Trent’anni senza Pasolini
di Gianni D’Elia
[il libro di D’Elia di cui riporto un brano verrà presentato dall’autore alla Festa de l’Unità di Milano il 27 agosto, alle 18, con Gianni Barbacetto (“Diario”) e Franco Buffoni. a.r.]
Se ci si chiede quale sia la vera novità della poesia di Pasolini, si può rispondere che l’autore de Le ceneri di Gramsci porta nella poesia italiana lo sguardo del cinema e del viaggio. Tutte le sue poesie sono lunghe carrellate visive e meditative, all’aria aperta e dentro i margini delle città, dei paesaggi. Si cammina e si pensa, si va in macchina e in treno, il corpo vivo abita la scena, descritta in presenza nei versi, con attacchi proustiani, sempre legati alle sensazioni (per lo più olfattive, auditive) della memoria. L’altra novità è metrica. Pasolini ha dato (vale ripeterlo) al marxismo eretico una metrica dell’ossimoro, della contraddizione, dell’apertura: «la sua natura, non la sua / coscienza; è la forza originaria». La sintassi ci dice che la forza originaria è la natura del popolo; ma il verso isolato recita che la «coscienza è la forza originaria». E tutti e due i sensi valgono, compresenti, picchi di aporia metrico-filosofica. Dunque, l’attenzione va spostata sullo spasmo narrativo, e sul modo particolare di funzionamento della musica semantica: dalle forme chiuse della quartina friulana e delle terzine degli anni Cinquanta si passerà a una scrittura più sfrangiata, libera, che però non perderà mai la qualità del canto concettuale, della necessità prosodica. Insomma, se la tradizione è attraversata, lo è per aderenza al vero, che parla da quella spaccatura: corpo/storia, sintassi/metro, senso/rima. Pasolini è soprattutto un poeta, lo straordinario poeta di un corpo metrico inaudito, da scoprire.
La morte di Pasolini ha iniziato per l’opera una nuova vita, che ha avuto un destino opposto nei suoi due bracci complementari: il letterario e il politico. Dunque, si può legittimamente sentire la morte di Pasolini come un inizio, e non come una fine, anche se questo accade di solito per altri autori, magari corridori d’automobili e campioni sportivi. Tanto più l’opera poetica di Pasolini è stata massacrata dalla critica nostrana, sia da quella del Grande Stile sia da quella della Neoavanguardia, tanto più il suo cinema si è imposto a livello mondiale; con la stessa forza, il suo messaggio politico è passato nella terminologia comune: il Palazzo, la mutazione antropologica, il Processo, il Romanzo delle Stragi…
Pasolini, a rileggerlo, parla a noi contemporanei, italiani, nati nel dopoguerra, con un accento di disperazione e di esagerazione, che già fu di Leopardi. È un critico negativo, ma la sua speranza è appunto ermeneutica, perché in certe fasi la vera utopia è la critica senza speranza, che riparte dal vero. Siamo nella linea della Ginestra (che andrebbe intrecciata con l’Ulivo), del Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani, là dove nasce la poesia civile di sinistra, globale, nella critica antropologica inaugurata a vero oggetto della poesia futura.
Questa critica poetica (o sentimentale) potrebbe servire molto a una nuova politica: da Leopardi a Pasolini passa un grande pensiero laico e rivoluzionario: una ginestra dimenticata e soppressa.
Da quel 2 novembre 1975, quando fu massacrato all’Idroscalo di Ostia, sono passati quasi sei lustri, che ancora non bastano a chiarire le circostanze di quel delitto, per il quale dobbiamo accontentarci di un reo confesso, in mezzo a mille sospetti e certezze ulteriori. Pasolini l’aveva scritto in anticipo: diranno che si tratta di una morte omosessuale, mentre sarà la morte di un oppositore, truccata da cronaca nera. Come altri delitti italiani, da Calabresi a Moro, anche quello di Pasolini resta un omicidio con molte ombre politiche e giudiziarie, inserendosi nella catena delle stragi e delle oscure manovre di quegli anni cruciali.
