Gli scrìttici
un intervento di Piero Sorrentino e una risposta di Tiziano Scarpa
Caro scrìttico italiano,
scusami se per parlarti mi sono dovuto inventare una (brutta) parola nuova. Spero mi perdonerai.
Sapevo che c’eri, ma non sapevo come chiamarti. Con gli anni sei diventato una figura familiare. Della tua esistenza sento parlare spesso. Sei citatissimo. Ti leggo sui giornali, ti vedo alla tv, sento la tua voce alla radio. Ti ho incontrato ai convegni – in cui sei chiamato a parlare di me – e ti ho letto nelle rassegne stampa – nelle quali ti chiamano a parlare di me – che le brave e belle addette del mio editore mi spediscono di tanto in tanto nella casella di posta elettronica.
Ma era come se non ci fossi.
Le perifrasi non mi bastavano più. Le allusioni a mezza voce mi lasciavano insoddisfatto. Il tuo nome rapinosamente pronunciato mi creava frustrazione.
Ed ecco, ho dovuto crearti dal nulla, o meglio: sono stato costretto a darti una forma che non avevi, e adesso sei qui, davanti ai miei occhi, finalmente, e posso parlarti a cuore aperto.
La società letteraria nella quale tu e io stiamo è bella e grande e larga e vasta, c’è posto per molti, forse per tutti. Lo è diventata, bella e grande e vasta e larga, soprattutto negli ultimi anni.
Ci sono gli scrittori.
Ci sono gli editori.
Ci sono i critici.
Ci sono i traduttori.
Ci sono i lettori.
E poi sei arrivato tu, scrìttico, e col tuo ingresso hai rotto la noiosa monotonia di quella struttura granitica, ormai ingessata in una ripetitività mortale, sempre uguale a sé stessa, identica e immutabile.
Tu sei una figura ibrida, un essere bicefalo, stai a metà, un po’ qui un po’ là, un po’ scrittore, un po’ critico. Sei tutt’e due: sei uno scrìttico.
Prevengo subito una tua probabile obiezione.
Ma io ci sono sempre stato! Per restare in Italia, e senza spingersi troppo in là con gli anni, e senza farsi rapire dalla tentazione di fare tutti i nomi, cos’erano, per esempio, Calvino, Manganelli, Pasolini? Scrittori in cui è praticamente impossibile scindere l’attività letteraria personale da quella rivolta ai libri degli altri! Autori in cui a ogni pagina narrativa ne corrisponde una saggistica! Grandi scrittori e allo stesso tempo grandi critici!
Ecco, caro scrìttico, è esattamente questo il punto.
A me non interessa che la tua vocazione letteraria sia così forte, così invasiva, così eccezionalmente dirompente da non riuscire a placarsi se non muovendosi su più piani e su più forme della scrittura.
Vuoi fare questo e quello?
Bene, benissimo. Fallo!
Lo si fa, lo si è sempre fatto.
Però, caro scrìttico, dillo.
Dichiaralo.
Affermalo.
Ammettilo.
Proclamalo.
Tu che scrivi narrativa.
Tu che mandi i tuoi manoscritti in giro per case editrici.
Tu che fingi di fare solo critica letteraria, e invece nel buio e nel silenzio della tua stanza butti giù romanzi, organizzi raccolte di racconti, conti gli endecasillabi dei tuoi versi.
E, soprattutto, tu che, dalle colonne dei giornali sui quali scrivi, dalle frequenze delle trasmissioni radio che conduci, dagli schermi delle emittenti televisive che ti ospitano, dai server della Rete che pubblicano il tuo sito, soprattutto tu, che sbavi e sbraiti contro quegli editori che rifiutano il tuo manoscritto; tu che sputi veleno contro il resto dei libri che quello stesso editore decide di pubblicare; tu che diffondi maldicenze e falsità; tu che stronchi in modo violento e immotivato chi non ti vuole; tu che fingi di avere a cuore le sorti della letteratura, e invece ti maceri e struggi solo per difendere la tua letteratura; mi rivolgo proprio a te, scrìttico, perché so che siamo ancora in tempo per salvarci, per salvarti.
