(Ancora) su “Gomorra”

di Andrea Inglese

(Questa scheda critica è uscita sull’ultimo numero di Allegoria.)

I pregi di Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra sono strettamente connessi a ciò che questo libro non è, non riesce ad essere o non può essere. Gomorra ha la movenza del libro d’inchiesta, e Saviano si è formato, come scrittore, nell’ottica dell’inchiesta. Ma presto, pagina dopo pagina, ci si rende conto che qualcosa ha rotto e travolto i confini del libro d’inchiesta, un’esigenza espressiva e conoscitiva che impone alla scrittura un ritmo ossessivo, una pretesa di irretimento totale del fenomeno camorristico.

Questo bisogno di penetrazione conoscitiva, di reductio ad unum del ramificato e cangiante universo criminale, manifesta nel libro di Saviano l’intento del saggista e il correlativo sguardo dall’alto, statistico, sufficientemente distante da cogliere dietro la molteplicità dei fatti le poche leggi che li determinano. Ma Gomorra non è neppure un saggio. Non ha del saggio la pacata costanza né la chiara architettura; inoltre il soggetto che parla non coincide con un astratto ed impersonale punto d’enunciazione, è un soggetto che ha una propria storia, delle sue esibite passioni, un radicamento percettivo nel territorio, in mezzo ai fenomeni che pretende ordinare e sfrondare. Gomorra non è però neppure un romanzo, qualcosa magari di simile a una non fiction novel. Mai la voce entra e prende posto nelle menti delle persone di cui si raccontano gli atti, mai insomma si ricorre alla creazione di veri e propri personaggi, con un loro autonomo sguardo sull’universo narrato. Certo, il narratore, pur coincidendo con l’autore in carne ed ossa del libro, pare acquisire spesso le doti di un dispositivo acustico e visivo straordinario, capace di raccogliere le voci più sottili, puntuali, i gesti più atomizzati e dispersi.

In definitiva, si può dire che Saviano ha un indubbio talento letterario, e che in lui si realizza un raro e felice connubio tra la competenza del reporter più spregiudicato e dello scrittore capace di imprimere a una materia cronachistica il ritmo altalenante, rapido o indugiante, dell’immersione soggettiva. Ma per certi aspetti Gomorra è riconducibile alla letteratura di testimonianza. Con questo intendo dire che non si può discutere del libro di Saviano senza considerare adeguatamente la motivazione etica che gli fornisce corpo e finalità. L’intento conoscitivo (saggio, reportage) e quello poetico (non fiction novel) sono qui scavalcati di slancio da un intento etico, d’incisione sulla realtà, di superamento del fossato che separa i discorsi dai fatti, le parole dalle cose. La pretesa di totalizzare nella scrittura il fenomeno camorristico esorbita dall’inevitabile selettività del procedimento giornalistico, così come la continua esposizione del soggetto narrante, con le sue inequivocabili marche (auto)biografiche, esorbita dalla posizione più defilata, se non pienamente neutralizzata dell’autore di finzioni.

Ma di che cosa pretende di essere testimone Saviano? Di quale realtà oscura, sfuggente, che la sua parola dovrebbe colpire e pietrificare? La potenza di Gomorra risiede in una piccola, ma scandalosa, rivoluzione copernicana. Saviano non guarda alla camorra dal terreno della legalità, della vita normale, dell’economia legittima. La camorra non è un’isola d’illegalità all’interno di un mare di legalità, ma neppure una mostruosa degenerazione della società italiana o dell’economia capitalistica. Saviano rovescia completamente la prospettiva: il mondo intero è visto da Casal di Principe; il capitalismo internazionale è compreso a partire dall’economia illegale e dal monopolio criminale di un paese campano; la legge, l’autonomia, la libertà di pensiero ed azione sono delle eccezioni viste a partire dal regno del sopruso, della crudeltà, della schiavitù di clan. Questo rovesciamento non concede al lettore via di fuga alcuna, lo confronta con una mostruosità che è già parte della sua stessa vita, come cittadino italiano o come semplice consumatore.

26 COMMENTS

  1. Come sempre leggo con piacere i tuoi post e condivido quello che scrivi. Credo che Saviano faccia quello che dovrebbe fare un vero scrittore: sfumare i connotati storici mentre parla di un tempo e di un luogo definiti. E facendo questo riprende l’esclamazione di Baudelaire “Tu, lettore ipocrita, mio simile, mio fratello”, con “il mondo intero visto da Casal di Principe”.

