L’urlo
di Raul Montanari
Cara Carla, uno degli indiani è qui.
E’ qui da sempre, veramente, perché non si limita a postare pezzi ma interviene quando e come può, compatibilmente con le sue capacità, nelle colonne dei commenti, ovvero in ciò che rende vivo un blog. Altri indiani, noto, trovano più affascinante e conforme all’idea che coltivano di se stessi imitare il monolito di 2001 Odissea dello spazio, producendo ogni tanto una singola emissione radio e poi chiudendosi in un altero, messianico silenzio. Io invece, pur essendo molto preso dai miei numerosi hobby, come sai, sto qui e combatto con voi. Per voi, spesso.
Trovo molto di vero in quello che dice Moresco e molto in quello che dice Caliceti. Uno degli amici preziosi che ci frequentano nelle colonne dei commenti, Andrea Barbieri, ha osservato appunto che ci sono parecchi punti di coincidenza fra le due posizioni.
Per questo sono esterrefatto per il modo come tu e Antonio aggredite Giuseppe Caliceti, e – in misura minore perché l’attacco è meno personale – per il modo come tu ti riferisci a Gianni Biondillo e al suo Vomitorium, che ha suscitato molte reazioni, molte riflessioni, molta discussione interessante per tutti, altro che “pseudocategorie sociologiche”!
Nei libri che Caliceti scrive, nell’attività che porta avanti con moltissimi sacrifici personali, e nel pezzo che qui è stato riportato da Scarpa, Giuseppe è un testimone magnifico proprio di quel sogno, di quella voglia di andare avanti comunque, di cercare la voce e gli spazi, che tu giustamente richiami come uno degli obiettivi che Nazione Indiana si è prefissa.
Trovo vergognoso che si rinfacci a Caliceti una visione “rinunciataria e immiserita della scrittura letteraria e della cultura”, e sono francamente stufo, come molti altri, di assistere periodicamente alla messa in scena di questa tragicommedia dell’urlo, che prevede come unico copione che tutti si uniformino al tono assunto da Moresco o da te nei vostri richiami al sogno ecc. Al tono, bada bene, perché se si sta ai contenuti di quello che dite, posso risponderti che la stragrande maggioranza di noi, come il sullodato Caliceti, opera esattamente nella direzione di forzare il più possibile le angustie del mondo editoriale, combattendo ogni minuto di ogni giorno, nei libri, sui giornali, sulle riviste di settore e non, nelle comparsate tv, nelle marchette, nel lavoro, nel quotidiano, ciascuno (se non ti dispiace) con il proprio approccio, la propria individuale personalità, il proprio gusto, la propria vocazione, ma in nome di un’idea di cosa sia o non sia letteratura che mi sembra profondamente condivisa.
Qui e ora non ho altro da aggiungere: il resto lo dico vivendo ogni giorno la vita del blog. Se ci sono problemi di compatibilità con il Verbo, o più esattamente con l’Urlo, sono pronto a fare le valigie e lasciare con immenso dispiacere Nazione Indiana; immagino che non sarei il solo, a quel punto.
Ti saluto con l’affetto che sai. Almeno quello, suppongo che non sia in discussione.
Raul Montanari
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ehm, sì, ma a tutti capita di andare un po’ su di giri quando un argomento è importante. Lo stesso Raul Montanari in queste colonne dei commenti ha praticato molti stili, a volte pacatissimi a volte un pochino gridati. E’ umano, no? Non ci spaventeremo per così poco. Il dissenso culturale è ben altro, è non ritrovarsi su certe analisi che portano alla soluzione di uno stallo o alla paralisi: la proposta di “marginalità” di Giuseppe Caliceti, secondo Moresco e Benedetti, porta alla paralisi. E’ contro quella analisi/proposta, non contro Caliceti, che Moresco e Benedetti “urlano”, mi sembra.
Sì, è proprio come scrive Bertoldo, per lo meno per me.
E a Raul vorrei chiedere la sola cosa che conta.