Quella morte ebbe un grande peso politico: cancellare l’unica voce rivoluzionaria che era rimasta a gridare in Italia, fuori da ogni logica di partito o gruppetto. Una voce che si proponeva un comunismo in prima persona, una critica dissidente e una contestazione di gran parte della Sinistra, che si era arresa alla nuova ideologia dell’economia politica dominante, consumistica. Memoria dell’autentico, contestazione dell’inautentico, in nome della poesia umana.
Ridate agli italiani la verità del passato: è questo il peso che Pasolini ci ha trasmesso attraverso la sua morte politica e incivile: un peso che cresce col tempo, dentro il vecchio romanzo delle stragi, nell’ultim’ora.
Dunque, secondo la ritrattazione di Pino Pelosi in televisione (7 maggio 2005), l’omicidio di Pasolini è stato un atto premeditato e politico, non un delitto omosessuale, compiuto da più sicari. Ricomincia la ricerca dei veri colpevoli e dei mandanti, dei ricattatori che hanno imposto il silenzio e la menzogna per trent’anni.
Secondo il giudice Vincenzo Calia, che ha indagato sul caso Mattei, depositando una sentenza di archiviazione nel 2003, le carte di Petrolio appaiono come fonti credibili di una storia vera del potere economico-politico e dei suoi legami con le varie fasi dello stragismo italiano fascista e di stato. In particolare, acquisiti agli atti, tutti i vari frammenti sull’«Impero dei Troya» (da pagina 94 a pagina 118), compreso il capitolo mancante Lampi sull’Eni, che dall’omicidio ipotizzato di Mattei guida al regime di Eugenio Cefis, ai “fondi neri”, alle stragi dal 1969 al 1980, e ora sappiamo fino a Tangentopoli, all’Enimont, alla madre di tutte le tangenti. Troya è Cefis, nel romanzo, dal passato antifascista macchiato, e dunque ricattabile.
Calia ha scoperto un libro, che è la fonte di Pasolini, un libro nato dai veleni interni all’ente petrolifero nazionale, pubblicato nel 1972 da una strana agenzia giornalistica (Ami), a cura di un fittizio Giorgio Staimetz: Questo è Cefis (L’altra faccia dell’onorato presidente), morto nel maggio 2004. Pasolini ne riporta interi brani, ne rifà la parafrasi. Forse, aveva capito troppe cose. Il lavoro di Calia è agli atti: il mandante possibile è in Petrolio.
Da L’eresia di Pasolini (Effigie, 2005)
[vd. anche il “Corriere della sera” del 7 agosto ’05 e “l’Unità” del 9 agosto.
E Carla Benedetti, Quattro porte su “Petrolio”, parte 1 parte 2 parte 3 ]
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Pasolini è stato un Gramsci dimidiato. O, come diceva Rèsart, uno scandaloso inutile intelletto.
eugenio cefis, letterariamente parlando, è il filo rosso che lega mediobanca a porto marghera – pasolini a paolini
mancano 1500 pagine alla fine di Petrolio: approssimativamente io credo che negli ultimi trent’anni la nostra storia ne abbia scritte la gran parte, il finale però resta aperto
è un fatto: la tensione che alimenta il ricordo e l’esempio di ppp è politica prima che poetica, per cui tendo a credere come plausibile un finale ‘politico’ per Petrolio
ottimo post
e buona anche l’idea di postare cose della vecchia NI
grazie
georgia
io veramente non ho postato nulla, erano già li’. ho invece il dubbio di viziare i lettori servendogli la pappina pronta – quando invece gli archivi ci sono, basta usarli.
alle volte riproporre non è male, anche perchè nei blog ci sono sempre nuovi turisti a cui non è male fornire mappe e guide.
sì ho sbagliato non dovevo dire “postare” ma solo “segnalare”, volevo anche correggermi con altro commento, ma poi ho pensato si capisse ugualmente :-).
