Emilia
di Helena Janeczek
Di Emilia, persino i figli dicono che è “un po’ tocca”. Ossia: che è pazza. Emilia è quella che ha fermato un autobus per denunciare il carnefice di Giovanna Reggiani. L’ha fermato piazzandosi in mezzo alla strada. Secondo gli investigatori, diceva solo “Mailat, Mailat”. Non parla italiano.Vive- viveva- nello stesso accampamento di Nicolae Mailat, lo schifo di baracche i mezzo alla sterpaglia di Tor di Quinto che sta per essere raso al suolo.
Ma Emilia non è più lì a stipare nelle borse di plastica quel che bisogna portar via prima che arrivino le ruspe. E’ stata condotta “in luogo protetto”, perché la sua denuncia l’avrebbe esposta a rischi.
A queste informazioni è riservata una trentina di righe in alto a destra della terza pagina di “Repubblica” di oggi, 2.11.2007. E basta.
Nessuno ci ha mostrato una sua foto, mentre ci sbattono in faccia il volto di Nicolae Mailat e persino di sua madre, una donna col fazzoletto in testa che sembra anziana, mentre probabilmente ha la stessa età di Giovanna Reggiani e di Emilia.
E’ molto meglio per lei, su questo non ci sono dubbi. Perché ciò che ha fatto Emilia è una cosa abnorme e, in un certo senso, forse è davvero un atto di follia.
“Se te ne stavi zitta”, me li sento dire, gli altri del campo compresi i suoi figli, “quello lo mandavamo via noi, lo sbattevamo fuori e quando lo prendevano- se lo prendevano, perché non è detto- noi non ci finivamo in mezzo tutti quanti”.
“Chi cazzo credi di essere, chi credi che ti ringrazia, donna, che cosa vuoi che cambi se una come te cerca di salvare una gage?”
“Hai visto che non cambia nulla? Hai visto che ora la paghiamo noi, noi tutti quanti, e questo è colpa tua. E’ colpa tua tanto quanto è colpa di Romik. No: in fondo è soprattutto colpa tua. C’era questa gage vestita bene, piena di buste costose, con la sua bella borsetta stretta sotto le ascelle, questa donna sola all’uscita del treno di Tor di Quinto a un’ora in cui le donne dovrebbero stare a casa e preparare cena. Romik l’ha vista e ha fatto quel che ha fatto: a questa mezza troia di gage piena di soldi. Noi l’avremmo punito, l’avremmo espulso, ma sei arrivata tu a trascinarci nella merda tutti quanti. Se i tuoi figli vengono mandati in Romania a fare la fame e a prendersi la rogna, sappilo Emilia: è colpa tua.”
Correndo in mezzo a quella strada, fermando col suo corpo quell’autobus che forse altrimenti non si sarebbe fermato per una zingara fetente, Emilia si è bruciata tutto. Potrebbero volerla anche ammazzare per vendetta, ma persino se non le torcono un capello, è come se fosse morta. Peggio che morta: Emilia è fuori, è fuorilegge di fuorilegge, nomade senza un posto dove andare. Una vita che forse non potrà far altro che aspettare la propria fine, sperando che questo stato o più probabilmente qualcuno dei suoi preti benemeriti almeno la mantenga. O quali prospettive potrà avere, secondo voi, una zingara vecchia di quarantacinque anni che i figli ricusano pubblicamente e che non parla una parola d’italiano?
Nel atto di Emilia, negli atti simili ai suoi testimoniati in mezzo a tante cronache dell’orrore- ho sempre in mente una pagina di Imre Kértesz in Kaddish per un bambino mai nato dove racconta di un deportato che paga con la vita il gesto istintivo di aver consegnato la razione di pane che gli era capitata in mano a quello che non l’aveva ricevuta- c’è qualcosa di incommensurabile. E’ il bene che si compie gratis. Che anzi si compie contro la legge della necessità, contro gli interessi del singolo, persino contro il primario istinto di sopravivenza. C’è qualcosa di inspiegabile nel gesto di Emilia.
Il male abbiamo preso a rappresentarlo come banalità, col male abbiamo una dimestichezza familiare. Così ci troviamo in mano il bene come residuo. E come mistero. Non bisogna essere credenti per accedere a questa scoperta che lascia più attoniti e sgomenti che pieni di speranza.
E poi quali speranze bisogna avere? Il gesto di Emilia non è servito a nulla. Giovanna Reggiani è morta. Il governo di centro sinistra ha varato il decreto sulle espulsioni ad indirizzo principale dei cittadini di una sola nazionalità, il presidente l’ha firmato, le ruspe hanno cominciato a piallare, i prefetti a individuare i soggetti da buttar fuori, allo stato attuale siamo a quota 5000. La stampa della sinistra moderata acclama, la destra sbraita che non basta.
E chissà quando il sindaco di Roma, il nuovo leader del Partito Democratico, deciderà di stanziare quattro spiccioli strappati ai suoi festival per aggiungere qualche lampione in posti come la stazione di Tor di Quinto?
Fatemi sapere. Accadesse almeno questo, forse il sacrificio di Giovanna e di Emilia non sarebbe stato del tutto in vano.
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Sì, Helena, hai fatto luce sul Bene oscuro e invisibile di una vicenda di vittime/carnefici. Hai ritagliato perfettamente la figura dell’unica che si è sottratta al meccanismo, che ha detto Preferirei di no, che si è consegnata, come tu dici giustamente, all’iper-banditismo. In nome di un bene “inutile”. Recentemente ho letto l’ultimo Zizek, “la fragilità dell’assoluto”: ecco, Emilia è quella che “si è sparata addosso”, rinunciando a ciò che aveva di più caro, la figura dell’Amore che rovescia la Legge “facendo semplicemente quello che è permesso”.
Come da sempre, il testo di Elena è di una verità abbagliante: fa un ritratto di Emilia che nessuno posso dimenticare. Tu leggi il testo, e senti una forza incredibile. Ho la nausea, perché ancora si vede la violenza fatta alle donne, mi do la rabbia. Non posso accettare la spiegazione della miseria dei Rom, perché la crudeltà non si giustifica. Giovanna Reggiani è morta a causa della barbaria e della vigliaccheria: è più facile attacare una donna, no?
Aggiungo che spero che Emilia sarà meglio protetta che le prostitute che denunciano con coraggio i (proxénètes).
Perché siamo ancora in una società in cui l’uomo continua a fare male (l’uomo cattivo si intende).
“Ci sbattono in faccia il volto di Nicolae Mailat”. Giustamente. Se non altro è un mostro vero. Secondo me il gesto di Emilia non è stato inutile. Le sarà senz’altro servito a sentirsi internamente fiera, come internamente fiero deve sentirsi chiunque faccia “la cosa giusta”. Secondo me la sua vita migliorerà.
Solo una parola: grazie, grande H.J.
fm
Troppo bello! Chi sa scrivere, sa scrivere. Ed Helena sa scrivere troppo bene!
Helena, hai scritto una lucidissima fotografia del bene e del suo ‘mistero’, come lo chiami.
Tutto è più crudo qui sulla terra rispetto al cielo e il bene non può che generare stupore o addirittura stordire, come nel caso di Emilia.
Helena, ci hai dato la dimensione esatta dell’incomprensibile, e del suo valore! Ci hai fatto capire il bene.
Mi hai fatto bene.
Grazie
Aggiungo e mi cito:
Il bene è capito male,
il male è capito bene
tutto è male?
Grazie ancora
PS spero anch’io che Emilia sia protetta e assistita.
Meno male, Helena che hai detto parole – come sai far tu – che certo non sentiamo dire in questi tristi giorni nei quali una specie di emozione montante collettiva opportunamente orchestrata viene indirizzata a senso unico contro una delle ormai molte etnie che ha trovato rifugio – si fa per dire – nel nostro paese. Da due giorni sono esterrefatto al vedere tanta irrazionalità becera e pelosa che privilegia, sembra a caso ma forse non è così, un episodio rispetto a un quadro generale del tutto ‘normale’ per questi tempi, nei quali in generale l’indice di delinquenza è quello che è e in particolare l’indice di violenza sulle donne è alto come non mai. La prima causa di morte delle donne in Italia è la violenza su di esse, più che tumori e cardiopatie. Questo è il dato più sconvolgente, del quale indignarsi sul serio e che può forse indurre qualche sconsolata riflessione sui ‘progressi’ della civiltà – in senso antropologico – umana da tremila anni a questa parte.
Il suo popolo saprà celebrarla.Invece è davvero un peccato pensare che nel baraccone politico della Sapienza nessun’Emilia nostrana si chiamò fuori dal coro dell’omertà codarda nello sporchissimo(e troppo presto scordato)delitto di Marta Russo
Fatemi capire, voi tutti presumete che Emilia sia l’unica della sua comunità ad avere senso morale? Che Emilia sia sola all’interno della sua comunità? Che sia l’unica ad avere un senso non mafioso della giustizia? Che i rom privilegino sempre la comunità anche quando al suo interno qualcuno delinque?
