Da 10 anni in qua, pubblicare le poesie

riccio.jpg di Andrea Raos

«Gli esseri amati spariscono, la rivoluzione mondiale si sparpaglia in polvere come sterco secco, nel buio dello spazio chi si ama non si incontra più, i golem crollano uno dopo l’altro, il senso della storia si inverte, le passioni vanno alla deriva verso il nulla, il significato delle parole svanisce, i nemici del popolo e le mafie trionfano per sempre, i sogni tradiscono la realtà – ma la vendetta sussiste, un mozzicone irriducibile di vendetta che non ha più alcun senso, limitato ad un atto di violenza contro un bersaglio più che discutibile. E un’altra cosa, più rivoltante ancora : nessuno sfugge al proprio schwitt.»
Antoine Volodine, Dondog

Se è vero, come dice Giancarlo Majorino, che «vivere è diventato faticoso», figuriamoci scrivere (poesia). Pubblicare, non parlarmene.

E quand’anche si pubblichi, la ricaduta nel vuoto è pressoché immediata. Perché se, come si dice, «tutti scrivono», chi scrive? E se di conseguenza, come si dice, «nessuno legge» – noi, cosa leggere? In ultima analisi : di noi, chi vive? chi è ancora vivo?

Messa sul sito www.lellovoce.it l’antologia Ma il cielo è sempre più blu – curata da Lello Voce con Aldo Nove, mai pubblicata per traversie spiegate sul sito medesimo – Voce ha anche scritto che, nel corso degli studi preliminari, era stata commissionata (suppongo dalla casa editrice) una ricerca di mercato per verificare la vendibilità del prodotto. E allora le solite domande che da poeta ci si pone, quelle che ho riportato qua sopra, mi si sono ripresentate in modo ancora più angoscioso, più pressante. Cosa ci sta succedendo? Cosa stiamo diventando? Uno studio di mercato per un libro di poesia? Ho letto bene?

Il fatto è che la poesia italiana sta oggi a stati alterni tra apnea e asfissia. Per cui qualunque tentativo di emersione è condannato o al nulla (al non emergere) o a piegarsi a logiche di visibilità, di inclusione, che significano abdicare a quel ruolo di critica globale (non solo nelle parole, ma anche nel tipo di presenza) che dovrebbe essere connaturato a qualunque pratica artistica. Uno studio di mercato

Le cause sono molte. Una delle più attinenti a ciò di cui voglio parlare qui (il pubblicare le poesie) è senz’altro lo scadimento impressionante che hanno conosciuto, almeno (stando stretti) negli ultimi dieci anni, le collane di poesia dette «maggiori». Ossia, all’incirca, Bianca Einaudi, Specchio Mondadori e Garzanti (quella verde).
Al di là della qualità dei singoli volumi o autori, ciò che colpisce, lo si vede da lontano, è l’assenza di un progetto forte, comprensivo, autorevole, lungimirante, sostituito da pratiche diverse l’una dall’altra ma accomunate dall’essere una semplice navigazione a vista :
1) da Einaudi, una sorta di manuale Cencelli della poesia che consiste nel pubblicare in alternanza uno «sperimentale», un «tradizionale» e un «irregolare», sperando così di tenere buoni tutti (e il bello è che ci riescono – lascia altresì attoniti la finezza delle categorie critiche utilizzate);
2) da Mondadori, a parte gli «indiscutibili» (tipo Zanzotto), quella che chiamerei una sorta di pubblicazione «per prossimità». Senza tirare in ballo inutili dietrologie del tipo «pubblicano solo i loro amici», credo semplicemente che l’attuale direttore, Antonio Riccardi, poeta lui stesso, non disponga della caratura intellettuale ed artistica necessaria per imprimere alla collana un movimento reale, indipendente da ciò che gli sta accanto. Anche senza riandare alle direzioni di Sereni o Marco Forti (era tanti anni fa), è impietoso persino il paragone con Maurizio Cucchi;
3) da Garzanti non so come funzioni, soprattutto dopo la scomparsa di Giovanni Raboni, che ne dirigeva la collana di poesia. Ma vista la media dei libri che pubblicano, preferisco continuare a non saperlo.

