Primi consigli per gli acquisti di natale 2004
Di Giorgio Mascitelli
Alcuni mesi or sono i mezzi di informazione hanno riportato la notizia che il presidente della Repubblica cav.Carlo Azeglio Ciampi ha invitato il pubblico a comperare prodotti italiani per sostenere il paese in questo difficile frangente di crisi e io, che a modo mio sono un buon patriota, ho deciso di seguire l’autorevole consiglio, perlomeno cercando di sviluppare un’attenzione alla quota occupata dalle merci italiane nei miei consumi quotidiani (purtroppo la mia imperizia e la mia svogliatezza mi hanno impedito di redigere un apposito grafico, come pure avrei anelato) e, laddove possibile, sviluppare il mio diritto di libera scelta sul mercato a favore di queste .
Per arrivare a ciò non ho potuto tralasciare una rigida attitudine osservatrice e perciò sono orgoglioso di dire che io ho letto centinaia e centinaia di etichette. Naturalmente mi sono concentrato su prodotti comuni quali gli alimentari e i tessili, dove si sa che c’è una presenza dell’industria italiana, e naturalmente ho trovato un sacco di prodotti italiani, specialmente negli alimentari. Purtroppo, però, il ritrovamento delle merci patrie non mi ha permesso di esercitare il mio diritto alla libera scelta: nei due supermercati che frequento le merci italiane sono prevalentemente concentrate in settori in cui si trovano solo prodotti italiani, per esempio la pasta o l’olio d’oliva o i succhi di frutta, qualcosa forse si può scegliere nei formaggi e nei vini. Per la verdura e la frutta fresche non è assolutamente possibile scegliere al dettaglio: in certe stagioni si trovano prodotti italiani e in altre assolutamente stranieri. Insomma io per fortuna mangio prevalentemente prodotti italiani, ma ciò non in ragione del mio patriottismo, ma perché non posso fare diversamente a meno di non cambiare la mia dieta.
Ovviamente quando parlo di prodotti italiani parlo del luogo di produzione, perché non tutti i marchi italiani appartengono ad aziende di proprietà italiana: e se qualche patriota intendesse aderire all’appello del presidente della Repubblica in questa forma più stretta dovrebbe prima di fare la spesa procurarsi uno di quei rapporti specialistici e voluminosi sulla effettiva situazione della proprietà di numerose aziende. In ogni caso pensavo che nei negozi di abbigliamento sarebbe stato più facile. Nel mercato tessile, come è noto, si è sviluppata una tendenza a presentare i prodotti con il marchio della catena di distribuzione che li vende: e qui credevo che il gioco fosse facile, sarebbe bastato servirsi in quelle catene di distribuzione che sono italiane (tra l’altro io ho questa fortuna di abitare vicino a una strada dove ci sono almeno un decina di negozi appartenenti a queste catene), ma quando mi è capitato di fare così, mi sono trovato di fronte a una realtà inaspettata: la metà degli indumenti erano prodotti in altri paesi e un’altra metà non aveva alcuna indicazione di origine. A parziale consolazione devo dire che quando sono entrato in una catena spagnola e ho acquistato una giacca con quel lieve senso di vergogna che nasceva dal venire meno ai miei propositi (e me lo sono permesso solo perché si sa che gli spagnoli sono nostri cugini), ho scoperto che quella giacca non era spagnola. La sorpresa ha fatto nascere in me un quesito di ordine metafisico: è più italiano che io acquisti un vestito di marchio italiano prodotto all’estero o un vestito di marchio estero prodotto in Italia?
Le cose poi non vanno meglio se si prendono in esami prodotti maggiormente costosi e visibili. Per esempio anche le automobili, di cui ognuno conosce l’origine nazionale delle principali marche, non offrono garanzie: bisognerebbe perlomeno sapere quali modelli sono ancora prodotti negli stabilimenti del paese e quali in quelli stranieri. Insomma per fare un’operazione apparentemente banale come acquistare merci del proprio paese bisognerebbe trascorrere molto tempo a documentarsi senza neppure la certezza alla fine di poter operare una scelta reale.
Temo perciò di non essere in grado di seguire l’appello del presidente.
Ma in sé questo non sarebbe grave perché mi rendo ben conto che il mio patriottismo è destinato a sparire a fronte del crescere degli scambi e delle comunicazioni internazionali. Eppure anche altri consumatori, più moderni e più globali di quanto sono io, potrebbero incorrere in difficoltà analoghe alle mie, se volessero trovare sulle etichette altre informazioni più moderne e più globali, per esempio come è stato prodotto un determinato alimento e a quale prezzo viene messo in vendita dal produttore al distributore. Ma per quanto ne so io, informazioni di questo genere non sono facilmente reperibili sui prodotti in vendita…
L’unica iniziativa, o perlomeno una delle pochissime, in questo senso è quella del collettivo Terra e libertà/critical wine, che ha messo a punto per il vino un protocollo di tracciabilità, che vuol dire essenzialmente rendere comprensibile al consumatore con che metodi, con quali materie prime e con quali costi si produca un determinato prodotto, certificato dagli stessi produttori: si tratta di un contributo tanto più prezioso in quanto potenzialmente estendibile a molti altri campi, non solo alimentari. Una proposta del genere dovrebbe trovare entusiasti i sostenitori del libero mercato perché renderebbe consapevole, cioè libera, la scelta e, dato il loro numero e la loro influenza, imporsi in breve tempo. O forse non sarà così. Anzi temo proprio che non sarà così, perché è vero che viviamo nella società della libera scelta, ma, come dire, in maniera virtuale. Infatti mi ricordo che una volta chiedevo sempre a un mio conoscente come stava e le sue risposte mi irritavano perché lui pretendeva di descrivermi davvero come stava, mentre io mi aspettavo che lui mi dicesse solo “bene” oppure “male”. Ecco la libera scelta è un po’ come la mia domanda al conoscente: sì, è vero, esiste, ma a patto di non crederci troppo.