Sei d’accordo con questa frase che ha scritto Caliceti?
“… accettare serenamente .. un ruolo di “marginalità” che oggi la letteratura nel mondo (e soprattutto in Italia) ha da almeno alcuni secoli”
Sei d’accordo, non tanto sulla marginalità, ma su quell’accettarla serenamente? Quasi fosse un verdetto epocale? Sei d’accordo su questo? E su tutte le conseguenze (a mio parere di rinuncia) che un simile verdetto comporta?
Quanto alle categorie usate da Gianni, quello che ho gli obietto è che non inglobano (anzi lo cancellano, addirittura lo rimuovono,come se fosse la cosa più secondaria e insiginificante delo mondo)il rapporto di necessità che lega lo scrittore al fatto di scrivere. Questo secondo me è invece la cosa più importante, che fa la differenza tra gli scrittori, indipendentemente dal modo con cui si guadagnano da vivere, se facciano l’architetto o l’insegnate in una scuola di scrittura, se vendano molto o poco. La rimozione di questo criterio è ciò che più mi ha colpito, e anche rattristato, nella classificazione fatta da Gianni.
…”producendo ogni tanto una singola emissione radio e poi chiudendosi in un altero, messianico silenzio”… Ognuno dà quello che può. Ognuno ha il suo stile, la sua vita, il suo tempo. C’è chi scrive, chi commenta, chi scrive molto, chi scrive poco, chi va alle riunioni, chi organizza gli incontri a teatro, chi organizza i convegni, chi contatta gli invitati a teatro e nei convegni, chi offre il teatro, chi dispone le sedie, chi prepara i volantini, chi stampa e fotocopia i volantini, chi porta la bottiglia di vino, chi manda le mail, chi offre la sua casa per le riunioni, chi non ne perde una e chi non ci è mai andato, chi stila i verbali, chi scrive i comunicati stampa, chi diffonde i comunicati stampa, chi chiede articoli a persone che non hanno mai scritto sul sito, chi ne riceve di non richiesti, chi li confeziona informaticamente, chi li pubblica, chi cerca webmaster per migliorare il sito, chi raccoglie contributi in denaro, chi dona oboli… ognuno dà quel che può, secondo il suo coinvolgimento e le sue possibilità reali. Al volontariato non si comanda, ognuno dà quel che può. E’ molto bello questo.
Credo che Raul abbia toccato un punto essenziale. Siamo qui per discutere, per cogliere nelle opinioni altrui quanto c’è di interessante, per mettere in gioco le nostre opinioni. Se facciamo il contrario, cogliamo solo i punti di frizione e ci arrocchiamo in posizioni del tipo “chi non è con me è contro di me”, a che serve discutere ? L’ultima cosa che ci si dovrebbe aspettare dagli intellettuali è l’intolleranza (e l’intolleranza è soprattutto una questione di tono). Nel suo ultimo post, Biondillo ha messo l’accento su temi molto importanti: la rete, le nuove tecnologie, il superamento del copyright. Non sarebbe il caso di dedicarci a sviluppare un discorso concreto e fattivo sul futuro (speriamo prossimo) ? Non sarà che, invece, ci stiamo impegolando in questioni di retroguardia ? Nazione Indiana è stata ed è un fatto importante per la letteratura italiana proprio perché ha sfruttato bene le potenzialità di una nuova tecnologia. Facciamola andare avanti, non indietro.
Ed infatti, Carla, nel sesto Vomitorium dico: “Perché non pensare che esita un entusiasmo vero, un talento… una missione, un voler esserci come spirito critico, un voler dare disinteressato, che si disinteressi in prima istanza del mercato per il mercato…?”
No?