Questo per le grosse case editrici. Ma non è tutto. Perché va anche tenuta presente l’incredibile resistenza operata dai «piani alti» della letteratura nei confronti delle generazioni più giovani. L’unico esempio di apertura (insisto : l’unico) sono i Quaderni italiani (Marcos y Marcos) curati da Franco Buffoni, che Allah lo protegga.
È uno schema di irrigidimento dei fronti, da trincee sul Carso, che è stato messo in opera negli anni Sessanta e di cui paghiamo ancor oggi le conseguenze. In concreto : un poeta, oggi – ancora oggi! -, può essere o «sperimentale» – Gruppo 63 e derivati – o «tradizionale» – tutto il resto -. Il poeta «irregolare», che per definizione non turba gli schieramenti in atto, viene letto con compiaciuto interesse, e lodato senz’altro, da ambo le parti (frase tipo : «una boccata d’aria nell’asfittico panorama…»), perché non incide su nulla e nessuno. Negli anni recenti, gli esempi più chiari di questo sono senza dubbio Ivano Ferrari e, in parte, Covers di Montanari-Nove-Scarpa.
Ora, il bello è che il blocco dei più giovani non viene compiuto, come si potrebbe credere, dalla parte avversa, ma da quella stessa a cui il poeta giovane appartiene o crede di appartenere. In modi lievemente diversi a seconda che sia uno «sperimentale» o un «tradizionale» :
1) Se si è un «tradizionale», si ripetono i gesti di una o due generazioni prima. È lo schieramento che applica nel modo più plateale lo schema della filiazione, della trasmissione ereditaria – in altre parole, della castrazione artistica. Ti piace Giudici? Scrivi in rima e metro regolare, tradizione italiana shakerata con «tono medio». Ti piace Luzi? «Luce» e «anima» ogni due righe, ritmo incerto, dolente – se no sei fuori.
I poeti di questo schieramento passeranno alla storia per avere scritto delle splendide poesie derivate dai loro maestri diretti. Il peggio è che alcune di queste poesie saranno in prosa : tesi di dottorato chiosanti in eterno i versi altrui.
2) Quello degli «sperimentali» è invece, come ognuno sa, il campo della libertà e della rivoluzione. Ciò obbliga i detentori delle posizioni preminenti a mettere in atto strategie più sottili per imbavagliare i presunti pretendenti al trono. L’esempio più clamoroso è senz’altro quello di Edoardo Sanguineti : deviare i «giovani» sul «popolare» (o sul «pop», che non è proprio la stessa cosa), mandarli a mescidare altrove, di modo che non mettano in discussione la posizione che Sanguineti medesimo detiene nella «poesia alta» – e se non si piegano, negare che esistono. Un complesso di Crono che ha perfettamente funzionato sui figli (si pensi a Spatola), ha triturato non pochi nipoti (il Gruppo 93 partito in schegge), e che ora a quanto pare vorrebbe estendersi sino ai bisnipoti (i poeti fra i trenta e i quarant’anni). L’intervento recente di Sanguineti sulla «letteratura popolare» andava perfettamente in questo senso, era l’ennesimo tentativo di sbarrare il cammino a chiunque voglia «ascendere» a dove lui sta saldamente assiso : andate, scrivete altro e d’altro. Con la meravigliosa frase : fate come Gramsci!
I poeti di questo schieramento passeranno alla storia per avere scritto delle splendide tesi di dottorato sui loro maestri diretti. Il peggio è che alcune di queste tesi saranno in versi – saranno cioè poesia in eterno chiosante la maggiore.

Insomma, il blocco fra editoria dormiente e titolari anche troppo svegli è forte come sempre, come non mai. Si autoalimenta : in alto non si muove nulla perché il basso, dicono, non lo merita – ma cosa ne sanno? cos’hanno letto? quanto sono in buona fede?-; il basso sta schiscio su modelli di replica, per variazioni minime, dell’alto, talmente forti da essere ormai introiettate, inconsce. Si sclerotizzano le forme – che è la morte di ogni cosa.

Con la conseguenza che nei piani di sotto si è scatenata una bolgia indescrivibile, da topi in trappola – o dieci anni sull’autosole, in ingorgo agostano.

E queste sono anche cose note, ridette, stradette (anche se, forse, non così spesso scritte). Ma che per me sono solo una premessa.
Cosa si può fare? Cosa si è tentato per uscire da questa situazione pazzesca? E soprattutto : cosa ha funzionato?
Non ho né le capacità né le competenze per tracciare un quadro completo : mi limiterò a parlare di quattro casi concreti, due italiani e due francesi.

I. L’editrice Zona. Inizialmente basata in Liguria, questa casa editrice ha pubblicato per alcuni anni una collezione di poesia che si è distinta per qualità e rigore delle scelte (per i dettagli, rimando al sito www.editricezona.it). Poi la collezione si è fermata, non so se per mancanza di fondi, per scarsità di riscontri, o le due cose assieme (sarebbe peraltro interessante se il direttore, Piero Cademartori, venisse a raccontarci com’è andata).
Io, da fuori, ho avuto questa sensazione : testi di solito eccelsi, in una veste povera ma che al tempo stesso era molto ambiziosa quanto alla costituzione di un «oggetto-libro». Intendo dire che in quei volumi si avvertiva una frizione fra la tensione verso l’oggetto alto (nei disegni di copertina, per esempio, anche molto belli) e la costrizione dei pochi soldi disponibili (una carta e una colla pessime). Questo per raccolte di un centinaio di pagine – già abbastanza consistenti dunque, che già vorrebbero essere «libri».
Non potrebbe essere questa loro tensione irrisolta verso l’alto, verso il «libro vero», non sostenuta da risorse sufficienti, una delle cause del loro affossarsi?

