Un libro per la giornata della memoria
di Marco Candida
Il 29 Gennaio Eraldo Affinati sarà a Tortona presso La Sala Giovani in Via Mirabello 3 dalle ore 17.00 per parlare della Giornata della Memoria.
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Campo del sangue di Eraldo Affinati (pubblicato da Mondadori nel 1997 e ristampato in tascabile nel 1998, 166 pagine), è il diario del viaggio tenuto dall’autore insieme all’amico e poeta Plinio Perilli da Venezia a Auschwitz.
Il libro parla dello sterminio nazista attraverso le descrizioni dei luoghi del massacro, le riflessioni dell’autore – nato nel 1956 – e numerosi stralci di testi concentrazionari.
Il viaggio di Affinati è un viaggio fisico (Affinati e Perilli compiono il viaggio quasi interamente a piedi), un viaggio nella memoria individuale dell’autore (il nonno partigiano, la madre sfuggita alla deportazione), ma soprattutto è un viaggio tra le letture che l’autore ha fatto negli anni sull’argomento (Levi, Antelme, Borowski, Semprun, Todorov, Herling, Sereny, Solzenicyn, Barman, Bettelheim, Marrus, Sinjavskij, Salamov, Améry, Wiesel…
Campo del sangue contiene molti episodi e particolari che costringono alla riflessione. A pagina 20 ad esempio si dice che i vagoni usati dai nazisti per trasportare gli ebrei ai campi di sterminio erano carri bestiame.
“I vagoni si sono ormai svuotati. Un SS magro e butterato getta dentro un’occhiata tranquilla, scuote il capo con disgusto, ci abbraccia con uno sguardo e indica l’interno. – Rein! Pulire! – Si salta dentro. Gettati alla rinfusa negli angoli fra escrementi umani e orologi perduti giacciono neonati asfissiati e calpestati, mostriciattoli nudi dalle teste enormi e dai ventri gonfi. Li si porta fuori come polli, tenendone in una mano un paio per volta” (Tadeusz Borowski).
A pagina 26 si dice che a Steinhoring, vicino a Monaco, si trovava il Berghof, un asilo nido appositamente ideato per il miglioramento della razza ariana. Nel Berghof nacquero 1292 bambini frutto di unioni tra ufficiali delle SS e giovani volontarie, selezionate secondo principi razziali.
A pagina 29 si dice che nei campi di sterminio venivano prescelte alcune donne alle quali veniva tatuato sul petto la scritta: Feld-Hure. Le donne venivano alloggiate in una baracca con cinquanta letti. Se non restavano soddisfatti del servizio i soldati tedeschi potevano presentare le loro lamentele al capo sorvegliante e dopo tre richiami si finiva al gas.
A pagina 36 si cercano di chiarire le cause della nascita del fenomeno nazista. Prima si cita Dostoevskij che per primo intuì il concetto di responsabilità assoluta: “Siamo sempre responsabili di tutto e di tutti, davanti a tutti e io più di tutti gli altri”. Poi si dice che lo sterminio venne realizzato grazie allo smantellamento del concetto di responsabilità assoluta, cosa che è stata resa possibile da una parte dallo sviluppo tecnologico contemporaneo, dall’altra dalla particolare sensibilità artistica del Novecento. Da una parte il burocrate, che si neutralizza nel gesto esecutivo, dall’altra l’artista, quando pretende di sganciarsi dai doveri dell’uomo comune, hanno contribuito allo smantellamento del concetto di responsabilità. (Tra l’altro, la parola Verantwortung, “responsabilità”, compare nei dizionari tedeschi solo negli Anni Venti.)
A pagina 47 si tenta un elenco delle principali teorie elaborate per spiegare il massacro nazista e si arriva a Franz Kafka che per primo intuì la mostruosità del piccolo burocrate.
A pagina 59 si dice che la scuola di tiro della Hitlerjugend adoperava anche i bambini russi come bersagli viventi – una notizia provata da commissioni di inchiesta.