Però se tu ci postassi (con il rischio di viziarci) anche lo scritto di pazienza sarebbe una postatura veramente geniale.
Ma … so che non lo farai :-))))
Con Pier Paolo Pasolini è morta la critica? Una buona parte, almeno il cinquanta per cento. Questo punto di Gianni: “Pasolini, a rileggerlo, parla a noi contemporanei, italiani, nati nel dopoguerra, con un accento di disperazione e di esagerazione, che già fu di Leopardi.” Ecco, non mi trovo affatto d’accordo: esasperazione ed esagerazione? Critico negativo? Fu critico fin troppo lucido e lontano dal pessimismo di cui sembra accusarlo D’Elia, con tono quasi affettuoso. Non mi sembra granché questo pezzo: tanti luoghi comuni tirati in ballo, e uno l’ho messo in evidenza, tanto per intenderci. Forse più avanti migliora, ma il pezzo qui più che aggiungere detrae alla figura poetica, politica, intellettuale pasoliniana.
“Forse più avanti migliora” significa che non sei arrivato fino alla fine?
Tralascio la questione del “mandante”.
Mi soffermo sulla prima parte dello scritto per chiedere:
Non è caratteristica comune a tante poesie (tante poesie di tanti diversi poeti) quella di presentarsi come “carrellate visive e meditative”?
È proprio necessario parlare di “attacchi proustiani”?
È proprio necessario tirare in ballo Proust?
È proprio necessario citare Leopardi, o la storia – un po’ stucchevole – di ginestra + ulivo?
L’attenzione al “corpo metrico” della poesia di Pasolini mi sembra necessaria, ma è così indispensabile l’enfasi sul “marxismo eretico” o sulla poesia “di sinistra”?
Nell’“evoluzione” metrica della poesia di Pasolini non si può individuare anche – paradossalmente – una concessione ad alcune “ragioni” della “nemica” neoavanguardia?
Insomma, forse per eccesso di entusiasmo, D’Elia non mi sembra scrivere cose davvero puntuali e convincenti sulla poesia di Pasolini.
ma la frase che ho messo in grassetto sconvolge solo me? o è cosi’ banale che quello di pasolini possa essere stato un omicidio di stato? ero l’unico a non saperlo? a non pensare che non cambia granché?
Non ho letto “Petrolio”. Ciò che so della questione “delitto di stato” mi viene da articoli di giornale e da notizie di cronaca. Troppo poco.
Mi risultano peraltro prese di posizione diverse (per esempio quella di Nico Naldini, cugino di Pasolini, che continua a optare per il delitto a sfondo omosessuale).
Mi risulta che Pelosi non possa definirsi davvero attendibile.
Gli elementi “nuovi” in realtà non sembrano nuovissimi. Perché non sono stati presi in considerazione prima? Perché solo adesso, quando possibili “protagonisti” sono scomparsi? (Cefis è morto un anno fa).
La cosa davvero disperante di questo paese è che la realtà può tranquillamente superare l’immaginazione, ma solo molto raramente si arriva a individuare una linea di demarcazione netta tra l’una e l’altra. Così la storia degli anni ’70 continua a essere – in buona parte – una storia di misteri, un buco nero, un terreno di perduranti scontri ideologici.
Sarebbe sconvolgente la certezza del “delitto di stato”. Ma tutto sembra giocare a favore del mistero che rimane tale. E delle straordinarie doti profetiche di Pasolini.
laura betti ad esempio lo seppe da subito: cos’è cambiato per le persone come lei?
nel trentennale dell’omicidio, si discute: a) se pasolini sia stato ucciso da pelosi, dai fascisti, da quelli della magliana, dai servizi segreti, dalla mafia piuttosto che da cuccia su mandato degli agnelli; b) quanto sia attuale la sua diversità; c) se sia stato più un valente polemista, un poeta inquieto oppure un regista problematico; d) se pasolini e gli anni settanta siano mai esistiti veramente in italia, oppure se è stato tutto un brutto sogno prima del drive-in
personalmente voto D: le tette della cansino hanno riempito i miei sogni adolescenti, gli anni settanta gli incubi. mettiamoci una bella lapide sopra, in attesa che passi la ricorrenza.
