Per la Costituzione. E contro la riforma.

ag14.jpgdi Giampiero Marano

Dopo un anno e mezzo di lavori che coinvolsero le principali “anime” della società italiana (liberale, cattolica, socialista), la Costituzione del 1948 fu approvata dal 90% degli oltre cinquecento componenti dell’Assemblea. Con enfasi veniale le cronache relative alla prima seduta dell’Assemblea Costituente parlano di «un’affluenza di pubblico quale si è raramente verificata anche nelle più solenni occasioni» e descrivono un’aula gremita di deputati con pochissimi seggi vuoti.

Il progetto di riforma della Costituzione, già approvato dal Parlamento e ora sottoposto a un referendum popolare confermativo, è nato invece, sia pure al termine di una lunga incubazione bipartisan, dalla full immersion di quattro “saggi”, ritiratisi dal 20 al 23 agosto 2003 in una baita sulle Dolomiti per riscrivere cinquantatre articoli sui complessivi centotrentaquattro attualmente in vigore. Il nuovo testo tende a indebolire le procedure democratiche classiche, fatte di vincoli, equilibri delicati di pesi e contrappesi, regole inevitabilmente complesse, rimpiazzandole con strategie di conduzione aziendale della politica Ne è prova la funzione manageriale assegnata dalla riforma al capo del governo (significativamente chiamato non più “Presidente del Consiglio dei Ministri” ma “Primo ministro”), ciò che secondo alcuni costituzionalisti segnerebbe la transizione dalla repubblica parlamentare a una forma di “premierato assoluto”. Il premier, eletto de facto direttamente dal popolo, non chiederà più la fiducia al Parlamento, potrà nominare e revocare i ministri (mentre la Costituzione del 1948 prevede che essi vengano scelti dal capo dello stato su indicazione del presidente del consiglio), «determinare» (e non più, o non solo, «dirigere») la politica generale del governo, sciogliere in anticipo l’Assemblea (oggi questo potere è esercitato dal presidente della Repubblica). Un’eventuale mozione di sfiducia, che potrà essere avanzata dalla sola Camera dei deputati, obbligherebbe il Primo ministro a dimettersi ma simultaneamente comporterebbe lo scioglimento della Camera stessa o, in alternativa, chiamerebbe la maggioranza a presentare una mozione di “sfiducia costruttiva” nella quale andrà indicato il nuovo premier. Il Parlamento continuerà a comporsi di due Camere: tuttavia, mentre attualmente la funzione legislativa viene esercitata da entrambe (“bicameralismo perfetto”), con la riforma la Camera dei deputati voterà le leggi di competenza esclusiva dello Stato e il “Senato federale della Repubblica” si occuperà di quelle a competenza “concorrente” statale e regionale o soltanto regionale. Verrà ridotto di centosettantasette unità il numero dei parlamentari (da 950 a 773) e si abbasserà l’età minima per essere eletti: da 25 a 21 anni per la Camera, da 40 a 25 per il Senato federale, da 50 a 40 per il presidente della Repubblica. Quest’ultimo non rappresenterà più l’«unità nazionale» ma la «Nazione» e sarà «garante della Costituzione e dell’unità federale della Repubblica». La nuova Costituzione mette in discussione non soltanto la composizione ma il ruolo stesso della Corte Costituzionale, organo di garanzia e di controllo che per espletare i suoi compiti deve disporre della totale indipendenza dall’esecutivo. È questa la ragione per la quale, attualmente, soltanto un terzo dei membri della Consulta viene eletto dal Parlamento: la riforma, invece, stabilisce la nomina politica di sette giudici su quindici. Viene poi introdotta la cosiddetta devolution, cioè il conferimento alle singole regioni della competenza legislativa esclusiva, e non più concorrente con lo Stato, in materia di diritti fondamentali come la salute, l’istruzione e la pubblica sicurezza. La devolution comporta infine l’attuazione del “federalismo fiscale”. In caso di vittoria del «Sì», pur essendo prevista l’istituzione di un fondo compensativo a beneficio delle regioni economicamente più deboli, gli enti locali potranno gestire autonomamente entrate, spese e risorse: un rimedio «contro i guasti e gli storici sperperi del centralismo statale», come sostiene qualcuno, o il primo passo verso la disgregazione dell’unità nazionale?

[ricevuto da “Bina”, lettera aperta portatile (a)periodica di Marco Giovenale e Massimo Sannelli.

Nella foto, Umberto Terracini – per esempio.]

46 COMMENTS

  1. Un breve pensiero
    Uomini e donne difendeno ciò che conoscono.
    Non insegnanti di religione, ma insegnanti di educazione civica !

  2. Solo due domande mi pongo:
    chi ha scritto questo articolo ha letto le proposte che erano uscite dalla bicamerale e che erano state approvate dal centrosinistra?
    Ritiene che la nostra Costituzione attuale sia la verità scolpita nella pietra?

    Buona notte. Trespolo.

  3. Carlo, questo vorrebbe dire che, per tentare qualche riforma, dovremmo prima sottoporci tutti a trapianto di cuore?

    Non mi piace molto l’idea… :-)

    Buona giornata. Trespolo.

  4. ..per tentare qualche riforma.. – Di cosa si sta parlando di giochetti per bimbi annoiati ?

  5. Ovviamente, la Costituzione non è inamovibile. Tuttavia, è meglio un sano ed onesto conservatorismo su essa. I possibili costituenti di oggi, siano essi di destra o di sinistra (presunte), non sono minimamente forniti della cultura civica, giuridica, oltre che della dirittura morale, di coloro che fecero parte dell’Assemblea Costituente. Dove sono uomini della tempra di un Terracini, Calamandrei, Lazzati, Vittorio Foa, La Malfa (padre), Einaudi ?
    La Costituzione si può tutt’al più aggiornare su punti marginali (numero dei parlamentari, sfiducia costruttiva), ma l’impianto originario resta più che valido (un’interessante lettura è oggi “Ernesto Bettinelli – La Costituzione italiana – un classico giuridico – BUR Rizzoli). Ergo, sia le proposte della bicamerale, sia la riforma del centrodestra sono sostanzialmente una fuoruscita dai valori e dai metodi della democrazia liberale, verso un mix presidenzial-populista-autoritario.

  6. @Claudio: sto parlando di un Paese, la nostra Italia, che ha avuto più governi che anni; di un Paese, sempre la nostra Italia, che ha una quintalata di onorevoli e senatori inutili e ribadisco l’inutili, pagati a peso d’oro; di un Paese, sempre noi, che ha due Camere che fanno la stessa cosa; di un Paese che non riesce a mettere insieme una politica in grado di ragionare e pianificare oltre i due anni.
    Questi non sono giochini: sono dati di fatto. E se dopo tutto questo, e altro ancora, non siamo ancora in grado di capire che devono essere cambiate le regole del gioco (leggi Costituzione), beh: siamo messi proprio male.

    Non capisco questo moloch inamovibile di una Costituzione scritta male, in fretta e con l’obiettivo di difendere il Paese (all’epoca) da una possibile ascesa comunista. Non capisco questa difesa a oltranza e oltraggiosa, per chi possiede un minimo di intelligenza, di una Costituzione che ha fatto il suo tempo, è servita per ciò che doveva servire, ma ora è una palla di piombo al piede di tutto il Paese.

    E non mi convincono più i sani conservatorismi: ci hanno portato nella condizione attuale con un governo che si regge sui Senatori a vita, Presidenti ultraottantenni, ma che non perdono momento per chiedere maggiore spazio per i giovani, nessuna riforma strutturale seria che riesce a passare perché inchiodata alla base da una Costituzione vecchia e oramai fuori dal tempo.

    Claudio, se questi per te sono giochini ti lascio giocare volentieri, ma ho ragione di ritenere che ti divertirai poco. A meno che non ti accontenti di apparire intelligente e illuminato con la solita battutina sarcastica, lanciata a mezza bocca e col sorriso da figo. Buon pro ti faccia :-)

    Buona notte. Trespolo.

  7. Enrico, Bettinelli è libero di scrivere ciò che vuole, io libero di pensare che non ragiona in modo corretto e si comporta da nostalgico pensatore. O dico qualcosa di sbagliato?

    Buona notte. Trespolo.