Non so voi tutti, io parlo per me. Quella baraccopoli dov’era Emilia, anzitutto, non era una comunità in senso forte. Dunque tre interrogativi su quattro vengono meno (è vero che il testo di Helena lasciava pensare questo). C’erano rom e rumeni insieme, una sorta di condominio con le relazioni da condominio. Si vive fianco a fianco ma ognuno fa la propria vita. Non sappiamo se altri avrebbero denunciato. Sappiamo che l’ha fatto lei. E sappiamo, credo, che in questo tipo di situazioni – rom, rumeni, italiani, sciti che siano – le dinamiche non cambiano. In situazioni di rischio per la propria incolumità, viene meno, spesso, ogni forma di responsabilità etica di più vasto respiro. Provo a pensare: sono italiano, in una città americana d’inizio novecento, dove per tutti sono mafioso. Ho investito soldi per andare là, e sento tutti i giorni la discriminazione sulla mia pelle. Sento che c’è un odio crescente per me. So che lavoro un sacco per una paga misera, e non ho alcun diritto. Qualcuno commette un delitto ai danni da uno wasp. Se si viene a sapere, rischio il linciaggio e mi rimpatriano distruggendo il mio progetto di vita, rovinandomi finanziariamente… Che faccio? Io non lo so mica che farei.
Attribuire questa possibilità negativa a quei rumeni, non appiattirli nel ruolo della vittima tout court – è il modo migliore per riconoscere dignità a quei baraccati che oggi sono stati deportati.
Bellissimo. Solo, non condivido l’idea finale del sacrificio “utile”. Maledetta la società che è costretta ad avere bisogno di eroi. E poi per cosa? Per avere quattro lampioni del cazzo? Troppo difficile pensarci prima?
In questo mondo,
per fare del bene,
si de’e esser pazzi
a tutto tondo.
(Sacrifici umani per lampioni? No, grazie.)
Ecco la solita ripicca, la guerra tra poveri.
http://www.corriere.it/cronache/07_novembre_02/spedizione_punitiva_contro_rumeni.shtml
Veltroni: “Esprimo la mia condanna più grande per quanto avvenuto – ha detto il capo del Partito Democratico – -. In un momento come questo occorre la più grande responsabilità da parte di tutti[…]” … Ecco magari anche da parte tua, Uolter
@ alcor. Temo di sì. Puoi vedere anche questo articolo, poi facci la tara: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200711articoli/27208girata.asp
Se non ci fosse stata Emilia, Mailant lo avrebbero punito a modo loro, ma senza compromettere la loro comunità (quella di Torre Quinto, che poi era un accampamento piccolo). Probabilmente lo avrebbero espulso. Dal loro campo e anche da altri, magari.
Poi i rom non sono tutti uguali, certo. Io ho fatto un ragionamento su un ESEMPIO (che è anche una persona in carne e ossa) e che viveva lì, nello schifo più totale, in mezzo a quella che all’ingrosso è la comunità di rom più devastata e degradata dalla storia, ossia quella romena: sembrata da Ceausecu, e allo sbando più totale, ridotta alla miseria più totale, nel paese allo sbando che è la Romania post-comunista.
@Lucio Angelini
Se a te fa piacere chiamare Mailat un “vero mostro”, non ho obiezioni. Di veri mostri però c’è abbondanza, ce n’è di tutte le razze, classi, età. Vedi il dato elencato da Sparzani. Vedi un dato odierno che dice che il 10% dei bambini italiani avrebbe subito violenze sessuali. I veri mostri sono a modo loro norma. Una che agisce come Emilia, giocandosi persino i figli, è l’eccezione. Non solo fra i rom. Un’eccezione che a volte capita. E non solo fra i rom. E ovviamente spero che possa migliorare la sua vita. Che essere “interamente fiera” le dia appagamento.
Ma credo davvero che quel che ha agito in quella donna sia qualcosa di più primario e imperscrutabile di quel che usiamo chiamare “senso morale”.
“Smebrata”, scusate.
Marco- che in genere e suppongo anche in questo caso ne sa presumibilmente più di me- sostiene che nel campo di Torre Quinto era un accozzaglia di persone. Mi rimetto alla sua analisi.
@ Paolo e Franz: guardate che non era mica da prendere alla lettera, il finale. Era per dire: qualcosa di minimamente concreto, oltre a sbattere fuori persone che poi immagino rientreranno o ne rientranno altre (chi va a raccoglierci i pomodori sennò, e a rubarci rame e calcinacci ecc. ecc.) e demolire baraccopoli destinata a riemergere altrove, nessuno sta pensando di farlo?
Ho letto il pezzo della Stampa, Helena, e facendoci la tara è da buttare. Non credo ci si possa fare affidamento. Questo parla con due persone e dice che è tutto il campo. Parla con loro già evidentemente prevenuto, e provvisto di termini e immagini fumettistiche. Ma soprattutto non si accorge che quello non è un campo rom, ma un attendamento di rom e rumeni insieme – e c’è un abisso tra le due cose!!! -, e questo lo rende inattendibile. Se ne accorge invece Cinzia Gubbini sul manifesto (la conosco bene, e ha una lunga esperienza di migranti), e il suo ritratto è molto più problematico, differenziato.
Insomma, è il gesto di Emilia che è decisivo. E questo gesto aggetta su un campo di possibilità. Il resto, lasciamo ai giornalai della Stampa.
tor di quinto, no torre quinto
Già! Corretto…
credo che il problema sia la violenza sulle donne.
il vero problema è proprio questo.
il resto mi sembra più una propaganda umiliante.
mi sembra si stia stuprando la vittima, speculando sopra come si sta facendo a livello politico.
quanto al post, quanto al pregiudizio, all’incertezza, all’instabilità che tutti proviamo nei confronti di noi stessi e degli altri, portando al parossismo il concetto di bene e di male, dimenticando che entrambi ci abitano, mi è piaciuto e, assieme a quello di tashtego, mi sembra aprano spazi alle contraddizioni, inevitabili, di questi tempi.
quanto a rom, a bengalesi, rumeni, italiani ( che però sanno nasconderlo meglio), torno a quanto detto all’inizio: c’è un problema di violenzasulle donne, che è ancor prima un problema di frustrazione, di ignoranza, di soppraffazione. per esperienza personale in ambito lavorativo posso testimoniare che per molti uomini- e tra questi negare una forte componente staniera è pura ideologia-, le donne sono solo oggetti, sono considerate al pari delle schiave e le violenza, l’abuso, i maltrattamenti non vengono percepiti come tali, ma come naturali.
credo che discuterne non possa che essere utile: anche per smascherare le nostre personali debolezze, contraddizioni, inquietudini.
@Helena. Certo. Mostri siamo un po’ tutti, ma non tutti, per fortuna, aggrediamo una donna per strada, la violentiamo, la percuotiamo a morte e poi la buttiamo in un fosso. E se un giornale non ha il diritto di “sbattere in prima pagina” la faccia di chi si comporta così, mi domando quali altre facce possa destinare alla gogna mediatica… D’accordo sulla condanna delle dietrologie e delle ricostruzioni affrettate, però la cronaca è cronaca, e i giornali vivono anche di quella. E’ sempre bene, secondo me, evidenziare i comportamenti da NON adottare, se è vero che tutto il comportamento viene appreso. Inoltre: sì, certo, il BENALTRISMO (ben altri sono i problemi!), però: evviva le Emilie, fanculo ai delinquenti.
Un’altra cosa mi fa particolarmente incazzare, quanto all’etica professionale del giornalista della Stampa (Francesco Grignetti, a futura memoria): che quando questi dicono “era una brava persona” di questo loro vicino, non è la stessa cosa di quando si intervistano i vicini di un italiano che ha sterminato la famiglia e loro dicono “era una brava persona”? Ma se lo dicono dei rom-eni, allora sono esseri spregevoli e mafiosi.
Una delle cose più belle del bellissimo testo di Helena è la capacità di restituirci il clima d’assedio che caratterizza molte comunità, quell’omertà richiesta. La voce collettiva dei rom che Helena utilizza a un certo punto del suo intervento è molto interessante. Ci fa capire quanto sia stata necessaria ed eccezionale la scelta di Emilia. Eppure di Emilia quasi non c’è traccia sulla stampa italiana. Anzi, ho l’impressione che sia anche un ostacolo a tutte le teorie naziste ingoiate da politici ed editorialisti. Emilia non doveva esistere, perché non fa quadrare i conti.
