Teogonia
di Stefano Calosso
1. Rinnegare l’arte. Il concetto di artista. E tuttavia continuare a scrivere.
1.0.1 Distruggere un romanzo, che nemmeno ancora esiste. Meglio: distruggere l’idea di un romanzo, quel fiore che si avverte sbocciare, distruggere quella sensazione di ebbrezza che si prova nel concepire una trama, nel partorire dei personaggi.
1.0.2 Non opporsi al fallimento inevitabile del gioco narrativo, della proiezione nell’ideale delle azioni umane che quotidianamente si svolgono intorno.
1.1 Un incidente frontale con l’auto blu di un deputato in ritardo.
Un urto perfettamente anelastico.
In un urto perfettamente anelastico le due particelle rimangono unite e dopo l’urto si muovono con velocità comune vf. Si conserva la quantità di moto mv (il prodotto della massa per la velocità).
m1v1 + m2v2 = vf (m1 + m2)
Ma non l’energia cinetica totale del sistema, cioè l’energia cinetica associata al moto del corpo.
Parte di questa si disperde nella deformazione delle due particelle durante l’urto.
Insetti sul parabrezza, sul cofano, sui fari delle automobili. Centinaia di urti perfettamente anelastici. La dispersione di energia cinetica è tutta a carico dei moschini. Le spese per il liquido lavavetri a carico del proprietario della vettura.
1.1.1 Il protagonista è in coma. I medici non sono in grado di dire se sopravviverà. Al momento dell’incidente il protagonista viaggiava in auto con una ragazza, uscita illesa dallo scontro. I due si erano conosciuti pochi minuti prima. Il protagonista si era offerto di accompagnare a casa la ragazza. La ragazza non aveva potuto rifiutare. Durante il viaggio avevano parlato poco o niente, l’imbarazzo era reciproco. Poco prima dell’incidente la nebbia aveva conquistato la strada sulla quale viaggiavano. La vettura del protagonista viaggiava a passo d’uomo.
1.1.1.1 La strada nella nebbia si trasfigurò, le inquietudini dei due si riversarono nel paesaggio metafisico che li circondava, il tempo premeva alle tempie e nel rollio dell’auto. Croci bianche sull’asfalto, dipinte con vernice, comparivano davanti al cofano dell’auto una frazione di secondo prima di venirne inghiottite. Quasi del tutto consunte ma ancora chiaramente identificabili, alcune molto difficilmente, si stagliavano come luminescenti nella loro breve vita. Croci irregolari, di forme sempre diverse, disposte a volte ai bordi della strada o al centro della carreggiata.
I due non osavano interrogarsi a riguardo di ciò che vedevano. La coltre di nebbia caricava queste visioni; la spiegazione avrebbe potuto essere banale alla luce del sole, in una giornata di primavera: un cantiere, tracce di pneumatico su vernice fresca, la conformazione del manto stradale che generava, complice la nebbia e il riverbero dei fari, effetti ottici. Croci sull’asfalto, di questo si trattava in quei particolari istanti, ignote. Conoscevano la strada, percorsa centinaia di volte, ma mai con una nebbia così fitta. Questo pensavano, tutti e due.
Elena era a disagio, ma si sentiva protetta dall’autovettura. L’abitacolo era caldo a sufficienza, il parabrezza trasparente scompariva in uno schermo grigio incontro al quale stava procedendo, senza tuttavia esserne mai catturata. Conosceva bene quel modello di automobile: sebbene di colore diverso, praticamente identica era appartenuta sino a pochi mesi prima al padre. Era l’auto sulla quale aveva viaggiato per tutta l’infanzia. Aveva scoperto il mondo stringendo le mani intorno a maniglie di quella forma, di quei materiali. Ed i sedili, la sensazione provata appoggiandovici il corpo, il tessuto sfiorato dalle dita. Il buio della sera era calato, alla luce incerta nell’interno dell’abitacolo socchiuse gli occhi appena e la sagoma scura del guidatore riuscì verosimilmente a ritagliarsi intorno a quella di suo padre alla guida.