  8. dici così perché hai letto Bettinelli e non condividi quel che dice, o perché – qualsiasi cosa dica – hai deciso di non essere d’accordo?
    suggerisco in ogni caso di leggere qui.
    che la Costituzione non sia le XII Tavole di Mosè, ok; ma che per via di vecchi e nuovi fascisti e democristiani litigiosi la si debba gettare a mare (e nel modo che loro stessi poi indicano), lo trovo bizzarro.
    ci sono dei bari al tavolo da gioco? allora cambiamo le regole. interessante come ragionamento.
    e a chi affidiamo il cambiamento delle regole? ai bari. sempre più interessante.
    la Costituzione sarebbe stata scritta “in fretta”? e “male”?
    certo i supersaggi dei 4 giorni sulle Dolomiti avranno invece fatto un lavorone sopraffino. ne siamo certi.
    e ovviamente tutti i costituzionalisti che dicono che questa riforma è (perché E’) sbagliata, sbagliano loro. sbaglia Rodotà, ovviamente. (vatti a vedere l’intervista sul sito della Fondazione Basso)

  9. ‘enfasi veniale’.

    come funziona l’analisi demistificante del linguaggio, dei linguaggi, l’analisi delle parole del potere? (del reale)?

    quando e perchè l’enfasi o la retorica si fanno ‘veniali’?

    siamo d’accordo o no, restando un po’ lucidi, che proprio l’enfasi e la retorica hanno condannato, ad esempio, la (memoria, il senso, la materialità della) Resistenza alla stasi monumentale, eroico-patriottica, per depotenziarne valore e ‘attualità’?

    nell’intervento di roberto (sul post de ‘i fante atlantico’) c’è un’allusione ad una piccola bibliografia tascabile di alcuni autori (in ombra) che già denunciavano i germi involutivi (di quella retorica, come di tutte le altre).

    ricordo che sciascia, dopo trent’anni da quelle descrizioni ‘veniali’, descriveva il catino di montecitorio come un regno di api laboriose. colpiva una certa ‘confusione’. la stessa ‘confusione’ di cui avrebbe parlato, tra l’altro, a proposito del maxi processo di palermo.

    questo per dire che la battaglia per il no, con tutte le sue contraddizioni (vedi vecchia bicamerale e progetti presidenzialistici della stessa nostra sinistra riformistica) è, in blocco, condivisibile. perchè, in blocco, condanna modalità e cultura politica a cui si ispira questa controriforma (la P2 è, nell’ombra, l’antecedente think tank di queste modifiche ‘costituzionalistiche’, mi pare: per aggiungere pathos della verità a pathos riformistico, in difesa dei ‘padri’, eccetera).

    il punto è che sempre e comunque la sinistra, la sua cultura politica, è in ritardo, in difesa, fa battaglie per difendere ‘valori conservatori’, una inesistente e anzi nociva ‘memoria condivisa’ (si vota contro, sempre, il neo-fascismo, eccetera).

    lo stesso racamultese diceva che il conservatorismo, a volte, è l’arma più rivoluzionaria, in certi contesti e situazioni storiche. perchè vuole salvare il meglio, che gli altri invece intendono spazzare via.

    dopo lunedì sarà in grado questa stessa sinistra che oggi fa ‘retorica veniale’ e ‘difensiva’ (‘conservatrice’ ) di ‘aggiornare’ ‘valori’ e memorie?(in senso democratico, s’intende).

  10. Enfasi veniale, proprio così. La citazione è tratta da un comunicato Ansa diramato negli stessi istanti in cui si insediava l’Assemblea Costituente. Una certa commozione dopo la tragedia ci stava tutta, sarebbe poco lucido non riconoscerlo. Nell’articolo, del resto, non si paventa il ritorno del fascismo con fez e manganello (l’eterno spauracchio dei retorici celebratori-affossatori della Resistenza) ma l’ascesa di una nuova forma di totalitarismo in giacca e cravatta basata sul paradigma manageriale-aziendalistico. Come aggiornare valori e memorie senza denuncia dell’incompatibilità radicale tra (presunta) “efficienza” e democrazia?

  11. non voterò una costituzione scritta da calderoli (odontoiatra, perche fa il politico?) mentre stava in vacanza e decideva se giocare con i cruciverba, a sudoku o con la costituzione….

  12. questa costituzione porterebbe il sud alla distruzione, e se è vero che l’italia va dal trentino alla sicilia, è vero anche che va rispettata la sua unitarietà. Non è coerente che in campania c’è una sanità diversa, un PROGRAMMA SCOLASTICO diverso dalle altre regioni, non esiste che se voglio andare a curarmi in toscana (per dire) non ci posso andare perchè lo posso fare anche dove sto. Non è giusto che se voglio andare a studiare a Bologna non lo posso fare perchè ho l’università anche in città. Aumentiamo i poteri alle regioni, così dove c’è malavita, quest’ultima farà ancora di più gli affari suoi. Facciamo pure diventare il premier il neoduce… ma per favore. Di sicuro non andrò a votare “si” ad una costituzione fatta dal nord per il nord.

  13. PER NON DISPERDERE LE FORZE
    RIPORTO ALCUNI COMMENTI DI
    GEORGIA E MIEI SUL TEMA

    georgia Says:
    June 22nd, 2006 at 18:13
    (…) La riforma di oggi oltre ad essere stata fatta coi piedi (di calderoli) è stata voluta e votata anche da un partito razzista come la lega (che quando si distrae è pure antisemita) e da parecchi fascisti. Si, ripeto è abbastanza singolare la cosa, ma non mi stupisce, ormai nulla mi stupisce.
    geo

    roberto Says:
    June 22nd, 2006 at 19:32
    @georgia
    ho visto sul tuo blog che dai grande spazio alla campagna per il no.
    Speriamo che il cuore non venga spezzato. Ma per conto mio credo che me ne andrò a mare proprio perché, come scrivi, grande è la confusione all’equatore e ci si può solo perdere.

    Le modifiche costituzionali sono state approvate dall’asse nordista, conservatore e padano. Vero. Non sono il frutto di un’intesa larga, come quella che riunì i padri della patria costituente.

    Ma ti segnalo che il professor Sartori, e qui faccio una riverenza, sostiene che oggi il problema non è il premierato, ma è “il tipo di premierato” che hanno scelto Calderoli e Co., il premierato sbagliato.

    La vera riforma, secondo Sartori, sarebbe il premier eletto direttamente dal popolo. Che ne pensi? Andiamo verso una deriva Sudamericana? Mi sembra che Sartori sia più di casa a New York.

    D’altra parte che sia parlamentarismo o premierato contano gli uomini, i partiti, la storia politica la fanno loro.

    E che il premier abbia il potere di sciogliere le camere, be’, se fossi in Prodi, aspetterei il momento giusto per farmi da parte, indire nuove elezioni, vere primarie, e vincere le elezioni come si deve, con un candidato-puer, come si deve, per governare (altra cosa è palleggiare con manette, principi e papponi, mentre la Rai resta la Rai).

    Anche la retorica che gronda dallo spot del comitato per il no, la difesa dei padri costituenti, andrebbe focalizzata meglio, per esempio pensando a quello che diceva Salvemini sull’inciucio costituente tra dc, pci e psi.

    C’è un altro scrittore italiano, uno di quelli dimenticati, che per questo non chiamo per nome (sarebbe inutile), uno di quegli autori che appunto restano fuori dalle carte costituenti della letteratura italiana, quella dei Ferroni e dei Luperini, per esempio, be’, che dopo aver assistito alla tragedia della guerra, alla morte civile, alla disgregazione dello stato dopo la sconfitta nella Seconda Guerra mondiale, con un pizzico di malignità, dietro i grandi propositi e le strette di mano dei costituenti, suggeriva già l’influenza (aviaria) della spartizione partitocratica del potere, il germe malato del parlamentarismo italiano che da cinquant’anni blocca qualsiasi riforma, rallentando i processi storici costituzionali, ma anche sociali ed economici del paese.

    Oltre allo scrittore innominabile di sopra, vorrei ricordare la portata corrosiva de “l’Orologio”, un romanzo-saggio di Carlo Levi, sulla crisi dell’azionismo e della resistenza. Oppure i libri di un altro outsider come Gianni Baldi (”Clandestini a Milano”), tutti scrittori che la storiografia del dopo Tangentopoli ha rivalutato e che i politici della sinistra di oggi non dovrebbero sottovalutare.

    Ripeto: gli spot fininvest sulla diminuzione dei parlamentari sono indecenti, e l’autorità televisiva li ha bloccati troppo tardi. La destra neoborg e padana vuole vincere per dare la spallata a Prodi, sanno già che dopo sarebbe un (piccolo) disastro.