A pagina 63 parlando delle SS (la massima espressione dello spirito di casta nazista) si dice che il 16 Novembre 1944, tre mesi prima del bombardamento di Dresda, a Monaco alcuni magistrati trovarono il tempo di riunirsi sotto la presidenza del Ministeraildirektor Engert per discutere l’eliminazione di individui particolarmente brutti, i quali avrebbero dovuto essere fotografati e incasellati nella galleria di prigionieri asociali d’aspetto (Museum ausserlich asozialer Gefangener).
A pagina 73 riportando la testimonianza di Bruno Borgowiec di servizio al Blocco Undici di Auschwitz, si dice che i detenuti,senza acqua e senza cibo, leccassero le pareti delle celle, bevessero la propriaurina, si afflosciassero a poco poco.
A pagina 86 si racconta la storia di Sophie Scholl che insieme al fratello e ad altri compagni, faceva parte della Rosa Bianca, un gruppo di studenti che si oppose al nazismo distribuendo volantini che incitavano la popolazione alla resistenza passiva. Sophie Scholl ei suoi compagni furono ghigliottinati nel luglio del 1944.
A pagina 105 si riporta lo stralcio di un rapporto dell Oberleutenent Walther, Nona Compagnia, 433° battaglione degli Einsatzgruppen: “E’ più facile fucilare gli Ebrei che non gli Zingari. Si deve riconoscere che gli Ebrei vanno incontro alla morte con maggiore calma, rimangono tranquilli, mentre gli Zingari urlano, sbraitano enon la smettono di agitarsi, anche quando sono già nel luogo dell’esecuzione.Certi saltano nella fossa prima che il plotone faccia fuoco e fingono di essereMorti” (Raul Hilberg, 1995).
A pagina 154 si riporta un passo del Canto dei forni di Peter Weiss:
“Dalle 1000 alle 2000 persone stipate lungo circa 40
metri, alto poco più di 2 metri: uomini, donne, vecchi, giovani, bambini. 10 minuti impiegava questa gente per spogliarsi. Quelli del Sonderkommando gridavano svelti svelti. L’altro locale era ancora più piccolo, lungo poco più di 30 metri. Venivano calcati dentro, la porta avvitata. Restavano fra le quattro pareti di cemento, in mezzo ai pilastri. Il gas usciva dall’alto. Provocava vertigini e forte nausea, paralizzava le funzioni respiratorie. Dopo Mezz’ora si aprivano le porte. I cadaveri giacevano uno addosso all’altro. Sotto lattanti, bimbi malati, sopra le donne, sopra ancora gli uomini più forti. Unghie confitte, pelle dilaniata, visi gonfi, maculati. Vomito, feci, urina, sangue mestruale. Il Kommando-sgombero con gli idranti divideva i corpi, li trascinava sul montacarichi. Prima della cremazione specialisti di prim’ordine provvedevano con leve e tenaglie a strappare denti d’oro e ponti insieme a pezzi di mascella. Ai forni lavoravano 100 uomini in due turni. Ogni cremazione durava un’ora. In 24 ore si bruciavano più di 3000 uomini. Nell’estate del 1944 si annientarono più di 20000 uomini al giorno. Le ceneri venivano gettate nel fiume”.
Campo del sangue è anche un elenco impressionante di scrittori e poeti che si sono suicidati a causa dell’esperienza dei campi di concentramento e delle guerre. Pavese, Hemingway, Majakovskij, Levi, Bettelheim, Guido Morselli, Lucio Mastronardi, Amelia Rosselli, Osamu Dazai, Klaus Mann, Sylvia Plath, John Gould Fletcher, Tadeusz Borowski, Yasunari Kawabata, Paul Celan, Yukio Mishima e, purtroppo, tanti altri.
Di questo libro che per me è stato una coltellata c’è forse una annotazione che più mi ha colpito di tutte le altre e che voglio riportare alla fine di questo breve resoconto. A pagina 52 si dice che Robert Antelme, il marito di Marguerite Duras, tornando dal Lager, non incolpò nessuno, né idee, né razze, né popoli. Robert Antelme incolpò l’uomo.
