino: ci sono cose le più disparate tra di loro; e rileggendola adesso, mi domando quale potrebbe essere quella che ti farebbe più piacere ricevere. magari, penso, quella più congrua alle tue aspettative e al tuo mondo…
Ma è proprio così?

Magari la cosa che ti farebbe più piacere ricevere, Isa, è proprio quella che non c’entra niente con te e con il tuo mondo.

Proprio non lo so, Isa.
Ci sto ancora pensando.

un bacio
francesco

[se volete commentare, cercate questo articolo nell’archivio del mese di luglio 2004: da lì si accede ai commenti]

7 COMMENTS

  1. Che cos’è la sega mentale ? L’incapacità (o forse il rifiuto più o meno cosciente) di prendere atto di una cosa spiacevole: il mondo è quello che è, e non quello che piacerebbe a noi. Naturalmente ci sono vari modi per ovviare a questo inconveniente. Grosso modo, sono di due tipi: 1) ci si fa il culo e si opera concretamente per modificare qualche aspetto specifico della realtà (metodo maschile, che spesso non ha successo ed è fonte di grosse frustrazioni), 2) ci si rinchiude in un mondo ristretto alla famiglia, alla cerchia di amicizie, e poco altro, e si fa finta che il mondo sia quello e solo quello (metodo femminile, che può avere successo per un certo periodo, anche lungo, ma che porta al suicidio quando il piccolo mondo fittizio viene a mancare per un motivo o per l’altro).
    Forse, per avere un po’ di felicità, sarebbe più utile ascoltare Isa invece di scriverle. Non perché abbia ragione lei, ma perché la “ragione” di Francesco non porta da nessuna parte.

  2. Infatti Francesco è bloccato, non riesce ad andare da nessuna parte – forse è per questo che si mette a riflettere e a scrivere… (insomma, diciamolo, anche il action book più ritmato è una sega metale…) Comunque, Riccardo, colgo l’occasione per ringraziarti del commento e per augurarti i più sinceri auguri di Natale.

  3. A proposito del metodo “maschile”, mi viene in mente Marco Rossari che aveva organizzato un reading di Scarpa nei bar milanesi. Sul forum di maltese avevano commentato: le solite cose. Lui aveva dato una bella risposta “fare è sempre meglio che lamentarsi sempre”.
    Vorremmo farci anche una maglietta.

  4. e il metodo tre) “si comincia ad amare il mondo per quello che è” (cfr. tre.bis: “ci si fa piacere il mondo per quello che è” versione cinica) a chi appartiene?

  5. Caro Marco,
    hai fatto bene a scrivermi e sono felice che Giulio abbia messo il tuo scritto su Nazione Indiana.

    Il tuo scritto mi è piaciuto assai.

    Come vedi, continuo a chiamarlo “scritto”, e non “racconto”.
    Non è infatti un racconto.
    E’ una meditazione, una meditazione filosofica condotta a partire da uno spunto esistenziale (inventato o no non importa), e condotta con strumenti un po’ filosofici e un po’ attinti alla teoria letteraria (i mondi possibili, ecc.).

    Detto questo, va benissimo: ma vorrei sottolineare che in quest’epoca c’è una sopravvalutazione della narrazione. Si tende a desiderare che le scritture siano racconto, e che vengano chiamate racconto anche quando non lo sono. Tu forse conosci benissimo la tua strada, o forse no. Se per caso non la conosci, ti esorterei a meditare sul fatto che, per quanto ho letto io di te, per quello che ho potuto capire della scrittura che hai EFFETTIVAMENTE espresso finora (giacché quella potenziale che tieni dentro posso concedertela, naturalmente, ma non è ancora venuta alla luce; magari hai una saga piena di colpi di scena e sviluppi arrembanti dentro di te, magari nel tuo animo alberga un romanzo affollato di personaggi scalpitanti che si avviluppano in avvenimenti scapicollati), essa NON ha una natura narrativa. Ma non per questo è brutta, o poco interessante. A volte tende ad annodarsi in troppe precisazioni. Che non sono affatto troppo per un’aspettativa saggistica, o filosofica: in altri termini, un lettore che si aspetta un racconto si stufa presto di considerazioni e ragionamenti, ma se sa che quello è un saggio, un articolo, una meditazione, uno “scritto”, l’atteggiamento è tutt’altro; più paziente. Uno scrittore che faceva racconti come i tuoi è Landolfi, che però li metteva in raccolte dove si trovavano anche racconti molto mossi, o colmi di visioni, atti: in una parola: di trame.