    Ma il la Puglia in mano a Vendola la devolverei, e a quel punto vedremo cosa significherà il federalismo fiscale in salsa meridionalista.
    Sulla riforma di Calderoli e la controriforma dei No
    http://www.referendumcostituzionale.org/votano.asp
    Qualcosa su Gianni Baldi, ma molto poco:
    http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri19.htm

    georgia Says:
    June 22nd, 2006 at 22:05

    GEORGIA
    mmmmmmmm …
    Non credo a nessuna deriva sudamericana :-) se vince il no.
    Ma non ci crede neppure Sartori.
    Restiamo se dio vuole con la vecchia Costituzione e non credo che si parlerà più di premier eletto.
    Ad ogni modo io non ho pregiudiziali su un tipo di governo o un altro, ma certo tra la costituzione di calamandrei e quella di calderoli non ho dubbi su quale scegliere, senza se e senza ma scelgo la prima.
    Ti sei mai domandato come mai una volta fatta la disastrata riforma hanno subito elimnato l’uninominale che ci avevano fatto passare per il meglio del meglio?
    Qualsiasi altra modifica, visto che siamo tornati al prorzionale dovrà coinvolgere una ampio settore del parlamento, sarà impossibile far passare una legge costituzionale con la sola maggioranza e questa sarà una garanzia, se vince il no, ma sarà una iattura se passerà sto macello demenziale fascio-leghista, perchè ci rimarrà sullo stomaco per parecchio.
    Caro roberto in questi giorni ti leggevo un po’ perplessa e non riuscivo a capire bene come eri, certe cose che scrivi mi piacciono altre mi lasciano perplessa, così avevo deciso di rimandare il giudizio su di te.
    Ora mi sono fatta una idea.
    Bene, buon mare allora, sono sempre gli stessi ad andarsene al mare in momenti come questi;-), io invece sarò fuori ma tornerò apposta per votare, mi sembra il minimo che possa fare. Per riavere una costituzione come l’attuale dovrei avere un guerra e una lotta di liberazione e sinceramente ne vorrei fare a meno, quindi vado a difendere l’unica cosa buona che ci è rimasta, tu abbronzati anche per me … e diventa bello nero. georgia

  14. Può esistere un premierato buono e uno cattivo? E dove passa la linea di confine, soprattutto in un paese come il nostro (partiti come AN, Lega e Forza Italia non hanno niente a che vedere con l’antifascismo vecchio e nuovo)? Quanto al reverendo prof. Sartori, ecco alcune perle da un articolo apparso sul Corriere tre anni fa (mi scuso per l’OT, ma credo sia utile per capire dove ci portano certi maitres-a-penser). Questa è stupenda: «Abbiamo vissuto settimane non solo di guerra ma anche di sciocchezze e assurdità sulla guerra. La guerra in Iraq è abbastanza finita» (cosa significherà mai quell'”abbastanza”?). Poi un climax irresistibile: «le armi nucleari americane non sono la stessa cosa delle armi nucleari nordcoreane e di altri Stati canaglia. Le prime hanno protetto l’Occidente e assicurato la pace per cinquant’anni di guerra fredda, mentre le seconde sono, in prospettiva, una terribile minaccia per tutti (…) I pacifisti parlano ancora di anticaglie: guerra imperialista, guerra di conquista, guerra coloniale. L’impero americano già esiste senza bisogno di guerre; gli americani non conquistano territori da centocinquanta anni; e il loro istinto, essendo ex colonie, è visceralmente anticoloniale. Se la guerra all’Iraq farà paura, se avrà la sperata efficacia deterrente, allora la guerra americana finisce qui. Da quando il presidente Reagan bombardò Gheddafi, da allora la Libia è stata cauta». Chiaro il concetto?

  15. >Trespolo: Non si tratta di battutine sarcastiche, si tratta di comprendere che una riforma costituzionale seria non si “tenta”, come si tenta al gioco o in amore, le riforme costituzionali serie godono di un consenso popolare vasto perché si attuano nella storia. Respirano dei mutamenti socio-politici che ne determinano la necessità. Le riforme costituzionali serie sono il punto più alto dello stato di diritto e non il punto più basso, “tentativo” di un manipolo di uomini in preda a delirio da potere.

    Mi perdoni, personalmente ho un enorme rispetto per la nostra Carta Costituzionale e per le forze politiche che ne hanno permesso la nascita e non ho nessuna voglia di divertirmi. Se a lei è parso così, si sbaglia.

    Siamo chiamati a votare Si o No, non per giudicare in maniera astratta la Costituzione del ’48. Si tratta precisamente di votare Si o No una serie di articoli che non hanno solo l’intento di migliorare quella Costituzione, ma di sconvolgerla nei suoi tratti essenziali.
    Lei crede che tale stravolgimento in una fase così delicata della nostra vita politica sarà un bene per il paese ?

  16. @claudio

    hai ragione claudio. il tuo pragmatismo è encomiabile. anche perchè poi, in fondo, si va a votare, o no, sui ‘quesiti’ (come si dice). hic et nunc.

    ma guardare avanti (intendo dopo lunedì, ‘conservando’ la ‘carta’ senza volgari e insidiose manomissioni), o indietro (non la ‘carta’ in sè ma ciò che vi era dietro, o intorno) non mi sembra esercizio astratto. e ragionare anche sui ‘modi’ coi quali si sta facendo battaglia per il no (sulla ‘ideologia’ del no)… così come ci scateniamo a parlare di Dolomiti e dello studio dentistico di calderoli (o di castelli).

    tutti accorpati in difesa dei valori antichi, in ‘onore’ dei ‘padri’ della patria. questo passa (come, ahimè, per tutti i referendum che hanno bisogno di schematizzazioni manichee e digeribili). poco si ragiona e si parla, fatalmente, dei cambiamenti ‘tecnici’ proposti: su questo, ma non ‘in blocco’, non per tutte le modifiche di cui trattasi ‘tecnicamente’, siamo d’accordo (per cultura o per ‘natura’), mi pare. si DEVE votare no (in blocco). al di là, pragmaticamente, di contraddizioni (bicamerali) e possibili giustezze della (contro)riforma.

    ma poco si scarta da quella retorica (dei ‘padri della patria’, che spacciano per ‘condivisa’): che va, ripeto, indagata, demistificata anch’essa, ANCHE se, apparentemente, si fa il gioco delle destre. il ‘pericolo’ fa per accorpare i gruppi, intorno a ‘valori’ che dovrebbero fare presa sul ‘senso comune’, ma comporta anche perdità di ‘lucidità’ (di ‘profondità’ storica).

    insomma, stiamo facendo battaglia in difesa della ‘carta’, e ci mancherebbe altro, accanto a scalfaro (per dire), e mi sembra che lo si faccia, per lo più, senza distinguerci troppo, come forse bisognerebbe, nei discorsi e nelle ‘rivendicazioni’, dalla ‘continuità’ repubblicana (com’è questa continuità, in definitiva, va ‘solo’ difesa?)….

    questo non è poco. ok sconfiggere i ‘reazionari’ ecc. ecc. ma si deve proprio fare questa (seria) battaglia di pensiero con questo molesto (o veltroniano-spettacolare) sapore di ‘richiamo all’ordine’?. senza ‘aprofittare’ della battaglia (hic et nunc) per ‘aggiornare’ letture della storia, ideologie, politiche, memorie (‘valori’)?

  17. VOLENDO PRECISARE. Da un punto di vista giuridico formale (in diritto la foma è sostanza), qualsiasi riscrittura contemporanea di più parti della Costituzione (chiunque la faccia) cozza col dettato e con lo spirito dell’art.138, che intende la “revisione”, come emendabilità su singoli punti (immunità, giusto processo, per es.) o settori (Titolo V sulle Regioni, etc.): sul punto leggersi i lavori della Costituente.
    Una riscrittura della Costituzione, invece, che comporti una “rivoluzione” globale dell’assetto dello Stato, può essere solo frutto di una nuova Assemble Costituente eletta con metodo integralmente propozionale, e davvero rappresentativa della nazione.
    Il Parlamento ordinariamente può solo limitarsi ad emendare, aggiornare, revisionare la Costituzione su punti specifici.
    IN FONDO è un concetto non molto lontano dalla revisione dell’…automobile, è una messa a punto. Ma, se cambi l’intero motore e interi pezzi di carrozzeria, allora è un’altra auto: un privato può farlo.
    Mentre per una Carta Costituzionale, che rappresenta la casa di una nazione è ben diverso, come sopra detto.

  18. @enrico, fabio, giampiero, claudio, heyjoe
    Oggi apro il Venerdì di Repubblica, l’house organ dei salotti romani.
    Sfoglio le pagine platinate tra pubblicità, recensioni, qualche firma illustre e un reportage dal Congo.

    A un certo punto, ecco il classico effetto revival scatenato dalle foto in bianco e nero: facce e abiti ed espressioni di una piazza italiana degli anni cinquanta , i manifestanti con i cartelli che dicono “Salviamo la costituzione”.

    Vorrei che qualcuno mi spiegasse la sottile schizofrenia di questo settimanale per signore di Capalbio che di colpo, abbandonati i sempremeriti Dolce e Gabbana (pubblicità poche pagine prima), si lanciano nella accorata lettura del pezzo di Sebastiano Messina, “L’ultimo atto di una battaglia giocata sulla Carta”.

    Un pezzo schierato per il no, com’è giusto che sia, ma vediamo com’è scritto, il pezzo, e quali sono gli argomenti del giornalista per convincere le sue lettrici.