>Emma: non ho capito in che modo “l’evoluzione metrica” della poesia di Pasolini farebbe “concessioni” alla neoavanguardia. Ce lo spieghi?
@perplessa
D’Elia: “…dalle forme chiuse della quartina friulana e delle terzine degli anni Cinquanta si passerà a una scrittura più sfrangiata, libera, che però non perderà mai la qualità del canto concettuale, della necessità prosodica…”
È con la “scrittura più sfrangiata”, è con la forma poetica e la lingua di “Trasumanar e organizzar” che Pasolini si confronta con la lingua e la poesia della neoavanguardia. Ovviamente a modo suo, ovviamente senza rinunciare alle sue idee (e alle sue contraddizioni).
33 processi, aggressioni fasciste, insulti, minacce, le campagne di Gianna Preda sul “Borghese”… Pasolini frequentava giovani proletari e le borgate (i salotti quasi mai). Pelosi, da solo, non poteva ridurre il poeta in quello stato… Quando saltò fuori la faccenda dei gladiatori, ricordate?, nell’elenco dei personaggi da confinare in Sardegna vi era Pasolini… Il processo alla Dc, il clima che si respirava nei primi anni settanta… Resta incomprensibile la reazione di Naldini. Non parliamo di quella esoterica di Zigaina… L’Italia non è la Spagna (che ha avuto trent’anni di fascismo in più di noi), poi salta fuori Zapatero… A proposito: Zapatero SANTO SUBITO!
cara emma, non è che pelosi sia attendibile in sé (non lo è mai stato); è che la sua ultima versione, quella dell’aggressione premeditata travestita da – o sovrapposta a – delitto omosessuale, ha il merito di finalmente coincidere con i risultati delle indagini (e dell’autopsia, come giustamente ricorda di costanzo).
kristian mi potrà obiettare che sono cose che si sanno da sempre, ed è vero; è proprio questa, per me, la cosa più incredibile : le evidenze sono li’, talmente naturali che non se ne accorge nessuno.
Caro Andrea, non mi sembra ci siano distanze incolmabili tra quello che sostieni tu e quello che dico io o che dice Kristian.
Può anche darsi che il non accorgersi delle evidenze dipenda proprio dall’aver sentito o letto certe cose da sempre. È come se le parole, per troppo uso, avessero perso ogni possibilità di scandalizzare o semplicemente di essere prese in considerazione.
andrea, il massacro di pier paolo pasolini non è mai terminato. non hanno costruito un mausoleo dove l’hanno trovato, morto, dopo che in tanti ci si erano accaniti contro, vivo. è interesse comune a molti che le cose continuino a rimanere come sono – al limite un’indignata denuncia ogni tanto, in occasione delle strenne, che fa sempre parte del sistema del ‘magnamose tutto’.
io sono convinto che si debbano scoperchiare tutte le tombe degli anni settanta, tutte quante una per una, ogni morto il suo nome col proprio destino. c’è un’intera generazione che deve essere riscattata dalla nostra storia. ogni cosa deve essere rimessa al proprio posto.
la realtà, oltre alle feste dell’unità, mi mostra invece che le leggi d’emergenza non hanno mai smesso di funzionare, soprattutto nella testa delle persone.
emma e kristian, non ci sono in effetti distanze incolmabili fra di noi, tanto meglio.
e quindi, kristian, cosa proponi?
le indignate denuncie (tipo quella da me pubblicata) di certo non ribaltano il mondo, e dunque? in concreto? (al tempo stesso, sono anche dell’idea che molti ragazzi non abbiano un’idea precisa della questione – oltre al dovere di denuncia, esiste anche quelo – ancora più importante – della trasmissione della memoria. e prima di diventare roboante, mi fermo).
che fare?
compagni, allarme!