II. Bina. «Bina» è una sorta di newsletter di poesia, animata dai poeti Marco Giovenale e Massimo Sannelli, che a scadenze libere (ad occhio e croce, direi ogni tre settimane circa) propone una manciata di testi poetici, di solito inediti, o riflessioni critiche di orizzonti molto vari (e vivamente consiglio di abbonarsi – è gratis : bina_posta@yahoo.it). L’idea è di spedire un paio di pagine che poi ciascuno può stamparsi, in una veste molto sobria ma non priva di eleganza, con testi di qualità.
Ottimo. La veste grafica, la presentazione, la distribuzione, la fruizione di «bina» sono, a mio parere, un esempio pressoché perfetto di coerenza militante nel rifiuto delle logiche – oggettivamente immonde – che reggono la produzione «maggiore» di poesia contemporanea. Il mio rispetto per questa realtà è immenso.

Ma il mio bisogno di un «oggetto», di qualcosa di raro sia per forma che per contenuto, piacere che solo la poesia può dare, resta intatto. Questo desiderio posso gettarlo in pasto a Marx, psicanalizzarlo, scostruirlo – eppure resta. Queste produzioni mi piacciono, ma non mi dànno piacere fisico (precisando che non parlo dei libri d’artista e dei libri-oggetto, argomento di grande interesse ma troppo vasto, e tutto sommato scollegato – ma solo dei libri «normali»).

III.Little single. Nella mia immagine mentale, precostruita, l’editoria francese cosiddetta «di qualità» è da sempre un’editoria assistita, tenuta sotto ossigeno da generosi aiuti statali. Esiste in effetti un organismo, detto CNL (Centre National du Livre), che finanzia tutta l’editoria francese che ne faccia richiesta e (in teoria) che sia stata giudicata meritevole. Ovviamente esiste anche una sezione «poesia», e numerosi editori campano grazie a.
Due problemi.
1) I libri sono finanziati sotto forma di aiuto alla stampa, non alla distribuzione. Ciò significa che per ottenere i soldi stampi i libri; se poi li lasci marcire in magazzino, liberissimo, non cambia nulla. Non sto dicendo che tutti lo facciano – i cialtroni sono anzi piuttosto pochi, perché l’ambiente è vigile, le voci girano in fretta -; ma anche così, la sensazione di una scatola bella, coloratissima ma vuota, per molti versi inutile se non dannosa, è comunque molto forte. Tanto più che :
2) La necessità di passare da una commissione di «esperti» per ottenere il denaro crea gli stessi servilismi, tensioni, nevrosi, in ultima analisi gli stessi appiattimenti della scrittura e della creazione che creerebbe in Italia o in qualunque altro paese, qualora una tale struttura esistesse.

Per questi e altri motivi, giudicavo e giudico con la massima severità la maggior parte della poesia francese di oggi. Eppure, conoscendo un po’ meglio il panorama, qualcosa affiora.
Un esempio è la casa editrice Little Single.
È una creazione del poeta Éric Suchère (http://perso.wanadoo.fr/poesie.suchere) : parla con gli autori, sceglie i testi, impagina, taglia, graffetta, mette la copertina (immagini sue), in tutto una decina di pagine di testi densi e alti, un oggetto piccolo, costi di produzione irrisori, prezzo al pubblico 5 euro, stampato al bisogno (in casa, dal computer), di grande valore simbolico (so come se ne parla in giro, chi li possiede è invidiatissimo). Va infatti precisato : questi libri rari, introvabili, Suchère più che altro li regala. Un aspetto fondamentale di questo tipo di editoria – come anche della poesia che veicola – è la prossimità, i legami umani ed intellettuali che crea al di fuori di qualunque logica di mercato o di potere. Perché l’importanza delle conoscenze fisiche (delle «prove», direbbe Andrea Inglese) persiste a essere, mi sembra, una delle cose migliori che la poesia può ancora dare al mondo.
Ma al di là dei sentimentalismi, la cosa interessante è che esperienze di questo tipo attirano l’attenzione dei «grandi». Se non sono del tutto andati via con la testa, questi prima o poi capiscono che la creazione autentica, ciò che davvero avanza, ha luogo in forme di questo tipo, non nelle case editrici importanti che pubblicano quasi solo vecchi rimbecilliti (loro stessi) o giovani nati morti; capiscono che, se non si «abbassano», quelli che restano tagliati fuori sono loro.

