Tutele a metà. L’infanzia tra abuso e mercato.
di Stefano Savella
Che i pedofili siano mostri (meglio: “orchi”), che si appostino fuori dalle scuole, che vadano in giro in impermeabile a caccia delle loro prede, come in M il mostro di Dusseldorf, sono le rappresentazioni più immediate dell’immaginario collettivo dinanzi alla parola “pedofilo”. I fatti di cronaca (denunce, arresti, atti inequivocabilmente compiuti) che acquistano maggiore valore, cioè che vengono riportati da tutti i telegiornali nazionali nei titoli di apertura, riguardanti la pedofilia, sono però essenzialmente di due tipi: una “retata” su commercio e scambio di materiale pedopornografico su internet che vede coinvolti spesso centinaia di persone di varie regioni italiane; una serie di arresti, spesso circoscritta a poche persone, di particolare rilevanza, come nel caso di insegnanti e personale scolastico o sacerdoti (con tre casi eclatanti negli ultimi anni, a Torre Annunziata, Brescia e, recentemente, Rignano Flaminio), a prescindere dalle successive sentenze di innocenza o colpevolezza emesse dalla magistratura.
Va detto però che quando il caso di pedofilia avviene all’interno di una famiglia, i termini “pedofilia” e ”pedofilo” tendono molto facilmente a scomparire, per essere sostituiti con altri come “abusi”, “violenza”, “l’arrestato”, “il cliente”, (nel caso di una minorenne costretta dalla madre a prostituirsi). Si vedano due casi molto recenti avvenuti tra Palermo e provincia: in nessuno dei due casi (1 e 2) Repubblica.it parla esplicitamente di “pedofilia”. La vicenda criminale, è chiaro, non cambia, ma cambia certamente la percezione per così dire istintiva che ne ha il lettore, se è vero, come è vero, che la parola “pedofilo” esercita una presa diversa, un’indubbia maggiore sensazione di avversione e sconcerto rispetto a tutte le altre possibili in questo contesto.
Eppure si ha la percezione che dietro la faccia più evidente del crimine della pedofilia quale è veicolata da giornali e tv, dunque quella dei casi mediaticamente più rilevanti e, meno esplicitamente, quella delle violenze contro i bambini avvenute in famiglia, si nasconda un ambiguo comportamento da parte chi dovrebbe poi tutelare incondizionatamente i minori; e dunque difendere la loro immagine dalla strumentalizzazione per fini di lucro, o addirittura dalla deformazione che la loro immagine subisce per strizzare l’occhio a un certo target di adulti e finanche da persone potenzialmente o già attivamente vicine alla pedofilia.
Corporate paedophilia, o ‘pedofilia aziendale’, è il titolo di uno studio australiano dell’ottobre scorso che rileva l’impennata di immagini pubblicitarie con protagonisti bambini e pre-adolescenti ritratti in pose fortemente sessualizzate, pose – sottolineano le curatrici – modellate su quelle degli adulti. La ricerca fa l’esempio soprattutto di riviste australiane con un target dai 5 ai 13 anni, dove la visione di queste immagini da parte di coetanei dei bambini e ragazzini ritratti, di ambo i sessi, ma prevalentemente femminile, causa scompensi e problemi comportamentali negli stessi minori, e avverte anche che «the sexualisation of children could play a role in ‘grooming’ children for paedophiles – preparing children for sexual interaction with
older teenagers or adults» (p. 5).
Il legame tra utilizzo di immagini sessualizzate di minori e la loro presenza all’interno di messaggi pubblicitari in generale è in realtà molto sottile: se è vero che vi sono certamente spot televisivi e non che accentuano esplicitamente le caratteristiche ‘adulte’ di persone ancora bambine, grazie a pose particolari o al trucco, è anche vero che ve ne sono altri in cui non si interviene direttamente sul bambino, ma sulla percezione che ne ha lo spettatore adulto, facendo indossare ai minori un abbigliamento leggero o, nel caso soprattutto dei neonati, mostrando l’intero corpo nudo.