Andrea Bajani, Gianni Biondillo, Jacopo Guerriero, Andrea Inglese, Helena Janeczek, Franz Krauspenhaar, Giovanni Maderna, Giulio Mozzi, Christian Raimo, Andrea Raos, Michele Rossi, Roberto Saviano, Antonio Sparzani, Giorgio Vasta, Piero Vereni.
tutti precettati!
la scadenza è Ognissanti.
teatro, cinema, letteratura, poesia, politica, critica sociale, filosofia, cronaca nera. scegliete voi le armi.
perché hai ragione tu, andrea: in concreto, oltre alla doverosa denuncia di una terribile ingiustizia, proprio perché è davvero difficile farsi un’idea precisa della questione, più importante di tutto risulta essere la trasmissione della memoria.
cominciate voi: trasmettete la vostra esperienza di memoria.
contribuite colla vostra pietra al mausoleo di pasolini.
dimostrate che è doveroso fare come quel magistrato che ha preso per vere le parole di un poeta.
vorr. ess.
peggio per te vorrai dire
– C’è qualcosa che detesti particolarmente, nel mondo moderno?
Non so se la detesto, perchè è molto imponente, e si può appena osservare: la virtù del nulla. Più una cosa è nulla, o male addirittura, più è vanificante o vanificata, – più viene accettata e celebrata. Sembra uno scherzo, dapprima: poi, a poco a poco, ti convinci che è una realtà (sebbene dell’irreale, cioè del nulla). Ma questo gran giocare e inchinarsi delle società moderne intorno a uomini da nulla, opere da nulla, cose del nulla, – che spesso, come il cavallo del mito, trasportano crimine, e là dentro si sente cantare e ridere in vista della città dell’uomo che sta per essere saccheggiata, questa cosa tiene desti: come un incanto, un prodigio.
-Tu scrivi, e a volte pubblichi, da tanti anni: ti sembra, ripensandoci, che scrivere abbia ancora una funzione?
Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. E’ tornare “a casa”. Lo stesso che leggere. Chi scrive o legge “realmente”, cioè “solo per sè, rientra a casa; sta bene. Chi non scrive o non legge mai, o solo su comando, – per ragioni pratiche, – è sempre “fuori casa”, anche se ne ha molte. E’ un povero, e rende la vita più povera.
– C’è qualche cosa che ritieni più importante dello scrivere, della pace dello scrivere?
Certo: la pace stessa. Voglio dire: il più piccolo atto di giustizia (non oso dire “verità” o “compassione”) vale “tutto” un libro. Il ritorno della legge, poi, – intendo la legge morale, – essendo la “seconda” natura stessa, vale la cultura tutta intera. Se tu ci pensi, si scrive infatti perchè si è tristi, perchè tutto questo, la “seconda” natura, con quanto implica di rinnovamento e di gioia, – non c’è, o è tenuto distante: oppresso da un inganno, un potere strano, che ne rimanda in eterno l’avvento.
Dario Bellezza – Dieci domande ad Anna Maria Ortese- “Nuovi Argomenti” n. 51-52 (luglio-dicembre 1976) – In corsivo il virgolettato-
Ho scoperto NI da due settimane. E’ uno spazio di scambio e libertà. Talvolta anche con asprezza e severità. Sempre senza nascondere la mano dopo aver lanciato i sassi.
Anche se molesti, abbiamo letto Gobineau. Una certezza: fosse vivo considererebbe NI un’accozzaglia di coglioni.
molesto…pieno di certezze…convinto che uno scrittore pensi per come lui l’ha letto…dilla tutta libertino: sei un critico letterario!
mi hai scoperto kristian. lo sapevo che ce la facevi.