IV. Contrat maint. I libri di Contrat Maint (contratmaint@yahoo.fr), casa editrice di Marsiglia, consistono in una pagina formato B4, piegata in quattro per un totale di otto facciate (una poesia per facciata), graffettate a una copertina di cartoncino leggero. Le pagine, di un giallino molto riposante per l’occhio, non sono tagliate ma piegate, per cui per leggere il libro lo si dispiega. La distribuzione avviene per posta : si fa un abbonamento annuale (cifra irrisoria) e li si riceve a casa.
I due curatori, il poeta Pascal Poyet e l’artista visiva Goria (nome d’arte), non ricevono alcuna sovvenzione e vivono molti vicini alla soglia della povertà; eppure, la loro collezione in pochi anni ha superato i sessanta titoli e continua a sfornarne, imponendosi come una delle collezioni più rispettate di Francia (anche se forse non la più «famosa»).
Vorrei insistere sulla formidabile resistenza di queste microrealtà : sessanta titoli… Quando invece, per fare solo un esempio, il tentativo di Aldo Nove con Bompiani di qualche anno fa era naufragato dopo pochissimo, al minimo fremito nelle vendite.

Secondo me sforzi anche generosi – quello di Aldo Nove lo era senz’altro – per far arrivare la poesia di oggi ad un pubblico vasto sono condannati all’effimero, alla vita breve, se tentano di passare da case editrici grosse, del tutto sorde alle ragioni della durata della lettura e dello scambio di idee, del tutto complici dell’atomizzazione dei rapporti umani e culturali.
Mentre da realtà di questo tipo mi sembra che si possa e si debba ripartire : la sensualità dell’oggetto, dello scambio fisico di libri, si rivela tanto più preziosa quanto più essa corrisponde ad uno scambio autentico, fra esseri umani, di oggetti preziosi in quanto semi-artigianali (è banale osservare che fra il regalare – anche a sé stessi – un libro tipo Little Single ed un Mito Mondadori esiste, a parità di prezzo, un autentico baratro simbolico).
Voglio chiarire che quando parlo di «semi-artigianato» non farnetico di ritorni all’Eden preindustriale; penso anzi che internet sia il mezzo perfetto per far conoscere queste realtà, che però non possono in alcun modo essere sostituite dal mezzo elettronico (penso che saremo sempre affamati di libri «veri», di oggetti da toccare e da possedere, o da regalare, da scambiare – e da leggere, dimenticavo…). Realtà simili ce ne sono anche in Italia; un primo passo sarebbe recensirle (lo si potrebbe fare anche qui su Nazione Indiana). Quanto a me, non appena avrò i soldi per comprare il computer nuovo (se vinco quel premio di tesi…) mi lancerò senz’altro in un esperimento di questo tipo.

Ricordo che, molti anni fa, sentii parlare in pubblico Biagio Cepollaro (ancora in fase Gruppo 93), che parlava, per la poesia di oggi, di una seconda «caduta dell’aura» (suppongo si riferisse a Benjamin, e ne avrà senz’altro anche scritto, ma non so – spero mi scuserà se lo cito così male). Ebbene, mi accorgo che è come se stessi parlando, qui, di una sorta di nuovo inauramento dell’oggetto-libro. Perché no. I rapporti umani, anche quelli fra scrittori e lettori, hanno comunque bisogno di una bella rinfrescata.
Ciò mi costringe a precisare che, al tempo stesso, sono contrario – o indifferente, piuttosto – all’«inaurare» la poesia. Perché so troppo bene dove si va a finire, in Italia, con i versi aurati, cioè dritti in braccio a CL e affini : uno come Davide Rondoni sembra stare lì apposta a ricordarcelo.

Ma questo è già parlare «nella» poesia e non «accanto» ad essa, come ho cercato di fare sinora.

Devo dire che, per me, credere nel libro di poesia fatto e distribuito a mano, alla cerchia in allargamento degli amici, serve soprattutto ad essere un po’ meno preoccupato per l’arrivo dello schwitt. Anzi, così quando passerà gli regalerò una bella raccoltina.

Anche se no, ripensandoci : io, allo schwitt, mi sa proprio che gliela faccio pagare

(immagine: riccio dell’autore )

31 COMMENTS

  1. E’ un po’ diverso, ma da un po’ Elio Grasso pubblica una collanina chiamata Sagittario e fatta in casa (stile Contrat Maint).

  2. cito anche io ifiglibelli di mazzetti e smith&laforgue come due esempi di spazi in cui si fanno delle belle parole, con grande rilassatezza e con una linea precisa.
    per l’editrice zona credo che il problema maggiore fosse uno: le vendite. tutti dicevano e scrivevano a cademartori quanto fosse bravo, ma pochi comperavano.
    aggiungo che la distribuzione non aiutava.

    mi piacerebbe mettere questo articolo in un sito dove sto raccogliendo interventi sullo scrivere. a chi posso chiedere?

    grazie

    f.

  3. Da Ouagadougou, tra un black-out e l’altro : potreste mettere delle referenze precise (anche solo un e-mail)? altrimenti serve a poco.
    grazie,

    p.s. per f. venerandi : prendi pure, segnalandomi magari dove lo metti. grazie ancora,

  4. le e-mail spedite a Bina tornano indietro; è corretto l’indirizzo del pezzo?

  5. Elio grasso ha sospeso la pubblicazione dei sagittari perché ha avuto dei problemi. Pare che oltre un certo numero di copie stampate si sia considerati editori a tutti gli effetti e si debba sottostare ad alcune normative, anche se l’iniziativa è casalinga e destinata al dono, come era la sua. Queste, almeno, le ultime notizie.

