Mehmet

di Franco Buffoni

Le lingue delle madri

Da tre anni qui a Roma ho un compagno
Turco, di etnia curda.
Comunista, torturato in galera,
Conosce gli uomini e la vita divora, quando può.
Qui a pranzo da me in giorno di Ramadan
Mangiò di tutto e con buon appetito.
Poi non so come fu ma gli chiesi
Di mamma e fratelli, di casa.
Li sente una volta al mese, quasi sempre chiamando lui:
“Ieri sera ha chiamato mia madre,
Per dirmi di non mangiare di giorno e di pregare”.
E tu perché mangi? Perché ho fame.
Poi facemmo l’amore molto bene
E alle tre tornò ridendo a monte
Testaccio dai compagni.

Quella sera da solo a letto lessi Gwyneth Lewis
Che nel Cyfweliad a’r Bardd
– L’interrogatorio della poetessa –
Ricorda le sue letture di ragazza:
Leggevo storie di scrittori inglesi
Nascoste tra le copertine gallesi.
Funzionò per un po’, finché la mamma
Trovò Dick Francis dentro il Bardd Cwsg
Una sera dopo il tempio. Fui sgridata,
Picchiata. Era una donna pura:
Una lingua per tutta la vita.

Non doveva imparare l’inglese Gwyneth Lewis
Perché la mamma voleva il suo bene.
Ricordo che il venerdì santo
Non perché avessi fame
– In casa mia non si digiunava
Ma si osservava il magro – mi comprai
Un etto di prosciutto crudo
E lo mangiai ai giardini. Fui avvistato e la mamma
Ne ebbe tanto dispiacere:
Perché fai queste cose? Non vuoi bene a Gesù?

***

Ho gli occhi di dolore e sono turco
Di etnia curda
Faccio il saldatore
Per la fretta
Non ho messo la maschera e sto male.
In prigione mi hanno torturato
Con gli elettrodi
Ho i segni sotto il mento e sui ginocchi
Anche i piedi mi hanno massacrato.
Ma dopo poco che il mio professore
Gli occhi di collirio mi ha riempito
Ho sentito tutto accarezzato
E il mio professore
Io l’ho amato.

***

Ho visto un sogno brutto
Mi dice Mehmet in un soffio
Moriva mia mamma e io ero lontano
Con qualche segno di tortura ancora addosso
Della galera turca
Ero in Italia a fare il saldatore
E senza la maschera per gli occhi
Non c’era il professore.

***

Caro capo assoluto deposto
Mentre i nemici ti spidocchiano
Non sono contento
Ma se penso al corpo di Mehmet
Coi segni degli elettrodi: si entrava
Da una porticina viola
Nascosta nell’impalcatura. All’interno
Un groviglio di fili, una sedia di metallo e una stuoia.
Allora comincio a pensarti
Nudo, come in una radiografia.

***

I
Approfittò Cupido
Della maledizione
Venere infligge dura:
Solo può amare Psiche
Il più mostruoso uomo.
Invece di eseguire
L’ordine della madre
La sua mi apparve allora
La sola soluzione:
Rapire Psiche e amarne
Il corpo nella notte.
Ecco, per i Mehmet
Con la maledizione
Della mia giovinezza,
Non cercai mai la luce
Salvandomi nel buio.

II
Stringo alfin l’amato collo
Con le braccia con le dita
Intrecciate sulla nuca
Carezzata già e goduta
Per le setole sentite
Ben tosate levigate,
Avambracci miei per aria
Baci baci sulla fronte
Labbra al mento mordo i lobi
Mentre lui concretamente
Dentro affonda le sue dita.

***

D’altro canto non sei forse qui
Perché io ti tratti da grande
Principe curdo,
O mio Yusuf ibn-Ayyub Salah ed-Din,
Feroce quanto basta a dilatare
Senza decapitare
Il tuo Rénaud de Châtillon graziato intero.