La prossima volta che scriverai una recensione, ti prego, amico scrìttico, falla precedere da questo disclaimer.
Avrai reso un servizio buono, bello e onorevole a te stesso e ai tuoi lettori.
E io ti vorrò un po’ più bene, e ti leggerò con gioia – anche se dovessi stroncarmi:
L’autore di questo testo, critico letterario e aspirante scrittore, ha spedito all’editore X, che ha pubblicato il romanzo Y di cui nelle prossime colonne si farà la recensione, un romanzo che è stato bocciato. Nonostante questo, l’autore del testo assicura a se stesso, ai lettori della recensione, all’autore e all’editore oggetto della recensione la propria buona fede e la propria sincerità nella lettura e nelle considerazioni che a questa hanno fatto seguito.
Ti auguro un buon lavoro, di cuore.
***
Caro Piero,
il tuo bell’articolo tocca una situazione reale.
Molti di noi siamo o siamo stati scrìttici. Anch’io, ripensando a com’ero nella prima metà degli anni Novanta, ammetto di aver usato come metro di giudizio il risentimento: ero un autore inedito, mi rendevo conto che i miei scritti erano pieni di difetti, ma non mi sembrava che ne avessero molti di più di quel che vedevo pubblicato in Italia in quegli anni…
Si possono valutare le proprie cose in termini assoluti o relativi. Se penso alla storia della letteratura, alle ambizioni artistiche totali, le mie cosucce mi sembreranno piene di imperfezioni, impresentabili. Ma se paragono le mie opere a quel che viene pubblicato ed elogiato e letto e venduto in giro, intorno a me, in questi anni… Allora la parte meno nobile della mia indole può perdere le staffe e lasciarsi andare a giudizi ingenerosi, spietati. Gli stessi giudizi che mi meriterei io e i miei libri se li valutassi con quell’altro parametro, il giudizio letterario assoluto.
C’è una scorrettezza di fondo, nello scrìttico, che però forse sta nella radice stessa dell’amore per la letteratura. Alle cose ci si tiene di più quando ci si sente coinvolti. Lo scrìttico oltre a leggere libri ama scriverli, è parte in causa. Si ripropone il paradosso kafkiano: “Solo la parte in causa può giudicare, ma in quanto parte in causa non può giudicare”. La parte in causa non potrebbe, non dovrebbe giudicare. In molti casi lo scrìttico ostenta una posa imparziale mentre nasconde il suo risentimento di autore ancora inedito, o rifiutato, o trascurato, o poco conosciuto, o non riconosciuto.
Quanti ce ne sono, in Italia, di scrìttici così? E nemmeno mascherati. Basta fare una piccola ricerca bibliografica, digitare i loro nomi su un motore di ricerca. Se ne trovano sui giornali e in rete, a viso aperto e sotto pseudonimo: sono anziani e giovani, maschi e femmine. Romanzieri, poeti, drammaturghi. Uomini e donne mature verso la fine di carriere letterarie un po’ deludenti; giovani all’inizio di percorsi incerti in cui per farsi notare può essere utile fare un po’ gli smargiassi.
È facile condannarli, ma come non comprenderli e non simpatizzare con loro, anche e soprattutto quando se la prendono con noi? Certo, noi riteniamo di meritare fino in fondo tutto quello che abbiamo ottenuto, eppure… Eppure, se qualcosa fosse andato storto, se per qualsiasi motivo il nostro libro non avesse convinto un editore, o se poi non fosse stato apprezzato e letto in giro? Che tipo di risentimento coveremmo, oggi? Quali colpi bassi daremmo, alla cieca, per non impazzire e non sentirci dei falliti? La cosa che deve fare più male non è l’insuccesso o l’invidia. È quando ti rendi conto di avere scelto la strada sbagliata, perché non sei stato in grado di capire nemmeno te stesso. “E se avessero ragione gli altri? Se non fossi tagliato per questa cosa? Non sono neanche capace di capire chi sono e che cosa so fare.”