  2. mumble… cito il post:
    “il capitalismo internazionale è compreso a partire dall’economia illegale e dal monopolio criminale di un paese campano; la legge, l’autonomia, la libertà di pensiero ed azione sono delle eccezioni viste a partire dal regno del sopruso, della crudeltà, della schiavitù di clan. Questo rovesciamento non concede al lettore via di fuga alcuna, lo confronta con una mostruosità che è già parte della sua stessa vita, come cittadino italiano o come semplice consumatore”.
    mi chiedo se una lettura del genere – purtroppo non ho letto gomorra, mi limito a discutere il bel pezzo di Inglese – non rischi di essere “assolutoria” e per certi versi confortante: se tutto è illegalità, più nulla lo è; se ‘o Sistema è IL Sistema – assoluto, invasivo, onnicomprensivo, rovesciabile solo con una rivoluzione a venire (e in ultima analisti utopica) e non riformabile – allora non è il caso di dannarsi perseguendo ‘sti farabutti sul terreno della legalità/ della polizia; non vale la pena estirparne il cancro (provarci almeno) se è già tutto una metastasi.

    ps: non ho capito se il commento sopra – di luigi – è ironico o sta dando del mitomane a saviano: in tal caso, oltre a mettere un’infinita tristezza, mi pare incommentabile.

  3. a francesco, rispondo per quel che riguarda, ovviamente, la “mia” lettura di “Gomorra”; la descrizione della quotidiana e diffusa schiavitù che il potere camorristico impone, cosi come della sua straordinaria capacità di penetrazione all’interno dell’economia “legale”, non credo possano essere in alcun modo assolutorie. Io parlo non a caso di “schiavitù”. Ma anche all’interno dei regimi coloniali e razzisti, basati sulla schiavitù, che erano quindi non “illegali”, ma “istituzionali”, era impossibile concepire una definitiva passività e sottomisssione degli schiavizzati. I regimi basati sul terrore, la violenza, l’ingiustzia, che siano confinati a zone infranazionali o siano invece “nazionali” o persino transnazionali, non possono essere assolti da nessuno, in quanto contro di essi la “resistenza” è perpetua, costante, per clandestina e invisibile che sia.

    Quanto alla tristezza di cui tu parli, è anche la nostra. La legge dell’omertà vuole che di certe cose non se ne parli. Contro coloro che la infrangono, non resta che la diffamazione. La reale, profonda, scomodità del libro di Saviano sta nel fatto, che costringe ancora qualcuno a dire: “tutto cio’ non esiste”.

  4. Quella che tu chiami “rivoluzione copernicana” può certamente essere vista come un ribaltamento geniale del punto di vista comune. Certo l’abuso di quest’espressione, ma quanti meriti ebbe quell’astronomo polacco! , mette in moto qualche sospetto. Chi cerca di fare il contropelo può anche tenere in considerazione se quest’idea non sia un’esagerazione soggettivistica, un’iperbole dettata forse dall’aver vissuto in prima persona quei drammi, una sopravvalutazione del fenomeno camorristico, cui non è estranea neppure l’enfasi sulla parola Sistema, che diventa il centro da cui guardare l’universo, la lente che illumina ma anche personalizza e colora le cose. Un mafio-centrismo, o sistemo-centrismo che vuole mettere alla berlina il punto di vista mediatico che riduce tutto a sangue e degrado e fa bene, ma anche un’ossessione che vede capitalismo criminale ovunque, mafio-liberismo in tutti i centimetri del globo, dilauro più di bush, dilauro più di ratzinger, dilauro in cina e ad aberdeen, e perchè no in Neozelanda e in Sudafrica si chiede il lettore, un’impreditoria criminale che comanda e infetta il pianeta, nascondendosi dietro cento maschere che non consentono, forse neanche a saviano chissà, di chiarire se si tratti di perversione del capitalismo, del liberismo o della loro vera natura che si mostra nella sua luce cruenta. L’intento etico di Saviano è evidente, per amore del suo popolo non tace, e la sua voce risuonerà sempre nelle coscienze dei complici; la testimonianza è alta e vibrante come quella di un “dispaccio” dal Vietnam, ma questo non lo deve salvare dal giudizio spassionato sulla letterarietà dell’opera, che sfugge come un’anguilla alla canonistica ed alle divisioni di genere. Questo sfuggire non dovrebbe essere visto aprioristicamente come una virtù, a meno che non si vogliano trascurare le attese di chi, lettore ingenuo forse, s’aspettava maggiore analisi e verità fattuale dal saggio, maggiore narrazione e sviluppo dal romanzo.