[…] Non ho trovato nulla sulla donna che ha fermato l’autobus fino a ieri sera quando ho letto questo pezzo. Mentre cercavo, pensavo: io mica lo so se fossi stata lei, con la sua vita, la sua lingua, i suoi […]
Il gesto di Emilia è stato istintivo. Nella sua semplicità ha fatto ciò che la solidarietà le ha suggerito, un antico istinto di sopravvivenza, di salvaguardia della specie. Lo ha fatto senza pensare alle conseguenze, perchè probabilmente la condizione d’ignoranza in cui è cresciuta glielo ha impedito.
Ma noi che abbiamo cultura, intelligenza, belle parole, avremmo fatto lo stesso? O la paura, ragionata, ponderata a mente fredda, di rimanere invischiati in una brutta storia, ci avrebbe fatto voltare il capo dal’altra parte? Me lo chiedo senza accusare nessuno, partendo dal presupposto che io stessa, che ho sperimentato sulla mia pelle la discriminazione, che le diversità culturali le adoro in quanto le considero fonte di apprendimento, io stessa non ho avuto il coraggio di far notare a due stranieri, forse slavi, forse rumeni, che stavano posteggiando l’auto in divieto di sosta, che era meglio per loro cambiare parcheggio…
Sì, una sciocchezza, ma per una sciocchezza oggi rischi la pelle (e se quelli avevano un coltello? E se sentendosi riprendere da una donna, da loro considerata inferiore, mi avessero violentata per darmi una lezione?).
Eppure sono stata molestata, da “piccola”, e da giovane, da italiani, italianissimi. E sembrava quasi normale, che un uomo ci provasse sempre e comunque.
Io che parlavo con gli africani che vendevano paccottiglie, cercando di capire le loro storie, io che adoro la pelle nera, io che penso che ogni civiltà abbia da insegnare qualcosa… io ho temuto di fare una modesta osservazione. Da cosa dipende questo? Dalla pubblicità negativa dei media che esaltano le gesta dei delinquenti stranieri? Dal fatto innegabile che la feccia di tutto il mondo arriva da noi, tolleranti quando ci comoda, estremisti quando ci tocca? Dalla constatazione che siamo in balia di governanti inetti, di una legislazione incapace, di arrivismi politici che se ne fregano della realtà quotidiana?
Non lo so. Quello che so è che è tutto molto triste. Che anche queste mie parole non servono a molto, se non a cercare di trovare una serenità che mi appare molto lontana.
Chiedo scusa per il lungo sfogo e saluto tutti.
mi stavo dando da fare per un articolo da noi, ma Antonio mi ha segnalato questo, e credo sia più che sufficiente. le soluzioni generaliste non servono a niente, il fare di ogni erba un fascio (nel doppio senso della parola) ancora meno. finché ci sarà gente che vive in quel modo, e altra gente che sta in estasi mistica di fronte alla Bellucci predicante in uno dei tanti festival occidentali, non c’è niente da fare. nel fosso ci è finita anche la speranza. bisogna rimboccarsi le maniche: mi viene in mente Benzi, morto proprio ieri. chi prenderà il suo posto? ma è lo stato che deve cambiare: meno privilegi, più servizio a chi non è difeso da nessuna legge.
A braccio. Sul Corriere della Sera c’erano due righe, dico due. Sul Foglio invece propongono di dare a Emilia una medaglia. A proposito, il ministro dell’interno romeno David dice che in Romania non c’è problema, i campi dei Romi sono semplicemente vietati. Dice anche di prendere esempio da Bucarest, dove furti e scippi nei primi sei mesi del 2007 sono calati del 20%. Aggiunge che, sempre in Romania, i processi sono più brevi che in Italia e ci sono pene più severe. Dichiarazioni che mettono i bridivi pensando alla storia recente del Paese, e al modo in cui i comunisti avevano risolto il problema della sicurezza. Ironia della sorte, David è un liberale, fa parte del centrodestra romeno, l’alleanza Giustizia e Verità. Sta al governo con quel Traian Basescu che una volta, irritato da una giornalista che faceva troppe domande, l’ha chiamata “sporca zingara”. Lo stesso Basescu ha un passato di secondo piano nel regime. Quando è arrivato al governo ha istituito una commissione per smascherare gli ex securitate riciclati nelle istituzioni, ma ad essere smascherato è stato lui, insieme ad altri pezzi da novanta del partito liberale, compreso l’ex ministro della culrura. Questi sarebbero i filo-occidentali. Poi ci sono i nazionalcomunisti, ma quella è una storia che conosciamo già. I balletti folcloristici dei Ceacescu sono un ricordo incancellabile della nostra giovinezza. Anzi è probabile che siano i nostalgici del regime a usare la Commissione Basescu come un’arma di ricatto politico, su istruzioni di Mosca. Sarebbe questa la Romania, sarebbe questa l’Europa dei 25. Oggi Veltroni chiede regole certe, vuole chiudere i “boccaporti” della emigrazione incontrollata. Il sindaco avrebbe dovuto pensarci prima, quando ospitò in Campidoglio la celebrazione della (prematura) Costituzione Europea, candidatura della Romania compresa. E’ stato un errore che pagheremo caro far entrare nell’Unione stati appena usciti da decenni di oppressione e che sono economicamente allo sfascio. Lo stesso errore che abbiamo fatto con le giovani nazioni come la slovenia e la croazia, che hanno capitalizzato i loro odi etnici e tribali per sostenere la propria candidatura. D’Alema vorrebbe in Europa anche la Serbia. Si chiama globalizzazione, questo europeismo forzoso che oggi vede cadere, uno alla volta, tutti i suoi miti volontaristici e umanitaristici. Sarebbe stato meglio conservare degli stati cuscinetto con la Russia, invece ha prevalso la visione degli euroscettici, la Nato dell’Est, la “Nuova Europa”, l’allargamento coatto per fare affari e avere energia a buon mercato (l’ENEL ha assorbito l’industria elettrica romena). Ci si stupisce delle casematte della povertà e della violenza ai bordi del Tevere, ma che altro potevamo aspettarci se non un esodo dalle province romene dove fioriva la collettivizzazione e il ‘sistema industriale’ messo in piedi dal Conducator? Dispiace solo che anche Vendola si stia allineando alla posizione degli omini de’ panza della sinistra italiana. Il governatore rosso era stato l’unico a suggerire che per mettere un freno all’accattonaggio e ai borseggi romani bisogna colpire i capibastone romeni a casa loro. I capitribù minacciano per telefono i ragazzetti spediti in Italia di fare il loro dovere. Il business viene gestito dalla minoranza Romi di Craiova, un’altra di quelle province del mattone che non servono più all’economia comunitaria. Spiace dirlo, ma anche i Romi inquadrati a suo tempo da Ceacescu nella securitate a quanto pare hanno imparato bene la lezione dell’illegalità. Nello stesso tempo, segnalo che la polizia romena, tanto lodata dal ministro David, a Craiova sta portando avanti una campagna intimidatoria contro i Romi, con l’appoggio dei politici locali e dei mass-media. Si attacca una comunità ma non si riescono ad arrestare i suddetti capiclan, e questo, qualche dubbio, lo mette. Invece di invitare gli investigatori di Bucarest a Roma, non sarebbe stato meglio avere una polizia europea che funzionasse davvero? (polizia, esercito, eccetera). La Romania era entrata in Europa con la promessa di rispettare i diritti umani, non solo alti tassi di crescita. E’ stato proprio un bell’esempio di state-building, a quanto pare.
Cristiano dice come lo penso! Nel fondo di questa tragedia c’è un diprezzo verso le donne. Prendere a botte una donna, la sfigurare: non è niente per qualche uomo barbaro: NESSUNO RISPETTO
Il rispetto si impara da piccolo. Che rispetto puo avere un ragazzo, quando vede la sorella costretta a fare la prostituta (bambina rumina) o la madre isolata, spaventata ( i figli dicono che la madre Emila è pazza, questo vuole tutto dire…) Nessuno rispetto per una donna che tuttavia porta la vita. Al rischio di passare per una donna arretrata: dico che un uome cosi è un mostro. Basta dire che ciascuno porta un mostro in sé. Non è vero: la dolcezza e l’amore esistono! Basta dire che la responsabilità esiste altrove: un uomo che massacra, si ritira dall’umanità.
…altro aspetto preoccupante di questa vicenda è che un Governo non ci abbia messo nulla, su un’onda emozionale e giustizialista, a prendere provvedimenti repressivi a tutto tondo, riesumando malfidate categorie come la pericolosità sociale…bisogna prestare molta attenzione…
Mi pare che le frontiere indiscriminatamente aperte e i rigurgiti razzisti siano destinati a rincorrersi, perchè i modi finora praticati di accoglienza non sembrano efficaci. Inutile dire che qui è soprattutto la dignità del singolo o della donna a essere offesi, quando i dati parlano chiaro e il tasso di criminalità degli extra comunitari è quello che è.