***

Sono Abramo e Maometto i miei amanti,
Ibrahim, detto Brahim alla tunisina
E Mehmet – contratto, secondo l’uso turco –
Qui a Roma.
Un vero mediterraneo abramitico mi sento
Col presepe mentale dei tre desideri.
Oppure volere un limpido fidanzato
Da pacsare e poi limpidamente
Sposare con le mamme e gli amici
Contenti?
E magari insieme procreare assistiti
Bimbi da educare al più
Politicamente corretto,
Piuttosto che sostenere
Mehmet alle nozze
Con la badante moldava,
E dal piano di sopra osservarlo
Educare i figli alla caccia e alla lotta
Continuando in silenzio ad averlo nel letto?

***

Dal chirurgo
È stato solo un piccolo intervento
Di appendicectomia.
Come diversamente lui ha reagito
Rispetto a me l’altr’anno
All’oncologico a Milano.
Io me ne stavo astratto
Concentrato sul da farsi, sul domani,
Il corpo al chirurgo e agli infermieri.
Gli atti preparatori all’intervento
L’anestesia, l’operazione,
Nulla di ciò mi apparteneva.
Avevo scisso me stesso da me,
E il corpo non era che un involucro
Lasciato a riparare in mani esperte. Ero un cristiano.

Andatolo a trovare il giorno prima
Lui invece era il suo corpo, la completa
Integrazione del sé,
E ogni intrusione degli operatori
Percepiva come la violazione
Di uno spazio sacro.

Se io il mio corpo mostravo denudato
A medici e infermieri, senza reticenze
Perché non ero lì, non ero dentro
Mentre venivo manipolato
– Ero come il chirurgo o l’infermiere:
Spettatore, senza nemmeno la
Oggettiva responabilità: ero dal parrucchiere –
Lui al contrario pareva spuntasse col corpo
Da un’argilla calcarea
Molto ricca di ossido di ferro,
Era la personificazione dell’inscindibilità
Di un uomo sano dal suo corpo.
Così la cerimonia del peso e della doccia
Del clistere e della rasatura
Trasformò in onte non più redimibili.
E mi fu detto della placazione
Al mattino per l’anestesia,
Non risposi che la sera prima
Gli avevo sciolte nel bicchiere d’acqua
Tre compresse di Roipnol.

***

N.d.A.:
“Stringa pur l’amato collo” è un verso della poetessa cinquecentesca Isabella Andreini.

Il Feroce saladino cantato da Dante e Boccaccio, da Lessing, era un principe curdo, per l’appunto Yusuf ibn-Ayyub Salah ed-Din, vissuto nel XII secolo. Vassallo del califfo di Baghdad, fece decapitare dopo la battaglia di Hattin (1187) il crociato Rinaldo di Chatillon.

[Presento una sezione inedita – e ancora in corso di elaborazione – del nuovo libro in versi di Franco Buffoni, Noi e loro, di cui vedi un altro estratto qui.]

34 COMMENTS

  1. mi associo. bello.

    Unica cosa, da lettore, non sono riuscito a sentire/intendere la penultima parte.
    per capirci da “Sono Abramo e Maometto i miei amanti,” a “Continuando in silenzio ad averlo nel letto?”

    Ma è un giudizio che esprimo con rispetto. Indiscutibilmente sarà un mio deficit non essere riuscito a penetrarli.
    Buffoni è un gran poeta.

  2. La poesia di Franco Buffoni non banalizza mai, non vanifica la Bellezza e la Grazia craturale, non sanziona mai distanze fra l’Io poeta e chi legge.
    Davvero intense.