  5. lettore ingenuo forse, s’aspettava maggiore analisi e verità fattuale dal saggio, maggiore narrazione e sviluppo dal romanzo.
    Ma non ho mica capito che volevi dire? analisi e verità?? la seconda in abbondanza, la prima forse ci voleva una treccani per averla tutta, magari con i successivi articoli e altri romanzi, ne arriverà.
    Narrazione e romanzo, così qualcun altro poteva dire… ahhhh ma quanto è romanzato questo saggio.. chissà quindi se c’è verita fattuale.
    Io credo che non sia stato facile unire saggio, romanzo, indagine ecc ecc..e chissa se c’era premeditazione nel farlo (e non mi interessa saperlo, perchè il nome del fiore non cambia il suo profumo) e forse il lettore ingenuo se era troppo analizzato non lo avrebbe comprato questo saggio.. perchè sai che due palle di cose che non vivo direttamente.. e se c’era troppo romanzo, bè allora è come dicevano i ragazzi in piazza a Casale, che bel romanzo che hai scritto!!! come a dire balle!!
    Comunque questa è la mia opinione e visto che da come scrivi sembri tanto intellettualmente superiore e preparata di me.. probabilmente resta solo la mia opinione
    fra

  6. -Questo rovesciamento non concede al lettore via di fuga alcuna, lo confronta con una mostruosità che è già parte della sua stessa vita-

    è questo il punto focale, lo scontro, la scintilla,
    la realtà che non vediamo, soltanto percepiamo
    un vago sentore di
    piombo

    il coraggio è più facile fiutarlo
    riempie le narici.

  7. “… ma anche un’ossessione che vede capitalismo criminale ovunque, mafio-liberismo in tutti i centimetri del globo…” Sinceramente penso che la realtà sia anche peggio. In quanto non c’è solo la camorra, mafia o andrangheta (che già sono un gran casino), ci sono anche i casi Parmalat, Cirio, le banche che sbolognano al parco buoi dei risparmiatori i bond argentini e agli enti pubblici i ‘derivati’, i finanziamenti UE per non parlare delle speculazioni edilizie nei nostri Comuni, delle manovre economiche e non dei massoni e chi più ne ha più ne metta. Insomma che il sistema fa abbastanza schifo è un dato di fatto. La realtà supera l’immaginazione dai retta. Ho detto tuttavia abbastanza e non completamente.
    La rivoluzione copernichiana consiste di non scandalizzarci più ma, capendo di esserci dentro fino al collo, cominciare a provare un profondo desiderio di maggiore pulizia e farsene promotori.

  8. Aspettando la risposta di Inglese provo a precisare alcune inezie. Ho amato smisuratamente Gomorra. Il confronto “con la mostruosità” e il “desiderio di maggiore pulizia” c’entrano poco, sono ovvietà. Se parlo di iperbole non intendo affermare che la gravità illustrata da Saviano sia da sminuire o da vedere sotto un’altra luce, come a ripetere il solito gioco assolutorio del confortante bicchiere mezzo pieno. Chi come me è vissuto in quelle terre sa che cosa vuol dire respirare ad ogni passo l’alito di un potere totalitario che avvelena e mette le mani laide sulla vita quotidiana delle persone. Ma qui non si tratta di Casale di Principe o Casoria. Saviano parla di un sistema tentacolare che si spinge oltre l’Europa. Parla dell’imprenditoria criminale. Che non ci sfugga l’oggetto, altrimenti ci perdiamo in vaghezze o rispolveriamo la retorica della necessaria espressione del male, che non dice di quale male si tratti.
    Saviano porta le prove. Ricordiamoci del famoso passo in cui cita Pasolini. Quel portare le prove significa fare STORIA del presente. Pensiamo alla nozione di prova in Carlo Ginzburg. Si dice la verità storica quando i fatti raccontati sono provati.
    Chi s’azzarderebbe a dire che quello che narra Gomorra non è vero? Nessuno, ovviamente.
    Ma come viene detta questa verità? Questo mi chiedo. Non sto dicendo che volevo tabelle ed elenchi di fatti. Ci sono le citazioni delle carte processuali, gli accenni al processo Spartakus, per dirne uno. Tuttavia Roberto spesso dice “un amico mi chiama e…”, “un amico mi dice”. Avrei gradito una maggiore attenzione ai luoghi, alle pratiche, agli strumenti dell’emersione e della cattura della verità storica. Questo non vuol dire chiudersi (o aprirsi, bah!) nella forma saggistica, perchè sappiamo quanta verità storica ci sia in “Guerra e pace” o in “Germinal”. Accetto ed esalto l’ibrido del romanzo d’inchiesta, lo splendore della “testimonianza”, ma mi fermo quando s’inizia a dare per possibile che il dispositivo della finzione letteraria disinneschi la pretesa di verifiche. Non basta l’esperienza vissuta, l’erlebnis letterario per cogliere il frutto della verità. Questa sarebbe “la via di fuga” concessa proprio al lettore, il credere che quelle verità siano iperboli di un uomo scosso dal contatto stretto con il potere della camorra. La via di fuga di chi può crederci fino a quando Saviano parla dell’Italia. E allenta il patto fiduciario quando si paventa il mostro del mafioliberismo planetario. E badate, io voglio crederci eccome, perchè so che ha ragione lui! Forse, senza voler peccare di lesa mestà proprio in questa sede, la prova avrebbe lasciato divampare un fuoco che il narrativo, specialmente nelle parti relative al nesso capitalismo-camorra, rende fioco.