Quel dondolio dolce di ricordi riuscì per qualche minuto a far svanire il suo presente così esatto, scarno. Cosa stava facendo? Chi era il conducente dell’automobile? Era quella la strada di casa? Croci bianche sull’asfalto, dipinte con vernice, comparivano davanti al cofano dell’auto una frazione di secondo prima di venirne inghiottite. Quasi del tutto consunte ma ancora chiaramente identificabili, alcune molto difficilmente, si stagliavano come luminescenti nella loro breve vita. Croci irregolari, di forme sempre diverse, disposte a volte ai bordi della strada o al centro della carreggiata. Le parve di scorgere un nuovo neo sul suo avambraccio, o forse era ingannata dalla scarsa luce?
Di quante sillabe è composta, lettore, la parola sicurezza?
Ne sei proprio sicuro?
1.1.1.2 Elena se ne stava sdraiata su di un lettino del Pronto Soccorso di fronte alla porta della stanza in cui Massimo lottava per sopravvivere. Dentro di sè esultò per la sua sorte assurda, s’immaginò avvolta d’una forza grandiosa che la rendeva invulnerabile, immortale.
1.1.1.3 Le dichiarazioni che quella sera Elena fece ai Carabinieri, giunti in ospedale al seguito dell’autoambulanza, furono frammentarie ma precise. La nebbia era estremamente fitta, il veicolo procedeva praticamente a passo d’uomo, quell’auto era comparsa così… dal nulla, all’improvviso, era praticamente certa che si trattasse di un’incidente frontale. Aveva reso la sua testimonianza a fatica, tra lunghe pause di silenzio, ma senza mai cadere in contraddizione. Più di una volta era stata sul punto di chiedere agli agenti se non si fosse potuto rinviare al giorno dopo la stesura del verbale. Il tranquillante somministratole alcuni minuti prima da un infermiere cominciava a mostrare i suoi effetti e la penna del carabiniere che scorreva veloce sul foglio appariva ai suoi occhi nitida solo per brevi momenti.
Un incidente frontale? – chiese il Maresciallo.
Un incidente frontale con l’auto blu di un deputato in ritardo.
Un urto perfettamente anelastico.
– I dati forniti dai nostri rilevamenti non sembrano lasciare spazio ad una simile ipotesi – riprese il Maresciallo, la sua voce era ferma ma nel contempo dolce, rassicurante.
Eppure – riprese Elena – le posso assicurare… quell’auto ha tentato un sorpasso proprio mentre…
Ne è certa, signorina?
Che domande, sì… secondo me è andata proprio…
Secondo lei – la incalzò il Maresciallo, calcando il tono della voce su quelle prime due parole – per quanto tempo è rimasta imprigionata tra i rottami dell’auto?
Scusi ma che… non saprei… sicuramente più di mezzora…
– Dal verbale compilato dai primi agenti soccorritori ci risulta sette minuti dopo la prima telefonata di emergenza – il tono del Maresciallo continuava ad essere affabile, quasi confidenziale.
– È stata per lei una giornata… interminabile. Non mi sembra giusto chiederle ulteriori sforzi – disse – sono sicuro che tra qualche giorno ricorderà tutto più chiaramente .
Rialzando lo sguardo, arrossato per la stanchezza e le luci al neon, Elena si ritrovò in quello azzurro e placido del Maresciallo.
– Un incidente frontale? – chiese il Maresciallo, questa volta parlando tra sé e sé o era solo nella sua mente che quelle parole echeggiavano (o è tra le tue righe, lettore)?
Le parve di scorgere un nuovo neo sul suo avambraccio, o forse era ingannata da quella forte luce arificiale?
Un incidente frontale? Ne era, adesso, sicura? Che cosa pensava di lei, il Maresciallo?
Di quante sillabe è composta, lettore, la parola sicurezza?
Ne sei proprio sicuro?
1.1.2 Il corpo giaceva su un letto qualsiasi, aggrovigliato tra i tubi e le luci. Era sano, a faccia a faccia con la morte: tanta salute non l’aveva mai provata.
