Risposta a Carla Benedetti

di Piersandro Pallavicini

Riprendo – senza avergli chiesto il permesso – questo intervento di Piersandro Pallavicini dalla finestra dei commenti all’ultimo post di Carla Beneddetti. T.S.

Cara Carla,
ti rispondo al volo e senza pensarci troppo. Intervento insomma non ponderato, ma a caldo. L’atteggiamento rinunciatario, autoemarginante e sfiduciato di Caliceti mi ha francamente sorpreso (e cioè: strano che Caliceti dica quelle cose, di lui mi ero costruito un’impressione opposta). Ovvio che non lo condivido. Parte del mio lavoro di scrittore sta proprio nel cercare di aprire squarci e nell’inoculare germi che spero svelino, agiscano, mettano chi legge di fronte al proprio cattivo gusto, all’omologazione del mondo, alla propria (talvolta incosciente) malvagità, alla propria stupidità… Questo è già fare qualcosa? Questo è già agire, mettersi in attitudine di combattimento e di sogno? Sognare che qualcosa cambi e combattere attraverso la scrittura per il proprio sogno…

Che posso dire? Dico che se non altro faccio questo credendoci. Lo faccio consapevolmente. Lo faccio mettendo questa componente di sogno e combattimento tra le componenti importanti che costruiscono il mio impulso a scrivere, che fondano il mio lavoro di scrittore.

Non basta?

Forse è poco, forse occorrerebbe – immagino tu intenda questo – fare non solo gli scrittori (e scrivere e curare e difendere e occuparsi dei propri libri… ma è davvero poco, questo?), ma come dire… fare piuttosto “gli intellettuali militanti”, scendere in campo, intervenire, sparare a 360° e alzo zero.
Bè, questo non ho le risorse fisiche e il tempo per farlo. Semplicemente: avrei bisogno di una seconda vita parallela.

Ma pure credo che l’atteggiamento non rinunciatario, non dimesso, e insomma il “crederci” e scrivere di conseguenza, rischiando con quello che si scrive nei propri libri di narrativa, scrivendo con ben chiaro il concetto che chi leggerà, alla fine del libro “dovrebbe” non essere più quello di prima, insomma, tutto questo: mi sembra un piccolo ma non trascurabile inizio di combattimento.
Peraltro credo che questo lo dovremmo fare davvero tutti, e credo, anche, che molti (sto parlando degli scrittori italiani) lo facciano eccome.

Poi che nessuno di noi lo dica è vero, e probabilmente viene facile anche a te immaginare il perchè. Anzi, l’hai scritto già nel tuo intervento. Qui sopra ho scritto due o tre cose serie, senza ironia, sincere. Cosa ne otterrò? Presumibilmente una selva di pernacchie, perchè anche solo prendersi sul serio pare vietato.
Allora, poichè le pernacchie fanno comunque venire almeno l’acidità di stomaco, ecco semplicemente spiegato perchè anche gli scrittori che “ci credono” volano basso, e sul loro crederci preferiscono tacere.

Ti abbraccio
Sandro

3 COMMENTS

  1. Pierpalla, ovvio che chi scrive ci crede. Sarebbe scandaloso il contrario. Anche Emilio Fede – scrittore discretamente venduto – sottoscriverebbe in pieno i tuoi stessi obiettivi: mettere chi legge di fronte al proprio cattivo gusto, all’omologazione del mondo, alla propria (talvolta incosciente) malvagità, alla propria stupidità… Nel suo caso dovrebbe solo sostituire ‘chi legge’ con ‘chi scrive’:-)
    Il problema, però, è un altro: chi è ***dentro il recinto***, protesta per accogliervi anche altri (chi, in particolare?)o perché, a differenza di quanto accade a Garufi mentre si ascolta al registratore, gli piace un sacco la propria voce registrata?

  2. Non è mica così ovvio, caro Fake. Chi scrive gialli oggi, per esempio, sicuramente ci crede un po meno.

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