Duo da camera (1)
Di Andrea Inglese
“Shine here to us, and thou art every where;
This bed thy center is, these walls, thy spheare.”
John Donne, The Sunne Rising
( Inventari, la mia raccolta di poesie uscita nel 2001 per la casa editrice Zona è ormai scomparsa, in qualità di tangibile artefatto, dal pianeta. Ne ripubblicherò qui a puntate una sezione: quella più rischiosa e, nello stesso tempo, più leggibile.)
Ti guardo come attraverso una pioggia
una tempesta, un sole a picco
che ti disgrega in macchie di colore
(la mia furia è l’elemento denso
dentro cui passa, rifratto, il tuo volto
e l’assillo del tatto
non mi calma quando ti tocco).
T’imprimi a cascata in un arazzo
di milioni di nervi,
e la tua luce brucia la pellicola
attacca come un acido i circuiti.
Lo sapranno dopo, chini
su un’aiuola della mia corteccia cerebrale
registrando l’attività elettrica
della retina, l’arco riflesso,
la breccia neuronale.
*
Sono chiuso in un diamante di frasi
tagliate nette, dentro cui il tuo nome
ritorna: scossa di sonaglio, timpano,
nel variopinto errare della danza,
monotona cadenza, ipnosi, mantra,
mitraglia che al pensiero il verso
toglie, il senso, l’arco logico, e benda
di luce tua ogni visione: virus, peste
che infetta l’aria, l’alone brulicante
del pianeta, i suoi insetti, le radici,
gli asfalti, i cavi, le polveri chimiche,
le acque strozzate, acide, le torri
scartavetrate e nere. Tutto nega
e ricopre il tuo volto, irradia
aroma radioattivo in ogni poro
e contamina, coagula, sigilla,
con un filo feroce lega i capi
remoti: l’attimo di storia e lo sguardo
vuoto, la perdita di memoria.
*
Sono confuso a forza di pensarti
in tutte le pose del vizio
senza pause librandoti su sedie
ottomane, piedistalli. Non sono
mai sazio di fabbricarti a mente
pezzo dopo pezzo, per districare
di nuovo gli arti, aprire le vie
del bene, fin dentro le vene
come ossesso, vampiro possederti.
(La mie mente d’orco, il mio piede
di capro, i miei sensi di porco
si spossano nel vento del tuo seno
ricordato, labile, sfuocato
come un petalo, un polline soffiato.)
*
Tracotante ti rimiro con occhio
sovrano, da un angolo remoto
in un mirino, fuori scena:
sei un parto del mio ingegno
(da regista calcolo la lama
di luce sullo zigomo, il ciglio
che frulla, il labbro teso), sei
parte del mio regno, ninfa
argentata al balletto del Re Sole.
Ti conduco tra nembi e spume,
tra scrosci domestici: lave
di latte tracimato, scie d’olioso
bagnoschiuma, limi di lavabi
intasati. Nei minimi disastri
ti accendi, e il mio semplice soffio
ti muove, vela serva del vento,
orchestro dalla buca il tuo umore,
lacrime amare, paure suggerisco.
Ma se chiudo gli occhi, se solo
per poco mi distraggo: ecco, non esisti,
scompari, in te aliena t’affondi.
E io perdo il mio capolavoro,
la corona, la faccia, il mio contegno.
(immagine di Balthus)
Inglese per piacere smettila.
Andrea avevo cercato la tua raccolta un anno fa a Bologna ma era già introvabile, quindi per piacere (nel senso che mi dà piacere leggere queste poesie) continua.
si, si, Andrea continuero’, per il dispiacere di alcuni e il piacere di altri; è infatti necessario che, affinché qualcuno sia condannato all’oblio letterario, penetri almeno una volta nella coscienza del lettore. A molti poeti oggi è negata perfino la condanna all’oblio: come i non battezzati, vagano nel limbo. Non percepibili, quindi neppure obliabili.
Anche per me è bene continuare.
(Comunque io ho ordinato “Bilico”- Edizioni D’IF – ora anche in promozione).
andrea inglé, perché non metti anche i numeri delle pagine, per orientarsi nelle stanze?
bella andrea e bello l’accostamento con Balthus.. Leggo e rileggo e ogni volta che la leggo nuovamente nasce una sensazione diversa. A quando la prossima?
intanto mi devo scaricare i geipigei (??) di Balthus in giro per la rete… ma cerco di non diradare troppo la sequenza, senno’ si perde l’immagine d’insieme – che è qualcosa di diverso dalla puro accostamento dei singoli testi