Dico sommessamente che l’errore più grande delle politiche immigrazioniste non è tanto nella quantità ma nella qualità: cioè nell’aver finto di ignorare che ognuno di quegli immigrati una volta in Italia avrebbe fatto riferimento alla comunità etnica o religiosa di appartenenza ben più e ben prima che alle istituzioni italiane.
Il pezzo di Helena è commovente, ma la cosa che salta maggiormente agli occhi è proprio l’opposizione tra legalità e fedeltà omertosa al clan.
La mia conclusione è un’ipotesi di nuova politica, già esposta altrove.
Legittimare una o più comunità di accoglienza, composte da membri integrati e autorità culturali o religiose della nazione di appartenenza, impegnandole a introdurre i nuovi venuti alla legalità. Scoraggiare o cassare gruppi o comitati non riconosciuti dallo Stato italiano. Insomma riconoscere e valorizzare l’elemento comunitario di cui il migrante è portatore anzichè rimuoverlo o reprimerlo come fanno rispettivamente illuministi e reazionari, subordinandone la legittimità a una piena accettazione della civiltà giuridica su cui si fonda il nostro sistema di convivenza.
Fiduciosi non che sia il migliore possibile, ma che sia l’unico che ora consente di vivere qui.
@Helena, grazie per ill ink, l’ho letto, mi ha dato l’impressione di uno che è stato lì in fretta e ha scelto la via più facile, più evidente, quella sulla quale tutti sanno già che diranno eh, sì, è così, sappiamo.
Non nego certo il degrado, e certissimamente non nego il coraggio di Emilia, ma presumere che nessun altro abbia condiviso l’orrore, a parte le parole difensive, vorrebbe dire che quei disgraziati sono tutti bestie. Forse lo sono tutti, forse quello era un covo di bestie, ma così si finisce per dire che i disperati sono solo bestie, tutti bestie.
Se è così, non vedo come si possa criticare il decreto di espulsione. Sempre, soprattutto in questi casi, io credo che i distinguo siano preziosi, soprattutto per noi.
“Il male abbiamo preso a rappresentarlo come banalità…”
Così da renderlo vero simile (Ourednik), chè altrimenti
acceca con la sua mendacia
[…] I recenti fatti di Roma e la reazione del governo, ma anche la miseria dei migranti. Qui. Prima di tutto questo bel pezzo di Helena Janeczek su Nazione Indiana […]
Il testo di Helena ci ha lasciati sgomenti. Lo diciamo con tristezza e stupore. Lo abbiamo letto sul sito de Il primo amore seguito da un commento di Tiziano Scarpa.
Abbiamo ormai un’intensa esperienza di convivenza con la comunità Rom pavese; chi ha seguito il blog del Circolo Pasolini e la stampa in questi mesi, ne ha e ne ha avuto testimonianza. Helena ha “immaginato” cosa poteva essere accaduto nella comunità Rom di Tor di Quinto immediatamente dopo l’intervento della signora Emilia a favore di Giovanna Reggiani. E immagina l’isolamento di Emilia, la complicità con l’assalitore, la connivenza malevola ed egoista, la paura esclusiva di tutto il campo per la propria, piuttosto che per quella della signora Reggiani, la vittima. E la signora Emilia, abbiamo letto, deve essere “folle” per aver fatto una cosa del genere, implicitamente inammissibile nel codice extraterritoriale del campo Rom; quindi ammirata dalla scrittrice ma anche commiserata vista la comunità alla quale appartiene. Quante cose, cara Helena, non tornano e ci dispiacciono. Perchè Emilia dovrebbe essere considerata “folle” e non semplicemente “coraggiosa”, anche da te? Come lo sarebbe una donna gage? Perchè dovrebbe essere considerata folle dal “campo”, da tutto un campo? Non esistono anche qui individui con le proprie responsabilità, paure, limiti e grandezze?
L’esperienza che noi abbiamo avuto e abbiamo è molto diversa. Donne hanno denunciato i loro sfruttatori con il supporto del “campo”. Nessuno si è rivolto contro di noi quando abbiamo aiutato chi voleva liberarsi per vie legali degli sfruttatori. E le donne che lo hanno fatto, hanno goduto del rispetto del “campo”.
Per quanto riguarda l’epiteto “troia” che sarebbe proferibile, nell’immaginazione di Helena, da maschi Rom all’indirizzo della signora Reggiani, beh, non abbiamo parole. Abbiamo frequentato per tanto tempo il campo Rom dell’ex Snia di Pavia, tanto disprezzo per coloro i quali non sono Rom, non l’abbiamo percepito né vissuto. Quell’insulto è stato invece rivolto a Irene da perfetti “gagi” padani, a Pieve Porto Morone.
Riteniamo che il danno immenso prodotto dal “pacchetto sicurezza”, sollecitato dall’uccisione della signora Reggiani, sia più di carattere sociale e culturale che non giudiziario (comunque affrontabile). Di conseguenza gli interventi di coloro i quali hanno sensibilità umana e intellettuale nei confronti delle discriminazioni, non dovrebbero prestarsi ad ambiguità o forzature, pur se in un contesto narrativo. Di percezione in percezione, di immaginazione in immaginazione, stiamo andando verso la chiusura di qualsiasi significato della convivenza con l’Altro, che, pur inconsapevolemente, vogliamo proprio, e a ogni costo, diverso da noi, tanto da isolare l’elemento “buono” (e che sentiamo più vicino) da tutto il suo gruppo.
Avremmo piuttosto un disperato bisogno di conoscenza, che non significa manipolazione o edulcorazione. Semplicemente conoscenza.
Non abbiamo mai creduto alla “banalità del male”, pur riconoscendo l’autorevolezza di Arendt a proposito; che lo possano fare persone banali, quello sì, ma in sé il male, quel male, non è affatto banale. Come non è banale ciò che di male sta accadendo ora. Se tutto fosse banale, lo avremmo saputo arginare in tempo, avremmo saputo trovare subito la strada giusta. Ma a quella banalità malvagia non avevamo l’ardire di aggiungere anche la prevedibilità. Perché troppo angosciosa, e perchè non saremmo comunque stati in grado di identificarne tutti i portatori, molti dei quali sono stati anche compagni di viaggio politico.
Tuttavia, se anche nel sito di “nazione indiana” leggiamo un intervento del tenore di quello di Helena, allora ci dobbiamo convincere che la strada è ancora coperta di sterpaglie, e che si è ancora in pochi a tentare di proseguire.
Irene Campari
Giovanni Giovannetti
Leggo su Primo Amore la nota che a questo pezzo ha postato Tiziano Scarpa.
Io credo sia piuttosto una questione di sguardi, di direzione di attenzione.
Non mi sembra che le parole di Helena si possano interpretare nel senso di “una rom d’eccezione”, io leggo invece a chiare lettere l’evidenza di un atto umano d’eccezione. Il sacrificio in nome di un’inutilità benevola. Sacrificarsi in nome del bene- e poi da quel bene doversene andare, essendo esso luogo dell’assenza, dell’irrapresentabile.
Insomma non gliela diamo la medaglia.
Io mi vergogno. Mi vergogno prim’ancora che come italiano, come cittadino, dico proprio come essere umano. Quando mi fermo ad un semaforo di Roma, io mi vergogno per quei disgraziati che passano fra le auto, costretti a sorridere, i più, altri bui in faccia, con gli occhi della disperazione.
Chissà che effetto gli deve fare. Chi proveniente da posti della mela decisamente più belli, come natura, di questa metropoli effimera, chi scappato col miraggio della “svolta”, magari perché succube di brandelli del nostro way of life, sbirciato chissà come da qualche televisione satellitare, o in qualche film.
Poi analizzo questa vergogna. E quando inizio a chiedermi perché è cosi che deve andare non mi rassegno a dirmi, pazienza è la storia. La storia siamo noi. E’ stato detto: impossibile rinunciare al lavoro degli stranieri. Ci sono lavori che gli italiani non vogliono più fare. Cosi, badanti, braccianti, donne delle pulizie, sono diventati per noi questi esseri umani cresciuti sotto lo stesso sole, ma in qualche posto che non è questo. Non si generalizza, certo. Ma se diamo per buono l’assioma: faccio la fame, quindi delinquo, la colpa, se di colpa si tratta, è soprattutto la nostra. Taccio dei cari connazionali che li sfruttano, che ci mangiano sopra, perché sia chiaro, c’è anche questo e non voglio immaginare siano poi gli stessi che sbraitano per prima, affettando xenofobia schizoide.
Va però detto che qualcuno che, in quanto delegato da noi cittadini, ciascuno per le sue preferenze politiche, ci dovrebbe pensare, si è fatto un bel sonnellino, nel frattempo.
Preme poco, qui, buttarla in caciara, scaricare su questa o quella legge la constatazione che le nostre frontiere siano un colabrodo. Credo non porti lontano. Ma è una realtà che consentire, di fatto, l’ingresso indiscriminato e poi lasciare la gente alla fame, non è il massimo della logica.