  6. salve Raos, sono l’editore de “i figli belli”, faccio a mano tutti i volumi e li diffondo per posta o alle letture- pubblico prosa e poesia- ti segnalo il primo indipendent press fest a bazzano (BO), il 23 aprile c.a, organizzato da Smith & Laforgue- Ci saranno anche I figli belli (ROMA) e Asscult (Pistoia)-

  7. Questo discorso meriterebbe puntuali smentite: non funziona in quel modo in Einaudi, gli indiscutibili in Mondadori sono parecchi, Garzanti comunque esiste. Le altre realtà degne sono, a mio avviso: Crocetti; Marcos y Marcos; Donzelli; peQuod; Lietocolle. Tutto il resto è sottobosco. E lo è non per le piccole realtà editoriali che si danno un gran da fare, ma per l’indubbia pochezza di qualità dei poeti italiani che pubblicano. Se toccasse a me dirigere una collana di poesia contemporanea, farei quasi solo stranieri e pochi italiani contemporanei. La situazione della scrittura poetica dei 30/40enni, in Italia, è allucinante, se messa a confronto con quella delle generazioni che l’hanno preceduta. Ci voleva coraggio e abilità per finire ben al di sotto degli standard qualitativi medi della narrativa italiana e i giovani poeti italiani evidentemente disponevano di tali requisiti.

  8. stavo preoccupandomi per le non-reazioni, intendo controargomentanti…
    giuseppe, falle queste puntuali smentite. Ma affrontando la questione toccata da Raos. Non si tratta di negare che nelle tre collane più note ci siano dei buoni libri e dei buoni autori. Si parla di mancanza di un progtetto. Su questo vale la pena discutere.

    Quanto alle due ultime frasi non le ho capite. Spero che non ti vorrai mettere anche tu a fare il gioco: son più bravi i giovani narratori o i giovani poeti italiani? Io lo trovo demenziale. E in genere lo si fa per salvare la “virtù” dei poeti (poveri di pubblico ma ricchi di merito) di fronte al “vizio” dei narratori (ricchi di pubblico ma poveri di merito). Ed è in ogni caso un discorso assurdo e fuorviante.

  9. dipende se il sottobosco è sottobosco perché ci sono delle piantacce, come credo il genna voglia dire, o perché -cazzo- vuoi mica che delle semplici piantacce possano fare poesia?
    non credo che il discorso sia liquidabile citando cinque o sei case editrici che si distinguono per avere una distribuzione nazionale. la zona pubblica(va) inglese, frizione, gentiluomo, frasca, non può essere tutto sottobosco.
    e poi il sottobosco: hai mai letto qualche volumetto dei figlibelli, la prosa di cassiodorov tipo, o il sottobosco lo si guarda solo in funzione degli abeti?
    poi gli stranieri, certo, ma con tutti questi stranieri il nostro calcio italiano ha un po’ perso l’identità nazionale, buonanotte.

  10. Caro Raos, mi pare un po’ ingenuo come discorso: l’affrancamento dai “maestri” si fa comunque, fra i 20-25 o i 25-30, chiunque essi siano; se non lo si fa, non c’è autocoscienza o manca il talento per provare strade autonome. Lei può tenersi i suoi feticci (maestri, oggetti-libro) e la candidità, poi arriva caporal Genna e le da del minorato. Conviene?

  11. ritorno dal blackout africano.
    per sorrentino : devo avere sbagliato l’indirizzo, si’. puoi contattare giovenale sul suo blog, http://www.slow-forward.splinder.com
    non ho capito cosa critichi genna – ho letto e riletto la sua frase sulle case editrici e non capisco in cosa mi contraddica. ma fra il polo sud dove credo stia lui (dove si scrivono elogi allucinanti, da credere di aver letto male, della poesia di riccardi) e il burkina faso dove sto io (dove si sa di sconosciuti grandissimi, e di un sottobosco dei più vitali), forse è normale.
    per giusco: non ho parlato solo di affrancamento dai maestri, ma del rapporto fra affrancamento creativo E blocchi di potere editoriali. non è proprio la stessa cosa, almeno mi sembra.