    Sebastiano Messina nemmeno se lo sogna di provare a rileggere la storia senza occhiali, come dice Fabio. In fondo lo sa che il suo dovere è informare, meglio ancora, intrattenere, le signorotte ingioiellate (etnico, of course), magari spingendole a organizzare un banchetto elettorale.

    Quindi ci propina il solito bignami democratico sui i 4 saggi della Baita, “un drappello che volle rinnovare le istituzioni”, dice Messina, “in braghette e scarponcini”. In effetti la foto ritrae Calderoli, Nania, D’Onofrio, Pastore, in abbigliamento casual (forse troppo, glielo concedo), contrapponendoli a un’altra foto dei Padri della Patria, i Padri della Costituente, Terracini che firma la Costituzione sotto gli occhi di Enrico de Nicola.

    Ma voglio dire, Messina crede davvero che i Padri sono meglio dei Nipoti perchè erano vestiti in giacca e cravatta nera, il look gessato di un’Italia in doppiopetto che ci ammorba dal Risorgimento? (tipo quei patetici biglietti che Ciampi usava per leggere i suoi discorsi, ma dico io, se può?, sarebbe questo lo stile patriottico e risorgimentale? la signora Franca che spara a zero sui reality e poi si fa fare l’autografo da Fiorello? Mah…).

    Ma dai, ragazzi, così è troppo facile. E’ troppo facile ironizzare su Calderoli, “riconoscibile per l’eterno sorriso stampato sul volto perennemente arrossato” (una perifrasi per dire che è un ubriaco).
    Queste cose le scrivevo quando avevo 14 anni, con tutto il rispetto.

    E Domenico Nania, un altro della banda dei 4? “Avvocato, è figlio di un sarto…” Ebbe’? Che ce frega? Uno per scrivere la costituzione deve per forza essere figlio di un laureato alla Chicago University? (i tecnici, i tecnici, a me m’hanno rotto pure “i tecnici”, ma insomma, perché Bassanini e Amato vanno bene e Calderoli no, sto mettendo da parte i contenuti delle proposte, parlo proprio degli uomini in carne ed ossa).
    Non sarà un tantinello razzistico anche ridurre Nania a un ciuffo di “capelli precocemente incanutiti” e un “ciuffetto anni sessanta”?

    Ma veniamo al pezzo successivo, p.35, in cui Paola Zanuttini ci spiega che differenza c’è tra Calderoli e Calamandrei. Be’, non ci vuole certo una raeliano per capirlo. E se volete una prova di quanto ci tenga davvero, io, ai nostri Padri, vi cito un nome per tutti: il Pert di Pazienza.

    Ma purtroppo la realtà dell’Assemblea Costituente non fu solo quella dei Pertini, dei Dossetti e dei Di Vittorio, la gente per bene, fu anche quella di, vado a memoria, Mariano Rumor e Mario Scelba.

    E Luigi Einaudi, il poliziotto buono del capitalismo transnazionale.
    E l’imperdurabile, imperturbabile, inaffondabile, Oscar Luigi Scalfaro.

    Devi navigare ore su internet prima di trovare qualche notizia che riesca a lambire a dirittura morale di un uomo come questo, che è già un personaggio storico (vivente).

    L’ “Io non ci sto!” tuonato a reti unificate da Scalfaro quando provarono a incastrarlo risuona ancora nelle orecchie del popolo italiano.

    Scalfaro rappresenta la perdurabilità del potere democristiano, ed è davvero curioso*** che oggi stiamo qui, a cantarne le virtù, come se fosse lui, lo scudo crociato, il difensore della fede antiberlusconiana (come lo straordinario caso di Kossiga col K che oggi è più a sinistra di D’Alema nei cuori di qualche no-global).
    Te lo do io il non ci sto. Te lo do io il no.

    ***Un’altra curiosità, tra i padri costituenti c’era anche una pattuglia di aderenti al movimento dell’Uomo Qualunque, di cui tutti sappiamo la deriva (mi direte che non contavano un cazzo, ma c’erano).

    @enricodelea
    ho apprezzato molto il tuo commento, ma il discorso che sto (stiamo? c’è qualcun altro?) cercando di fare non è solo ‘scientifico’, nel senso della logica istituzionale, ma anche più viscerale e politico e culturale.

    Ecco perchè mi ero permesso di citare l’Innominabile, l’Orologio di Levi, e altri fuori di testa della nostra letteratura tipo Baldi.

    Sui contenuti delle tue osservazioni non posso aggiungere altro, sono (in parte) d’accordo, anche se ho l’impressione che “emendare” “aggiornare”, eccetera eccetera, oggi in certi ambienti destri e sinistri è considerato un attentato all’integrità dello Stato e della Nazione.
    Vorrei sottolinearlo.
    Per cosa stiamo combattendo?
    Lo Stato e Nazione?

    @georgia
    “Caro roberto in questi giorni ti leggevo un po’ perplessa e non riuscivo a capire bene come eri, certe cose che scrivi mi piacciono altre mi lasciano perplessa, così avevo deciso di rimandare il giudizio su di te. Ora mi sono fatta una idea. Bene, buon mare allora, sono sempre gli stessi ad andarsene al mare in momenti come questi”.

    Ne ho le scatole piene dei vincenti, di quelli che si appuntano le medagliette sul petto. Sono cresciuto in mo(n)do diverso, dalla parte dei non graduati.

    Non ho votato alle primarie, e la vittoria di Prodi mi lascia assolutamente indifferente, visto che non lo considero uomo di sinistra.

    Un giorno, forse, riusciremo a staccarci le medagliette dal petto e a fare cose di sinistra (non basta dirle, il morettismo è lamentoso, tranne qualche sprazzo di vita. E le signorotte del Venerdì sono così, noiose, a tratti con uno sprazzo di vita).

  19. Grazie Giampiero, anche per il prezioso memorandum sul reverendo Sartori. Veramente illuminante, soprattutto sullo stato confusionale di certa presunta sinistra frou frou alla frutta candita.

  20. @Cato
    nessuno difende Sartori. Ma che ne pensi della santificazione dei padri costituenti, posto gli ultimi commenti?
    Un candito.

  21. @marano
    Ovviamente la domanda va inoltrata anche a Marano.
    Non basta postare e poi ritrarsi da domande e commenti.
    Almeno credo.

  22. @nazione
    Va bene. Visto che preferite parlare di alta letteratura, e non vedo risposte sul tema specifico del referendum (Georgia, vedi un po’ te, chi è che è andato a mare?), continuo da solo. Paradossale che l’argomento interessi tanto a uno che domani non andrà a votare.

    E allora, oggi si parte dal Manifesto, il quotidiano che in un giorno si vanta di aver raccolto tra i suoi lettori 70.000 euro di sottoscrizione (settantamila). Mi piacerebbe che il quotidiano diretto da Gabriele Polo fosse tanto preciso anche quando si tratta di fare l’estratto conto degli incassi (:lettori), del venduto, insomma (ma che sei matto? Dobbiamo competere sul mercato?! Che vendite e vendite! Noi non ci sporchiamo le mani. Noi siamo una coperativa, e tu non stai nella coop). Ma ne riparleremo.

    L’editoriale di Marco D’Eramo contiene molte cose giuste, e qualcosa su cui, credo, si può ancora discutere. La cosa giusta è il modo (che qui abbiamo già segnalato) con cui il Comitato del No sta portando avanti questa campagna elettorale: “è come se la vittoria del No l’avesse ordinata il medico agli italiani” (allora il dottore di casa mia è un genio visto che ha convinto a votare no mia madre e mio fratello, che non sono proprio due emblemi della sinistra antagonista).

    Ma D’Eramo ha ragione: “il messaggio del centro-sinistra è che bisogna votare no solo perché le riforme istituzionali ‘vanno concordate a larga maggioranza’; anzi, la vittoria del No è il presupposto per sedersi a un tavolo delle larghe intese”. Io non mi scandalizzerei, come fa D’Eramo, si chiamo dialettica ‘democratica’, mobbing istituzionale. Ma stanno facendo così, in fondo si tratta di ‘aggiustare’ il Titolo V.

    Torno a quello che ha scritto Enrico Delea su NI, “le piccole modifiche” concesse dall’articolo 138. Su questo, Vannino Chiti semba disposto a trattare. Ma quali sono queste piccole modifiche?

    Nell’intervista a Stefano Rodotà (p.5), “Manuale del buon conservatore”***, ritroviamo la solita storia che il parlamentarismo è meglio del premierato (come dimostra il caso inglese, no? una costituzione molto più arretrata della nostra. Ma adesso mi diranno che c’entra, parliamo di paesi con una storia diversa, e io mi chiedo: ma Italia e Gran Bretagna, se pure con tempi diversi, non stanno tutte e due nella storia dei sistemi istituzionali espressione del capitalismo, vecchio, nuovo e tardo?). No: se passa il premierato Berlusconi diventa Regan (magari!).

