Le scimmie… (55)
di Dario Voltolini
strappando fazzoletti di pelle dal ventre
parcheggiando inchiodando
aprendo le portiere
piegandosi e vomitando sull’asfalto
illuminati dai fanali di quelli che uscivano dagli svincoli
che venivano in città da altre cittadine
meglio prendere questi interi pezzettoni di tempo
ripetuto ripetuto
e sbatterli nella monnezza
via! via! senza pensarci più
senza nemmeno provare un sollievo niente
via e basta
pezzi belli grandi
come la coscia di un toro
senza nemmeno ricucire i tronconi lasciati a vagare qui e là
ma solo passando altro tempo
questo spreco è molto meglio di molti altri sprechi
a cui magari si è costretti
mentre nessuno era costretto a fare i testacoda lungo i viali
per un presunto mal d’amore
per un dolore
che non veniva da nessun posto e non andava in nessun posto
ma stava lì dov’era
anche se si accelerava o si beveva o si parlava al muro
anche se ci si rivolgeva alle finestre dei palazzi illuminati
di notte
mentre a finestrini abbassati andavamo e tornavamo e svoltavamo di notte
berciando direttamente alle finestre come se fossero vive
come se fosse colpa loro tutto
soprattutto il nostro stare fuori
ma avevamo le chiavi
bastava tornare a casa
e metterci a dormire
bastava davvero poco
qui è il senso dello spreco
e di come fosse in realtà migliore
di tutti quegli altri sprechi
e dormendo immaginare
quasi sognando
tutte le pietre più grosse
tutte vicino alla casa
molte emergono dall’acqua ferma
arcaiche figure di bagnanti
con massi che affaticano le spalle
massi strani
fatti come testoline
oscillano e si spostano
mandando larghissime ombre
a coprire baratri senza fondo
in rapporto ai quali le stesse rocce appaiono come minime cose
anche camminando col pensiero tra sé e sé
bisogna fare attenzione a quei pericoli
del terreno mentale
da cui nessun amico ti può tirare
fuori afferrandoti il braccio