Come difendersi dagli scrìttici? Pubblicandoli tutti! Intanto, cominciando da quel girone infernale del risentimento che è la rete. Prendere tutti gli autori inediti e pubblicarli. Ma così è statisticamente inevitabile che si condannerebbero molti di loro all’insuccesso. Quindi, per risolvere il problema non basta la pubblicazione: bisogna premiarli tutti, leggerli in massa, comprare in tanti i loro libri, trasformarli in bestseller, farli tradurre all’estero, girare film tratti dalle loro storie. Per gli scrìttici conclamati invece è più semplice. Basta raccogliere i loro opera omnia nei Meridiani Mondadori, dedicargli convegni, candidarli al Nobel.
Apparentemente, Piero, sembra che stiamo scherzando su questioncelle editoriali, ma è evidente che si tratta di una questione politica. La pubblicazione transustanzia magicamente lo status delle persone, fa diventare autore un cittadino. Oltre a facilitargli la pubblicazione dei suoi libri successivi, lo rende convocabile per dibattiti e interviste, gli procura collaborazioni giornalistiche, conferenze, corsi, cattedre, occasioni per lavorare come sceneggiatore, autore televisivo, conduttore di trasmissioni radio e tivù, regista di teatro e di cinema, può farlo diventare un punto di riferimento dell’opinione pubblica, addirittura prestarlo alla politica. E infatti, nonostante tutta la retorica che si è spesa sulla rete, come abbiamo visto chiaramente in questi ultimi anni, la vera e assolutamente legittima ambizione di chi posta i suoi scritti su schermo è vederli stampati su carta.
Tu fai notare che molti critici sono scrìttici, hanno uno scheletro nell’armadio, un manoscritto rifiutato, oppure un libro pubblicato ma trascurato dalla critica e ignorato dal pubblico. Non pochi sono addirittura scrìttici conclamati, vari loro libri di narrativa o poesia sono stati pubblicati, le loro pièce sono state messe in scena ma nessuno li considera romanzieri, poeti, drammaturghi.
Il fatto è che gli armadi dei nostri scheletri siamo noi. Lo scheletro che fa scandalo è quello che ci portiamo dentro. È la nostra ambizione, la nostra passione, il nostro coinvolgimento. Ognuno è parte in causa, ognuno ha uno scheletro dentro di sé, la presunzione di avere scritto il libro migliore, di avere diritto a essere pubblicato, letto, recensito, acclamato, comprato, amato…
Allora non è forse preferibile, alla fine, confrontarsi con gli scrìttici? Armadi ambulanti che lo scheletro ce l’hanno dentro di sé, come tutti. Tu vorresti solo critici spassionati? Lettori imparziali, non coinvolti? La lucidità della lettura, la giustizia nella valutazione, la severità che snida le imperfezioni – da dove vengono tutte queste virtù? Da un punto di vista assoluto o da uno relativo? Da un impassibile e impietoso confronto con Shakespeare o dal bieco risentimento contro il tuo libro che è peggio del mio ma a te ti dicono bravo e a me no?
Come fare allora? Proporre un ideale albo dei critici “puri”, squalificare gli scrìttici? Non è possibile: possiamo verificare le bibliografie, ma non gli inediti. Non sapremo mai se un critico letterario ha avuto un rifiuto editoriale, un romanzo respinto da una casa editrice. Allora, fino a prova contraria, ci vorrebbe una presunzione di colpevolezza generale. Presupporre lo scheletro nell’armadio per tutti! Sospettare che chiunque scrive critica letteraria abbia patito un rifiuto editoriale, o ambisca a diventare scrittore. Fare come i cattolici: postulare un peccato originale per tutti quanti, a prescindere. Oppure, rovesciando la tua provocazione, Piero, bisognerebbe accettare recensioni solamente da chi ha pubblicato romanzi, poesie, ecc.: e non tanto perché così dimostra di conoscere i problemi del mestiere, e quindi ha una competenza personale, ma piuttosto perché il suo risentimento viene dato per scontato, quindi lo si annulla. Non c’è bisogno di stanarlo caso per caso. Si stabilisce che il risentimento (per disillusione senile, per ambizione giovanile) è la condizione fondamentale della critica, anzi, è il segno del proprio coinvolgimento sincero. Così il risentimento non diventa più rilevante, e resta soltanto la forza degli argomenti.
Inseriamo nell’albo ideale dei critici soltanto gli scrìttici!