Eppure il Parlamento italiano, nel 2003, aveva un po’ a sorpresa, e forse senza una reale volontà, approvato una norma che impediva l’utilizzo di minori di 14 anni negli spot televisivi (ma non nelle televendite), sulla scorta anche dell’allora recente studio dell’Osservatorio sul lavoro minorile, a cura della psicologa Anna Oliviero Ferraris, che indicava come in un giorno qualsiasi di programmazione televisiva su una rete pubblica e una privata, in uno spot su tre il protagonista fosse un minore, e nella fascia di prima serata quasi in uno su due (1 e 2 ). Si trattava dell’emendamento dell’on. De Simone, di Rifondazione Comunista, che ostacolò il cammino della Legge Gasparri alla Camera, causandole un rinvio dell’approvazione finale con un nuovo passaggio al Senato, dove l’allora maggioranza di centro-destra decise di non eliminare l’emendamento per non creare ulteriori ritardi all’iter parlamentare della legge. Come molti ricorderanno, si trattò di una delle poche rilevanti sconfitte subite in aula dal centro-destra, e fu dunque soprattutto per questo motivo che i quotidiani di allora diedero ampio spazio alla notizia. «Il corriere della sera» dedicava titolo in prima pagina («I franchi tiratori rallentano la legge tv») e tutta la pagina 3 alla cronaca politica (nel lungo articolo di Roberto Zuccolini l’unico riferimento al contenuto dell’emendamento oggetto della polemica è «Fino all’“incidente” ribattezzato dei “pannoloni” [sic] per il divieto di esibire bambini negli spot», due righe su ottanta), e recuperava in un box a parte a pagina 2 le conclusioni dello studio dell’Osservatorio sul lavoro minorile (ridotto peraltro a una sequenza di numeri). «la Repubblica», pur riportando un resoconto più esauriente del dibattito in aula sull’emendamento De Simone, bolla tutta la questione col titolo di pagina 3, «E lo spot sui pannolini travolge le file della destra».
«la Repubblica» riporta anche una breve intervista al pubblicitario Marco Testa, che parla di censura e del danno economico creato dall’emendamento, perché «i bambini, lo sappiamo, inteneriscono». Sempre Marco Testa interviene sul «Financial Times» del 19 luglio 2004, affermando che «In Italia, sicuramente, tendiamo a usare i bambini negli spot per andare dritti ai genitori. Fa parte del nostro spirito latino», mentre per Pier Silvio Berlusconi «la pubblicità che vede protagonisti bambini secondo me non fa male a questi ultimi e danneggia solo il mondo pubblicitario» (fonte). L’emendamento approvato veniva invece definito «il più stupido della serie» dall’on. Rotondi (Dc), mentre il ministro Gasparri lo etichettava come «insignificante, un dettaglio» (link). Invece si trattava di un provvedimento, comunque lo si voglia intendere, che interveniva in un campo lasciato esclusivamente in mano ai pubblicitari, molto più che un emendamento «salva-pannolini», come i maggiori quotidiani in quei giorni lo etichettavano, ben sapendo che i bambini erano (e sono) utilizzati negli spot di qualunque prodotto, dai telefonini ai prodotti alimentari all’abbigliamento. Gli stessi quotidiani del 2 ottobre 2003 davano spazio pressoché esclusivo alla cronaca politica, ai ‘dietro le quinte’, alle voci del Transatlantico, alle sotterranee manovre della corrente di An che aveva contribuito ad approvare l’emendamento per motivi di visibilità all’interno dell’esecutivo, dedicando invece pochissime righe di approfondimento su ciò che era stato realmente approvato, sul punto che riguardava direttamente il lettore e il cittadino, ovvero la tutela del minore.
