E SPEGNETE LA LUCE, GRAZIE.
di Sergio Nazzaro
“Io la velocità della luce la so,
ma la velocità del buio non ce l’hanno ancora insegnata…”
(Dino di Zenica, 12 anni)
Qualche giorno fa tre uomini sono stati ammanettati e uccisi a Casavatore da finti agenti di polizia. In pieno centro. Un’esecuzione. Ecco perché all’inizio della nuova guerra di camorra quattro carabinieri, scambiati per killer, sono stati feriti a Scampia. Giorni prima, un uomo è stato decapitato e bruciato nella sua macchina. Una giovane donna di venti anni è stata torturata e bruciata nella sua macchina. Ancora esecuzioni. Un’altra donna è stata sparata in faccia. Questa è la guerra di camorra. Litri di sangue e ferocia che scorrono a fiumi. Niente giri di parole. Peccato che nel telegiornale non facciano vedere il vero volto della morte che equivarrebbe a vedere il vero volto del problema. Nel calderone della guerra del golfo nostrano la globalizzazione avanza e i killer appartengono alla mafia albanese. Gente che per punire le sue stesse donne, sfruttate come puttane, taglia un pezzo di gamba e poi gira e rigira fino a staccarla completamente, alla stessa maniera si uccidono gli animali. Forse con un più pietà e rispetto. Immaginateli ingaggiati in una guerra di camorra: speranza di sopravvivenza del bersaglio pari a zero. Morire velocemente è già salvezza. La sera guardo il telegiornale, l’uccisione dei tre uomini è la quinta notizia, meno di due minuti per spiegarla. Dopo di che il blocco dei pendolari sulla Milano-Torino.
Giornalismo in terra di camorra: se minacciano uno dei nostri inviati super pagati in Iraq via al putiferio mediatico. Se sei minacciato a Napoli perché scrivi di camorra, è il momento buono per fare le valigie o cominciare a scrivere di sport. Giornalisti che scavano nell’abisso umano per comprendere, capire. Ma in un omicidio normale il colpevole, scoperto, non potrà farti del male. Quando si tratta di camorra, beh chiedetelo a Giancarlo Siani, mai assunto dal Mattino che ora lo sventola come suo eroe. Ma si in fin dei conti siamo tanti Enzo Baldoni, accusati di giornalismo domenicale, mentre i figli dei potenti scrivono senza averne nessun diritto. Anche io come Enzo lavoro nel mondo del fumetto, anche se poi rilascio interviste alla Radio Nazionale Ungherese sulle questioni di criminalità organizzata e collaboro con altre testate in maniera diretta e soprattutto indiretta. I giornalisti di terra di camorra hanno però molti vantaggi personali: non c’è scuola di giornalismo che insegna a fiutare l’aria come sappiamo fare noi. Per andare in zona di guerra deve essere inviato di guerra ed essere pagato, dopo molte raccomandazioni e amicizie potenti. Noi viviamo in zona di guerra, è la nostra terra e quindi conosciamo tutti i dettagli che qualsiasi giornalista al di sopra della linea del Garigliano non può assolutamente conoscere. Abbiamo il vantaggio di non conoscere gente importante, se non del mondo criminale. Non andiamo a convegni inutili e cocktail party morbosi. Difficilmente qualcuno ci può rubare la piazza se vuole dire cose sensate. Anche se poi succede sempre, e si scrivono cose assurde. Giornalisti in zona di guerra di camorra. Sostanzialmente si è gente senza amor proprio, animati da una rabbia assurda e suicida, si vive in totale solitudine, disperatamente.
Forse siamo semplicemente carenti di affetti e diventiamo kamikaze al contrario. I giudici hanno uno stipendio, cosi anche i carabinieri e i poliziotti, anche chi raccoglie i pezzi di morti dopo gli omicidi ha uno stipendio, ma non il giornalista che il famoso articolo 1 se lo può scordare anche se svolge egregiamente il suo lavoro. Un articolo viene pagato 20 o 30 euro, a fronte di beccarsi una pallottola nelle gambe, prima però di essere stato terrorizzato per bene, lui e i suoi familiari. Avete mai ricevuto una telefonata di minacce da parte della criminalità organizzata? Sapete che cosa è il terrore vero? Conoscete l’ansia che anche se andate al primo commissariato a denunciare il tutto siete coscienti che se vogliono ammazzarvi per davvero niente e nessuno li può fermare? Eppure il giornalista in zona di guerra ha un grande rispetto per i boss della camorra. Menti lucide che conoscendo il bene hanno scelto la via del male e la perseguono con una genialità al di fuori del comune. Si, i camorristi veri, i capi, sono personaggi affascinanti. Ma se vogliono cancellarvi, nessun posto sarà mai un rifugio sicuro.
Falcone, Borsellino, Chinnici, Imposimato, Peppino Impastato, Federico Del Prete, don Peppino Diana e molti molti altri nomi ancora. Persone più importanti e coraggiose del misero giornalista che racconta la camorra o la mafia. Siete mai andati ad un convegno contro la camorra in zona di camorra? Tutti arrivano con le macchine blu a sirene spiegate, voi no. Solitamente con un treno o un autobus. Finito il convegno tutti ripartono a razzo, protetti e sicuri. Voi no, rimanete con i familiari della vittima, vi sentite lo sguardo addosso di tutti e c’è sempre il treno da prendere per tornare a casa. Tutte le macchine e i motorini e le persone che camminano vicino a voi possono essere una minaccia reale e concreta alla vostra incolumità. I nervi semplicemente si spezzano e prima di scrivere un articolo che leggeranno in pochi, dovete calmarvi, perché le dita che tremano non vanno d’accordo con la tastiera del computer. Macchine che esplodono sotto casa vostra, avete mai provato questa sensazione?