Un abbraccio
Tiziano
[i testi, originariamente in forma di mail private, sono frutto di rielaborazione di un breve carteggio con Tiziano Scarpa, che ringrazio]
“La pubblicazione transustanzia magicamente lo status delle persone, fa diventare autore un cittadino.”
Cosa vuol dire essere un “autore”, è davvero una cosa tanto eccezionale? Basterebbe tirare il fiato e convincersi che non è così e l’aria sarebbe più respirabile.
Capisco che ci vuole una certa tempra morale, un certo carattere e anche un certo senso estetico, ma c’è gente che li ha avuti e li ha, e non dovrebbe essere così lunare prendere ad esempio quelli.
Piero, hai pubblicato una cosa molto bella.
Minchia Piero bellissima. Bravo così guagliò..
Quello che più mi sorprende quando mi capita di leggere dei testi narrativi – editi o inediti – di uno “scrìttico” è constatare quanta divergenza ci sia tra il metro che applicano alla propria roba e quello riservato agli altri. Non hanno la lucidità di rileggersi, magari dopo un po’ a mente fredda (ma mi sa che c’hanno la fregola della pubblicazione…), e riconoscere che loro per primi bollerebbero quei racconti o quel romanzo come una zozzeria?
Ma lo vedo più come un problema di etica personale – ci sono persone scorrette – che come problema assoluto: come critico e come lettore, appassionato di cose letterarie, sono proprio gli scrittici – manga, calvino, pasolini… scarpa stesso – a darci le cose più preziose (dal pt di vista della critica).
“Se penso alla storia della letteratura, alle ambizioni artistiche totali, le mie cosucce mi sembreranno piene di imperfezioni, impresentabili. Ma se paragono le mie opere a quel che viene pubblicato ed elogiato e letto e venduto in giro, intorno a me, in questi anni…”
ma la sostanza del problema non è soprattutto qui, ossia che c’è qualcosa di volgare e fuori tema nel modo in cui si scelgono e si propagandano le opere da pubblicare?
alla bella riflessione che sollecita il carteggio fra piero e tiziano vorrei aggiungere qualche spunto. personalmente mi infastidiscono molto le accuse di “rosicare”, che vengono puntualmente rivolte a chi parla male di un libro. nei lit-blog in genere è il modo più efficace per sabotare una discussione. mi infastidiscono perché sono indimostrabili, e riguardano sempre e solo la fama o la pubblicazione. anziché entrare nel merito delle riserve espresse, si sposta l’attenzione su chi le pronuncia, istigando il sospetto che a motivarle sia solo il malanimo personale, l’invidia per una notorietà mancata. tempo fa proposi una moratoria su questo, proprio a partire da una considerazione simile a quella che fa ora tiziano, e cioè che quella sorta di peccato originale appartenga a tutti. non mi riferisco all’invidia della pubblicazione, che sembra essere l’unico valore perseguito da ognuno, ma all’invidia tout court. perché allora non sospettare, per esempio, che una qualsiasi critica di tiziano verso un altro scrittore sia addebitabile all’invidia per il fatto che l’altro ha tanti capelli? o che la lipperini non abbia gradito il romanzo di una narratrice perché è più giovane e avvenente di lei, o che biondillo stronchi un collega perché è più magro? insomma, fino ad oggi mi conveniva leggere accuse di questo tipo nei miei confronti perché mi era facile rispondere che non ho manoscritti nel cassetto, sia mio o di qualche editore, ma mi rendo conto che potrei “rosicare” per mille altri squallidi motivi (lo/la stroncato/a è più bello/a, ricco/a o famoso/a di me, o la mia è una ripicca perché lei non me l’ha data, ecc.). inoltre vorrei segnalare che, per quel poco che mi è dato capire della nostra società letteraria, la “carriera” (sempre che uno voglia farla) la si percorre molto più rapidamente tacendo le proprie contrarietà, e soprattutto elogiando in modo sperticato chiunque conti qualcosa nel sistema. interviste in ginocchio, recensioni adoranti, superlativi come piovesse, ben più che le stroncature, sono per me i veri indizi di qualcosa di losco, in maniera particolare se rivolti a “potenti”. lo disse qui tempo fa montanari e lo ribadisco io ora: com’è possibile che le recensioni dei libri di antonio franchini (tanto per non far nomi), ossia l’editor di mondadori, gridino sempre al capolavoro? certo, il leccaculismo e i rosicamenti sono due facce della stessa ignobile medaglia, ma col primo si mira ad ottenere (e spesso si ottiene) un tornaconto personale, col secondo si dà solo sfogo alla propria frustrazione.
finalmente una cosa interessante da leggere….
grazie!
io sono per la chiarezza nelle cose, ma quella vera, (la critica esige imparzialità) non quella di parte!
a dopo….