    Secondo Rodotà, il 130 va riformato con “interventi puntuali” e “puntiformi”. Quattro colonne di intervista e l’unico punto di riforma del buon conservatore Rodotà è “sviluppare la partecipazione”, ad esempio “il diritto di petizione e di iniziativa popolare”.

    Maggiore democrazia proprietaria, ops, proletaria, più democrazia diretta, dunque (primarie, nuova costituente, premierato). Ma secondo Rodotà, e in tanti commenti di NI, questa è un’ipotesi quasi balzana, succederà che l’Italia diventi un paese a rischio peronismo: v’informo che in materia la pensate come Flavio Briatore (che il peronismo lo denuncia già). FLAVIO BRIATORE.

    Insomma, io non vado a votare perché 1) la riforma dei 4 saggi propone ancora l’elezione del premier in parlamento e 2) perché vorrei un referendum sulla elezione del premier con voto popolare.

    Secondo voi la partecipazione popolare è per forza sinonimo di sistemi repressivi? (e il peronismo dei Padri Costituenti Scelba e Tambroni, allora, ce lo siamo dimenticati? Eppure operavano in un regime parlamentare, quello dell’inciucio stay-behindiano).

    Comunque, tutto sommato, almeno in Manifesto ti aiuta a ragionare, e per questo, in fondo, diamoci da fare, aiutamoli nella loro campagna popolare, ma criticamente, dio santo, non versandogli a occhi chiusi la caparra (o votando a occhi chiusi, vi ricordate di Tozzi?).

    Ma passiamo a Repubblica, il giornale delle signorotte-bene di Rosamarina***. Nei box c’informano sulla campagna musicale per il No: De Gregori concede ‘Viva l’Italia’ al No (chissene). Il pianista Maurizio Pollini suona in difesa della Costituzione (?) al Conservatorio di Milano.

    Poi foto a tutta pagina di Oscar Luigi il Moralizzatore che fa no no con il ditino democristianino, sgnornò, io non ci sto! io non ci sto!, mentre veniamo a sapere che siccome Berlusconi se l’è presa con Ciampi che aveva detto io voto No, be’, secondo il segretario diesse Fassino si è trattato di una “aggressione indecente” (quella berlusconiana).

    Ma insomma, Ciampi non era uno dei senatori di pattuglia al Senato? (e leviamocelo dalle palle, ‘sto senato, considerare “giovane” un senatore quarantenne vi sembra normale? In questo caso ha ragione la mia morosa che dice che ne dimostro tredici, di anni).

    Infine, vorrei riportare un ultimo esempio: nell’occhiello dell’approfondimento (“La Carta della Devolution e dei superpoteri del Premier”), corpo 20, bold, c’è scritto: “Alle Regioni competenza esclusiva su sanità, scuola e polizia locale”, ma nelle stessa pagina, p. 3 (le successive dieci, più o meno, Repubblica le dedica a manette e intercettazioni), nell’ultimo degli ultimi box, corpo 10, tondo, veniamo a sapere che “Per salvaguardare l’unità del paese da voglie secessioniste e interessi troppo particolari in materia economica e fiscale è stato inserito nella formulazione del nuovo testo costituzionale un nuovo articolo che dà al governo il potere insindacabile di abrogare tutte le leggi varate dal Senato Federale in contrasto con la volontà del governo”.

    Nel paese delle Vacche Magre immaginato dai No, com’è logico che sia, morettianamente, se dici premier dici Berlusconi e quindi aridaglie col pessimismo cosmico. Non è possibile che invece il premier (forte) sia di sinistra e quindi eviti sperequazioni devolutive? No, se perdiamo il referendum aspettiamoci la spallata.

    Anche D’Eramo, sul Manifesto, aveva stigmatizzato il potere delle nuove regioni, la scuola dei ricchi e gli ospedali dei poveri. Ma di grazia, se la prevalenza delle regioni sono rosse (e considerate che la riforma del sistema regionale è una delle più recenti, quindi da mettere a punto, puntiformo, o come cazzo lo volete chiamare), che cosa avremmo da perderci?

    “Lasciamo le scuole private a chi se ne approfitta e gode. Si facciano pure i loro ospedali privati, con i loro avvocati, i loro notai e i medici di fiducia. Noi avremo le nostre”.

    Che ne dice Vendola di una riforma della scuola pugliese? E della Sanità, riuscirà a toglierli o no questi ticket? Niente intervista a Vendola.

    No. In tv passa il governatore della Calabria che intona il de prufundis della legalità e il sacco dello stato (come se non c’è già stato).

    E se invece andasse così:
    “Le procure e i comandi dei Carabineiros sono fedeli ai nostri governatori. La prefettura guarda di buon occhio alle nostre azioni democratiche. Per sbaragliare le bande di mafiosi asserragliate nel tacco della città vecchia ci vogliono i polsi fermi. La prefettura ha il potere necessario, le tecnologie e i mezzi per riuscirci. I network liberal e la grande stampa popolare e rosso-verde dà addosso al governatore, lo accusa di essere uno sceriffo con la pistola, di non amare la sua terra. In passato, il governatore amava girare sugli elicotteri dei Carabineiros per monitorare le proprietà dei mafiosi. Ha pubblicato il primo capillare catasto della mafia cittadina, la base del nostro programma di lotta contro la criminalità. Vogliamo espropriare i clan dei loro beni. Riappropriarci dei soldi della droga, del racket e dell’usura, del gioco d’azzardo clandestino e della prostituzione, delle armi e di ogni genere di mercato nero. Prendete i figli e i figliastri dei boss, i raccomandati dai clan criminali, i protetti dei potenti, dai vicini di tavolo che si fanno favori nel miglior ristorante della città. La giovane leva criminale che brandisce la pistola in una mano e il codice penale nell’altra. Con loro è necessaria la stessa spietata fermezza. L’inverno scorso, uno dei nostri attivisti si è infiltrato nella facoltà di Giurisprudenza e ha smascherato Aiace Boileo, uno dei delfini di cosca nosta. Il reuccio del traffico di auto rubate aveva deciso di darsi un tono e frequentava l’università per diventare avvocato. Nei vicoli della città vecchia lo chiamavano già dottore. I nosti giudici e magistrati su scala locale operano già in un regime processuale accelerato, sfornando sentenze su sentenze, facendo il vuoto intorno agli avvocati dei boss, la carcerazione preventiva per i sospetti, la confisca cautelare dei beni prima del giudizio. Il governatore ha creato un’iperforza investigativa che risponde direttamente solo a lui e alla Prefettura. Questo manipolo di agenti sono stati in grado di infliggere i primi, temibili colpi alle cosche del quartiere dei profumi. Gli arresti mirati hanno squassato le trame di politici e amministratori prefettizi corrotti, sono operazioni in grande stile nel cuore dei quartieri dominati dai clan. Daremo ai Carabineiros più elicotteri e auto corazzate. La repressione continuerà. Proteggeremo pentiti, ruffiani, delatori. Chiunque ci aiuterà a scoprire dove si nascondono i boss vivrà al sicuro, per sempre, protetto dalla rete degli attivisti democratici. Abbiamo già inquinato la malavita con informatori e doppiogiochisti. Mammasantissima, vi teniamo d’occhio.

    Il Foglio, infine. Anche il giornale di Ferrara non si sottrae alla noia estiva che, tutto sommato, domina l’appuntamento referendario, e relega a pag. 3 l’articolo su “Quelli che domani votano no spiegano perché è bene votare si”. E giù l’elenco di tutti i sinistri papisti comunisti che in passato si sono riempiti la bocca con la parola riforme. Sentite il senatore Cesare Salvi all’epoca della Bicamerale, 1997: “Mi limito a osservare che, quando qualcuno scioglie il parlamento (sta parlando del premier forte, nda), non è che poi assume i pieni poteri e rinchiude i parlamentari in uno stadio di calcio: la parola viene data al popolo sovrano, e potrebbe verificarsi che, se la scelta non è ben calibrata, quello stesso popolo sovrano si formi anche un’idea ed esprima un giudizio sulla scelta stessa dello scioglimento e voti di conseguenza”. Bella faccia tosta diventare un paladino del No.

    Ma tanto si sa, le riforme, quelle vere, la democrazia del “popolo sovrano”, non la vuole nessuno, nè l’ex ministro Calderoli, nè alleanza nazionalista, né i loro riottosi avversari del fronte negazionista, o i più moderati e nobili conservatori di sinistra. Mi sa che fondo il nuovo partito dell’uomo qualunque, e magari divento pure un padre costituente.