Ad ogni modo, sotto la pressione delle organizzazioni dei pubblicitari, veniva approvata due anni dopo, in prima lettura alla Camera e in seconda, il 25 gennaio 2006, al Senato, la ‘leggina’ che modificava l’art.10 della Gasparri, sopprimendo le parole che vietavano l’utilizzo dei minori negli spot televisivi (Legge n. 37/2006, a firma degli on. Santanché, Romani, Bianchi Clerici, Caparini e altri), ovviamente dalla maggioranza di centro-destra (inclusi coloro che avevano votato due anni prima l’emendamento che ora veniva modificato). Una legge, questa, che viene per ironia della sorte (o forse no) promulgata appena prima della Legge 38/06 (Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet) che oscura del tutto sui quotidiani la notizia della modifica della legge Gasparri. Il giorno dopo l’approvazione del provvedimento alla Camera gli unici quotidiani a parlarne sono «Liberazione», con un ampio articolo, e «Il Giornale» con un box di poche righe. All’approvazione definitiva in Senato la notizia è ripresa solo dal «Giornale» (link), dove si legge che la norma cancellata «avrebbe fatto registrare effetti distorsivi per il comparto pubblicitario senza assicurare comunque un’effettiva tutela dei minori». In realtà, ci avevano già pensato gli stessi pubblicitari ad aggirare la legge, in quei mesi, girando i loro spot televisivi nei teatri di posa e con bambini di San Marino, arrivando a selezionare il 10% della popolazione infantile della piccola repubblica (link).
Non esiste dunque oggi una normativa che regoli se e in che modo è possibile utilizzare immagini di minori nelle pubblicità. E così, in un mini-catalogo di abbigliamento estivo per bambine dai 3 agli 8 anni di un’azienda che, a guardare il suo sito web, parrebbe produrre esclusivamente bambole, compaiono bambine con le pose più innaturali e sguardi ammiccanti che è difficile non definire erotizzati. Immagini che rendono quanto mai evidente di quanto sia sottile il confine tra la caccia al pedofilo e la lecita mercificazione dei corpi dei bambini.
Succede anche a Gaia e Luna, due sorelle di nove e sei anni, il cui videoclip è tra i più visti su YouTube, dove si trova anche una loro “intervista doppia”. Di loro, e del loro primo singolo “Come Vasco Rossi” (“Vasco lo sai, per me sei un dio / spero che un giorno lo sia anch’io”, cantano nel ritornello), ha parlato Silvia Santalmassi (proveniente dalla redazione di Verissimo) sul tg5 delle 20 del 15 maggio scorso (link). Il padre, Agostino Carollo, musicista e discografico, ha messo in vendita su I-Tunes a 99 centesimi il brano, che ha raggiunto il primo posto tra i download. Ma la giornalista sottolinea come abbia anche lui tutelato i minori: in una delle citazioni dei brani di Vasco Rossi, infatti, «cazzi suoi» viene sostituito con «cavoli suoi».
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Foto di KF, rilasciata nel pubblico dominio su Wikimedia Commons.
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Un articolo cha va al fondo dell’argomento.
Non posso leggerlo senza provare angoscia e nausea (soprattutto i primi paragrafi). A lungo i uomini mi facevano paura e mi davano schifo a causa della violenza fatta alle bambine e alle donne.
Per fortuna ho incontrato uomini dolci, teneri, rispettosi.
Riguardo il resto dell’articolo: è giusto. Lo vedo nelle mie classe: i bambini crescono troppo velocemente, i vestiti sono poco decenti. Ho voglia di dire a loro: “vivete la vostra infanzia. La publicità manipola per fare comprare. una bambina è una bambina, non una donna piccola.”
metà tutela sarebbe già un risultato.
in tanti lavorano pure.
interessante, molto interessante.
E soprattutto bravo,credo sia la prima volta che leggo, soprattutto in rete, un articolo sulla pedofilia che non sia o isterico, o morboso, o border line.
Mi ha interessato in particolare la differenza che hai fatto notare nell’uso della parola diversa, fatto dalla stampa, se si tratta di violenze pedofile in famiglia.