  3. Belle, sì.

    Ma riflettevo su quanto questi versi siano legati a Roma. Se l’amore / gli amori gay sono stati rappresentati negli ultimi cinquant’anni da Penna, Pasolini, Bellezza e Ozpetek, tutti romani d’adozione, non è un caso. Buffoni (di cui non conosco le origini) sembra continuare questa tradizione, forse (dico io) stancamente. Bellezza scriveva nel 1970 (il virgolettato è attribuito da Bellezza, forse, ad Amelia Rosselli):

    «Sono una iena che ha denunziato il suo rivale.
    Ma senza di te non ci potevo stare. L’ho denunziato
    sì, senza stile, alla benedetta polizia, per droga
    e il permesso di soggiorno gli hanno tolto, non
    gli hanno torto nemmeno un capello. Faceva
    il pittore a piazza Navona e tu dicevi
    che era il più grande pittore del mondo!»
    (Invettive e licenze, 1971)

    Aldilà della fattura dei versi, sembra di essere sempre lì. Cristallizzato/i.

  4. Questa costellazione di poemi descrive la sofferenza generata dall’esilio.
    E la lingua della madre si annega nella nebbia del paese gettato dietro alle spalle.
    E la lingua della madre è molesta, assillante al punto di formare un tessuto di protezione.
    Ma chi parlerà della lingua dei padri? Voce silenziosa, pudica o violenta.
    E’ l’amore che anima le voci: bisogna separarsene per creare, amare, godere.
    Bella e coraggiosa poesia!

  5. quindi questi sono i versi di “un grande poeta”?

    “un limpido fidanzato
    Da pacsare e poi limpidamente
    Sposare con le mamme e gli amici
    Contenti?
    E magari insieme procreare assistiti.”

    una poesia “davvero bella”, che “non banalizzamai”, “bella e coraggiosa”

    beati voi.

  6. La poesia di Buffoni non riesce mai a convincermi, vedo però che qui quasi tutti dicono addirittura “molto bella”.
    Vado a rilfettere sui miei limiti di lettrice.

  7. Mi sono sbagliata, le avevo già lette sull’antologia per Dario Bellezza a cura di Fabrizio Cavallaro.

  8. Alcor, ho scritto “molto bella” pensando che è sentita, non è un aggeggio intellettuale inutile, e mi piace come è fatta, anche come suona. Mi sembra che non siano parole sprecate, che ha fatto bene a dirle. Tutto qui.

  9. @ a.b.

    Non devi mica scusarti.

    Se su 13 commenti 8 dicono esplicitamente “molto bella” e solo due hanno delle riserve, può voler dire che almeno uno di quelli che hanno delle riserve può non aver capito la bontà della poesia. Neppure di questo ci si deve scusare. Capita.

  10. @ a.b.
    Anch’io, come “la balia”, non credo che Alcor si rivolgesse in particolare a te. Ma certe considerazioni da lettore “semplice”, come la tua delle 20:17, secondo me sono comunque utilissime.
    È tipico della poesia di F.B. scatenare reazioni “di pelle”, positive o negative. Quasi tutti i commenti qui sopra lo confermano, e credo che per uno scrittore sia ottimo segno.

    Cara Alcor, avresti voglia di spiegarmi un po’ meglio cosa non ti convince nella poesia di Buffoni? Mi interesserebbe davvero molto (ma non sentirti obbligata, ovviamente).
    Grazie, un abbraccio,

  11. Rispondo a Raos su cosa sembra non girare della poesia di Buffoni: il “sentiment”, come invece lo mostra Nicola Gardini:

    “Qual era l’anno, il ‘90 o il ‘91? / Questa incertezza da sola è un anno,
    / basta che mi accompagni sempre, / è autunno, vedi, l’incertezza // è
    uno spazio. E’ chiaro adesso / che cosa sia, perché non si capisca / il
    tempo. Così l’autunno di un altro / tempo in questo, così gli altri //
    chiarori dell’alba in un tempo / che non è l’alba eppure in essa / si
    contiene, molte pure solitudini, // tanti chiarori in sé, / di sé così
    segretamente / da deludere, così il sole.”, da Sag Harbor, edizioni d’if, 2003.