CaraCarla, secondo me è ovvio che chi oggi scrive credendo in quello che fa, chi non è un mestierante della scrittura, chi si mette in gioco e non compila un tot di frasi un tanto al chilo perchè si lascia andare alla sua ispirazione, tutto questo lavoro (improbo, lo sappiamo bene) lo fa per necessità. Perchè quali sono i riconoscimenti, quali le soddisfazioni? Una spolveratina all’ego? Puo’ darsi, ma dura poco. In qualche post fa si parlava dell’intellettuale come di un fallito: io non sono d’accordo; e continuo a ritenere che i falliti siano altri. Esiste anche l’orgoglio, cristo santo: vale a dire l’orgoglio di fare quello in cui si crede, comunque vada. Comunque vada- se si tiene ben saldo quest’orgoglio- sarà insomma un successo. Io, come primo “special guest”… del primo Vomitorium, dicevo che nella letteratura non credo. Nel senso che la letteratura non è, per me, una specie di religione laica. Forse perchè per me è paradossalmente di più: è la maniera, credo l’unica, per esprimermi. E credo proprio di non essere il solo a pensarla, anzi a “sentirla”, in questo modo. Tutti noi vogliamo considerazione, rispetto, spazio per esprimere noi stessi, perchè qualcosa da esprimere l’abbiamo, evidentemente. Non importa, come tu dici giustamente, se veniamo dall’ingegneria navale, da un ingrosso di frutta e verdura (settore molto remunerativo, questo, detto per inciso…), dalle università. In fondo uno scrittore, oggi, è proprio un anomalo, da qualunque “mondo” provenga; e però ci deve essere (anzi non puo’ non esserci) questo sano orgoglio che lo smuove e allo stesso tempo lo regge ben saldo sulle gambe: altrimenti il gioco non vale proprio la candela.
Insomma, per me il rapporto di necessità( e credo proprio anche per molti altri) era implicito prima, durante e dopo.
Noto con piacere che si ritorna alle contro- categorie proposte da Angelini:
SCRITTORI
/ \
/ \
/ \
SCRITTORI SCIPITI SCRITTORI INTERESSANTI
Uffa. Si è cancellato lo schema geometrico preparato con tanta cura.
Io penso seriamente, rileggendo con calma il primo intervento di moresco, che moresco sia affetto da un grave disturbo della personalità, non lo dico per scherzo, riflettiamoci tutti. Sentite qui: “I periodi di restaurazione sono dei periodi buoni per gli scrittori e per chi non si arrende, perché le loro parole e le loro azioni e le loro vite si possono caricare di un peso specifico e di un’intensità di pensiero e visione inimmaginabili… In tutti i periodi di restaurazione c’è stata una fioritura di opere e di persone che, in un modo o nell’altro e ciascuna secondo la propria natura, non si sono piegate e che hanno messo al mondo qualcosa di inversamente proporzionale e di proiettivo. Siete sicuri che non stia succedendo la stessa cosa anche adesso, sotto il vostro naso?” Ragazzi, questo è moresco, possibile che non capite che in questo foro lui è il gallo e voi tutti le galline? Lui è quel grande scrittore che “resiste”, che è incompreso dal tuo tempo restauratore. Ragazzi, qui ce n’è abbstanza per redigere un trattato di psicopatologia narcisistica. Il libri di moresco – specie canti del caos – non giustificano affatto questo autocompiaciuto e pavonesco sentimento. Caro Raul, non ho letto i tuoi libri, ma ritengo che tu sia uno dei pochi di NI con la testa sulle spalle!
Attento a dargli del tu. S’incazza come una iena.
Concordo con Montanari (e su altri già intervenuti) su un punto fondamentale:
qualsiasi cosa abbia detto Caliceti, l’ha detto in atteggiamento di dialogo e confronto reale;
anche se cio’ che dice, non concorda con l’idea che hai tu Carla o con la mia, non ha alcun senso attacarlo in quel modo, come se lui fosse principale responsabile di quello che tu chiami “genocidio culturale” e Antonio “restaurazione”.
Per questo motivo mi ha altrettanto sorpreso la risposta di Antonio, che è un rifiuto a proseguire il dialogo.