1.1.2.1 In silenzio pensava Massimo battersi come un leone per il respiro successivo.
1.1.2.2 Chi sono i medici? Che cosa conoscono davvero? Possiedono il segreto dell’ esistenza?
Elena osservava le mani sicure delle infermiere che la accudivano, lo sguardo fisso di chi domina alla perfezione i momenti che sta attraversando: e si sentiva bene, minuto dopo minuto sempre meglio.
Quel luogo era sempre esistito, al pari della chiesa in cui era solita pregare, vi era stata svariate volte nella sua esistenza senza mai interrogarsi realmente sulla sua “necessità” di esistere. E nemmeno quella sera lo fece e poi mai nell’intero arco della sua vita. Mai si interrogò sulla ragione dell’esistenza di quel reparto di Pronto Soccorso annesso al piccolo ospedale di provincia della cittadina in cui era nata e cresciuta.
Quella sera, invece, Elena si sentì inondare l’animo di riconoscenza per gli angeli in camice bianco, pensando ai loro turni di notte, alle loro responsabilità, agli stipendi troppo magri: le lacrime si affacciarono fin sull’orlo delle sue palpebre rosa. Hai ragione, lettore, Elena era stremata. Ma lucida e con un grande cuore.
Un vecchina su di una sedia a rotelle, messa accanto a lei, attendeva paziente, le mani incrociate in grembo: – Quando arriva il dottore? – chiese, senza rivolgersi ad alcuno in particolare, senza muover gli occhi fissi davanti a lei.
L’esistenza dell’ospedale era per Elena altrettanto naturale e indiscutibile quanto quella delle colline dolci del Monferrato che gli facevano da sfondo. Le lunghe file di finestre profondamente integrate nel paesaggio, consustanziate, al pari dei vigneti che rigavano di verde tutto ciò che si vedeva dalla finestre di casa sua e che stava sotto il cielo. Trasalì, come si fa quando il tuono rompe il silenzio della notte: era l’autoparlante di servizio, necessario come lo scrosciare della pioggia, naturale, incomprensibile e vitale.
1.1.2.3 “Meraviglioso dovrebbe essere per tutti veder la vita risplendere su un letto d’ospedale. La sua superficie così asciutta liscia essenziale dimentica le quotidiane corvée alla moralità”. Mesi più tardi, negli infiniti pomeriggi della convalescenza, Massimo si sarebbe ritrovato all’incirca con questi pensieri e deciso a rimanere tanto vicino alla morte, così dentro alla vita.
Guarito, Elena lo avrebbe visto partire per l’ultima volta (la prima sulle sue gambe) senza capire il perché di tanto ragionare attorno ad Enrico Mattei. Massimo le aveva raccontato la vicenda del presidente dell’ENI, quegli anni di grandi speranze e di uomini che osavano guardare lontano davanti a loro.
Massimo un pomeriggio, aveva paragonato Enrico Mattei a Prometeo, il titano che aveva sfidato gli dei rubando loro il fuoco per regalarlo agli uomini. E che dagli dei, una volta scoperto, era stato severamente punito.
[Ringrazio Stefano Calosso per l’invio di questi scritti e invito a leggerne il seguito sul suo blog. Con il consenso dell’Autore, riporto qui alcuni brani di una lettera privata che illustrano il suo progetto. a.r.