  12. a me, da ignorante, piacerebbe sapere, preliminarmente, cosa significa che ‘un testo non gira, non funziona’. rispetto a chi? rispetto a cosa? e poi, chi è che ha stabilito qual è il giro giusto? quali sono le regole del perfetto funzionamento? esiste per caso un ‘manuale’ specifico, magari illustrato?

    e se io dicessi, ad esempio, che questi testi li trovo splendidi, e che l’opera di buffoni è uno dei prodotti notevoli dell’odierna poesia italiana, cosa significa? che neanch’io giro nel verso giusto, che funziono male?

    sarei grato se qualcuno volesse colmare queste mie lacune. aiutatemi, ho già altri problemi che pregiudicano il sonno, non lasciate che la mia situazione si aggravi. grazie.

  13. Preciso a nome dell’autore: delle poesie di “Mehmet”, solo una è nell’antologia per Dario Bellezza curata da Cavallaro; le altre sono inedite.

  14. @ Andrea

    mah, ci provo, con una certa riluttanza, anzi, mi sono pentita di aver scritto il commento, era da un pezzo che non dicevo nulla sulle poesie che postate tu e Inglese, per riconoscimento dell’estrema parzialità che mi muove.

    intanto rispondendo al robivecchi, non sono stata io a dire “non gira”, ma mi è utile, il giudizio che un lettore, (non un critico, che non sono, anzi, sono come il robivecchi) dà sulla poesia che legge è fatto di tutto il resto che ha letto, e di tutte le scelte che ha fatto, leggendo con quel pregiudizio.
    Perciò tutti i nostri giudizi, qui, sia i moltissimi positivi, che i negativi, valgono per quel che valgono.

    Buffoni ha tutti gli strumenti tecnici di un poeta colto, ci mancherebbe, del resto li vedo, e quando li vedo li apprezzo. I primi versi per esempio:

    Da tre anni qui a Roma ho un compagno
    Turco, di etnia curda.
    Comunista, torturato in galera,
    Conosce gli uomini e la vita divora, quando può.

    Bene, qui, il quarto verso giustifica i primi tre, li tiene. Poi tutto si dissolve in una genericità, anche tecnica, in una vaga malinconia, addirittura in una vaga sentimentalità. Va bene, mi verrebbe da dire, lo sappiamo, non ci dici niente di più, nè nei modi, né sulla cosa in sé.

    Il suo discorso, che anche qui è in qualche modo “morale”, mi sembra sempre depotenziato. Come se Buffoni si accontentasse del suo sapere intellettuale e del suo vissuto, di un piccolo mondo di sofferenza che anche quando sfiora l’altro non lo porta mai a mettere il materiale della sua poesia davvero in tensione, né estetica né drammatica, ma soprattutto, se è questo il suo territorio, paradossalmente mai “etico”.
    Mi dà un senso di piccolo, la poesia di Buffoni, di riparato e difeso, sincero e anche empatico, ma in fondo innocuo, una sensibilità personale che anche patisce, ma che si accontenta.
    Qui affronta temi drammatici, ma in una dimensione sentimentale. Non scarna o semplice o necessaria, come forse questi temi vorrebbero.
    E anche lì dove usa più esplicitamente strumenti più tecnici, la filastrocca, per esempio:

    Stringo alfin l’amato collo
    Con le braccia con le dita
    Intrecciate sulla nuca
    Carezzata già e goduta
    Per le setole sentite
    Ben tosate levigate,
    Avambracci miei per aria
    Baci baci sulla fronte
    Labbra al mento mordo i lobi
    Mentre lui concretamente
    Dentro affonda le sue dita.

    mi chiedo, perchè? Perchè questa forma? La mette in tensione? Ne fa qualcosa di più? Non mi pare.
    La usa, semplicemente, come se si trattenesse sempre dal rischio sia della lingua che del patimento. E per questo non mi raggiunge mai.

    Ma appunto, non raggiunge mai ME. Mentre raggiunge, come vedo, molti altri.