  12. Non ho dato del minorato a nessuno, tantomeno a Raos, che ha una cultura straordinaria ed è l’unico esperto in letteratura estremorientale di cui mi fido (peraltro, complimenti per le proposte effettuate su NI, secondo me di altissima qualità).
    Quanto ai rilievi di Andrea, mi limito a considerare che negli anni della nostra formazione la comunità dei poeti, bene o male, esisteva. Le letture poetiche erano notevoli, i poeti si leggevano tra loro, non era più la stagione del “pubblico della poesia” eppure un certo fermento, o se non altro un orizzonte di prassi possibile. Al contrario, non pareva esistere un analogo comunitario in narrativa. Questa situazione mi pare oggi invertita. Magari è un’impressione del tutto personale, ma non mi pare di vedere un panorama poetico significativo. Lo dico al di là dei gusti e dei nomi che interessano ciascuno di noi. C’è un’ondata di giovani, certo, ma i testi, almeno a me, lasciano a desiderare. Non rilevo alcun lavoro sulla tradizione. C’è molta insipienza, molto velleitarismo. Ho il sentore di un’espansione indiscriminata del sottobosco. Forse siamo tutti d’accordo sul nome di De Angelis, mi sembra che possa interessare tutti noi, al di là di ogni idiosincrasia: vedi per caso qualcuno che possa avere sulla poesia italiana un impatto tanto potente quale fu quello causato dall’esordio di De Angelis? Io no. I poeti che più mi interessano hanno a questo punto tra i 40 e i 50 anni. C’è stato uno iato di magistero, e lo dico da fedele allievo di Antonio Porta. C’è stato uno iato di attenzione, con la clamorosa eccezione dell’opera disinteressata di Franco Buffoni, che coi suoi Quaderni ha coperto un’assenza imbarazzante di ricognizione della più recente poesia italiana.
    A quale progetto, dunque, alludi? Ho bene in mente il disastro delle collane poetiche di progetto: quella di Antonello, per esempio; o certi desiderata di Manacorda. E, per stare ai grandi editori, quale progetto potrebbe incarnarsi nello Specchio o nella Bianca? Secondo me è già tanto se escono italiani che avevano pubblicato con piccole realtà editoriali. Intendo: questa carenza di progettualità editoriale è dovuta alla debolezza dell’attuale poesia italiana. Buone stagioni poetiche (io sono affezionato all’anno degli esordi di De Angelis, Cucchi e Magrelli) sono sempre state extraprogettuali, tutte giocate sulla forza intrinseca ai testi. Ci può essere più o meno attenzione nei confronti di scuole e movimenti – penso a Einaudi coi Novissimi -, ma mi pare che non siano poi tanto qualificanti momenti di produzione poetica.
    Dico: in questa fase il lavoro retorico e strutturale e comunitario, che la più recente narrativa di casa nostra tenta di svolgere, non ti pare più profondo di quello che svolge la poesia? Non è forse una fase in cui, per quanto può contare, la narrativa elabora novità (prendiamo il romanzo collettivo eletto a genere politico e utilizzante la retorica dell’allegoria), mentre in poesia non si vede emergere uno stilema simile, che so?, un poema collettivo? I testi che dovrebbero spaccare: non li vedo. Quali sono? E’ perché la tradizione poetica è più massiccia e lunga di quella narrativa? La lingua della poesia è più morta di quella narrativa?

  13. Sui più giovani, quelli che iniziano ad avere trent’anni (o almeno sui biondillianamente “anomali”, non letterati di mestiere): il massiccio impacchettamento in antologie museificanti o gli ultimi tentativi di inglobamento nelle dinamiche evidenziate da Raos (concorsi tipo festival di sanremo, premi pilotati ad arte, pubblicazioni a pagamento, esibizioni dal vivo tipo cabaret o reality show e tante altre amenità del genere che hanno già strarotto i coglioni) non colgono il nucleo, che è di profonda indifferenza nei riguardi della presunta comunità invocata da Genna, nella quale non si avverte alcuna reale solidarietà umana né senso letterario fondante. Le esperienze poetiche necessitano di tempo autonomo, non hanno bisogno di pubblico (guardone e ineducato) né del continuo cicaleccio chiacchierone, né di pressanti inviti a prendere parola. I laboratori esistono, forme personali solidificano, gli agganci alla tradizione vengono cercati tramite dialoghi privati con gente che va al sodo e non sta a guardare zombie: caro Raos, il blocco editoriale che lei lamenta lo lasci perdere, legga la pagina qui postata dai Canti di Moresco, faccia il suo lavoro al suo meglio e avrà chi la segue. Un altro punto che mi lega al discorso di Biondillo: il piacere di fare e leggere letteratura, a fronte di un mare di livore e livorosi ai quali subito brucia la coda non appena ci si rifiuta di partecipare alle ridicole cricchette autopromuoventi messe in piedi per sentirsi vivi e ovviare alla mancanza di vero sangue che li angoscia. Randellate, sonore randellate, altro che inauramenti o comunità.

  14. credo che il sottobosco di mediocri sia più ricco di quello che crede genna, e sono mediocri davvero in forma. magari ogni tanto si potrebbe posare gli einaudini costa bianca a tiratura a perdere e andarli a sentire leggere e stampare le proprie cose.
    se genna aspetta il poeta che spacca in tiratura nazionale per farci la critica, voglio dire, ne sarà già passata di poesia sotto i ponti.
    detto questo, i mediocri stanno benissimo senza l’isbn, e c’è più gente che li legge, dico il pubblico.

    un saluto

    f.