Però che confusione citare anche Bellezza! Lui, un troll della letteratura. Amici dell’uomo, lasciateci qualcosa!
Tramite la generosità (disinteressata) di Dario Bellezza la nostra generazione ha potuto accostarsi a Sandro Penna, Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese, Carlo Coccioli, Patrizia Cavalli. Certo, Dario ha scritto e pubblicato un esordio folgorante, esibizionista e ridondante. Ma era un poeta. Oggi in giro non scorgo giganti. Soltanto mezze tacche. Una foresta di rifacitori. A ventitre anni Parise esordiva con “Il ragazzo morto e le comete”, Capote con “Altre voci, altre stanze” e Anna Maria Ortese con “Angelici dolori”, Moravia “Gli indifferenti” etc. Il massimo dell’ebbrezza sarebbe nel 2005 leggere…. Ditemelo voi, per favore!
Caro Di Costanzo Ischia, io non è che voglio prendere per il *ulo sempre te, però!… Ma perché fai sempre liste di nomi? Lo abbiamo capito che il background contadino è solo un brutto ricordo, non ti preoccupare.
Ci tengo a ribadire, per qualche riga, l’ovvio.
Dal Sessantanove (12 dicembre) ad oggi, in Italia.
C’è dentro di tutto, volendo.
Chiunque può sguazzarci a suo piacimento, buttando lì ipotesi di ogni tipo, inferendo la qualsiasi, sospettando, suggerendo collegamenti, tra ogni tipo di crimine & strage & interesse occulto & organizzazione segreta & terrorismo & servizio segreto & cetera.
Nessuno può ragionevolmente escludere nulla da nulla.
Niente è affermabile con certezza e niente è falsificabile, nemmeno la morte per omicidio di Pasolini è comprovabile come operazione “di stato”/delitto omosessuale.
Allora che senso ha tornarci sopra ancora e ancora?
Non sarebbe meglio – qualcuno lo ha fatto e continua a farlo – provare a LEGGERE globalmente cosa sono stati gli ultimi trentasei anni e dove ci hanno portato?
Cercare di capirne le svolte, più o meno guidate, manovrate, dirette?
Cercare di capire a chi sono serviti e quando, tutti questi delitti?
Questo Paese è la mia disperazione da quando ci vivo e leggo i giornali: migliaia di articoli senza una verità, una mezza verità, una ipotesi comprovabile.
Eppure tutto, per certi versi, terribilmente chiaro.
Questa la lezione politica di Pisolini, per me.
Sul resto discuterei, certo.
A cominciare, per esempio, dal silenzio che oggi circonda i suoi due primi romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta.
Partire da lì non sarebbe male.
Rileggerli, per dire.
A suo tempo (circolava ancora qualche esemplare di tigre dai denti a sciabola), leggerli mi produsse un’impressione che ancora oggi dura, violentissima.
Significò una specie di “cambiamento di stato” per la mia “coscienza individuale” (sic).
errata corrige: invece di “Pisolini”, leggere “Pasolini”.
fottuti i programmi di correzione automatica.
Serve ritornarci. Anche su Portella delle Ginestre o su Napoli-Genova 2001 (G8 e dintorni). Salvatore Carnevale o l’arresto di Rocco Scotellaro. Va bene, basta con le liste. Siamo un paese di Controriforme (senza Riforme), Cattolici fin nelle midolla (ci confessiamo senza espiare e tutto è perdonato). Il perdono… Tornando a Pasolini: vi è stata una vera e propria persecuzione. Accuse strampalate, tra cui quella di aver rapinato un benzinaio con una pistola dai proiettili d’oro. Le aggressioni dei missini alla prima di Accattone o gli insulti per strada, film sequestrati, minacce telefoniche, pubblico disprezzo (il generone romano, le signore frou-frou, Ordine nuovo e lo psichiatra Semeraro). Anche da morto. Alla prima di “Salò” in una sala napoletana i commenti compiaciuti delle signore “bene” (cioè male) partenopee sulla recente esecuzione del poeta si sprecavano. In tutto questo casino una sola voce, limpida e amorevole: Laura Betti. Si è battuta come un leone, ha trascurato la sua carriera e la sua salute, rassegne e premi, presentazioni e dibattiti, polemiche, interviste e poi la sua mancanza… si sente. Delle Br e dintorni sappiamo quasi tutto, tutti hanno pagato. E gli altri? La marmaglia fascista?