  15. ecco. quando uno motiva un suo giudizio, positivo o negativo che sia, con il ricorso all’intelligenza della propria esperienza e all’analisi, che di quella è una diretta conseguenza, è sempre un piacere leggerlo.

    in caso contrario, la formuletta stereotipata e asettica o il ricorso ai parti che nobilitano le famiglie di riferimento, a chi giovano? al confronto? al dialogo? ma ci ‘faccino’ il piacere… tutta mercanzia scaduta, ancora prima di essere immessa sul mercato, tutta materia da deposito. con sigillo. a garanzia di tenuta stagna, per evitare pericolose fuoriuscite.

  16. Cara Alcor, come al solito non mi deludi, è interessantissimo ciò che dici. Ci penso un po’ su e ti rispondo meglio. Intanto grazie di cuore,

  17. Robivecchi, perché dovrei risponderti? Io un nome, un cognome e una mail ce l’ho, sono tranquillamente rintracciabile, colloquiabile, approfondibile e anche sputtanabile. Tu invece appartieni alla ingloriosa inestinta armada dei fantasmini telematici o dei trikke-trakke da tastiera. Levati il cappuccio e poi ne riparliamo.

  18. hai dei problemi? hai mangiato pesante? prenditi un digestivo…

    tu invece a quale armada appartieni, visto che mi tiri in ballo quando non t’ho nemmeno letto?

    te lo dico io: a quella dei fighettini sparasentenze pseudocritiche, con annessa puzzetta sotto il naso, che si trascinano per la rete i loro gusci azzurrini. così, tanto per far vedere che esistono anche loro…

  19. cara la balia, il tuo commento matematico è davvero inquietante: 8 a favore, 2 contrari ergo forse uno dei contrari si sbaglia. Ma cosa vuol dire? Non pensavo che la poesia si giudicasse come in un’aula di tribunale all’americana. Ti inviterei allora a rivedere un bel film di Lumet, Twelve angry men, dove proprio un solo voto contrario si dimostra essere il più fondato, tanto da convincere – alla fine – tutti gli altri giurati. Io, ovviamente, non voglio convincere proprio nessuno ma mi permetto di sospettare quando un testo è troppo frettolosamente e massivamente indicato come “bello”. Alcor ha detto cose molto intelligenti e io concordo pienamente in merito al senso di piccolezza che ha – con modestia – diagnosticato. Qui si grida evviva di fronte a una ricetta poetica mediocre seguita però con meticolosità e sapienza poetica. Gli ingredienti: un io omosessuale, l’altro mussulmano (preferibilmente rifugiato e di etnia perseguitata), una bella manciata di divario sociale (uno professore, l’altro saldatore), riferimenti all’attualità politica e citazioni poetiche raffinate q.b. Beh, se Buffoni pensa davvero di sferrare un attacco al politically correct con questa ricettina, si sbaglia, e di grosso. Anzi, a mio parere, è proprio questo tipo di testo, così smaccatamente costruito a tavolino con i ritagli di giornale da La Repubblica, così apparentemente candido nel suo nitore morale, così freddo, quasi chirurgico nell’espressione di un amore, a rappresentare un esempio perfetto di politicamente corretto all’italiana. Basta prendere la definizione di italiano medio messa in bocca a Wells nella Ricotta (fascista, qualunquista, colonialista, razzista…) e rovesciarla. Ecco magicamente i buoni sentimenti, il nuovo italiano, ah che meraviglia! La sinista! La tolleranza! (Anche un po’ di senso di colpa!) L’omosessule liberato! Sarà, ma l’impressione è piuttosto quella di un nuovo moralismo, più che di una nuova morale. Non ha caso ho citato tra le righe Pasolini, che pensava che l’Africa iniziasse lì dove giocavano i bambini di Ostia…la descrizione dei suoi amori (penso anche ai versi terribili del mini canzoniere per Ninetto in Trasumanar) era in fondo omologa a quella di Buffoni: l’intellettuale e il sottoproletario in un Italia incapace di capire ed accettare. Anche Pasolini, pur nella sua genialità, va detto, era un moralista. La differenza fondamentale con Buffoni è che il moralismo di Pasolini è portato alle estreme conseguenze, a conseguenze crudeli (Petrolio? Hallo?): nulla di più lontano dal buonismo che invece trasuda dai versi di Buffoni. Quest’ultimo assomiglia più a Maria De Filippi con il suo esercito di bravissimi ballerini albanesi (finita l’emergenza ora è la volta di Cuba, perchè siamo vicini alla transizione) che metteno la coscienza a posto anche a noi devoti telespettatori. Non c’è l’oscuro, la crudeltà, il rovescio dell’uomo (e dunque anche la sua verità) nei versi di Buffoni (dubito che essa coincida con il tranello del Roipnol). Le pretesa leggerezza penniana, la solare rima baciata è quella di un professore universitario che assiste il compagno curdo all’ospedale, non quella del vecchio innamorato di un ragazzino, confinato fuori dalla casa dove quest’ultimo agonizza dopo un incidente (Cfr. Peccato di Gola). Niente di più lontano, ancora, dai versi di Bellezza, innamorato di giovani drogati che accudiva nella sua casa come gatti randagi, consapevole dolorosamente di tutto il loro non amore (per non dire disprezzo) e tuttavia capace di scrivere, cito a memoria, senza interruzioni di verso: “più lento scenderò al gomito del fiume, là dove ci incontrammo, in una calda notte di febbraio, mio prediletto finito in una buca”. Qui, anche nella morte, traspare un po’ di vita e d’Italietta, nei versi di Buffoni si sente la clinica privata, il privilegio, il fruscio delle pagine degli inserti del Corriere, e – diciamolo – tanta tanta retorica. Se questo serve, oggi, e se questa è davvero una bella poesia che ci mette a posto la coscienza, evviva! La balia, fai ciò che vuoi del mio voto.

