Michelangelo Capossela

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di Severino Colombo

Per un articolo sul Corriere della Sera (apparso oggi 21 settembre) ho intervistato Vinicio Capossela in vista del concerto “Fuggite amanti amori. Rime e lamentazioni per Michelangelo”. Sul “Corriere” è uscita per ovvie ragioni di spazio una versione ridotta. Siccome un po’ mi dispiaceva tenere solo per me le parti non pubblicate ho pensato di condividerle. Ecco quindi la versione integrale che ho volutamente lasciato in una veste grezza e poco lavorata. L’intervista è avvenuta via mail, ma è stato comunque a suo modo un incontro ravvicinato (quello che Capossela non sa, infatti, è che mi trovavo nella casa di fronte alla sua).

Vinicio Capossela so che la “storia” con Michelangelo è di lunga data, risale almeno al 2000. Come hai scoperto il Michelangelo poeta?
«Non avevo mai saputo niente delle rime fino a quando nella primavera del 2000 un musicista francese, Philippe Eidel venne in italia cercando voci per cantare i sonetti che aveva musicato. Me ne toccò uno davvero emblematico. Dice: “fuggite amanti , d’amor fuggite il foco, l’incendio è aspro e la piaga è mortale, leggete in me quale sarà il vostro male..fuggite..” E quello è stato l’inizio…»
«C’è già quasi tutto. Intanto il Foco, questo parlare del fuoco mentre la mano sta ardendo, il foco necessario al fabbro per stendere il ferro nel suo bel lavoro, o per raffinare l’oro, “ond’io , s’ardendo moro, spero risorger tra coloro che la morte aumenta e il tempo non offende..” e poi la tensione alla bellezza a questo amore che entra per gli occhi e s’avvien che trabocchi. e che toglie a se stessi.. “chi è che per forza a te mi mena legato e stretto e son libero e sciolto?” La lacerazione dell’essere divisi, la tensione all’unità , sia verso il cielo, che verso l’amato.. e poi l’anelito a Dio,l’offesa per il suo mercimonio. Se pure formalmente questa lava incandescente è racchiusa nella forma poetica, è uno sfogo, un lamento gravido di vita.. »
«Non c’è niente di astratto, già che “egli dice cose , e gli altri parole”( Berni) e in queste cose, non è difficile buttare il proprio cuore nell’incendio, tra i canali della forma musicale, dell’aria antica o della ballata western medievale.
E’ tensione alla bellezza, terribilità del tempo, lavoro della morte, desiderio di vita, e ciclopica forza. Queste le cose che ho provato a musicare, con questa formazione che unisce la forza del violoncello di Mario Brunello alla struggente grazia della viola da gamba di Paolo Pandolfo, e che abbiamo affrontato e arrangiato, nelle “Rime e lamentazioni”. Nel programma saranno inoltre eseguiti “Il lamento della ninfa” di Monteverdi , “Erbame dich” di Bach, una lamentazione di G. Sollima, e una dello stesso Pandolfo.

Le Rime diventeranno un disco?
«Sì, un disco di lamentazioni e di ballate,di suoni armonici di pietra, e campionamenti di voci, percorsi dalle prue di questi strumenti a vela, il cello e la viola, grandi indagatori di abissi umani».

Sei sempre stato un amante della poesia? Magari anche a te da bambino hannno fatto studiare a memoria la Cavallina di Pascoli…
«Si inizia da subito a sentire la poesia come qualcosa di fuori dalla vita, che parla un altra lingua, e va imparata a memoria. Quello che mi riusciva meglio era Omero, qualche canto dell’odissea, e l’epica in generale. Parlavano una lingua che faceva entrare in un mondo. A memoria però sono riuscito a imparare solo qualche filastrocca e qualche conta come per esempio: astanblan femininkutan melingheli sikestuk malingut»

Quali sono oggi i tuoi poeti preferiti?
«Da grande ho subito molto il fascino dei romantici inglesi, Coleridge, dei marcescenti fiori del male,delle elegie di Rilke e la grande, pietrosa poesia della lingua biblica, soprattutto nelle versioni di Guido Ceronetti».

Hai mia fatto una dichiarazione d’amore con una poesia?
«… come sei bella amica mia , come sei bella, il tuo ombelico è una coppa rotonda dove non manca mai vino aromatico… il tuo ventre un mucchio di grano adorno di gigli, la sua sinistra sotto il mio capo la  destra mi cinge. Non svegliate , non svegliate il diletto mio finché non vuole.. »

Tornando a Michelangelo, conosci le sue sculture? A Milano c’è la Pietà Rondanini, l’hai mai vista?
«Ho visto solo il Mosè a San Pietro in Vincoli a Roma. Una signora, nel guardarlo si è avvicinata e ha iniziato a dire, vede la vita fa a noi quello che lo scultore fa alla pietra, ci formiamo a botte di scalpello e martello. Fanno male i colpi , ma intanto ecco esce un braccio , un naso un ciglio. Certo il mio ex marito me ne ha dati , ma non voleva farmi male, solo era meglio che quella sua premura la usasse magari per la scultura…»

Michelangelo era pittore e scultore, quello di poeta era un “secondo lavoro”. Qual è il tuo “secondo lavoro”. Scrivi poesie? Disegni? Guardi la tv? Altro?
«Il mio primo e secondo lavoro  è scrivere, raccogliere parole da terra impilarle in racconti. Ma forse è un vizio. Il primo lavoro è sempre l’igiene personale, provvedere a se stessi».