Quattro volte in meno di due mesi? Bombe che esplodono in lontananza nella notte e mentre tutti si nascondono voi vi chiedete cosa ci fate lì con le forze dell’ordine. Conoscete queste sensazioni? Altrimenti il discorso che stiamo facendo è vano.
Caserme dei carabinieri prima di Natale per l’ennesima minaccia, estorsione, telefonata che vi toglierà il sonno per settimane. Il nostro posto di lavoro non è ambito, non si guadagna si rischia gratuitamente e se un giorno arriva il colpo definitivo, beh entreremo di prepotenza in quegli stessi giornali che non ci hanno mai fatto firmare un contratto, e avremo la nostra foto appesa sui loro muri, ma ancora nessuno stipendio. Giancarlo Siani lo abbiamo eletto guida spirituale per tutti questi motivi. Ma abbiamo una paura maledetta di finire come lui: ammazzati. Ed è per questo che a volte si tirano i remi in barca e non si scrive più niente. Paura, tensione, stress arrivano a limiti insostenibili. Viviamo in zona di guerra e conosciamo persone che in una maniera o nell’altra hanno visto morti ammazzati, sparatorie, roghi di macchine o case. Queste persone sono tutte le cittadinanze delle province di Caserta e Napoli. Ci si fa l’abitudine. Qui non vedremo mai nessuno uscito dalle scuole di giornalismo. Qui devi avere la vista lunga, molte amicizie da tutte le parti dello schieramento, perché una cosa è essere limpidi nella propria professione e coerenti con i propri ideali, un’altra fessi e farsi sparare per niente. Qui si fa un corso quotidiano di sopravvivenza. Come decidi se scrivere un articolo? A volte sono le tue fonti che quando pronunci determinati nomi ti guardano male, non ti rispondono e ti mettono alla porta. O se vi dicono che puzzate di morto e sembra una battuta, lasciate stare quel maledetto articolo che avete in mente di scrivere, assolutamente. L’istinto di sopravvivenza ti fa comprendere e reagire come se appartenessi ad una squadra speciale. Riflessi rapidi, niente accade per coincidenza, tutto ha un significato. Essere sprovveduti porta alla morte.
Ma in Italia non c’è più vero giornalismo d’inchiesta sulle diverse criminalità organizzate. Un immenso fiume di denaro che sostiene interi pezzi di Stato, come e in quale maniera ciò è possibile è la materia di studio del vero giornalista in zona di camorra. Non la semplice notizia sul numero dei morti. Però siamo fortunati nessuno ci legge, qualche amico che poi comincia a non salutarvi più, e soprattutto gli uffici stampa della camorra, gli avvocati che si leggono tutto e riferiscono. Da lì partono le minacce e, prima che un disgraziato di giornale, dopo tante insistenze ha deciso di pubblicarvi.
Il giornalista in zona di guerra di camorra guarda i telegiornali e piange, perché il presidente della commissione giustizia del parlamento è anche l’avvocato difensore di grandi capi clan qui al sud. Non c’è speranza di vincere la guerra, ma una speranza c’è, quella di salvare la propria dignità e scrivere. Ed infine volete sapere come è nato questo pezzo? Ecco la storia.
“Come stai? Sono giorni che ti cerco!”
“Ti ho scritto: mi hanno minacciato di nuovo. Ho perso anche la fidanzata per questo, hanno aspettato che rispondesse lei per minacciare, si così fa più effetto”
“Ma la vuoi finire, cazzo, non ti pagano neanche per tutti i rischi”
“Ma non devono averla vinta, anzi ti va di scrivere un pezzo su cosa significa il nostro lavoro qui giù?”
“Un pezzo, mi chiedi un maledetto articolo, chi se ne frega, fammi sapere dove stai, se devi andartene via ho degli appoggi in giro. Scrivi di teatro, di reality show, ma lascia stare queste storie, siamo in piena guerra”
“Mi occorre entro un paio di giorni, riesci a farmelo? Sei uno di cui mi fido e ne abbiamo vista qualcuna insieme, soltanto chi rischia insieme sa cosa significa questo maledetto lavoro e questa maledetta terra, ci stai?”
“A patto che ci diamo un segnale ogni giorno, ho già troppi pensieri. Uno squillo, una riga di email per sapere che va tutto bene, altrimenti non ti scrivo niente”
“Ci sto!”
Sappiamo bene in fin dei conti che le nostre precauzioni non valgono a niente. Se qualcosa deve succedere, accadrà. Siamo in guerra e lo ricordiamo ogni mattina che ci svegliamo. Ogni volta che gli elicotteri volano basso, che i Cacciatori di Sardegna ti fermano ad un posto di blocco, ogni volta che vedi del fumo nero in lontananza, ogni volta che alle 7 del mattino decine di carabinieri fanno un posto di blocco su una via secondaria. Ogni volta che vivi come un arco teso sotto un apparente serenità, pronto a scattare al minimo pericolo. Così viviamo noi e tutti gli altri residenti in zona di guerra. E ti sovviene alla mente quella redazione che ti chiede conferma su alcune questioni di camorra di cui hai scritto perché altrimenti non ti pubblica. Come dire: scienza esatta della disinformazione. O faccio un colpo di testa e chiedo un colloquio a chi sta al 41 bis e gli chiedo: senti mi confermi che tutto quello che suppongo sulla camorra e dintorni è vero?
Dedicato a Roberto Saviano che mi ha chiesto di scriverlo.