    ***Qui da noi ne parlava Fabio, se non ho interpretato male le sue parole
    ***Rosamarina è un villaggio turistico esclusivo in provincia di Bari. Su queste spiagge si bagnava Michele Emiliano, il sindaco che buttato giù Punta Perotti.

  23. Roberto, non era assolutamente un rilievo ad personam. Ti risponderò non appena riavrò il pc: nel casino di questa postazione di fortuna mi è impossibile. Saluti.

  24. @cato
    @georgia
    @andrea inglese

    Bene, rilevo che ad eccezione di Cato il silenzio è assordante. D’altra parte l’essenzialismo (si/no) non prevede il dubbio, la ricerca e l’analisi sistematica. Quindi un astensionista che il mare lo vede solo col binocolo continua a tenervi informati sui fatti.

    Che ne dite del tavolo cripto-costituente e postreferendario che si sta riunendo intorno a Casini, Violante e Tremonti? Non vi sentireste un po’ presi per il culo se, dopo la vittoria del No, aggiustassero il Titolo V e altre amenità del genere, ognuno pensando alla sua fetta di crostatina federalistica?

    Pensate che Formigoni (fronte del Sì) e Bassolino (fronte del No) partano da presupposti differenti? Oggi, intervistati da Repubblica:

    “del resto mi sembra che nei due schieramenti ci sia la consapevolezza che dopo il risultato ci si debba mettere intorno a un tavolo, ritrovarsi insieme per migliorarle (le riforme costituzionali, nda)”.

    “Bisogna completare una lunga transizione con il varo di un Senato Federale, tipo quello tedesco…”

    Facciamo un gioco: qual è la dichiarazione di Formigoni e quale quella di Bassolino?

    Scherzi a parte, vorrei leggere l’editoriale di Eugenio Scalfari – un potente j’accuse sulla crisi del “sistema-italia” -, come un’altra occasione, la possibilità di aprire una nuova fase costituente (non credo che per riuscirci sia per forza necessaria una guerra civile, anche se l’atmosfera, e dico l’atmosfera, è quella).

    Votare No per il cambiamento, dunque. Che non vuol dire solo votare in difesa della ‘tradizione’, ma per rinnovarla, questa benedetta tradizione a cui teniamo tutti (me compreso). Uso le virgolette in senso rafforzativo, proprio perchè non credo a nessun ‘presentismo’, anzi, mi interessa tantissimo il discorso sulla ‘identità’ storica.

    Questa era proprio una delle tracce che avevo lanciato parlando dell’Innominabile, di Levi, di Baldi. Non solo un discorso storico-politico, quindi, ma specificamente letterario, sui minori, i non-togati e irrappresentabili della scrittura italiana, autori che offrono, o almeno tentano di farlo, una visione romanzesca sulla società italiana venuta fuori dalla Seconda Guerra mondiale.

    Una rappresentazione che non coincide, per esempio, con lo storicismo perentorio e senza incertezze di Gianni Ferrara, che firma l’editoriale in prima pagina del Manifesto (“Oggi la partita è decisiva”), scrivendo: “Si decide sulle conquiste di civiltà democratica che, proprio 60 anni fa, per essere state conquistate si costituzionalizzarono. Che divennero perciò la base della nostra convivenza civile”.

    Non vedo tutta questa diretta sequenzialità tra la Resistenza e la Costituente. Sarà perchè non credo che “le conquiste di civiltà democratica” siano venute solo dalla lotta partigiana.

    Per questo odio la retorica patriottica, i tratti più ‘risolutivi’ del ciampismo, il mito di una pacificazione nazionale che rischia di trascurare, e dimenticare, la verità storica di quegli anni: come, al di là della Resistenza, nel decennio terribile (altro che i settanta), ci sia stato qualcosa di più della Resistenza. C’è stata la sconfitta dell’Italia, lo sfascio, che, da prospettive differenti, Scalfari, Parlato, Rossanda, oggi rivedono passare sotto gli occhi (un altro tipo di sfascio, senza morti, almeno non troppi). E se lo dicono loro ci credo, dovremmo crederci.

    Nella immane tragedia della guerra persa, superiore a qualsiasi altro errore del fascismo, ci fu posto per diverse battaglie civili: quella dei partigiani, innanzitutto, certo, la bibliografia è vastissima, ma anche quella dei nostri militari che a un certo punto obiettarono, fuggirono, oppure difesero fino alla fine i propri valori (i vecchi valori nazionali, risorgimentali, eccetera), contro i tedeschi, contro gli Alleati, contro tutto e tutti, in una parola difesero la proprio identità ‘umana’ di fronte all’alienazione ideologica degli stati l’un contro l’altro armati (nazisti, atlantici, sovietici, eccetera).

    Furono uomini risucchiati negli ingorghi della Storia. Soltanto dopo l’89, la storiografia italiana ha riaperto gli archivi su queste testimonianze di eroismo e sacrificio individuale (non sto parlando dei ragazzi di Salò, e nemmeno dei ‘martiri’ di Cefalonia, no, solo degli sconfitti, in rotta, e delle esperienze che hanno vissuto). L’eredità migliore della storia militare italiana. Quando, certe volte, scrivo che i nostri Carabinieri in ‘missione di pace’, oggi, si dimostrano più ‘umani’ dei Marines, credo che questa ‘umanità’ derivi dal fatto di avere nel nostro codice genetico il sentimento – recente – di quella perdita e di quella sconfitta. Curioso che gli americano non l’abbiano ancora elaborato dopo un’esperienza come il Vietnam.

    All’attenzione dimostrata dagli storici nell’indagare quello snodo della nostra vita repubblicana, la Sconfitta, ‘la’ o ‘le’ Rivincite, il caos indescrivibile dei deportati e degli imboscati, degli irriducibili e dei resistenti, la critica letteraria odierna dedica un’attenzione tutto sommato marginale.

    Lo so che dobbiamo parlare della querelle gomorriana, anche se ad essere sincero non ne capisco il senso più profondo (Wu-Ming me lo leggo sotto l’ombrellone, hanno appena pubblicato un racconto in un’antologia estiva con il gotha del brivido internazionale, e lo dico senza ironia alcuna).

    Ma in Italia esistono decine di scrittori over-sessanta (i padri, padri, eccoli i veri padri, cazzo), che conservano almeno un diario di quei giorni tragici e pieni di incertezze nell’armadio, e che magari lo spediscono pure agli editori, il loro libro, il libro di una vita, per venire sfottuti e derubricati nel genere memorialistica che, a quanto pare, è senza futuro.

    Gli editor del presentismo spicciolo, i giapster segnalati acutamente da Garufi, i più infatuati dal gossip letterario nostrano, ma anche gli editor, i critici, gli editori e i redattori, e l’accademia, stanno smarrendo l’Italia, assorbiti come sono dall’offerta letteraria nazionale, anglosassone e globale, e se ne fregano dei vecchi scrittori di paese, del diario di mio nonno che racconta l’impresa imperiale in Grecia, le scarpe di cartone, la fuga precipitosa, nascondersi nei fienili mentre senti un crucco che impartisce ordini secchi ai pastori che ti hanno nascosto in una buca, là sotto, solo e ferito, ma ce l’hai fatta, sei tornato a casa, hai ritrovato tua ragazza, l’hai sposata, tra qualche anno potrai comprarti la Prinz. E forse riuscirai a dimenticare, qualche volta, l’orrore di quello che hai visto e vissuto. Queste cose le vediamo più spesso in una fiction televisiva che leggerle in un libro.

    Eppure i link sul sito di Gianni Baldi, che rimandano a Mediterraneo di Salvatores, dimostrano che la cultura italiana, penso proprio al cinema, quando ha saputo interrogarsi sul passato c’è riuscita, fino ad imporre il proprio punto di vista, anche scanzonato e vitale, su scala internazionale.

    E allora, per tornare a noi, basta davvero l’incipit di Gianni Ferrara? Voglio dire, se è vero quello che dice il giornalista del Manifesto, e cioè che la Costituzione è alla base della nostra “convivenza civile”, non sarebbe giusto indagarla fino in fondo, questa costituzione, per esempio sui lati oscuri del processo costituente (quando Ferrara dice la “costituzionalizzazione”), che, in passato, sono stati denunciati da scrittori italiani al di sopra di ogni sospetto? (Fabio mi ha suggerito Levi, nessuno mi ha ancora chiesto chi sia l’Innominabile).

    Ecco cosa avrebbe potuto fare Scalfari, che secondo me ne ha la capacità e l’esperienza, il necessario bagaglio storico culturale: smascherare alle origini le cause del crollo di sistema. Troppo facile fermarsi al craxismo. Risaliamo nella filiera delle infamie, rimettiamo in discussione la retorica costituente, colleghiamo quanto successe nel 1948, il prudentismo togliattiano e i segreti maneggi tra Fronte Popolare e dc degasperiana, al blocco sociale immediatamente precedente (cattolico, comunista, socialista) che scrisse la Costituzione. Cosa ne viene fuori?