Allora forse prim’ancora che mostrare tardivamente i muscoli a fronte di anni di ignavia, sarebbe opportuno che a questa gente sia consentito sopravvivere senza dover delinquere.
Se si lavorasse in questa direzione, ai semafori, tanto per dire, ci sarebbero solo i vigili (quando ci sono), e non il nostro contr’altare, altro DNA che modula in modo diverso, ma che ci appartiene, lo stesso impeto a vivere.
emilia ha fatto solo quello che un essere umano istintivamente fa, di qualsiasi razza (dando per scontato che esiste solo la razza umana) etnia religione nazonalità sia. Mio dio difronte alla sofferenza di un essere umano nessuno di noi pensa al proprio tornaconto, denuncia e poi …
Il problema è un altro, Se un rom viene accusato (GIUSTAMENTE) di un atto terrificante, è GIUSTO, ma se la reazione alla denuncia, degli italiani, sono poi le ronde fasciste, la distruzione del campo, la discriminazione nei confronti di tutti … gli sciacallaggi della stampa, beh allora quanti saranno domani disposti a denunciare un delitto?
Se io domani assisto ad un delitto nel mio condominio, è chiaro che prima cosa che fo è chiedere aiuto per la vittima e poi sporgo denuncia nei confronti dell’aggressore, ma se poi vengono le ruspe a distruggere il mio condominio, con parenti, oggetti, carte e compurter …beh forse (dico FORSE) la prossima volta ci penso un po’ prima di denunciare.
geo
@ The O.C.
Non ti capisco. O meglio ti capisco ma non ti approvo. L’integrazione europea, quella reale intendo, non è stata, non è e non sarà facile, non sarà, come si dice, una passeggiata. Non per questo si deve cessare di perseguirla con determinazione e convinzione, attraverso regole democratiche, il dialogo e la cooperazione.
Il processo è complesso proprio per gli squilibri economici tra zona e zona, per le lingue diverse, le religioni, ecc…
Tuttavia: davvero pensiamo di poter resistere al mondo d’oggi senza integrazione europea? Che sarà del nostro benessere se non cerchiamo di portarlo a tutti i 25 paesi al fine di creare un solido mercato interno, ampio, che possa sviluppare le risorse atte a competere a livello mondiale nella tecnologia, nella ricerca, nell’innovazione…
Non parlo solo della Cina, ma dell’India, del Brasile.
E della Russia di Putin che dire qui a due passi?
L’integrazione ha un prezzo, è vero.
Gli squilibri prima di livellarsi, generano disarmonie e problemi…
Ma è un processo, direi inevitabile, certamente attenuabile.
Il processo si evolve; giungerà a un equilibrio.
E si risolve.
Il problema dei rumeni non durerà in eterno.
Man mano che si svilupperà la Romania, verranno sempre in meno qua da noi, come è successo già per gli Albanesi.
Ovviamente l’armonizzazione delle legislazioni e la cooperazione tra le forze dell’ordine deve essere accelerata, altroché!
Il triste episodio di Roma (per il quale dovranno essere adottati gli opportuni provvedimenti), inquadrato nel momento storico contingente, porta con sé sì tutta la gravità del delitto che si è consumato e l’eroismo di Emilia descritta da Helena, ma collocato in un ambito generale, all’interno di un disegno più ampio, diventa parte di un processo di assestamento.
Ci consegnerà, alla fine, un’Europa più forte e stabile.
A proposito: sono favorevole a che la Serbia entri in Europa.
Niente è facile, niente viene da sé.
Saluti
Mi rendo conto che chi ha scritto un testo non ha diritto ad alzare la sua voce per imporre la propria interpretazione. Il testo è lì, e ciascuno può vederci ciò che vuole.
Ma ha- credo- almeno il diritto di esprimere il proprio punto di vista come uno dei possibili.
Per me, in anzi tutto, il caso di Emilia non è l’eccezione che conferma la regola (“tutti omertosi, tutti legati a logiche di clan”), ma semmai la smentita, l’annullamento di tale supposta “regola”.
Un uomo delle baracche di Tor di Quinto ha ucciso una donna, una donna delle baracche di Tor di Quinto l’ha denunciato. Uno su uno.
E trovavo scandaloso, mi riempiva e ancora mi riempie di rabbia che questo fatto non abbia trovato considerazione, che nonostante questo UNO su UNO il governo abbia varato le sue leggi repressive contro TUTTI, tutti gli abitanti delle baracche di Tor di Quinto e di luoghi analoghi. Come se non stesse aspettando altro che un occasione buona per fare finalmente, centralmente (e non solo attraverso i suoi amministratori locali, a Pavia, a Firenze ecc) la “faccia feroce”- come scrive Stefano Rodotà- piegando nella logica dell’emergenza anche quelle parti politiche al suo interno che altrimenti avrebbero ben più rumorosamente avversato una simile scelta. Un governo traballante che offre in pasto all”umor di popolo” l’espulsione del “nemico interno”, sperando forse in tal modo di riacciufare qualche elettore perduto. Dopo non aver fatto niente, nemmeno piazzare quattro lampioni in più- è solo un esempio volutamente banale- per affrontare con più concretezza, pazienza, senso della complessità e dignità delle risposte per una democrazia, sia il problema della sicurezza (che colpisce soprattutto le donne, perché è la violenza contro le donne ad essere vertiginosamente aumentata e certo non solo da parte dei romeni/rom), sia quello delle baraccopoli -ma anche delle condizioni in cui vivono gli schiavi braccianti e così via.
Il “coro” degli abitanti di Tor di Quinto che mi invento è soprattutto la voce di una rabbia. La rabbia di coloro che pagano tutti per quel che ha commesso uno. La rabbia perché quel che ha fatto Emilia non ha impedito che questo accadesse. Anzi. Perché se ipotizziamo che né lei né altri (cosa che dal momento che lei ci è stata, non ritengo impossibile: una Emilia, ripeto, basta e avanza per pensare che ce ne siano delle altre) avessero denunciato Mailat, se Mailat fosse riuscito a imboscarsi almeno per un po’ di tempo o per sempre, se insomma non si avesse avuto in poche ore dalla notizia dell’aggressione anche il colpevole rom/romeno, questo decreto con tutto quello che comporta non sarebbe stato emanato. Non ora. E forse mai. Questo è lo scandalo che ho tentato di articolare – mi rendo conto (ma a posteriori)- in maniera provocatoria e anche ambigua.
Se Emilia è l’eccezione che non conta e Mailat la regola su cui si fanno decreti legge, con che razza di fiducia possiamo mai immaginare che in futuro l’accozzaglia di esseri umani delle baracche e dei campi possa mai voler collaborare con le istituzioni italiane?
Non viene forse confermato che quel mondo fuori ti è tutto ostile, che le sue leggi non valgono per te, che altro non riceverai se non odio, l’odio che puntualmente si è subito abbattuto sugli uomini colpiti dalla spedizione punitiva?
Un’altra cosa che mi colpisce è il lessico nostrano, “made in Sicily”, che nei commenti si ripete: “clan”, “omertà”, “mafioso” ecc. Dunque viene spontaneo ricorrere al “nostro” per descrivere l'”altro”. Ha perfettamente ragione Marco: le modalità non valgono solo per i clandestinti in baracca o per gli abitanti del sud mafioso, ma anche per le reazioni di chi del vicino arrestato dice “era sempre stata una persona per bene”. Il fastidio di veder infangata la comunità, da Canicattì a Merano.
E ha ragione Mariasole: era la dinamica fra gruppo e singolo che mi stava a cuore. Agire contro il gruppo può essere una scelta vertiginosa ovunque, ma in condizioni di simile estraneità e esposizione come quelle che mi è parso di ravvisare in Emilia mi è parso che lo fosse in modo estremo. E non ho usato la parola “coraggio” semplicemente perché mi sembrava, a modo suo, troppo piccola, troppo riduttiva. Ma anche questo non è legato solo alla sua condizione sociale. Penso ad esempio a chi denuncia un membro molto rispettato e socialmente altolocato della propria famiglia come autore di violenza sessuale su minori, rischiando di non trovare conferme, rischiando di passare per pazza, mitomane, rischiando di essere condannata per calunnia. E sono cose che succedono.
Non posso dimostrarlo, ma vorrei aggiungere: non penso affatto che Emilia sia da compatire perché purtroppo appartiene a una comunità di persone “inferiori”. Non penso che nessun uomo sia inferiore a un altro. E che nulla possa giustificare il razzismo. Né quello individuale, né tantomeno quello di stato.
A questo punto, lascio a voi la discussione. L’importante è che si faccia. Grazie a tutti.