[Il 29 Gennaio Eraldo Affinati verrà a Tortona presso La Sala Giovani in Via Mirabello 3 dalle ore 17.00 per parlare della Giornata della Memoria.
Per informazioni sull’incontro con Eraldo Affinati a Tortona:
marco.candida@libero.it
Pavese? Hemingway? Suicidati a causa delle guerre?
Ma Robert Antelme aveva torto. Dare la colpa all’uomo secondo me non significa niente, e certo non aiuta a capire il nazismo. Non esiste l’Uomo in generale, esistono forme storiche di umanità che per precise ragioni altrettanto storiche si volgono alla dis-umanità. Troppo comodo (per i carnefici di tutte le epoche) andare a parare nel Gran Calderone del Male Innato e Perenne. E’ un ottimo modo per discolparli…
A me pare una recensione molto bella e molto efficace. Bravo Marco.
mah, asserire che Antelme “aveva torto”, tenendo conto che lui c’è stato in un campo di concentramento e li ha guardati in faccia quegli uomini che gli hanno fatto – a lui come agli altri – quello che gli hanno fatto mi pare eccessivo.
Sono d’accordo con Andrea Barbieri, ma Mishima non si è suicidato per altri motivi?
Quasi tutti si sono suicidati per altri motivi…
l’anno scorso è uscito un libro biografico su Primo Levi in cui, mi pare – avevo letto velocemente una recensione e sfogliato velocemente il libro in una libreria di Genova -, l’autrice sostiene che le cause del suicidio di Primo Levi sono da ricercare in disagi precedenti e forse indipendenti dalla guerra. mah.
non so, è così importante soffermarsi su queste cose? non fraintendete, non voglio dire che la morte il suicidio le guerre siano cazzate, solo mi chiedo se da parte nostra non sia un po’ cavilloso e anche arido prendere questi nomi e muoverli sulla scacchiera da una parte all’altra – suicidato per quello: sì; suicidato per quell’altro: no. (e forse è anche un po’ sciocco, perché cosa sono “altri motivi” se non l’insieme di quello che queste persone sono e hanno vissuto, quindi ANCHE la guerra? i campi di concentramento? il male? vissuti o anche solo pensati?)
Anche a me l’elenco dei “suicidati a causa delle guerre” pare assai discutibile. Ma bisognerebbe vedere come interpreta quei suicidi Affinati nel suo libro: magari fa un discorso più generale sulla disperazione e sull’accumulo di esperienze devastanti che a distanza di anni traboccano, a scoppio ritardato… Chi lo sa. Ripeto, dovrei leggere “Campo del sangue”. La recensione di Marco però mi sembra proprio bella, mette una gran voglia di leggere il libro, il che mi pare un ottimo risultato per la giornata della memoria, non vi pare?
Per esempio, mi viene in mente un commento di Grazia Cherchi all’indomani del suicidio di Primo Levi. Diceva, più o meno: “era riuscito a sopravvivere ai campi di concentramento, ma non ha retto alla nostra epoca”. Chiaro che era una battuta paradossale, sarcastica. Ecco, non credo affatto che Affinati conduca il suo ragionamento in maniera paradossale o sarcastica, ma magari mette tutti quei suicidi in prospettiva e vi trova qualcosa di comune dentro un suo particolare discorso.
Sono d’accordo con voi che la recensione è un ottimo pezzo, e anche a me ha fatto venir voglia di leggere il libro di Affinati, non intendevo criticare né l’uno né l’altro. Volevo solo dire che l’opinione di Antelme non la condivido. Però il primo commento di Monica mi fa venire in mente una cosa: non è che essere stato ad Auschwitz ed esservi sopravvissuto rende migliori o più acuti o più umani o più intelligenti. Quegli uomini hanno solo patito cose più atroci e più inimmaginabili, ma non sta scritto da nessuna parte che la sofferenza affina. Anzi, e lo sapevano bene i nazisti, il dolore abbruttisce, disumanizza, incattivisce. Rovesciate il ragionamento: il fatto che, tra i pochissimi superstiti dei quattro milioni di deportati nel campo, ci sia stato almeno un uomo della levatura morale e intellettuale di Primo Levi, e che quest’uomo sia riuscito a trovare la forza e l’equilibrio per scrivere quel che ne ha scritto, è un fatto di una sconvolgente eccezionalità, in senso probabilistico. E dico questo con tutto il rispetto per la tragedia di Antelme e di tutti gli altri come lui: l’essere un testimone non gli dà automaticamente ragione.