Dà molto fastidio anche a me questa delegittimazione del ‘rosicare’, che comunque non è l’unico modo di delegittimare i discorsi. Siccome questo rilievo di Garufi non dovrebbe avere niente di sorprendente, dice soltanto una cosa di civiltà, assolutamente normale (eppure oggi non suona eccezionale), sarebbe utile, con tranquillità, riaffermare tutte quelle norme di civiltà che sono state sbattute nell’ambito del ‘paranormale’ da parecchi addetti ai lavori.
Basta un po’ di ragionevolezza e si riesce. Se la cosa si fa in molti, se si alza una voce che diventa colettiva – può anche non essere un urlo, però deve essere ben udibile, chiara, ferma – secondo me si ottengono dei grandi risultati. Appunto, tutti insieme.
…eppure oggi suona eccezionale…
ci avevo messo un ‘non’ di troppo
Credo che gli scrittori con maggiore visibilità non si rendano conto di essere sintomatici di una certa pubblicistica ormai deteriore. Far parte dell’intellighenzia di un paese in declino significa posizionarsi ai margini degli eventi. Con successo.
barbieri dice “tutti insieme”. gli scrittori fanno gioca jouer. impossibile, si tratta di solisti dell’orrore.
Questo tema mi tocca, in quanto scrittore che non é riusicito a pubblicare una raccolta di racconti e chiuso in casa a produrre un romanzo nuovo . A seguire il ragionamento di Scarpa, invero alquanto evoluzionsita, Thomas Bernhard quando scrive ´A colpi d´ascia´ rientra nella categoria dei risentiti da comprendere (quindi non é uno ´scrittore´. Poi, piú in generale, questa logica del ´noi come siamo stati´ prima di pubblicare e ´loro come sono perché non riescono a pubblicare´, questa cosa del proprio simile che corrisponde grosso modo a un se stesso di qualche anno prima, a me sembra un´immagien crociana tipo l´isola che si vede bene e nitida mano a mano che ci si allontana in amre con la barca. In piú tutta questa benevolenza verso i poveracci/scrittici, a me pare una forma velata di paternalismo. Verrebbe da dire a Tiziano Scarpa, in modo alquanto risentito: scusa ma chi cazzo sei?)
A seguire il ragionamento di Piero Sorrentino, quelli (alcui di quelli) che vedono il proprio lavoro rifiutato da case editrici sfogherebbero la propria frustrazione a mezzo stampa sui poveri autori pubblicati dalle medesime. Scusate ma a me pare semplicistico. I problema del risentimento verso il proprio ´simile´ é un tema letterario vecchio quanto l´invenzione della scrittura (ma forse basterebbe leggere quel bel romanzo di Muriel Spark). Piero Sorentino ha partecipato a qualche riunione di nuovi argomenti e sa benissimo dai toni di certe discussioni che fra ´scrittori´(a seguire la sua tesi: scrittore uguale persona pubblicata da una casa editrice, che collabora con quotidiani a tiratura naziaanle) ci si scanna a volte per una zolla di terra arida. Rischia di essere un luogo comune, questa equazione fra il ´tu editore mi pisci´e ´io fanculo tutti´. Se poi Piero Sorrentino pensava , che so a Perroni o a gente del genere (cio´´e a gente con un minimo di ´potere´ -sottolineo un minimo-), resta il fatto che il fastidioso risentimento di quella gente, sfogato in siti come ´petastri´, produce quantomeno ottime traduzioni dal francese (uno scrittico buon traduttore, quantomeno…). Voglio dire la natura umana é cos´complessa e gli status noti (Scrittore, traduttore, etc.) per me sono delle gabbie, adesso ce ne inventiamo anche di nuovi….Ma dai. Un caro saluto (ovviamente non risentito)
Dirò una banalità.