[…] almeno questo, forse il sacrificio di Giovanna e di Emilia non sarebbe stato del tutto in vano. (da Nazione Indiana, 2, 11, […]
Cara Helena, la discussione è andata a finire sulla politica ed era anche giusto che fosse così. Secondo me tuttavia nel tuo scritto c’era della trascendenza e di questo, purtroppo, è stato detto e discusso poco. Dico ‘c’era’ e non ‘c’è’ perché ora il tuo ultimo intervento mi ha messo qualche dubbio in proposito.
Capisco che hai voluto chiarire mille fraintendimenti ma, non hai speso una parola per difendere quel taglio.
Vi avevo letto la descrizione di una condizione esistenziale tragica, ma sfolgorante, che stordisce. Stordisce appunto per l’inspiegabilità del gesto secondo i canoni di tutti.
Proprio attraverso il tuo intervento ce lo avevi fatto capire in maniera così chiara e commovente, a noi, sì, che siamo chiaramente e colpevolmente inferiori a Emilia.
Quel tuo “Il male abbiamo preso a rappresentarlo come banalità, col male abbiamo una dimestichezza familiare. Così ci troviamo in mano il bene come residuo. E come mistero”, mi aveva fatto bene.
Un caro saluto
Caro Beppe, non è l’idea di Europa che voglio discutere, ma l’Europa dei 25, la “Nuova Europa” che piace a Londra e a Washington, la “Nato dell’Est”. Con tutto quello che comporta in termini di confini e sicurezza. Detto questo, oggi ho letto un’intervista del sindaco di Salerno. Diceva che la sinistra italiana deve scrollarsi di dosso decenni di buonismo e tolleranza per ritrovare se stessa. I sindaci sceriffi di di Salerno, Firenze, Roma, eccetera eccetera, hanno nostalgia di un comunismo risolutivo: l’Europa dell’Est gli offre un perfetto modello storico-repressivo. Saluti.
Beppe, mi pare improprio parlare di “trascendenza”. Se mai di “metafisica”. Helena non ha negato questo. Anzi lo ha sottolineato, facendo proprie le parole di Mariasole. Ed è questo l’aspetto più importante del testo, e questa era anche la mia interpretazione già al primo commento. Il gesto di Emilia che si staglia come quello di un eroe tragico. Antigone, o Medea. Questo aspetto mi pare decisivo, al di là delle ambiguità “politiche” che offrono il fianco a malintesi. (Leggo così il fraintendimento del circolo Pasolini, che nasce dal non averne colto la rilevanza primaria).
Mi sono permessa di citarti in un mio post, perchè ho trovato quello che hai scritto molto bello. Giulia
[…] che aprono voragini di interrogativi, il perchè delle cose, delle persone. Per questo vi segnalo un bel pezzo di Helena Janeczek su Nazione Indiana. Perchè accanto ai forconi, ai decreti, ai luoghi comuni, al […]
[…] Il 2 novembre Helena Janeczek ha pubblicato alcune considerazioni riguardanti quanto è accaduto la scorsa settimana a Torre Quinto. Riesco a mettermi davanti al computer soltanto ora per proporvi, nel caso non leggiate Nazione Indiana, questo post. […]
La lista delle violenze fatte alle donne
1 abusi sessuali
2 Colpi (in Francia tre donne muiono sotto il colpi ogni giorno)
3 Mutilazioni sessuali
4 rappresaglia: agressione con l’acido, lapidazione
Vorrei che GLI UOMINI ci pensino prima di aggredire una donna.
Pensate a tutta LA DOLCEZZA che le donne danno al mondo.
Ricordate alla manera dolce che le donna fanno quando cullano, cantano, ascoltano, aprono le braccia per accogliere il vostro corpo.
Pensta che le donne COLORANO la vita di BACI, di COCCOLE, di CAREZZE.
Pensate al corpo leggero con curvi, alla pelle dolce, ai seni teneri, che danzano davanti ai vostri occhi.
Pensate alla SENSIBILITA che fa piangere occhi femminili più spesso di voi.
Ascoltate le donne RIDERE O FARE SILENZIO TENERO nelle memoria vostra.
Pensate a tutta la poesia che le donne offrono con il sorriso.
Allora forse fareste entrare l’amore, l’amicizia, invece dell’odio.
Ci scusiamo con i visitatori per intervenire una seconda volta in merito al testo di Helena. Ma commenti che interpretano il nostro intervento come un malinteso dello spirito che animava le intenzioni della scrittrice ci costringono a riconfermare la nostra posizione.
Metafisica, trascendenza, ci si può permettere di tutto, è vero, e fortunatamente. Tuttavia, viviamo un momento che non ha tanto bisogno di metafisica e di trascendenza quanto di conoscenza di un popolo, da troppo tempo considerato sfuggente, non conoscibile, i cui membri sono inaffidabili e ambigui.
Non ci è di certo sfuggito l’intento “generalizzante” di Helena. Conosciamo i meccanismi vittimari, le dinamiche individuo-gruppo, le folle e l’eccezione responsabile e consapevole. Ci hanno aiutato a comprendere in questi mesi cosa stesse accadendo alle comunità Rom d’Italia. Queste erano il capro che doveva essere cacciato dalla comunità di eguali per esorcizzare la “paura percepita”, dopo averla suggestionata. Conosciamo a sufficienza la tragicità di figure femminili classiche per riconoscerne tratti anche nella signora Emilia. Tuttavia, essendo il Circolo Pasolini formato da persone che vogliono garantire diritti e dignità a tutti i membri del popolo Rom, così come recita la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, e avendo avuto modo di constatare come siano pochissimi coloro che riescono a cogliere che anche per i Rom si tratti di una condizione imprescindibile, allora ci permettiamo di far rilevare come sia indigesto opporre, “con intenti generalizzanti” e in questo momento, la Signora Emilia a tutto il gruppo al quale appartiene.
Non è una posizione politica, se si è voluto intendere con questo una contaminazione di uno spazio letterario. C’è il dramma di Giovanna Reggiani, la tragedia di Emilia, e i mille drammi e tragedie di bambini cacciati da ogni luogo, di famiglie allo stremo, che non riescono a comprendere nemmeno come la loro condizione sia tragica tanto è interpretata come “naturale” e vissuta anche da loro stessi purtroppo come tale, tanto sono isolati da coloro i quali sanno leggere la tragedia là dove accade. Loro che non sanno scrivere. Loro che non possono rispondere, per iscritto, a ciò che anche Helena ha scritto. Essere senza voce perchè non si ha mai avuto la garanzia del diritto all’istruzione potrebbe essere interpretato come un dramma, fa parte del dramma? Chi potrà mai tra i cittadini Rom, scrivere a Helena chiedendole, magari, perché proprio quel giorno hai scritto su di noi come hai fatto? Perché non hai opposto il coraggio di Helena ai pregiudizi dei più, invece che alla nostra povera e disperata comunità? Perché hai giudicato “incomprensibile” per noi il gesto di Helena? Perché forse è questo che lo rende tragico, nel senso classico? Chi aveva bisogno di una nuova Antigone o Medea tra i Rom? Noi o voi? E narrata da chi?
Irene Campari
Giovanni Giovannetti
Ci hai dimostrato che possiamo uscire dalle nostra vita patinata ed entrare in quella degli altri. Hai giocato la tua vita senza per questo poterla donare a Giovanna. Hai sentito in fondo al tuo cuore di doverlo fare e ci lasci tutti qui ad usare la ragione per valutarne portata e conseguenze. Il tuo è stato un gesto di una semplicità per noi devastante.
Multumesc Emilia e grazie anche ad Helena per aver scelto di scrivere questo pezzo.
Cari amici del circolo Pasolini, capisco bene gli intenti che vi muovono. E ripeto, gli accenti estremi “immaginati” da Helena prestano il fianco a manipolazioni, certo. Risentono di una valutazione delle fonti che è a mio parere discutibile. Del resto, però, voi stessi continuate a parlare di “campo rom” a Tor di Quinto, quando invece pare proprio che non fosse così, come risulta dall’articolo di Cinzia Gubbini.
Certo che è necessario conoscere il popolo rom. In questo senso mi permetto di rimandarvi a un brano che pubblicai qui l’anno scorso: https://www.nazioneindiana.com/2006/12/15/il-peluche-di-kornel/
Ma questo non esclude che si possa leggere il cuore dell’intervento di Helena in ciò che Mariasole ha detto: “Non mi sembra che le parole di Helena si possano interpretare nel senso di “una rom d’eccezione”, io leggo invece a chiare lettere l’evidenza di un atto umano d’eccezione. Il sacrificio in nome di un’inutilità benevola. Sacrificarsi in nome del bene- e poi da quel bene doversene andare, essendo esso luogo dell’assenza, dell’irrappresentabile.” E questo non è sollazzo di letterati. Ha a che fare con la vita di ciascuno. In questo senso, io credo che ci sia (anche) bisogno (e lo dico come uno che viaggia per l’Italia interrogando situazioni “di margine”, raccogliendo testimonianze, verificando ipotesi) di estrarre un senso universale da alcune situazioni.