    Il tuo scritto, oltre ad essere assai bello, è onesto, nel senso che il narratore dice come la pensa, dice tutto, e fa un discorso anche condivisibile. Vuole convincerci, o perlomeno comunicarci, una constatazione che, in effetti, sta in piedi. Sia chiaro: nulla di male in tutto ciò. Può essere anzi una via molto interessante. Ma quel che voglio dire è che secondo me devi prendere coscienza che questa via si congeda dalla narrativa. Può essere un congedo molto proficuo, che apre nuove strade, o strade diverse. Ma è un congedo. Può darsi che tu creda di essere un narratore (ma lo credi, poi? Non ti conosco, non so come ti autorappresenti). Per quel che ho visto finora (lo ripeto: magari in te dimorano pullulanti romanzoni non ancora scritti) non lo sei. Ciò non significa che tu non sia o non possa essere un ottimo, interessantissimo, anche geniale scrittore. (Aggiungo che il racconto si congeda anche individualmente dalla narrazione: all’inizio questo personaggio che annota cose che piacciono alla sua amica sembra preparare un atto, una soluzione fattiva: che cosa le comprerà? Che cosa le regalerà? O che cos’altro farà? Quale soluzione inaspettata escogiterà? Invece la forza motrice narrativa, ben avviata dal bell’incipit, si diluisce e si dissolve definitivamente nella meditazione. Non c’è atto possibile. Non c’è gesto, non c’è storia possibile per “rispondere” a una situazione narrativa come questa. Questa narrazione ha ricevuto scacco matto dalla sua stessa prima mossa. Questo dice il tuo racconto.)

    Questo racconto, allora, o meglio questo scritto, mi sembra assai più secco ed efficace rispetto ad altre cose che ho letto di te. A proposito, ci sono alcuni racconti di Mozzi che ospitano meditazioni, e il “racconto” non è che lo spunto iniziale per dare l’avvio a una meditazione. Riconosco in questo tuo scritto una via simile. Con questo non voglio dire che tu sia mozziano, o che abbia subìto un’influenza. Dico solo che mi pare di riconoscere un’analogia, una condivisione di interessi. Inoltre, Giulio mi sembra sempre più interessato alla riflessione, da un lato, e alla descrizione di eventi che accadono senza una sagomatura “narrativa” in senso stringente: narra, eccome, ma senza architettare una struttura con complicazioni, scioglimento e finale in senso classico… Oppure è così astuto da dissimulare questa strategia architettonica…).

    Hai fatto bene, ti dicevo, a segnalarmi questa uscita su NI perché io ho gravissimi problemi di computer, il mio portatile è dal tecnico e non potevo aprire e leggere il tuo file. Ti sto scrivendo da un vecchio computer di amici, in una tappa di viaggio, che arranca e riesce appena a ricevere e mandare qualche messaggio, ma non scarica, apre allegati, né tantomeno, per incomprensibili motivi, riesce a postare in home page su Nazione Indiana (non che tu debba seguire il nostro sito, ma se per caso lo fai ti sarai forse accorto che non pubblico nulla da qualche settimana; per impedimenti tecnici, appunto).

    Non so se è il commento che speravi o che ti aspettavi o comunque che ritieni pertinente.

    Io sono in viaggio, sto via per più di un mese (in posti diversi), ma ci tenevo a risponderti prima di sparire del tutto…

    Passa una bellissima estate!

  6. Scarpa dice che la tua scrittura “NON ha una natura narrativa”. Non sono d’accordo. Forse in questo pezzo non l’ha tanto, o molto poco, o ce l’avrebbe se stesse in qualcosa di più ampio, certo non è un racconto chiuso e a sé stante, ma quando racconti delle tue gite a fiere del libro, a concorsi letterari ecc., sì.
    Per esempio, questo http://marco2.clarence.com/permalink/49833.html,
    sì, è pieno di filosofia, certo magari non c’è una gran “struttura con complicazioni, scioglimento e finale in senso classico..” ma a me pare una narrazione… no?

  7. li-bro, li-bro, li-bro! vogliamo un libro di racconti (o di come diavolo li volete chiamare) di marco candida! luisa p.

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