Teogonia nasce come un “flusso di testi”: non sono in grado di trovare una definizione migliore e questa, tutto sommato, mi pare una definizione calzante. L’origine di questi testi è varia e molteplice anche se, soprattutto per gli inizi, si tratta di una rielaborazione di materiale da me scritto precedentemente in una forma narrativa tradizionale e che, così com’era, mi convinceva poco. In Teogonia questi materiali vengono riproposti sotto una luce diversa. La vicenda è un pretesto, l’incastro narrativo è subito dichiarato fallimentare e non è interamente sviluppato: in poche parole è un feto di romanzo abortito. Teogonia è una sorta di autopsia su questo feto, un diario di sezioni e di analisi di laboratorio su questa materia organica. Lo scopo, come in ogni autopsia che si rispetti, è di conoscere le cause del decesso ma anche di dimostrare la tesi che Dio, forse sì, è morto, e che si sta incarnando nella nostra società post-industriale una nuova stirpe di dei pagani, una sorta di nuovo sentimento religioso sta nascendo nei confronti della tecnologia e della scienza, del corpo e della sua rappresentazione, del logo e dei marchi delle multinazionali. […] il materiale che finora ho riadattato non è molto di più di quello che ho caricato sul blog. Per quanto riguarda Teogonia, infatti, il mio blog EXUVIAE non svolge per ora una funzione molto diversa da quella di diario on-line sull’andamento del mio lavoro di riadattamento. I testi allegati, a parte secondo me l’ultimo (1.1.2.3), possono in qualche modo stare in piedi per conto loro, contengono la piattaforma dei fatti da cui scaturisce la vicenda narrativa e sulla quale si innestano, con una notazione gerarchica presa in prestito dalla logica matematica, quasi degli ipertesti, degli “zoom di senso” alla ricerca di questo nuovo “processo di Teogonia“.]
‘Un incidente frontale? – chiese il Maresciallo.
Un incidente frontale con l’auto blu di un deputato in ritardo.
Un urto perfettamente anelastico.’
Versione noir einaudi
‘Un incidente frontale? – chiese il Maresciallo Infascelli.
Un incidente frontale con l’auto blu di un deputato in ritardo.
Una botta secca.’
Versione biondilliana
‘Un frontale? – chiese il l’ispettore Ferraro.
Già, l’auto blu di un deputato focoso.
Guidare e fare il macho sono cose da tenere separate.’
Versione genniana
‘Una cinesi d’avanguardie? – chiese Franz Kafka alla macchina pensante.
Scia di neutroni indaco nella Galassia lattea – eternazine dei della Robbia. Un deputato lotta col tempo sul Pianeta terra.
Dissipazione di forze in visualizzazione applet. Plastica manifestazione della radice di ogni forma.’
Versione wuminghinana
‘Possono due aquile scontrarsi nello stesso cielo? – chiese il Grande Bianco.
Il fiume non aveva sostenuto le canoe. Naufragio in scintillanti acque che ruggiscono.
La faccia del Presidente restò perfettamente anelastica.’
E così via…
che belli i neutroni indaco… una varietà particolarmente rara, di solito sono di un grigino che non si capisce e li fa confondere con i barzelloni, leggermente più ingombranti. A meno che si volesse alludere ai neutroni sindaco, dei quali neppure parlare si può.
io l’ho rinnegata tanti anni fa. era stata con un altro, per denaro.
Andrea,
Cucù! Ho lasciato un pezzo a proposito di Napoli su Bacheca.
Ho il cuore triste di avere lasciato Italia.
E’ un paese magnifico e i francesi dovrebbero ricevere lezioni di cortesia dagli Italiani.
PS Sono passata alla libreria Viva libri nel Testaccio, ma non hanno il tuo ultimo libro. E’ stampato? Grazie per la risposta.
flow out
(dei ubriachi sotto copertura attraversano la strada mentre il sogno americano su auto all’idrogeno si reca al v-day.I rilievi della scientifica parlano di tendine di marylin monroe montate al contrario.Con una democrazia smagnetizzata a fare da contrappunto e un pronto soccorso in piena emergenza.Dirige il maestro Berio)
veronique lei è stata davvero in italia? è sicura? non è che ha sognato tutto questo? comunque i francesi sono cafoni peggio, sì.
ad Andrea Barbieri: :-)))
Un applauso a Barbieri: le reinterpretazioni sono godibilissime.
Blackjack.
madame, non ho capito ma mi adeguo. herbie? il maggiolino tutto fatto?