Quanto dice Garufi – l’invidia che condiziona pesantemente il giudizio
e la “stima” (intesa come peso, come valutazione) degli altri – è amaramente riscontrabile
nella vita quotidiana, e ne parlava anche Scarpa in un racconto
(se non ricordo male erano le vicende di quattro amici appassionati di letteratura,
alle prese con la gestione goliardica di una piccola associazione culturale.
Uno di loro se ne usciva più o meno così: “e se tu che sei colto ti trovi un titolare ignorante,
vedrai come te la farà pagare, la tua cultura!, per invidia ti darà da fare solo fotocopie e fax”).
Dinamiche che tutti noi possiamo verificare ogni giorno, specie in certi ambienti di lavoro.
Per fortuna il manoscritto è un po’ come il curriculum: non è richiesta la foto,
chi lo legge non può vedere chi c’è dietro. Il manoscritto parla da sé.
Ma se hai già pubblicato, e magari sei belloccio,
allora attento al critico nerd.
Se hai già pubblicato e hai la coscia lunga,
allora attenta alla critichessa gnappetta,
(o al critico cui non l’hai data).
Se hai già pubblicato e sei giovane,
allora attenzione al critico vegliardo.
L’invidia è una brutta bestia.
Leggevo che a Londra, nella grande e cosmopolita London, un poeta mainstream che si smazzi nella serie di collaborazioni citate da Scarpa puo’ arrivare a 10-15k sterline l’anno, che significa fare la fame: un tecnico per computer ne prende il triplo e ci si abilita a tali mansioni con un corso di un paio di mesi che costa non piu’ di 2-3k e se sei fortunato ti trovano pure il lavoro, visto che si tratta di figure molto richieste. Voglio dire che fare letteratura e’ abbastanza disperante, ma problema maggiore e’ la miseria, che rende “risentiti”. Peraltro il cliche’ vuole che tanta arte nasca dall’abbrutimento, quindi mi preoccuperei delle buone maniere piu’ che dell’aggressivita’ dei giovani piranha.
D’accordo, Piero, e però un critico letterario, uno scrittore, e uno scrìttico, e anche il mio vicino di casa, sono tenuti a darmi un giudizio vero. Se il giudizio è vero allora la critica sarà fondata, sorretta o non sorretta da risentimento che sia, se il giudizio non è vero allora la critica può essere feroce quanto vuole o plaudente quanto vuole, ma non sarà fondata. Il problema è che quando si parla di un libro il grande assente è… il libro. Questo è un circolo vizioso piuttosto terribile. Io parlo di una cosa ma nel momento in cui ne parlo, la cosa non c’è. Mi viene da chiedermi: ma se l’oggetto di cui sto parlando non c’è, allora di che cosa sto parlando? Questo se non altro mostra che difficile è essere credibili, sempre, anche quando non veniamo presi dalla tentazione luciferina e un poco ubriacona di rovesciare la realtà, e di far passare una cosa per il contrario esatto. Quando per esempio leggo una recensione proprio di Tiziano Scarpa, mi chiedo: “Ma sarà il libro a essere bello o è soltanto bello come Tiziano ne ha parlato?”. Con questo voglio dire che non basta nemmeno l’autorevolezza di un autore (Tiziano Scarpa è autorevole e, anzi, dirò di più, dirò una cosa negativa sulla sua autorevolezza: chi cita Tiziano Scarpa, chi cita alcune opere di Tiziano Scarpa, fa mostra di essere dentro alla ‘letteratura contemporanea vivente’; e poi magari questa letteratura non sa sa neanche che sostanza ha e di cosa è fatta, ma citando Tiziano Scarpa, in questo momento, si fa mostra di essere dentro alla ‘letteratura contemporanea vivente’, il nome Tiziano Scarpa, e la lettura di alcuni stralciu dei suoi scritti critici o letterari, proiettano immediatamente nella dimensione dell’ultramoderno, del superaggiornato – e se questa non è autorevolezza, cioè al punto da arrivare a essere ‘odiosa autorevolezza’, che forse è la solo forma di autorevolezza possibile, io non so come altro chiamarla) e – dicevo – una recensione pregevolissima per convincere un lettore, per risultare credibili presso di lui.