Secondo me Andrea Inglese dovrebbe suicidarsi a causa di se stesso.
Ottima presentazione di Marco. “Nulla è più vero di quanto emerge dall’animo di uno scrittore che porta testimonianza”, così afferma il Prof. Ian Bastiaans, psichiatra olandese che per primo riconobbe la sindrome da campo di concentramento, citato nella prefazione di Rabbi Don Singer al libro Shiviti di Ka-Tzetnik 135633 (Yehiel De-Nur) uscito nel 1997 per Sensibili alla Foglie. Chi ne soffre, pur apparendo normale, subisce un profondo senso di isolamento e tende a patire in silenzio. Sfruttando risorse interne che con gli anni si esauriscono, vive una condizione che porta alla malattia o al suicidio. Il prof. Bastiaans utilizzò con ottimi risultati LSD per la cura delle persone affette dalla sindrome, droga che poi negli Stati Uniti è stata messa al bando e non più utilizzabile a fini terapeutici. In America poi lo psichiatra Grof utilizzò a lungo LSD. Un grave errore non poterla più usare in psichiatria, a mio parere.
Il libro Shiviti è il resoconto di Yehiel De-Nur sotto l’effetto dell’LSD
Luminamenti: trasecolo! La bravùra di Marco ti infastidisce così tànto?
Non ho capito cosa vuoi dire Giulio (sempre che sia realmente tu Giulio ad esserti firmato come Giulio Mozzi, dato il recento scherzo di un buon tempone che ha usato il mio nick). Dov’è che vedi questo mio fastidio? mi sembra di aver detto che mi è piaciuta questa recensione e non può che farmi piacere per Marco, persona che stimo. Perché mai dovrebbe essere il contrario?
A cazzo dritto!
A pagina 101 di Campo del sangue è scritto: “[…] Quello di Cesare Pavese (42 anni), l’8 Agosto 1950, all’albergo “Roma” di Torino; accanto al cadavere furono trovati i Dialoghi di Laucò, sedici bustine di sonnifero e un biglietto: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.
Ora: io credo che ogni buon libro sostenga una tesi – la tesi determina una logica – una logica è “un movimento che il libro fa e rifà per sostenere la tesi” (è una definizione che scrivo adesso su due piedi). La tesi di Campo del sangue è – ma qui interpreto – che la guerra (e nello specifico caso l’olocausto) è un male che si incista nell’individuo che ne ha fatto esperienza e che può esplodere anche anni e anni dopo. Per sostenere questa tesi il libro si avvale di una serie sterminata di esempi – e forse alcuni sono piegati allo scopo di sostenere la tesi. (Ma è proprio con questo ‘piegare’ che, secondo me, il libro funziona).
Purtroppo non solo i libri di narrativa funzionano così, ma anche, ad esempio, i libri di Storia. Si à una tesi (ad esempio: l’Olocausto non è esistito) che determina una logica, che porta a ‘piegare’ i fatti. Questa considerazione, che può sembrare anche piuttosto elementare, fa di me un antistoricista. Questo non significa “al rogo tutti i libri”, significa, però, “parliamone, chiariamo meglio, cerchiamo di togliere i fantasmi
dalle nostre rappresentazioni”. (“togliere i fantasmi dalle nostre rappresentazioni” è una frase che andrebbe chiarita, cosa che adesso qui non farò: per me quella frase significa moltissimo
e forse in questo momento è la frasde più importante che ci sia per me).
(Tantissimo grazie a Tiziano).