  20. scusate per i molti e gravi refusi, non ho riletto, tra i più orrendi, ne segnalo due “non ha caso” e “un Italia”.

  21. Robivecchi, ho capito, sei un poveretto. Figurati allora se ti dico che la mia opinioncina ina ina era quasi affettuosa. Tutto questo accanagliamento e sobbalzare al minimo appunto da lettore è francamente isterico, visto che ci si conosce tutti e si è in dialogo più o meno sotterraneo e costante da almeno mille dei tuoi nick a questa parte.

  22. senti, cicciobello dalla puzzetta da risciacquare in arno, si può sapere cosa vuoi? io sono intervenuto in calce a un commento firmato alcor, il tuo nemmeno l’ho visto, e, in ogni caso, su quanto è stato scritto, non sulle persone.

    quindi, tanto per essere chiari: ‘poveretto’, ‘accanagliamento’ e ‘isterico’ li riservi a qualcun altro. e non costringermi a specificare a chi. fanno parte del lessico a corredo del tuo armamentario critico, per caso?

    in quanto ai nick, egregio scekspìro de noantri, io mi chiamo roberto vecchi, toscano, come il sigaro. e se ti trovi a passare dalle mie parti e mi fai un fischio, ti accompagno a visitare una zona del fiume florentino dove, a quanto sembra, l’acqua lava via, miracolosamente, anche le puzzettine più resistenti.

    prova a ridere, e a deridere quanto e come vuoi quello che scrivo nei miei commenti: va tutto bene, ed è giusto così. ma non insultare. piuttosto, chiediti come mai sei ricomparso senza il guscettino azzurro… solo una dimenticanza?

  23. Giusco: “Robivecchi, ho capito, sei un poveretto.”

    il robivecchi: “senti, cicciobello dalla puzzetta da risciacquare in arno”

    Che devo dire, congratulazioni, questo si chiama discutere e non scendere sul piano personale.