    Cosa c’era, oltre alla conquista dei diritti civili? Quali segreti interessi?
    E’ possibile vedere proprio nella “costituzionalizzazione” a cui fa riferimento il manifesto, o almeno in alcuni aspetti di questo processo, ANCHE i germi della spartizione partitocratica del potere, le invisibili regole dell’alternanza tra dc e pci, che poi sfociarono nel compromesso storico?

    Ma non dobbiamo limitarci a questo, a guardare indietro. Mi sembra che l’approccio migliore sia quello di Vittorio Foa, in una bella intervista che appare sempre sul Manifesto: lavoriamo a una nuova costituzione, “La Costituzione dei nuovi cittadini”, che apra ai diritti degli immigrati, al voto, Colors, Colors!, Andrea, ecco che avevo in mente quando parlavo di nuclei tematici ‘produttivi’: “allargare l’uguaglianza e le libertà individuali”. Una frase da padre costituente, che sono pronto a sottoscrivere in pieno.

    Foa dice di provare affetto ed ammirazione per l’ex presidente Scalfaro che si è trasformato nel paladino del No. Vedremo quanto i postdemocristiani naufragati nella sinistra riformista combatteranno al nostro fianco, quando si tratterà di dare il voto al mio amico Rajid.

  25. “la nostalgia è un’arma”
    Bruce Sterling

    chiudo questa giornata referendaria citando uno scritto del professor Michele Battini della Normale di Pisa. Potete trovare l’articolo sulle pagine del Foglio di ieri, 24 giugno. Il titolo è “Sintomi di assuefazione alla memoria della Shoah”.

    Bettini parla di “crisi del codice culturale antifascista”, divenuta insostenibile, in Italia, dopo il 1989, con il collasso del sistema partitocratico.

    Il professore si concentra sulla storia degli ebrei italiani nel novecento, ma, da questo punto di osservazione privilegiato, è in grado di rileggere, tra le altre cose, quel passaggio storico “costituente” che ci interessa tanto da vicino, il periodo 1943-1948.

    Ecco la “pulsione autoassolutoria” degli antifascisti, il “ricordo” eletto a “religione sostitutiva” della realtà (nel mio piccolo, volevo dire proprio questo quando mi riferivo al ciampismo o alle pose patriottiche di uno Scalfaro). Una ipotesi “provocatoria ma ineluttabile”, secondo il professor Bettini, ma non “estranea alle questioni che ci poniamo oggi sulla memoria e sulla storia”.

    “Autoassoluzione, lettura parentetica del fascismo, oblio dell’antisemitismo nazionale, memoria selettiva”, furono queste le macchie dei padri costituenti.

    Bettini ci spiega anche quale dovrebbe essere il nostro metodo d’indagine, partire dalla analisi dei “documenti politici, degli stili commemorativi, dei paradigmi di lettura, dai processi di mitopoiesi” (qui da noi se ne parlava a proposito del metodo di Sciascia).

    Che cosa determinò la “volontà di sconfitta” degli italiani?
    Chi ha raccontato quella “confusione” di sentimenti?

    La triade Innominabile-Levi-Baldi è una prima risposta che ho provato a dare a questa domanda, aggiungiamoci anche Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern, ma anche il lavoro storico e giornalistico compiuto in passato – mettiamo – da Giorgio Bocca.

    Per Bettini, l’antifascismo come “religione civile” è fallito, perché incapace di dare voce – davvero – a tutti coloro che avevano vissuto l’esperienza della guerra e del fascismo. ù

    Resta, nelle parole del professore, “una trasformazione radicale della religiosità contemporanea”. La religione del ricordo. Una trasformazione ancora tutta da comprendere e analizzare.

  26. Ancora stordito dalla retorica, questa sì non veniale, sull’umanità dei militari italiani durante la seconda guerra mondiale, sui carabinieri in missione di pace, sul cinema italiano che è riuscito a imporre il “proprio” punto di vista, segnalo un saggio di Frosini consultabile all’indirizzo associazionedeicostituzionalisti.it. Frosini sostiene che, anziché lasciarci spaventare dalla possibilità di un’elezione diretta del premier, che non significa di per sé negazione del parlamentarismo, sarebbe necessario “sciacquare le istituzioni italiane nel Tamigi”. L’Italia come l’Inghilterra, naturalmente con tutti i dovuti distinguo e le cautele del caso: è un’ipotesi verosimile o la pur rispettabile elucubrazione di un “tecnico”? Chissà cosa ne direbbe Leopardi, che nel “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani” scriveva: “In questa universale dissoluzione dei principii sociali, in questo caos che veramente spaventa il cuor di un filosofo, e lo pone in gran forse circa il futuro destino delle società civili (…) le altre nazioni civili, cioè principalmente la Francia, l’inghilterra e la Germania, hanno un principio conservatore della morale e quindi della società”. Al contrario “L’Italia è, in ordine alla morale, più sprovveduta di fondamenti che forse alcun’altra nazione europea e civile”. Ora, si può obiettare che Leopardi scriveva il suo discorso nel (lontano?) 1824; eppure ancora un secolo dopo, nel 1932, Carlo Levi ritorna sugli stessi concetti: “Tutta una tradizione storica italiana, diventata realtà attuale di psicologia e di carattere, ha trovato nel fascismo (“autobiografia della nazione”) la sua organizzazione (…) E’ la paura della passione e della responsabilità, che porta a ricercare adorando chi ce ne privi e ce ne liberi; il bisogno di un ordine esteriore che possa assumersi a riprova e quasi sostituto della inesistente moralità”. Non facciamoci illusioni. Gli italiani non sono cambiati, e il premierato “buono” per gli inglesi da noi potrebbe rappresentare ancora una volta l’ordine esteriore fondato sull’immoralità: ovviamente non ne ho la certezza, ma il forte sospetto sì, e mi basta. Con questo dubbio ritorno alla premessa, a mio avviso rivelatrice, di tutta la costruzione teorica di Frosini: “E’ stato detto, con accattivante formula, che le democrazie contemporanee, e specialmente quella italiana, devono diventare ‘decidenti'”. Cosa vuol dire “decidenti” oggi, cioè all’apice della dissoluzione e del caos che gettavano nello sgomento Leopardi?

  27. @giamp
    grazie per la risposta, prima di tutto.

    Lo sapevo che militari, cinema di Salvatores, e altre cose del genere, erano punti assai deboli (e delicati) del mio discorso (in effetti Salvatores me lo potevo risparmiare), ma se ti va potrei cercare di spiegarli meglio (hai letto la proposta che ho fatto nel post di Andrea Inglese? Quella su Rispetta i Veterani?).

    Leggere il tuo commento, o quello di Cato, ieri, è stata come una boccata di ossigeno. E comunque lo so, metto troppa carne al fuoco, avrei dovuto motivare, approfondire, linkare.

    Il riferimento a Leopardi mi sembra calzante. E comunque non penso che il sistema costituzionale inglese sia migliore di quello italiano, dico solo che sono sistemi differenti. Ma soprattutto mi interessava smontare la retorica del Ricordo Costituente e Precotto che ho visto crescere questi giorni sulla stampa e in tv. Spero di poter approfondire insieme questi discorsi.

    A presto

  28. @heyjoe
    stringiamoci a coorte
    con
    fassino
    rutelli
    migliore
    di pietro
    casini
    tabacci
    oscar luigi
    buttiglione
    alemanno
    le acli
    i sindacati destri e sinistri
    totò o totti
    l’Italia chiamò.

  29. @giampiero
    ho letto la recensione. Sull’impero di cartone che voleva esportare la civiltà in Africa a suon di iprite, naturalmente, sono d’accordo (a proposito, complimenti per il tuo blog, lo leggero con più calma). E gli italiani in guerra non sono nè migliori nè peggiori di altri (bello quel passaggio sugli inglesi che almeno si assumono le loro ‘sporche’ responsabilità).

    Ma nei miei commenti precedenti avevo provato a tracciare un’altra linea di fuga: “Non solo un discorso storico-politico, ma specificamente letterario, sui minori, i non-togati e irrappresentabili della scrittura italiana, autori che offrono, o almeno tentano di farlo, una visione romanzesca sulla società italiana venuta fuori dalla Seconda Guerra mondiale”.

    La retorica degli “italiani brava gente”, secondo me, è proprio il tratto distintivo del ciampismo, della pax scalfariana, “il mito di una pacificazione nazionale che rischia di trascurare, e dimenticare, la verità storica di quegli anni: come, al di là della Resistenza, nel decennio terribile (’43-’48), ci sia stato qualcosa di più della Resistenza. C’è stata la SCONFITTA dell’Italia, lo sfascio…”

    “Soltanto dopo l’89, la storiografia italiana ha riaperto gli archivi su queste testimonianze di eroismo e sacrificio individuale (non sto parlando dei ragazzi di Salò, e nemmeno dei ‘martiri’ di Cefalonia, no, solo dei militari sconfitti, in rotta, e delle esperienze che hanno vissuto)”.