  9. Scusa delle ovvietà lu. Ora penso di aver capito bene quello che volevi dire.
    Però proverei a dirne un’altra, di ovvietà, mi perdonerai.
    Ma non è che il libro di Saviano ha a che fare con il racconto? Con il raccontare; in altre parole in senso politico-sociale (non un indagine ma) un anti-omertà e in senso letterario qualcosa di simile alla narrazione?

  10. “I regimi basati sul terrore, la violenza, l’ingiustizia”, sarebbe la dittatura di Mastella? A proposito, domenica sera ho guardato Report. La gestione dei fondi europei. Gli intrecci tra politici locali e locali imprenditori. Storielle di favori e qualche bacchettabile corruzione. Ma vuoi mettere con l’eroismo demagistrisiano? Monta la foga contro il regime. Nel frattempo il buon Diliberto torna a Mosca, per festeggiare insieme a Ziuganov i bei tempi andati della democrazia sovietica. Saviano fa le pulci al capitalismo, ma speriamo che prima o poi faremo le pulci agli stati-mafia, invece di cagarci addosso quando la Russia mostra i muscoli in Kosovo. Se una dittatura vale l’altra, allora non è chiaro nppure perché si dovrebbe combatterle, le mafie. Ma una dittatura non vale l’altra, il punto è proprio questo. Perdonate la fretta e i refusi, ma la rabbia è tanta.

  11. a lu,
    interrogarsi sulla “verità fattuale” di quanto narrato in un libro come “Gomorra” è legittimo, oltre che doveroso. Ma a questa domanda già rispondi tu: il racconto di Saviano attinge in modo sistematico a inchieste, carte processuali, ecc. Su questo punto, leggi quanto segue:“Gomorra è fedele ai fatti, racconta cose molto vicine alla realtà. Se ci ha messo del suo, Saviano non lo ha fatto in modo da stravolgere o rendere iperbolico il contenuto delle vicende narrate.” Queste sono parole di Raffaele Cantone, un Pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli (vedi l’articolo intitolato “La verità di Gomorra” apparso su Carmilla (www.carmillaonline.com/archives/2007/01/002108.html#002108). Ora pretendere che quel lavoro di immersione soggettiva (e quindi corporea, emotiva) che Saviano realizza muovendo in gran parte da “verità giudiziarie”, venga invertito, perché ci si ritrovi su pagina l’arida e secca stenografia processuale, mi sembra assurdo. Il pregio di Roberto sta nell’aver realizzato questo passaggio. E lo ha fatto in virtù di un’ossessione che gli permette (o lo costringe) a “rivivere” in proprio violenze, atteggiamenti, linguaggi, di cui non è per forza diretto testimone. Per questo io ho sottolineato l’intento “totalizzante” da parte della narrazione di Roberto, che rompe ogni forma prestabilita (saggistica o di finzione) per riagguantare la realtà della camorra da un altro punto di vista, ma scegliendo sempre una prossimità di sguardo (le forma della testimonianza: “ho sentito”, “mi hanno detto”, “ho visto”, ecc.).

  12. A proposito, mi ricordo quando al (Forte) Prenestino raccontavo della città vecchia da dove vengo e di come veniva (e viene) tenuta sotto torchio dagli sceriffi democratici. Allora gli antagonisti applaudivano, oggi aspettano i piemme della revolucion.