  24. Cara Alcor,
    quella fra te e Buffoni mi sembra un’autentica distanza di poetica (foss’anche solo una poetica di lettura, alla quale tu decidi di limitarti in questa sede). Non esprimo giudizî, ma mi interessa paragonare.
    Sulla sua assenza di “etica” (per quanto non sia sicuro che la parola gli piaccia), sul ridurre tutto ad una vaga morale personale, ti consiglierei, se già non conosci, la lettura di Guerra.

    Ma attenendosi alle poesie qui presenti, mi sembra che, di fondo, tu gli rimproveri un’assenza – o una scarsa visibilità – di “procedimenti”. Ed è verissimo. Salvo che io credo che sia, paradossalmente, uno dei suoi tratti più originali. Soprattutto rispetto a una poesia italiana ora e sempre costretta a scegliere, a schierarsi, fra alternative ridicole (o Bassani o Sanguineti, tanto per riprendere un’altra discussione di questi giorni, con personaggi da teatrino dei pupi).

    Ops, devo scappare, vado a teatro. Riprendo più tardi o domani.

    Ciao,

    Andrea

  25. Il testo che più mi ha colpito è “Dal chirurgo”, per quella “chiaroveggenza antropologica” che ho sempre trovato nei testi migliori di Buffoni, sopratutto delle sue due ultime raccolte. Un equilibrio tra singolare e universale, individuo e specie…

    (Nel frattempo ho ripreso in mano “Più luce padre”. E’ davvero un libro di grande libertà intellettuale. Serve molto anche a me, come contravveleno rispetto a certe abitudini mentali che mi porto ancora dietro … )

  26. Rieccomi. Un bello spettacolo e una notte di sonno non fanno mai male, nel senso che ci si accorge di non avere molto da aggiungere.

    Solo una cosa: nelle variazioni ottonarie sulla Andreini la “messa in tensione” rispetto al modello cinquecentesco mi sembra davvero esserci (nel lessico, nel ritmo etc). Ma certo non è una messa in tensione di stampo “modernista”. E la mia impressione (per come i tuoi gusti traspaiono dai tuoi commenti e dal poco che ho letto di te) è che la tua matrice sia quella. Non è un difetto, ci mancherebbe, o allora è un difetto anche mio. Ma io credo che Buffoni – riprendendo un po’ quello che dicevo ieri – scientemente eviti sia quella strada (che pure conosce benissimo, credimi) sia il “liricismo” pavloviano di tantissima poesia italiana anche di oggi. Può piacere o non piacere, ma io lo ritengo un percorso (almeno) molto originale, e storicamente non facile da percorrere.
    Grazie ancora, ciao,
    Andr.

    Non so bene cosa rispondere a commenti, come quello di “Giurato”, che comunque mi sembra si rispondano benissimo da soli.

    GiusCo, quando hai citato Nicola Gardini avevo pensato, giuro, che volessi fare dell’ironia. Sfiorandomi invece il dubbio che tu parlassi seriamente, anche a te non so bene cosa dire: non me ne voglia l’interessato, ma davvero non capisco cosa c’entrino quei versi.

  27. @ andrea r.

    Sì, l’ho vista la matrice modernista nei tuoi versi. La riconosco anche in una me antica, ma non è che la prediliga.
    Leggerò Guerra, come puoi immaginare io non ho niente contro Buffoni, spero che sia chiaro, non tanto a te, ma a eventuali altri commentatori, che non vorrei essere fraintesa.
    Una volta un vecchio poeta parlando di un altro a cui non piaceva un terzo, ha detto sorridendo, è ovvio, lui fa una poesia diversa.
    E’ una boutade, ma naturalmente, oltre alla poetica, che è una cosa meditata, vale anche questa cosa più vaga che è l’orecchio personale, fatto di quello che si diceva prima.
    Faccio un esempio, Frasca, che non mi tocca a fondo, mi tocca però la mente, e ne ammiro la grandissima capacità tecnica. Di Arminio, che posta spesso qui, ho una grande stima. E non sono modernisti né l’uno nè l’altro. Leggerò meglio Buffoni. Altro non posso dire.