Segnalo l’articolo di Luigi Cancrini, sull’argomento ieri sull’unità
Luigi cancrini, Narcisista e border line identikid del pedofilo, l’Unità 11 giugno 2007, p 25
geo
scusa vedo solo ora che l’articolo non è tuo ma di Savella, beh bravo a te che lo hai postato e a savella che lo ha scritto :-)
geo
Aggiungo solo che proprio oggi ricorre la Giornata Mondiale contro il lavoro minorile.
“un ambiguo comportamento da parte chi dovrebbe poi tutelare incondizionatamente i minori; e dunque difendere la loro immagine dalla strumentalizzazione ”
La foto di questo post non tutela incondizionatamente il minore.
Ottimo articolo. Ma niente di tutto questo avrà mai efficacia finchè la cultura “liberal o social democratica” non avrà il coraggio di riappropriarsi del diritto (pubblico) di censura.
@uvz sarai mica un maniaco vero?
la foto mi sembra molto bella e basta.
@ valter ma tu c’hai la fissa del richiamo all’ordine? che cavolo c’entra la censura in questo caso?
Tra l’altro la censura come diritto pubblico mi sembra sia in vigore da sempre, basta pensare ai film o alle scene di violenza che non possono andare in onda nelle ore dove ci sono i bambini davanti alla tv ecc.
Io vieterei anche ogni pubblicità da tutte le trasmissioni del pomeriggio viste dai bambini, pubblicità che ossessionano persino i cartoni animati … ma non credo che tu accetteresti questo diritto pubblico o sbaglio?
geo
@geo
Io vieterei la televisione in quanto tale, dopo aver capito grazie a Girard cos’è l’inferno mimetico. Recupererei persino l’iconoclastia ebraica e musulmana e il divieto dei primitivi (ma lo erano sul serio?) a farsi fotografare, pena il furto dell’anima. Tu invece, scommetto che esiteresti a definire un invito esplicito alla deriva pedofila Melissa P., fortunato volumetto di editore progressista.
Un bravo meritatissimo a Savello, autore del testo, e a Nazione Indiana che l’ha pubblicato.
Blackjack
ora stiamo calmi valter.
Una cosa è una bambina fatta passare per donna, e altra una donna fatta passare per ragazzina che fa parte dell’immaginario erotico da che mondo è mondo.
Una cosa è proteggere i più deboli con leggi adeguate, un’altra essere degli oscurantisi moralisti bigotti e talebani ;-)
geo
Invito valter ad astenersi da osservazioni fuori tema come quelle fatte nei suoi commenti qui sopra.
Fuori tema?
Spiegami come fai ad evitare mercificazione dell’infanzia ed erotizzazione precoce della medesima senza censurare chi la promuove, nella cultura e nello spettacolo.
valter, non stiamo parlando qui della censura, se vuoi proporre un pezzo mandalo alla nostra email. uvz l’intemperante ed il seguito vengono cassati.
@ uvz
“un ambiguo comportamento da parte chi dovrebbe poi tutelare incondizionatamente i minori; e dunque difendere la loro immagine dalla strumentalizzazione per fini di lucro”
Quando citi qualcuno fallo bene: avevi dimenticato le ultime quattro parole.
Jan, questa si chiama ipocrisia. passo e chiudo.
credo che la censura sia un male epidemico, si trasmette per via verbale: basta pronunciarla per vederla in azione. a me i commenti di binaghi non sembravano fuori luogo, non più del rimbrotto di Jan.
@binaghi
Terragni in taglio basso:
http://www.ilfoglio.it/pdfdwl/11159200_2.pdf
Lo penso come Giorgia e Cosi&come. E’ un pezzo che dice molto a proposito della società e della perversità del mercato che incorragia i pedofili. Il dibattito è inutile. Un bambino è delicato, da proteggere: punto e basta.
Il dibattito è onitile quando non si vuole andare in fondo: perchè bisognerebbe ridiscutere un immaginario ambiguo, a cui si è abituati a riconoscere dignità artistica (cioè artigianale). Come se l’esser ben fatta ed elegante di una pubblicità o di una fiction fossero un valore in sè.