Mi soffermo in particolare su questo:
‘La coltre di nebbia caricava queste visioni; la spiegazione avrebbe potuto essere banale alla luce del sole, in una giornata di primavera…
ma forse è proprio quel velo di nebbia che ci permette di vedere quella certezza che altrimenti verrebbe assorbita dalla luce del sole.
il resto è degno di infinite riflessioni, domande che lasciano dubbi sospesi,
basti solo pensare alle certezze che pensiamo di avere…
quelle che costruiamo minuziosamente, giorno dopo giorno, con fatica, con passione
un giorno il fato spazzerà via tutto,
resterà solo una bottega, un nome, un’insegna.
credo che sia impossibile distruggere
l’ebbrezza di un’idea capace di partorire un romanzo.
ciao Stefano e bentornato Raos!
abra renzù cadabra pelù, ed ecco che la musica (vera) ormai non c’è più…
orso pelù, aka:
il caterino casello del trasgressivismo alle cozze
il gigliolo cinquetto del fighettinismo da vacanze in sardegna (pagate da papà)
il lauro pausino dei punkinari del muretto
l’isolo dei famosi dei rivoluzionari da discoteca
il simono venturo dei contras allo stracotto d’asino alle fiere di paese
Tornando al tema:
mai rinnegare un concetto!
dottor raos, la prego, cancelli, ho sbagliato indirizzo. chiedo venia.
Distruggere un romanzo?
“Uno scrittore non dovrebbe mai perdere di vista il senso ultimo del racconto. A me non interessano le narrazioni che sono tutta tecnica e niente sentimenti. Credo di essere tradizionalista quel tanto che basta da pensare che il lettore debba essere in qualche modo coinvolto a livello umano. E che ci sia ancora- o quantomeno dovrebbe esserci – un patto tra scrittore e lettore. La scrittura, o qualsiasi altra forma di sforzo creativo non è solo espressione, è comunicazione. Quando uno scrittore smette di voler davvero comunicare e mira solamente a esprimere qualcosa, e neanche bene – be’, si esprima pure andando fuori a urlare all’angolo della strada. Un racconto o un romanzo o una poesia dovrebbero sferrare un certo numero di pugni all’emotività del lettore. Si può giudicare un’opera da quanto sono forti i suoi pugni e da quanti ne tira. Se si tratta solo di un mucchio di giochetti intellettuali, non mi interessa. Opere così sono come la paglia: volano via al primo venticello.”
la citazioni di chi è? non la condivido ma è davvero paradigmatica (non la condivido, tra le altre cose, perché mi sembra che ci siano parecchi “giochetti intellettuali” che mi coinvolgono a livello umano – come se avessi altri livelli, per altro – e poi i pugni non sono solo emotivi ma anche cognitivi – e poi forse è il momento di liberarsi dalla trappola del giudizio estetico e dai metodi “corretti” per formularlo).
a parte, e tornando al pezzo, devo dire che il lavoro di calosso mi sembra molto interessante, più che altro perché è legato al supporto del blog e quindi alla modifica “in tempo reale” del testo e del progetto del testo.
forse l’espressione “distruggere il romanzo” è in effetti un po’ datata, dato che ormai non siamo più nella posizione di dover rinnegare qualcosa. piuttosto, il problema che mi sembra stiamo affrontando è definire lo specifico del testo letterario in un momento in cui la produzione di discorsi è deflagrata. questo rimettere l’accento sulla autore non in quanto sguardo privilegiato sulla realtà ma in quanto elemento che fa le scelte e se ne assume i termini e li mostra mi sembra una proposta interessante.
un saluto al dottor raos e a calosso.
E’ di Carver.
mmm, lo sospettavo… (ebbene sì, maledetto carver, etc. etc. ;-)
Il problema di questo tipo di scritture e’ la vecchia e cara “pars construens”, spesso giocoforza assente; non si capisce peraltro quasi mai se tale assenza sia voluta o casuale, ne’ dovrebbero essere paginate di presupposti teorici a spiegarlo.
Mi sento in dovere di precisare che non è in alcun modo mia intenzione distribuire gratuitamente proclami iconoclasti. I romanzi, tra l’altro, mi piacciono molto.