Il discorso è un altro. Non tanto di “guerra tra i poveri”. Anche qui non siamo poveri tutti allo stesso modo. E’ semmai un discorso di quelle che Majorino chiama “lotte secondarie”. Si combatte la restaurazione, chiudendo il dialogo con Caliceti? Si fa un passo in avanti?
Ma posso rispettare il rifiuto di Moresco, anche se non lo condivido. Ognuno in fondo è anche libero di non proseguire un dialogo. Non capisco pero’ il tuo appello. Dovrei dimostrarti per iscritto che non ho la stessa idea di Caliceti o che semplicemente non sono un pompiere?
Io o altri potremmo dirti: guarda cio’ che faccio, guarda cio’ che scrivo. E’ li che si gioca tutto. Che bisogno c’è di chiamarmi all’appello oggi?
Andrea, anch’io, qualsiasi cosa abbia detto l’ho detto in atteggiamento di confronto reale. Ho detto che dalle cse che Caliceti ha scritto emerge un’idea debole e immiserita di letteratura. Lo penso. Non lo devo dire? Ma questa è censura! Mica gli ho detto che è un coglione o un narcisista o un autoreferenziale come invece La Porta ha detto a me! A lui invece non mi pare che tu abbia rivolto alcuna protesta! Cavolo, ma non si sa più fare la differenza tra obiezioni nel merito e argomenti ad personam!
Carla non è su quello che tu hai detto a Caliceti che obietto, ma sul chiamare altri in causa, in forma di: “o pompieri” “o combattenti”. Mi dici, infatti, “a lui non hai rivolto alcuna protesta”. E’ vero. Il suo pezzo non mi ha interessato proprio. Non vi ho trovato nessun argomento particolarmente forte e convincente. Delle critiche a Caliceti le mossi invece un po’ di tempo fa, a un suo pezzo apparso su NI e non mi rispose. Poco male. Ma nonostante non condivida il suo discorso, non mi sembra un “nemico” contro il quale bisogna “tutti” schierarsi, fare corpo, come in qualche modo esigi con il tuo appello. (Almeno io cosi l’ho interpretato.) Antonio gli ha risposto. Tu hai detto la tua. Bene. Io non ho nulla da aggiungere. E recentemente proprio qui mi sono interessato ad altre battaglie, che credo abbiano a che fare con un’idea di letteratura che condividiamo entrambi.
Ti abbraccio
Carla, ti rispondo in home page.
A “è bello”: hai ragione, e chiudo scusa a chi può esserci rimasto male per l’espressione che ho usato. Non ho problemi a chiedere scusa, io, quando vedo che qualcuno viene ferito anche involontariamente dalle mie parole. Naturalmente, quando facevo quel veloce ritratto di una certa figura d’indiano, non avevo in mente né Federica Fracassi – faccio un nome a caso, di una persona che mi è poarticolarmente simpatica – né altri che come lei fanno tutto quel lavoro apparentemente “dietro le quinte” (dal punto di vista di ciò che appare sul blog).
scrive carla benedetti “Ho detto che dalle cose che Caliceti ha scritto emerge un’idea debole e immiserita di letteratura.” be’ a me pare proprio che da quello che scrive caliceti emerga che per lui la letteratura non è un’idea. è una pratica direi quotidiana, è una relazione che si eprime nella scrittura sua e in quella che suscita nei suoi laboratori con i ragazzi, che ha suscitato per anni con ricercare. la marginalità serenamente accettata significa che non è necessario il potere (cioè essere al centro) perché la letteratura abbia senso. nessuno ricorda il detto: nemo propheta in patria? essere marginali non significa togliere senso alla parola precorritrice, né autocensurarla o addirittura tacerla. significa accettare che la parola è libertà: chi la preonuncia ha la responsabilità di dirla. può desiderare, agire perché venga colta e accolta, ma non può pretenderlo!!! ecco io credo che caliceti meglio di tutti sappia che la letteratura è bella perché è l’incontro di due libertà (di chi dice, di chi accoglie) e in essa non ha proprio spazio la rivendicazione.