  13. Inglese:
    intanto grazie della risposta. La mia interrogazione sulla verità fattuale non riguarda la veridicità. L’ho detto. Mi conforta essere d’accordo con Cantone. Che sia tutto vero è fuori discussione. La mia domanda è un’altra. Nel post lo dico chiaramente: come si arriva alla verità? Lui ci arriva con le carte e con il corpo. Con il corpo! E’ grande anche per questo. Non ho mai preteso, non c’è una riga nei post precedenti che lo dica, “l’arida e secca stenografia processuale”. Mi metto nei panni del lettore medio e mi chiedo quali domande possano nascere. E’ il problema del dire la cruda verità alle masse, la storia del presente attraverso la forma narrativa. Ragioniamo allora, come tu giustamente proponi, sul nesso tra “prossimità di sguardo” e “intento totalizzante”. Lo sguardo dunque sarebbe prossimo e al contempo pan-oramico, no?
    Come quest’ossimoro agisce sul lettore medio? Basta superare la visione secondo cui la camorra non è Napoli, non è sangue e inciviltà, non è anti-politica? Lo storico non è un testimone. Se il testimone non è uno storico qual è la forma veritativa della testimonianza? Certo che è vera anch’essa, ma come?Qual è la verità del narrativo “ho visto”? Ti sembrano domande oziose o inopportune? Scusa se insisto!

  14. “Lo storico non è un testimone. Se il testimone non è uno storico qual è la forma veritativa della testimonianza?”
    Domanda importante e difficile. Nell’ottica del nostro discorso: il testimone è uno che cerca quel pezzo di verità che manca per fornire una ragion d’essere ad un’esperienza traumatica e incongruente. Il testimone, a causa della vicinanza, non possiede quella verità (che è sempre “totalità”), e la cerca. Più la vicinanza all’evento traumatico è insopportabile, più si fa ossessiva l’esigenza di totalizzare. Pensa Primo Levi. Ma ti faccio un tutt’altro esempio. Sono stato testimone a Genova 2001. E la vicinanza ha coinciso quasi con la massima oscurità. L

  15. Da quel momento in poi tutto lo sforzo è andato ossessivamente alla ricostruzione della verità, di cio’ che era veramente successo, dei meccanismi, delle cause, delle motivazioni degli attori, ecc. Io credo che il movimento che orienta la narrazione di “Gomorra” sia questo. Né un puro impianto di finzione, né il distacco (salutare) dell’inchiesta giornalistica difficile. Se vuoi dirmi che “Gomorra” non è tutta la verità sul fenomeno camorra, sono certo d’accordo. L’intento è totalizzante, non il risultato. Ma già soltanto la presenza di un tale intento, come ho detto, rompe i limiti del reportage. (Ma io parlo da lettore “medio” di “Gomorra”. Non sono uno specialista di criminalità organizzata o di camorra.)

  16. che maroni con sto Saviano! Pare che ci sta solo lui! Sì, Gomorra è un buon libro, ma non esageriamo! Ce ne sono almeno una decina di scrittori migliori di lui in Italia: Veronesi (Caos calmo), Ammaniti(Ti prendo e ti porto via”), Picca, Carraro (Il sorcio) ecc.

  17. e poi Maradona, Carerca, Zola, e poi Favero, Tricella, Invernizzi. Senza dimenticarsi di Albertino Bigon sottovalutatissimo. Monno Liso prima o poi anche tu entrerai in primavera. Per oa che la tribuna ti sia leggera

  18. Veronesi terzino fallosissimo, non è mai riuscito a sfondare. Picca panchina da anni. Ammanniti una buona punta. Montesano un fantasista eccelso. Piperno libero, intelligente e dinamico anche se si muove meglio sulla fascia destra. Cararro in pachina. Moresco in porta ma ha paura delle punizioni. Montanari e Scarpa centrocampisti di talento. Baricco seconda punta alla Inzaghi. Silvio Perrella arbitro. Ma se gli date un posto in una fondazione vi da sempre il rigore a favore anche se in aria di rigore non c’entrate.

  19. Grazie Inglese, cominciamo a capirci. Ci giriamo intorno al nodo che lega testimonianza e storia, esperienza vissuta e esigenza di verità, ferita del corpo e intento (sottolinei giustamente la differenza tra intento e risultato) totalizzante. Sono d’accordo con te sul fatto che la sfida lanciata dalla totalità alla vicinanza, all’esperienza del testimone, va accettata e combattuta. E apprezzo il rinvio a Levi. Ricordo anche quello che dice Lukacs sulla forma saggistica: “Il saggio è un tribunale, ma ciò che è essenziale e istitutore di valori in esso non è la sentenza, ma il processo di giudizio”.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.