I primi tre punti (il corsivo) sono una “conditio sine qua non” per il verificarsi dell’evento “Teogonia” e sono rivolti solo e soltanto a me stesso. L’ artista e il romanzo rinnegati sono nello specifico la mia persona anagrafica e la prima stesura di un romanzo, da me concepita nel senso più tradizionale di questo genere letterario. “Teogonia” non è un romanzo tanto quanto una pianta cresciuta in un terreno concimato a letame non è merda di vacca. È un flusso di testi, come già ho avuto modo di scrivere, ed ognuno di questi può essere letto indipendentemente l’uno dall’altro, proprio come una raccolta di poesie o di racconti. La differenza più grande sta nell’organizzazione dei testi stessi: non secondo una sequenza lineare ma secondo un semplice diagramma ad albero, come nel disco rigido del vostro calcolatore. Questa notazione gerarchica è puramente strumentale al tipo di lavoro sotteso da “Teogonia”: creare un’intreccio di relazioni tra i vari testi, una vera e propria rete nella quale si instaurano interdipendenze di significato e in cui lettore e scrittore si trovano davanti a veri e propri bivii, letterari, temporali e di registro.
Questa è volutamente una situazione di “chaos”, humus fertile per la teogonia che intendo descrivere.
Ringrazio Bortolotti per aver sottolineato un aspetto importante:
>è legato al supporto del blog e quindi alla modifica “in tempo reale” del testo e del >progetto del testo
Teogonia, ripeto, è un flusso di testi e come tale ACCADE. È legata alla rete perchè solo attraverso lo strumento del blog ha la possibilità, appunto, di accadere.
Non è un romanzo perchè io non voglio che lo sia. Ma è scrittura letteraria – scadente o meno, non spetta a me dirlo, ma è scrittura letteraria.
Grazie davvero, a tutti, per l’attenzione dedicata al mio lavoro e in particolare ad Andrea Raos per l’opportunità concessami e mi scuso per la lunghezza di questo intervento.
Stefano Calosso
Caro Ruggero Solmi:
Sono stata davvero in Italia! L’ho sognata prima di partire e la realtà ha superato tutte le speranze magnifiche. Gli uomini sono piacevoli e inclini alla conversazione, prottetori, le donne sorridenti e cortesi.
Nella mia città , la gente non è cattiva, ma poco aperta e silensioza: non si sente il brusio delle voce come soffiate del mare.
E Parigi… Gente chiusa, sprezzante, orgogliosa.
Certo ci sono luoghi superbi: le Marais, la place des Voges, la rue des Rosiers, Le cnal Saint Martin caro a éfféffé, Belleville.
Cafoni i Francesi, forse…
la mia ex moglie cara veronique non è cortese per niente. ed è italiana al 100% (nata a spigno monferrato, in piemonte). io non sono per niente protettore.
ma sono contento per lei, che ha trovato delle eccezioni.
saluti
rs
@Veronique
Io invece lo sono: protettivo.
Solo per dirti che “protettore” in italiano può avere un doppio senso sgradevole: lenone, sfruttatore di donne.
In effetti qui da noi non ci facciamo mancare niente
Grazie Valter, per la precisione. Mi sono sbagliata con la parola.
Ad ogni modo amo di più Italia, dopo il mio viaggio a Roma ed a Napoli.
Carver, quel porco di romanziere creativo americano.
Mi piacciono molte cose di questo progetto a cominciare dal progetto stesso e continuando con l’idea della rete di testi e di come sono concatenati. Troverò il tempo per seguirlo su blog??
La lettura scorre molto fluida nonostante i numerosi “pugni all’emotività” (al di là della struttura di non romanzo, mi sembra!) come l’immagine delle croci bianche a terra o l’interrogatorio di Elena.
Condivido con Gherardo Bortolotti la necessità dei “pugni cognitivi” ai quali sono molto sensibile anch’io!!
“Meraviglioso dovrebbe essere per tutti veder la vita risplendere su un letto d’ospedale.”
Come è vero…
grazie Stefano
fem