E poi, il fatto che in questo pezzo si parli di Emilia – una “divina folle” nel senso più alto del termine – e Emilia è rumena, e non italiana, che tra gli italiani pronti ad accorrere al linciaggio non ci siano Emilie di cui scrivere – non vi pare sia già di per sé significativo?
Quello che non mi piace del vostro intervento è la contrapposizione finale. Noi-voi. “Noi” chi? “Voi” chi? Io credo che tutti, qui, vogliamo una sola cosa: la fine dell’esclusione.
Se la scrittura è il secondo sistema di modellizzazione del mondo, dopo il linguaggio, Helena in questo pezzo conferma che è così. Ma da una parte soltanto. Quella che pone l’accento su una figura già esistente e modellizzata da tempo nei gruppi in cui delinquere sia attività svolta da tutti o qualcuno: quella del cosiddetto infame, ovvero il traditore, colui, cioè, che consegna il colpevole al “nemico”, “alle guardie”, tradendo la fedeltà che, secondo il gruppo, per legame – di qualsiasi tipo esso sia – dovrebbe invece mantenere. Questo è un punto a favore del testo qui postato. Poiché pone al centro dell’analisi narrativa lo scarto comportamentale tra il delinquente responsabile del reato e colei (in questo caso) che, appartenente a quel gruppo poiché abitante nello stesso luogo in cui tutto il gruppo vive, si incarica di denunciare – in senso etimologico ancor prima che giudiziario, gridando a un senso morale prima che ad altro – l’inaccettabilità di quell’atto di delinquenza del cui esito è diventata testimone. Mi vengono in mente le madri che denunciano i figli perché non ce la fanno più ad accettarne le attività delinquenziali che conducono, le mogli. Purtroppo questo, a mio avviso, è l’unico punto a favore del testo. Perché dall’altra parte è, e credo inconsapevolmente, e di certo non volutamente, la versione intellettualistica della stessa incapacità di comprendere che per me manifesta sia chi considera la rimozione di un campo nomadi da cui numerosi atti di delinquenza assediano da tempo la popolazione locale un gesto distruttivo e razzista tout court, con un massimalismo interpretativo che nuoce, più che fare chiarezza o altro, sia in chi, da reale razzista, considera tutti i nomadi delinquenti punto e basta. Prova dell’ultima affermazione per me sono state sono le immaginate voci con cui Emilia verrebbe condannata dall’intera comunità, che mettono in scena, e quindi dichiarano, la ferocia assoluta come unico sentimento posseduto da questi esseri umani (peraltro il “troia” destinato a Giovanna da una di quelle immaginate voci mi ha infastidito moltissimo, mi è sembrato un infierire, e in sede di memoria ancora troppo, troppo fresca, su una donna già straziata in ogni senso, e riesco a spiegarmelo soltanto immaginando che Helena volesse in qualche modo formalizzare la visione che di Giovanna ha avuto, secondo Helena stessa, il suo assassino che, di fatto, l’ha trattata come una donna che non era un essere umano).
Trovo che purtroppo, o forse per fortuna, in una società che civile voglia essere il delinquente debba essere “notiziato” del fatto che delinquere sia atto non accetto, di qualsiasi razza esso sia. Nella nostra società la “notiziazione” avviene tramite l’arresto e il rimpatrio, se si tratta di delinquente straniero e non in regola. Trovo anche che nel caso in cui la delinquenza straniera diventi fenomeno in “patria altrui” (molti stranieri, esattamente come camorristi e mafiosi eccetera, non rubano la mela in frutteria per mangiare, ma mettono in piedi o finiscono in vere e proprie associazioni a delinquere che diventano una professione, quella professione che non trovano e a volte non vogliono trovare integrandosi nella stessa società che li ospita) non ci si possa aspettare un “gesto di sinistra” che dovrebbe essere quello di non prendere provvedimenti generali, avendo a che fare con un fenomeno, non con un episodio eccezionale in seno al gruppo di nomadi in questione, ma con l’episodio eccezionalmente feroce di una serie di episodi così ripetuta da essere diventata fenomeno. L’esigenza di vivere in un campo che è forse insita nel nomadismo non può essere rispettata nel momento in cui da quel campo fuoriescono ogni giorno nomadi per delinquere, nemmeno se il sindaco è Veltroni, e non c’entra niente col Red Carpet da poco smontato! Non si può parlare di negazione di integrazione da parte di un’amministrazione di sinistra nel momento in cui l’integrazione è negata già da chi non vuole integrarsi con gli abitanti di Tor Di Quinto, ma semplicemente derubarli, ed è pronto ad esercitare violenza purché il furto sia portato a buon termine e non si tratta né della prima né della seconda volta, e due lampioni in più di certo non risolverebbero il problema! Ed è chiaro che così sia nel momento in cui l’assalto, in quel punto della stazione, è diventato abituale! E’ evidente che non è soltanto uno il delinquente che da lì esce per derubare! E’ evidente che si tratta di una situazione più generale che individuale, e in quanto tale va trattata, affrontando appunto la questione in maniera complessiva e complessa!
Come è evidente, almeno per me, che il male non esiste che come effetto. Di una disperazione esistenziale non affrontata in altra maniera. Non esiste il delinquente felice di esserlo. Lo stesso pluriomicida è un malato che se si dice fiero di fare ciò che fa è perché è malato, non perché incarna il male. E ho sempre trovato assurdo che siano proprio certi intellettuali, o adusi a ragionare in termini di intelletto, a non capirlo. Ma a veicolare, casomai, l’opinione contraria. Se qualcuno di voi ha visto il film “L’enfant” dei fratelli Dardenne potrà avere l’esempio di un contesto narrativo in cui senza condanna, senza pathos, senza proiezioni di alcun tipo da parte autoriale, si spiega perché un essere umano può ritrovarsi a delinquere e poi capire, dopo, quando in carcere ha tempo di capire cosa ha fatto e forse perché l’ha fatto, quanto male abbia fatto innanzitutto a sé stesso.
Infine ciò che purtroppo NON mi stupisce più è che le stesse persone che chiedono che si faccia qualcosa contro la mafia o la camorra, dimenticando troppo spesso nelle loro narrazioni il lato umano e disperato di quei delinquenti che SONO esseri umani, sono qui, in calce a questo post, a reclamare di non fare di tutta l’erba un fascio nel caso dei rom. E’ una situazione che è esplosa, il “sacrificio” della povera donna di nome Giovanna è servito a questo, a farla esplodere, e le esplosioni vanno affrontate, e con le chiacchiere non si risolvono le cose, mai. Chiedetevi piuttosto cosa sarebbe successo se il sindaco avesse deciso soltanto, a fronte di quanto avvenuto, di mettere due lampioni in stazione e congiuntamente una targa in memoria di Giovanna. Chiedetevelo.
Ringrazio Helena per il suo testo, la ringrazio per la volontà di non tacere di fronte alla confusione e alla paura, che di giorno in giorno vanno a legittimare sempre di piu’ una mentalità razzista. Pauro e confusione sono la merce che la stampa vende, sono l’emozione che la destra usa, e sono cio’ rispetto a cui la sinistra non crede di dover fare chiarezza, appoggiando delle soluzioni politiche che saranno inefficaci e nello stesso tempo discriminatorie. Aggiungendo danno a danno. Ma ringrazio anche il Circolo pasolini per i loro interventi. Non credo che sia retorica dire che dentro le semplificazioni del discorso razzista, di questi confronti e discussioni abbiamo assolutamente bisogno. L’unica cosa che non possiamo fare è starcene zitti mentre i megafoni rintronano le menti. Con tutta la nostra pazienza e i nostri limiti e le nostre lascune, dobbiamo cercare di discutere e far esistere quella complessità del reale che media, politica e una parte consistente degli italiani si affrettano a cancellare.
I Sindaci avrebbero potuto fare quello che noi chiediamo da mesi: garanzia dei diritti fondamentali per i cittadini Rom: istruzione, casa, lavoro. A Pavia ci stiamo provando, contro amministratori di “sinistra” che hanno dichiarato che per loro “i Rom non esistono” e hanno abbandonato bambini malati e 84 minori soggetti all’obbligo scolastico.
Quando gli amministratori dichiarato che i Rom “sono un problema di ordine pubblico”, come hanno fatto a Pavia, e dicono cose che nemmeno un Questore direbbe, allora anche l’establishment culturale dovrebbe intervenire e interrogarsi sul significato del senso sociale e civile.