    “All’attenzione dimostrata dagli storici nell’indagare quello snodo della nostra vita repubblicana, la Sconfitta, ‘la’ o ‘le’ Rivincite, il caos indescrivibile dei deportati e degli imboscati, degli irriducibili e dei resistenti, la critica letteraria odierna dedica un’attenzione tutto sommato marginale”.

  30. @giampiero
    a proposito del libro di Del Boca – in “Mai morti” di Renato Sarti, Bebo Storti ha dato una bella, per quanto tragicamente incidentale, rappresentazione della strage del clero cristiano- copto (giovanissimi seminaristi, anche bambini, compresi) perpetrata da Graziani (nel silenzio della Chiesa Cattolica) successivamente alla conquista dell’Etiopia.

  31. A questo punto perché non proporre una petizione affinché dopo anni anche il pubblico italiano possa vedere il documentario “Fascist legacy” (L’eredità fascista) prodotto nel 1989 dalla BBC e mai trasmesso (che io ne sappia) dalla RAI? L’ho visto per caso su Sky che l’ha mandato in onda verso l’una di notte alcuni mesi fa: è una testimonianza davvero agghiacciante sui crimini di guerra italiani in Africa e nei Balcani (si comportavano come le SS non soltanto le Camicie Nere ma anche reparti del Regio Esercito!). Andrebbe aggiunto il film mai distribuito in Italia(nonostante facessero parte del cast attori molto noti come Anthony Quinn, Irene Papas e Raf Vallone) “Il leone del deserto” (1979) sulla figura di Omar el-Muktar, il leader della resistenza libica contro l’occupazione italiana fatto impiccare da Graziani nel ’31. Con questo non credo che i soldati italiani si siano comportati peggio di altri eserciti coloniali: ma che almeno la si smetta con certe bugie autoassolutorie.

  32. D’accordissimo sulla petizione per il documentario (oppure Sky gratis per tutti!).

    Il leone del deserto invece l’ho visto e francamente non è un granché. Il classico filmone di guerra all’americana in cui però, invece dei soliti tedeschi e/o giapponesi, una volta tanto i cattivi sono gli italiani. Qualità di riflessione storico-politica zero.

    Il che certo nulla toglie allo scandalo della censura che lo colpisce.

  33. @giampiero
    @enrico

    Le vostre mi sembrano indicazioni precise, per un “dispiegamento” sempre più millimetrico della storia di quegli anni. Vi seguo.
    Ma che cosa significa essere “sconfitti” in guerra? E’ vero, la guerra era una guerra fascista ma erano fascisti tutti quelli che la combattevano?

    Parliamo degli anni in cui gli stati europei (e non solo) raggiungono la loro massima espansione quantitativa come numero di armi e di eserciti: si “partiva” per la guerra, andava così e basta, poche storie, eri un cittadino-soldato da spedire sui fronti dell’impero di cartone.
    Insomma, questa gente che ha preso il fucile in mano era tutta ideologizzata e spinta dai miti aggressivi del romanesimo mussoliniano?

    Probabilmente sì, ma io penso anche a certi ultraconservatori, singole individualità astoriche, residui di un’epoca feudale e prerisorgimentale (più avanti, metti un Guareschi), che avrebbero deriso il fascismo, sì, fenomeno nordista, ma avrebbero anche scoperchiato il patto scellerato del multipartitismo all’italiana, con le sue cinghie di gomma, le sue filiazioni e affiliazioni e trasmissioni clientelari, la mafia, il para e l’anti stato, e, sullo sfondo, l’arteriosclerosi burocratico-amministrativa, i palazzinari delle speculazioni vecchie e nuove eletti a ceto imprenditoriale d’assalto con la benedizione dell’autorità politica e della chiesa.

    Pezzi di antiquariato, scrittori che non sfigurerebbero in un’antologia fatta di sconfitti, perdenti (e perduti), quelli che videro “da dentro” come funzionavano i campi di sterminio.
    Penso alla Grecia, ai Balcani e all’Africa, ai luoghi immaginari della politica di potenza italiana, che tornano puntualmente a farsi vivi nella nostra storia e nella nostra memoria.

  34. @giampiero
    “Il richiamo al Lombardo-Veneto, come nuova entità territoriale, nuova macroregione della nuova Italia, risuona frequente, da qualche tempo. E non possiamo liquidarlo con un sorriso di sufficienza”, lo scrive oggi Ilvo Diamanti su Repubblica.

    Ma allora come interpretare il fondo in prima pagina sul manifesto?
    “La scomparsa dell’homo padanus” di Alessandro Robecchi è una paragulata fin dal titolo. Nell’incipit veniamo a sapere che il quotidiano di Via Tomacelli prova “compassione” per i leghisti in via di estinzione. Dopo il voto, “Calderoli ha in faccia il colore della sua camicia”. Maroni “detta condizioni” testamentarie. “Si assiste alla fine ingloriosa di una cosa chiamata Lega e già ci sono offerte di molti zoo che promettono di tentare un salvataggio in extremis”. L’idea devolutiva “resiste dunque in qualche valle e in qualche anfratto nascosto”. Che bugiardata! Che ironia. Intanto siamo a quota 466.118 euro di colletta perché a estinguersi non sia il quotidiano comunista.

  35. Sono d’accordo con te (e con Diamanti): l’homo padanus non si è estinto con la vittoria del no, anzi! E’ incredibile la miopia politica di certi commentatori…

  36. magari a sproposito (ma non tanto) mi sovviene che tra un mese circa (26-28 agosto 1936) è il settantesimo anniversario della battaglia di Monte Pelato, alla Huesca, in Spagna, dove la colonna Ascaso, formata in prevalenza da volontari italiani, a cominciare dal socialista-liberale Carlo Rosselli (padre di Amelia Rosselli), e da tanti libertari, anarchici, laici italiani; avrei un pezzo, da anni composto: non so se inviarlo…
    p.s. fra l’altro, pochi dicono delle diserzioni dalle fila fasciste (contadini, per lo più) verso i repubblicani

  37. @enrico
    be’, mandalo alla redazione di Ni.
    Non so se decideranno di pubblicarlo o no.
    Ma a me interessa leggerlo (se glielo mandi credo che possono girarmelo per posta elettronica).

    A presto

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Andrea Raos
andrea raos ha pubblicato discendere il fiume calmo, nel quinto quaderno italiano (milano, crocetti, 1996, a c. di franco buffoni), aspettami, dice. poesie 1992-2002 (roma, pieraldo, 2003), luna velata (marsiglia, cipM – les comptoirs de la nouvelle b.s., 2003), le api migratori (salerno, oèdipus – collana liquid, 2007), AAVV, prosa in prosa (firenze, le lettere, 2009), AAVV, la fisica delle cose. dieci riscritture da lucrezio (roma, giulio perrone editore, 2010), i cani dello chott el-jerid (milano, arcipelago, 2010) e le avventure dell'allegro leprotto e altre storie inospitali (osimo - an, arcipelago itaca, 2017). è presente nel volume àkusma. forme della poesia contemporanea (metauro, 2000). ha curato le antologie chijô no utagoe – il coro temporaneo (tokyo, shichôsha, 2001) e contemporary italian poetry (freeverse editions, 2013). con andrea inglese ha curato le antologie azioni poetiche. nouveaux poètes italiens, in «action poétique», (sett. 2004) e le macchine liriche. sei poeti francesi della contemporaneità, in «nuovi argomenti» (ott.-dic. 2005). sue poesie sono apparse in traduzione francese sulle riviste «le cahier du réfuge» (2002), «if» (2003), «action poétique» (2005), «exit» (2005) e "nioques" (2015); altre, in traduzioni inglese, in "the new review of literature" (vol. 5 no. 2 / spring 2008), "aufgabe" (no. 7, 2008), poetry international, free verse e la rubrica "in translation" della rivista "brooklyn rail". in volume ha tradotto joe ross, strati (con marco giovenale, la camera verde, 2007), ryoko sekiguchi, apparizione (la camera verde, 2009), giuliano mesa (con eric suchere, action poetique, 2010), stephen rodefer, dormendo con la luce accesa (nazione indiana / murene, 2010) e charles reznikoff, olocausto (benway series, 2014). in rivista ha tradotto, tra gli altri, yoshioka minoru, gherasim luca, liliane giraudon, valere novarina, danielle collobert, nanni balestrini, kathleen fraser, robert lax, peter gizzi, bob perelman, antoine volodine, franco fortini e murasaki shikibu.