L’infibulatore #2
di Carla Benedetti
– Ma ti rendi conto? L’eroe più popolare dell’impero è un professore di semiotica esperto in simbologia!
– Ancora ci pensi?
– E tu, ti rendi conto o no? La semiotica! Disciplina che studia i segni e la loro interpretazione… Chi se la ricordava più!
– Già. Trent’anni fa egemonizzava il sapere e l’accademia. Si presentava come una “teoria generale della cultura”. Ambiva a dire la sua su tutto, su ogni aspetto della comunicazione: di massa, letteraria, artistica… persino animale. C’era infatti anche la zoosemiotica. Poi è tramontata, superata da altre teorie… Sarà per questo che professori di semiotica come Umberto Eco sono diventati autori di fiction.
– Dan Brown ha fatto di più. Ha messo il professore di semiotica nella fiction..
– E ne ha fatto uno degli eroi più popolari dell’impero…
– …come se fosse l’impero dei segni!
– Ha reso il suo sapere di nuovo indispensabile per interpretare il mondo!
– Forse è più preciso dire che ha costruito un’idea di mondo tale da rendere necessario Langdom.
– Hai ragione. Ha costruito un’idea di mondo tale che…E’ proprio quello che volevo dire anch’io. Ma secondo te, che mondo è ?
— Bèh, è un mondo pieno di complotti, manovrato da trame occulte. Dai disegni di un’élite: il Priorato di Sion, i Templari, gli Illuminati…
– Ma scusa, non pensi che il mondo oggi sia così? Dovunque ti giri non sai mai se le cause di ciò che accade sono quelle che vengono dichiarate. Perché Bush fa la guerra in Irak? Davvero per debellare il pericolosissimo Saddam a cui prima avevano dato le armi? Davvero per sconfiggere il terrorismo islamico? O non piuttosto per il petrolio ecc.? E quelli che rapiscono i giornalisti occidentali? Per chi lavorano? Tutto è confuso. L’amico è il nemico. I servizi segreti stanno dappertutto. E quelli, per definizione, non si sa mai per chi lavorano.
– E’ vero. Però ti pare che nel mondo le trame riescano così lisce come nella fiction di Dan Brown?
– Beh, si sa, i complotti sono disegni. Per quanto arzigogolati, sono solo degli schemi mentali. E per funzionare hanno bisogno di manovrare individui e corpi, di sporcarsi le mani con la realtà grossa, che non è detto vada secondo i piani. Anzi potrebbe andare in tutt’altro modo.
– Ben detto!
– E ti dirò di più…
– Ehi, sembriamo Dupond e Dupont!
– Cosa?
– Non importa, va avanti!
– Secondo me il complottismo è sempre un po’ consolatorio. Perché dà a credere che il corso del mondo possa essere dominato dai piani di un’élite, da un’esile ragnatela di menti nel caos dell’universo.
– Sì, potrà anche saltare in aria il Vaticano, ma tutto è nel disegno. In Angeli e demoni c’è un personaggio ai vertici (non ti dico chi è per non rovinarti la sorpresa) che si dà alle macchinazioni con l’aiuto dei media. Regge le fila di una sorta di “strategia della tensione” rivisitata in versione New Age, nella cornice di un improbabile scontro tra scienza e fede, semplificato ai minimi termini. E tutto gli va liscio … se non fosse per Langodom, ovviamente.
– Allora anche un thriller può essere consolatorio!
(2 continua)
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Il complottismo è consolatorio e rassicurante perché è una cosmogonia, ci dice che i fatti del mondo ubbidiscono a un disegno e a delle leggi precise, il cui artefice – il c.d. Grande Vecchio – è raffigurato in modo non dissimile, seppur caricaturale, dal Dio che compare negli occhielli di tante annunciazioni (anziano e barbuto). E, a ben vedere, in molti di questi best seller l’elemento culturale, o pseudoculturale, è presente proprio per nobilitare e gratificare chi ne è totalmente digiuno, cioè il lettore occasionale e sporadico, l’unico in grado di decretarne l’enorme successo. Perfino la vulgata turistica dell’arte, secondo la quale questa viene intesa essenzialmente come svago, diversivo al presente, immersione in un passato rappresentato in modo aneddotico, ne esce rafforzata e confermata, perché in sostanza si discreditano secoli di interpretazioni critiche e fiumi di inchiostro di specialisti. Ciononostante, temo che le dotte e puntuali confutazioni come questa ed altre finiscano in qualche modo per alimentare la curiosità, vengano percepite come elementi dialettici di un dibattito il cui senso ultimo è che questi libri sono meritevoli di attenzione. Sarà snobistico,ma io preferisco ignorarli. Come diceva mirabilmente Scheiwiller: “non l’ho letto e non mi piace”. C’è così poco tempo libero a disposizione e così tanti bei libri da leggere…
C’è un evidente (falso) bisogno semiotico nel successo editoriale, quindi nella massa dei suoi lettori, estimatori.
Penetrato dalle accademie strutturaliste (e post) fino alla vulgata ormai accettata da masse di lettori, che hanno “fede” nella proposizione: tutto è segno, tutto è linguaggio. Anche loro credono di sapere, quindi credono di vedere.
Il Codice è il codice che non dà scampo: finalmente è così! qualcuno ce lo dice. Ora, sappiamo. Il segno ha dato i suoi Segni.
Non c’è poi da stupirsi delle preoccupazioni della Chiesa. La Chiesa cattolica è guidata da uomini molto intelligenti. E questi uomini hanno compreso bene il pericolo insito in questa metafisica del bisogno, che Dan Brown da genio maledetto quale è, ha interpretato con arguzia togliendo terra sotto i piedi a una teologia (moderna) che non è più allegorica, allegoresi continua, ma ormai organizzata come sapere solipsistico. E ora ha trovato pane per i suoi denti. C’è uno che riesce a dirci “finalmente” come stanno le cose meglio della (falsa) Chiesa con una storia, che significa (falsamente).
Una narrativa che sostituisce anche il vuoto per l’assenza di una teologia dialettica, razionale, morale, che doveva esser svolta dal sano ateismo.
Cosa rimane da fare? Tantissimo, anche se va da sé che il lettore prima o poi si ravvede, si ravvedrà non per sapere, ma per la struttura stessa della sua esperienza. Rimane per adesso dissociato. Perché la sintesi disgiuntiva lo afferri occorre una teoria che si faccia vulgata.
Per le istruzioni ad uso:
Cronosentività di La Matina e La Linea e il circolo di Enzo Melandri.
Un nuovo pensiero non più acefalo può nascere.
Dupond e Dupont, quelli di TinTin?
il problema è che continuiamo a scriverne e a parlare… saltiamo di blog in blog, giornale in giornale; dovremmo riflettere meglio, credo, su come non scriverne e come non parlarne, sarebbe la soluzione meno avvilente meno snobbistica più coerente con il nostro disprezzo.. almeno il dibattito avrebbe un altro senso… chiaramente questo non centra niente con il post della Benedetti…
Ma credo che la Benedetti faccia parecchie cose oltre parlare di Brown, e anche parlarne va bene se è una vivisezione puntuale come quella nel suo pezzo. Non per fare l’avvocato difensore, è solo che a me certe cose sue mi sembrano proprio venire fuori da un entusiasmo soprannaturale, e allora tutte le sacrosante volte che la Benedetti posta qualcosa, siccome ho paura che venga dissipata con un discorso sbagliato, vengo fuori a puntualizzare e ripuntualizzare come un avvocato :-)