Allora, in fondo, anche per la critica letteraria vale quello che vale un poco in tutte le attività umane: se un critico letterario non fa che emettere giudizi non veri, bene, dopo qualche tempo questa cosa verrà fuori, e lui in qualche modo verrà sconfessato. Ci vorrà tempo, e magari, molto, moltissimo tempo, ma prima o poi… Allora, per non rischiare, meglio fornire giudizi veri facendo uso di razionalità, e non lasciandosi guidare dagli istinti bassi. Come del resto dice lo stesso Tiziano Scarpa a pagina 91 del primo paragrafo di Due o tre cose contenuto in Che cos’è questo fracasso:
“Non ridere, né piangere, né piangere, né detestare, ma capire” ha scritto Baruch Spinoza. Vale a dire che il riso, il pianto, l’odio e le emozioni sono cose diverse rispetto al capire. La comprensione non deve passare attraverso le passioni. Tantomeno deve subire un’elaborazione fisica, una sintomatologia corporea, e nemmeno una gesticolazione. Non deve aizzare le ghiandole, né innescare spasmi di buonumore o disgusto.
Trovo davvero bello questo carteggio, condivido l’opinione di Andrea Barbieri e Sergio Garufi.
L’accusa tipo, utilizzata soprattutto in rete, del “rosicamento”, vorrebbe infangare, spesso, atti puramente gratuiti, sinceri. Ma siamo, tutti noi esenti, dal rosicamento? Siamo imperfetti, ci fa capire Tiziano. Ammettiamolo tutti.
Però, allo stesso tempo non usiamo l’arma spuntata del “tu sei un rosicone”, o, uguale e speculare, “tu gli lecchi il culo per il tuo interesse” ad ogni pie’ sospinto, pena l’afasia.
Io, nel mio piccolissimo, trovo fortunata la mia posizione di “scrittore che non è critico di professione” (c’è, eccome, bisogno di critica operativa, trovo che sia una categoria fin troppo infangata, ma io non credo di averne il talento) e, perciò, cerco tutte le volte di recensire libri che “sospetto” mi piaceranno per evitare miei inutili livori recensori (quanto di prevenuto può esserci nella lettura di un libro di una utore che ti sta sulle palle?) Se poi il libro mi delude, comunque, lo dico sinceramente, cerco, però di stare sul libro, di dimenticarmi i miei pregiudizi sull’autore. E, in più, a mo’ di garanzia, evito quelli pubblicati dalla mia casa editrice per dissolvere sospetti di interesse di cordata. Eppure questo non basta.
Se stronchi un libro è perché rosichi.
Se ne parli bene è perché lecchi il culo.
Così non se ne esce. Alla fine bisogna fregarsene, scrivere quello che ti pare, essere soprattutto onesti con se stessi. Non si può essere amati da tutti. Soprattutto dai rosiconi che, sottosotto, vorrebbero leccarti il culo.
Mi sono riletto e mi trovo assolutamente confuso. Non stroncatemi il commento, please. ;-)
Sarebbe bello veder adottato il sistema che propone Hornby nel suo “Una vita da lettore” : scrivere le recensioni solo in positivo ( per i libri buoni ). Per cui il silenzio equivarrebbe a una critica negativa ( per quelli cattivi ).
Si consiglia un deodorante neutro
Quante storie per degli annunci pubblicitari! Autopromozioni. Uno scrittico propaganda sempre e solo se stesso. L’ideologia della sua appartenenza. Certo, in una dimensione nazionalpopolare come la nostra, dove vige il pensiero unico dominante, al massimo ci si fa uno screzio per vincere l’inerzia. Il rapporto non è ideologico ma epidermico. Ci si annusa…
gli uomini in ammollo. il bio presto delle idee.
Perfino le battute ti riescono male, solmi. Fai fetecchia e non te ne accorgi.
vedi di costanzo, tu sei una fetecchia umana. e non te ne accorgi. umana… beh, parliamone.