  28. ARaos, trovo queste poesie di Buffoni esageratamente crude -intendilo sia come “pezzi di carne” appesi al gancio che come “premature”- e suggerivo un minimo di distanza e maggiore scorrevolezza accostando il testo di Gardini, che in Sag Harbor tratta grossomodo lo stesso tema. “Dal chirurgo” fa storia a sé e mi pare più efficace (leverei comunque le ultime cinque righe, chiudendo a “redimibili”). Nulla di ironico o malfidato nelle mie intenzioni.

  29. Premetto che ho letto o meglio ho dato una scorsa veloce ai precedenti commenti e un po’ me ne pento perchè ora sento di non poter prescindere da quanto è già stato detto. Vorrei cercare di far finta di niente e dire quello che sento il più puramente possibile… Due parole però, mio malgrado, continuano a ronzarmi in testa, ossia “belle” e “buonismo”. A me sembra che le poesie di Franco Buffoni non siano nè belle, nè buone direi che sono vere nel senso umano della verità, pregne di una verità senza trascendenza o trascendenze. Lui racconta e credo che non si ponga nemmeno il “problema” della lingua che per un poeta è la prima chiamata, voglio dire mi sembra che risponda piuttosto al cosa dire più che al come dirlo anche perchè ciò di cui parla probabilmente si dice da sè. E non c’è altra lingua che quella materna che si ascoltava nel chiuso di una casa e che ora, da quella casa lontano, si ridice nell’aperto di un sentire e di un vedere senza mediazioni perchè in questo caso la lingua non media, non trafigura, non vuole mediare, non vuole trasfigurare ma ,ripeto, raccontare e ricordare…

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Andrea Raos
Andrea Raos
andrea raos ha pubblicato discendere il fiume calmo, nel quinto quaderno italiano (milano, crocetti, 1996, a c. di franco buffoni), aspettami, dice. poesie 1992-2002 (roma, pieraldo, 2003), luna velata (marsiglia, cipM – les comptoirs de la nouvelle b.s., 2003), le api migratori (salerno, oèdipus – collana liquid, 2007), AAVV, prosa in prosa (firenze, le lettere, 2009), AAVV, la fisica delle cose. dieci riscritture da lucrezio (roma, giulio perrone editore, 2010), i cani dello chott el-jerid (milano, arcipelago, 2010) e le avventure dell'allegro leprotto e altre storie inospitali (osimo - an, arcipelago itaca, 2017). è presente nel volume àkusma. forme della poesia contemporanea (metauro, 2000). ha curato le antologie chijô no utagoe – il coro temporaneo (tokyo, shichôsha, 2001) e contemporary italian poetry (freeverse editions, 2013). con andrea inglese ha curato le antologie azioni poetiche. nouveaux poètes italiens, in «action poétique», (sett. 2004) e le macchine liriche. sei poeti francesi della contemporaneità, in «nuovi argomenti» (ott.-dic. 2005). sue poesie sono apparse in traduzione francese sulle riviste «le cahier du réfuge» (2002), «if» (2003), «action poétique» (2005), «exit» (2005) e "nioques" (2015); altre, in traduzioni inglese, in "the new review of literature" (vol. 5 no. 2 / spring 2008), "aufgabe" (no. 7, 2008), poetry international, free verse e la rubrica "in translation" della rivista "brooklyn rail". in volume ha tradotto joe ross, strati (con marco giovenale, la camera verde, 2007), ryoko sekiguchi, apparizione (la camera verde, 2009), giuliano mesa (con eric suchere, action poetique, 2010), stephen rodefer, dormendo con la luce accesa (nazione indiana / murene, 2010) e charles reznikoff, olocausto (benway series, 2014). in rivista ha tradotto, tra gli altri, yoshioka minoru, gherasim luca, liliane giraudon, valere novarina, danielle collobert, nanni balestrini, kathleen fraser, robert lax, peter gizzi, bob perelman, antoine volodine, franco fortini e murasaki shikibu.