Bravo Giorgio, veramente, tosto, giusto e nell’evocare i fatti ci metti – ci trasmetti- quell’insostenibilità di Pasolini da parte della bella società italiana. Detto questo Sciascia, a proposito di Salò mi toccò…
effeffe
di costanzo cade nell’errore di non riuscire a ‘leggere globalmente’ (tashtego) quando dice che ‘delle Br e dintorni sappiamo quasi tutto, tutti hanno pagato. E gli altri? La marmaglia fascista?’
il rosso e il nero è un bellissimo romanzo di uno scrittore milanese, ma è anche il fumo negli occhi che nasconde meglio della nebbia in val padana.
giustamente invece retrocede l’elaborazione della strategia della tensione alla Festa dei Lavoratori del 1 maggio 1947. c’era già tutto allora: Alleanza Atlantica, grandi interessi finanziari, realpolitik democristiana, killer mafiosi, controllo del territorio, determinazione dell’orizzonte degli eventi.
Rivendico il mio background contadino. Sono un vecchio, irredimibile stalinista, vissuto nel culto del Nemico dei padroni, dei fascisti e dei falsi comunisti. Orgoglioso di mio padre che ha un rapporto con la concretezza (le stagioni, la semina, il raccolto) che non ha ancora perso, pur avvicinandosi ai 90. Da mia madre ho ereditato la parte inutile, “mentale”, sognatrice, affabulatoria. Almeno ho una storia, alle spalle. Non sono nessuno. Ma vi è chi non è nemmeno nessuno.
“il rosso e il nero è un bellissimo romanzo di uno scrittore milanese, ma è anche il fumo negli occhi che nasconde meglio della nebbia in val padana”.
Mi sfugge qualcosa?
henri beyle è milanese.
la nebbia in val padana è proverbiale.
il fumo negli occhi è sostenere la tesi degli opposti estremismi, come mi è parso faccia di costanzo di ischia.
di costanzo a carnevale
vestiti da pulcinella con la stella rossa
in petto
Adesso ho capito. Però Henri Beyle (Stendhal) è solo vissuto a Milano, non è proprio milanese.
@ kristian & emma
ragazzi, per favore, stiamo parlando d’altro!
Capo,
quale che sia il tuo stato anagrafico, l’assistente sociale non basta.
@emma: fossi in te ritirerei quel che hai detto a proposito di Stendhal: contravvieni alle sue volontà ultime e contraddici il suo epitaffio parigino.
@Il Capo: l’im-pertinenza è tutta vostra. Accostare Pasolini a Stendhal non è affatto arbitrario. Illuminismo, ateismo, materialismo dialettico, realismo letterario… c’è n’è, ce n’è, altroché.
@ kristian
beh devo dire che hai ragione, a modo loro sono stati due “sociologi”
tuttavia, ricurvo è il sentiero dell’impertinenza, l’impertinenza è dappertutto
@kristian
Non vale. C’era un trucco! :-)
@Il Capo del David: l’impertinenza dipende dalle stesse leggi che governano l’universo, logico quindi che curvi la sua traiettoria spazio-temporale a causa della forza gravitazionale dei corpi astrali che affronta sul proprio cammino – in questo caso NI.
nel vostro caso, a parte l’encomiabile intervento maoista del Commodore 64, per il resto nel vostro atteggiamento ho visto molta dipendenza e poca curvatura.