[…] Ripresa autunnale. Tornano, nell’ordine, le metropolitane affollate, le nuove edizioni dei testi per le medie a venticinque euro cadauna, i libri in bozze e no, un interessante carteggio fra Piero Sorrentino e Tiziano Scarpa a proposito degli “scrittici”, su Nazione Indiana. […]
Ha scritto Roberto Pugliese sul Gazzettino, a proposito del Leone d’Oro ad Ang Lee: “Il giudizio sulla qualità della 64° Mostra va diviso da quello sul verdetto strabico, e stavolta francamente indecente, di una GIURIA DI REGISTI. E’ un esercizio retorico ricorrente e futile, ma è anche la prova ulteriore, se mai ve ne fosse bisogno, che ***i cineasti devono fare film, non giudicare quelli altrui perché non è il loro mestiere***”. Spostiamo il tutto in ambito letterario:- )
La pubblicazione transustanzia magicamente lo status delle persone, fa diventare autore un cittadino.
Per diventare autore ci vuol altro. Per fortuna. Questa è una sciocchezza da starlet, da veline.
Scarpa primadonna al culmine, la transuatanziazione è compiuta.
Miracolo.
Sorrentino in pole position.
Mistero della Fede.
Gli scrittori che fanno recensioni almeno giocano a carte scoperte.
Nobili o non nobili che sian i loro intenti.
Ma i veri registi del film da cinema d’essai, però, raffinato e con quattro spettatori in platea, che si chiama letteratura, sono gli scrittori padrini, i santoli in paradiso, quelli che prendono sotto l’ala l’inconnu e lo presentano all’amico dell’amico dell’amico ed avviano la trasfomazione di pane e vino.
Ci vorrebe qualcuno che lo scrivesse su questi riti d’iniziazione un bel Romanzo letterario, come Bulgakov il suo fulminante Romanzo teatrale.
adolescenziale. puerile. risentito. stupido. sorrentino è un ignorante. per scrivere ci vuole cultura. non chiacchiere.
Io credo che si possa esprimere il proprio dissenso dai contenuti di un pezzo, anche in modo duro, senza insultare nessuno.
sorrentino è coltissimo, e pure bello, non rosicate troppo
bello? bono! siate precisi!
ma qual è il vero problema? L’accesso a sistemi di credito maggiori, via via? Beh, chi ha un posto da qualche parte innanzitutto se lo tiene stretto, e figurati se fa accedere ai propri sistemini di credito altri che, per qualche ragione, se lo meriterebbero, mettiamo pure dal suo punto di vista, pure dello scrittico stesso… In rete, vi pare poi che ci siano dei sistemi per accreditarsi…quanti sono coloro che accedono ai blog letterari, 100, 200.000 mila persone al mese, e con che assiduità o con quale profondità? Alla fine, il discorso che si è fatto qui è la faccia della stessa medaglia, un cane che si mangia lo coda, o tenta, anche perché tutto quello che uno può fare, pubblicando in rete e non cose sue o d’altri, è un alimento sempre dello stesso circuitino; e pure arrivati a qualche pubblicazione il circuitino rimane tale, indipendentemente dal successo o meno dell’autore e del libro o del blog o… Il problema non è lo scrittico, ma la mancanza di idee nella critica, ma poi chi è il critico militante oggi, se non quello che milita per due lire e due presentazioni e due convegni e per un posto all’università, magari da ricercatore? Andate a fare una ricerca e osservate il come certe persone si occupano sempre degli stessi autori, poi osservate chi si occupa invece di favorirne altri, tra l’altro sapendo che poco gliene viene in tasca…alla fine della fiera, potete fare pure i conti – anche se alle volte sarebbe meglio fare i nomi…allora chi sono gli scrittici, quelli che mettiamo amano paracularsi paraculando? Perché escono sempre questi articoli in generale, e nessuno fa mai nomi e cognomi? Perché non ci si fa la guerra…? …tanto questa, non ammazzerebbe nessuno.
Ma vogliamo fare un po’ di nomi, parlare in astratto non serve.
Peppinello, leggiti a Langone.
Nomi, nomi, nomi per favore. sennò è aria fritta!