  15. scuse a Marco Giovenale e Massimo Sannelli: ora l’indirizzo di BINA è corretto anche nel post

  16. giuseppe, se è una questione di gusto va bene. Tu ti fermi a De Angelis, la mia prof delle medie si è fermata a Leopardi e quella del liceo a Montale.
    Ma potrebbe essere altro. Forse non hai seguito cio’ che nel mondo poetico è accaduto dopo gli anni Ottanta. E questo non è un vanto per nessuno. Né per te, né per il mondo della poesia.

    Uno degli innegabili pregi di Nazioneindiana è quello di contribuire all’indebolimento delle paratie assurde (e del tutto recenti) che si sono costruite tra poeti e narratori. Tali paratie, ovviamente, non esistevano un tempo. Non sto qui a farla lunga, ma tale “distanza” tra gli uni e gli altri, secondo me affonda semplicemente in uno snobismo incrociato. Di cui certi critici più anziani o capibanda letterari hanno non poca responsabilità.

    Il sottobosco c’è. E’ sempre esistito. E’ l’humus inevitabile dell’istituzione letteraria, sia per la poesia che per la narrativa. Il problema non è questo. Il problema è che oggi è impossibile delegare all’editoria di poesia (quella autorevole, media e grande) il compito di dirci cosa sta sotto il bosco e cosa sopra. Non esistono, insomma, collane di riferimento sicuro nella grande editoria di poesia. Dunque, un bel casino. Bisogna andar di fiore in fiore. Senza storcere il naso per edizioni minori, con colla a buon mercato, distribuzione inesistente, ecc. Il “buono” sta sia sotto che sopra la presunta barra della “pubblicazione” dignitosa. Certo, non è affare di lettori pigri o poco curiosi.

  17. Io con Inglese non sono d’accordo soprattutto su Dio… E scusate se è poco…
    Ma quando parla di paratie assurde esistenti tra poeti e narratori mi pare, leggendo soprattutto qui, che esse ci siano; eccome. Colmare questa “distanza” tra poeti e narratori dovrebbe essere una scommessa da vincere al più presto, e in effetti su Nazind il tentativo viene fatto, le varie voci della poesia si dispiegano. Se poi un poeta si “tuffa” nella narrativa senza snobismo ( e, incrociando) un narratore fa il suo modesto tuffo nella poesia, per me è solo un piacere. E dovrebbe essere cosa normale, tra l’altro.
    O no?

  18. caro genna, scusa se scrivo in fretta, sono in spostamento e non tempo per leggerti con calma. quanto ai gusti, restano tali; quanto alle collane, quando io iniziavo a leggere poesia contemporanea (erano 10 o 15 anni, non secoli, fa), compravo ad occhi chiusi specchio e biancaeinaudi, e qualcosa imparavo. mentre se oggi un giovane mi chiedesse cosa leggere, gli direi per prima cosa di evitarle. e non è solo un problema di qualità; per fare un solo esempio, che einaudi abbia rifiutato di pubblicare giuliano mesa dimostra che sono, come minimo, degli analfabeti – un editore normale avrebbe SUPPLICATO uno come lui di fargli il libro. non è solo un problema di qualità, dunque.
    ma mi scade il tempo scusate, grazie a tutti

  19. Per andrea inglese: come ben sai, non credo mi sia sfuggito niente di quello che considero sottobosco, sia negli Ottanta sia nei Novanta sia in questi anni. Semplicemente, il riferimento a De Angelis era all’ultimo evento che mi pare memorabile quanto a esordi poetici. Tra i giovani, ravviso una sorta di atelierizzazione dell’esistente. Poiché, comunque, la reazione a un esordio è anche questione di comunità (di reagenti), mi limito a osservare che, da un punto di vista strettamente sociologico, anche ammesso che esistessero buoni poeti, non vedo comunità di reagenti possibili. Comunque la questione che mi preme non era questa. Era quest’altra: il lavoro di retorica profonda che la narrativa sembra svolgere in questi anni in Italia è più adatto a essere percepito di quello che viene svolto dalla poesia? Vedo che le questioni di teoria o critica finiscono sempre sotto un cappello di sociologia della letteratura, e mi chiedo se anche questo è un sintomo, ed eventualmente se di salute o di patologia.
    Per andrea raos: vorrei ricordare alcune memorabili uscite dello Specchio o della Bianca del periodo in cui ti fidavi di queste collane: Pico Tamburini e Gemma Bracco nello Specchio. Ci fu perfino il caso di Danilo Bramati in Guanda. Cucchi mi pare che comunque un lavoro di dazione di fiducia a giovani poeti lo abbia compiuto: perché non va bene? A me, dei poeti giovani, piace molto Desiati, i cui versi ho letto inediti ormai sei anni fa. Su Giuliano Mesa posso essere d’accordo, ma non mi pare un poeta che sposti come altri in passato hanno spostato. Per dirne un’altra: Umberto Fiori è pubblicato da Marcos y Marcos, non da una grande casa editrice. La stessa Anedda ha una storia editoriale tormentata. Ho l’impressione che non sia tanto un problema di collane, quanto di qualità dei poeti: questo intendevo dire, ma non pretendo che sia un giudizio definitivo od oggettivo. Non ci si può nascondere dietro lo schermo sociologico: esistono davvero periodi di decadenza, non è sempre il supposto potere editoriale a cassare chissà quali germogli. Tanto più che oggi, proprio per ristrettezza del mercato, pubblicare da Donzelli o da Mondadori è uguale. Buono spostamento!