Se tu non avessi fatto sul cantautore che lavoro avresti voluto fare?
«L’avventuriero».

La poesia ultimamente è molto di moda: Sermonti che legge l’Eneide, Benigni che fa Dante, e tu ora Michelangelo. Come te lo spieghi?
«Non credo sia una moda, cioè il costume di una stagione, parliamo di monumenti eterni, e del desiderio innato nell’uomo di cantare ascoltare, mormorare, passarsi  parole.»

Nel concerto di sabato c’è anche un inedito ispirato al quadro “Noli me tangere” di Pontormo, che sembra già il titolo di una tua canzone, che cosa ti comunica quel quadro?
«”Noli me tangere” è uno standard della pittura. Esprime la necessità di credere e di non potere toccare, non potere avere chi amiamo, relegarlo nella sfera della fede, sacralizzarlo, sottrarlo all’uso. Nel quadro bastano le mani ad esprimere tutto questo. Con quale celeste distacco le dita del cristo , impongono alla fame della Maddalena, il “noli me tangere”.. “sono con te sono dentro te , ma non voglia tu toccarmi”, paiono dire».

Se potessi fare un viaggio nel tempo che personaggio vorresti conoscere: Michelangelo o Leo Theremin, scienzato russo inventore dello strumento che usi nel concerto?
«Beh , Leo Teremin permette il viaggio nel tempo avendo inventato lo strumento più fantascientifico di ogni altro, che emula la voce umana e quella degli angeli, muovendo le mani nell’aria, come un ipnotizzatore. Per raggiungere le grandi anime del passato, come Michelangelo, Bach e Monteverdi, sul palco del Teatro degli Arcimboldi sabato ne avremo due, suonati da due grandi scienziati dello strumento. Gak Sato e Vincenzo Vasi.

Chiudo con una curiosità. Oltre a te anche diversi altri personaggi famosi vivono nella stessa zona di Milano (quella tra Buenos Aires e la Stazione Centrale): Silvia Ballestra, Gianni Mura, Nicoletta Vallorani ed altri ancora. È una zona che ispira gli artisti?
«Non so per gli altri, per me rimane sempre un buon posto dove immaginarsi tutto. Perdersi nei binari sul selciato, sentire il sibilo del passaggio dei tram lanciati nella notte verso uno strike».

So che è da poco uscito il nuovo disco «Ovunque proteggi», ma per il prossimo quanto c’è da aspettare?
«Nove mesi credo, come per ogni creatura, pelosa ispida o fatata che sia».

Per chi fosse interessato il concerto è Sabato 22 settembre (ore 21, tel. 800 121 121. Ingresso 20-30 € + prev) a Milano, Teatro degli Arcimboldi, via dell’Innovazione 1.

8 COMMENTS

  1. caro colombo
    intanto complimenti per la bella intervista al mio geniale compaesano.
    le do la mia mal.
    se mi scrive volevo chiederle una cosa che qui non può interessare a nessuno.
    farminio@libero.it

  2. caro colombo, complimenti per l’intervista.. giusto dare il meritato spazio ad ub artista a tutto tondo come il mio caro amato Capossela…
    ho visto il ‘fuggite amanti amor’ al Genio Fiorentino nella splendida chiesa di s. stefano a ponte vecchio…una esperienza tintinnante,una emozione piena come se ne provano veramente poche volte nella vita.
    Come ha scritto veronesi attraverso l’immortalità di michelangelo, grazie ad artisti come brunello e vinicio e gli altri, anche noi che eravamo là ad udire e vedere tanta grazia siamo diventati immortali…grazie vinicio ovunque.

  3. “Quello che mi riusciva meglio era Omero, qualche canto dell’odissea, e l’epica in generale”. Leggendo il suo romanzo si capisce fino in fondo quanto “Vinicio” abbia assimilato dal suo maestro. Più o meno zero.

  4. Ma “tra Buenos Aires e la Stazione centrale” è un concetto troppo vago. Ditemi dove. Altrimenti continuerò a pensare che viva al Burger King!
    E comunque amo la sua follia e il suo avanzare nel peccato.

  5. Quella storiellina della signora che guardando la Pietà Rondanini riflette sulle botte avute dal marito, Capossela la racconta nello spettacolo dulle rime di Michelangelo, e la donna che lamenta d’esser stata plasmata malmenata … era sua madre!

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Nel 2011 il romanzo noir I materiali del killer ha vinto il Premio Scerbanenco. Nel 2018 il romanzo storico Come sugli alberi le foglie ha vinto il Premio Bergamo. Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.