  20. Dimenticavo, per andrea raos: i versi di Rondoni non sono né aurati né versi, e parlo seriamente. Il suo esordio è significativo: sta a Guanda, realtà editoriale consistente, e ti pare un poeta che abbia detto alcunché? Ha inciso sulla lingua, sull’immaginario, sui ritmi, ha creato koiné, spostamenti o divisioni? Mi sembra un ottimo simbolo del tracheggiamento odierno.

  21. carissimi signori, il testo del post, firmato da Roas e proposto da Inglese, sembra talmente un’evocazione della nostra attuale attività che qualcuno (di noi) ha sentito il bisogno di dirlo (prima risposta al post e alcuni degli interventi successivi)- questi interventi sono stati ignorati e sinceramente non capisco perché o forse semplicemente non voglio-
    quello che noi compiamo è il nudo gesto dell’editoria: realizzazione manuale dell’oggetto libro per la diffusione di un testo di cui vogliamo altri si innamorino- nel gesto (amoroso,scagliato all’illusione) confluiscono voci assai diverse tra loro per modi e contenuti, voci che interagiscono e si accrescono: è il processo di formazione di Una
    Scrittura con cui tutti, un giorno o l’altro, saranno costretti a misurarsi, anche quelli che oggi ci ignorano-
    questa non è una minaccia-

  22. per inglese: per genna: per raos: come dire per voi che avete intelletto d’amore. pazienza, poteva essere una discussione interessante a mettersi in gioco.

    un saluto

  23. cari Mauro M. e Fabrizio V., rispondo per me, la vostra segnalazione è ovviamente pertinente e benvenuta, e non credo che sia caduta nel vuoto; io non ho trovato nulla da aggiungere ai vostri interventi, ma questo non è segno di disinteresse; ho avuto modo di conoscervi e di sapere che esiste un indipendent press fest;

    la discussione si è invece innestata sull’affermazione-sparata di giuseppe genna (dopo Milo De Angelis la poesia italiana entra in una fase di decadenza…). Ma in realtà, egli apriva un’altra discussione, sul versante non più dell’editioria ma di quello che io chiamerei dei “testi” e delle loro consistenza. E su questo effettivamente c’è molto da dire. Ma innanzitutto, c’è molto da LEGGERE.

    Io pero’ vorrei proporre di rovesciare il gioco sterile di far dire ai poeti perché la poesia italiana è viva e vegeta, almeno altrettanto quanto la narrativa italiana. (Loro già lo sanno.) Sarebbe davvero uno spostamento forte questo: dei narratori che ci raccontino i loro percorsi attraverso la poesia attuale e viceversa, partendo non con il piede del “critico”, ovviamente, ma del lettore, o del semplice scrittore puro, che girovaga in cerca di materiali, immagini, suggestioni, ecc.

    Questo mi sembrerebbe una proposta anomala e imprevedibile nei suoi esiti. Perché non ci pensiamo (giuseppe compreso)?

  24. caro genna, colgo una lieve nota di ironia in cio’ che dici su bramati, e me ne dolgo. ti credevo più rispettoso nei confronti del neotrash… (mi stupisce anche che inglese non reagisca… – questa è una private joke, scusate).
    sulla sociologia, il trovarmi su paesi diversi mi fa costatare come il pubblico della poesia varî, anche per quantità, anche di molto. non voglio ridurre tutto a questo, ci mancherebbe, non sto dicendo che se si scrivono brutte poesie la colpa è di mondadori, ma la situazione italiana mi sembra particolarmente asfittica. per dire di più ha ragione inglese, dovremmo leggere i testi – e la sua idea mi sembra ottima, si potrebbe magari chiedere a prosatori che avessero tempo e voglia di dire la loro su una poesia, o un autore, da noi proposto. sorprenderli, cercare il contropiede. potrebbe essere divertente (in fondo cio’ si collega anche a cio’ che diceva franz k.).
    all’opposto (poeti e narrativa); se posso permettermi un esempio personale, ricordo di quando usci’ il primo “urania” di evangelisti (dieci anni fa forse?) e andavo a sventolarlo dai poeti che conosco, insistendo che era uno da tenere d’occhio… saro’ passato per matto, chissà.
    per venerandi e mazzetti : quando il sito di NI sarà meglio attrezzato (accadrà un giorno o l’altro), vorrei davvero utilizzarlo per recensire le realtà di microeditoria come le vostre, o quelle da voi segnalate. contiamo su di voi! grazie a tutti,

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.