Se proprio vogliamo vedere tragedie, noi l’abbiamo vista nella somiglianza tra i processi ai quali sono sottoposti i cittadini Rom e l’Altro per antonomasia, gli Ebrei: linguaggio escludente e criminalizzante, isolamento dai propri domini morali, non riconoscimento dei diritti di cittadinanza, indifferenza dei più, decisione politica di cacciarli. E’ Emilia che ha fatto rientrare i Rom nel dominio dei nostri valori morali e in quello dell’ammirazione? Il suo è un gesto di fronte al quale occorre inchinarsi, in particolare perchè è avvenuto a fronte di una situazione di contrapposizione impari tra “il Gruppo di Giovanna” e “il gruppo di Emilia”. E’ umano, completamente umano, a fronte di una condizione materiale di disumanità in cui viveva Emilia. Ma dai nostri domini umani e morali non sono mai usciti, quindi non sono richiesti di rientrarci né tramite il gesto che illumina né tramite la tragedia.
Rispetto ai campi, ricordiamo che i Rom non sono nomadi, e non vogliono i campi, ma sono comunque costruiti per loro e poi abbandonati a se stessi, senza servizi né nulla che possa ricordare un contesto umano. Poi li si incolpa anche di questa condizione. Li si vuole nelle baracche, e poi si imputano loro le baracche. Li si lascia senza sostentamento per poi imputare loro l’accattonaggio. Non si mandano a scuola i bambini per poi imputare loro la mancanza di volontà di cura dei bimbi. La legalità deve essere suscitata in un contesto di diritti e civiltà. Ci sono intere amministrazioni che hanno violato la legge nei riguardi dei Rom, ma sono pochi coloro i quali richiamano le istituzioni alla legalità. Si tollera che si creino condizioni di emergenza per poi accettare dalla politica tutto ciò che di calpestante la civiltà giuridica propongono.
Tor di Quinto non era un campo; di certo non nel senso di “accettato”. Quasi tutti gli insediamenti Rom sono abusivi. Ma si chiamano comunque campi. Non fa comodo a noi, fa comodo agli amministratori i quali possono poi dire, in termini propagandistici, che “di campi non se ne vogliamo più” e “I Rom sono nell’illegalità, sono abusivi”, senza che sia proposto loro un’alternativa come recitano le Raccomdazioni dell’UE.
Inoltre, non è una contrapposizione tra “noi e loro” che si voleva suscitare, ma stando al gioco delle parti (tragiche) messo in scena da Helena, anche il gioco tra chi sa scrivere (noi) e chi non sa scrivere (loro) ci stava.
Irene Campari
Giovanni Giovannetti
Sulla questione rom sono assolutamente d’accordo. Del resto – ed era il centro dell’intervento di un rom durante il convegno del 27 gennaio a Rovigo per la giornata della Memoria quando ero stato chiamato a parlare di migranti e cpt – l’unica delle categorie internate nei lager nazisti che continua a essere confinata nei campi sono proprio i romanés. (Continuo a sostenere che i gesti delle Emilie non fanno rientrare nell’umanità, ma se mai ne fanno uscire. Ma questo è un discorso che potremo riprendere un’altra volta).
@ circolo Pasolini
‘il mondo non ha bisogno di trascendenza…’
vorreste che i bambini Rom, se solo potessero scrivere, chiedessero a Helena: perché non hai opposto il coraggio di Helena (volevate dire Emilia) ai pregiudizi dei più, invece che alla nostra povera e disperata comunità? Perché hai giudicato “incomprensibile” per noi il gesto di Helena (Emilia)?
Mi sembra invece che Helena abbia fatto proprio questo (generalizzando come dite voi): ha opposto il coraggio di Emilia ai pregiudizi dei più.
Dunque vediamo, Vi ha dato fastidio che Helena Janeczek, abbia generalizzato opponendo il gesto della signora Emilia a tutto il gruppo al quale appartiene. Ma la generalizzazione consiste proprio nell’ipotizzare che chiunque compia un gesto che mette a repentaglio una comunità di cui egli stesso faccia parte (mettendo così in pericolo anche se stesso) possa venire oggettivamente visto come causa del pericolo e dunque elemento negativo oggettivo da quella comunità.
Quel soggetto (Emilia) si troverebbe oggettivamente in una condizione di doppio pericolo: esterno e interno.
Si badi bene, questo avverrebbe in qualunque tipo di comunità. Noi italiani siamo i primi che ci comportiamo così in certe (ben note) situazioni.
Diciamolo francamente: molti di noi avrebbero pensato lo stesso in quella situazione.
Non credo proprio che Helena volesse sostenere che i rom hanno una inferiore capacità di giudizio e che non ci sia chi tra loro ha condiviso lo spirito della denuncia di Emilia.
Perché avete voluto vederci un attacco ai rom?
Ora, parliamoci chiaro. Che voi sosteniate giustamente i diritti e la dignità di tutti i membri del popolo Rom, così come recita la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, è encomiabile (anche se mi chiedo se loro al loro interno li rispettano i diritti della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, soprattutto con riferimento allo sfruttamento dei minori e delle donne), ma avete sbagliato bersaglio e non solo perché forse non si trattava di rom ma di rumeni, ma anche perché Helena voleva, appunto, generalizzare, ovvero esaltare il carattere universale (universale meglio di generale) del gesto di Elena per trasmettercene tutto il valore.
‘il mondo non ha bisogno di trascendenza…’
Scusate un attimo. Perché non facciamo che anzicché ( o oltre che- non voglio affatto essere censoria) parlare della lettura più “giusta” di questo mio pezzo, sfruttiamo l’occasione per parlare di quel che sta succedendo in questo paese agli stranieri e in particolare ai rom?
Perché, al dilà di tutto, Irene e Giovanni del Circolo Pasolini hanno perfettamente ragione a sottolineare una cosa: qui URGE allargare la conoscenza. In questo senso, se volete mandarci un pezzo (o anche farci riportare quelli che pubblicate sul Primo Amore), siete benvenuti.
Mi dispiace che si parli di “bersagli”, francamente fuori luogo. Stiamo infatti cercando con tutte le nostre forze di evitare i conflitti indotti scientemente tra comunità, in una società che non è più comunità, e lo facciamo anche in nome della legalità oltre che della civiltà. E lo facciamo considerando anche il momento, i tempi.
Se sta a cuore l’universalismo, a noi preme piuttosto, in questo momento e per il futuro, il cosmopolitismo, che più che con i miti tragici ha a che fare con le esistenze.
L’argomentazione circa il rispetto dei diritti da parte dei cittadini Rom, be’, chi ha più potere (anche istituzionale) sia il primo a garantire i diritti, e non scordi cosa sia la povertà estrema, e non associ il proprio senso del disgusto e della vergogna alla legge. Mi può spiegare come genitori analfabeti e scalzi possano seguire le esatte procedure per iscrivere i loro figli a scuola? Possono farlo senza assistenza? Quella assistenza che è loro negata dalla nostre amministrazioni? E se i bimbi non sono vestiti adeguatamente e non sono puliti, a scuola sono presi in giro e non ci vogliono più andare. E se non hanno un posto decente in cui vivere, non si possono nemmeno lavare. Allora non occorre magari seguirli lungo questo lungo percorso? E chi lo deve fare?
Chi se ne dovrebbe occupare di richiamare l’attenzione generale su un problema enorme come questo, se non chi ha accesso anche ai media come questo blog, o a luoghi del sapere istituzionale, e ha status e nulla da perdere? Ma a Pavia per esempio non hanno mosso un dito, e speso una parola per il dramma dei Rom, ma hanno grandemente contribuito ad un Festival dei saperi tenutosi a settembre e dedicato a Nuova città-nuova democrazia e diritti, mentre era in corso uno sgombero da brividi. Eppure quegli esimi alla trascendenza tengono moltissimo, anche al “generale”. Parlare in generale, intanto, non ha mai fatto male a nessuno, le generalizzazioni invece sì. E quest’ultime non le hanno mai controbattute, pur avendo gli strumenti intellettuali e l’autorità per farlo, e sono state devastanti, fino a portare agli scempi di questi giorni.
Le Raccomadazioni della UE e la carta dei diritti dell’Uomo le abbiano distribuite noi tra i cittadini Rom di Pavia, e le abbiamo lette ai più che non sapevano leggere.
Ciò che come Circolo stiamo facendo è sopperire a una mancanza istituzionale, pur non avendo alcun potere che non sia la convinzione di essere nel giusto quando guardiano all’Umanità senza generalizzazioni, ma avendo un senso “generale” dell’umana esistenza. “Facci essere umani” scriveva Wittgenstein. E’ uno sforzo verso l’individuo, fatto di conoscenza e azioni, fatto di statuti etici da osservare e praticare. Fatto di rigore che all’immaginazione non può lasciare molto spazio. Solo all’immaginazione del futuro, che non è quello che stiamo vivendo in questi giorni.
Negli insediamenti come quello di Tor di Quinto ci sono solitamente Rom e Rumeni. Ci sono i poveri estremi. Discriminati anche e soprattutto per questo.
Alla trascendenza il massimo rispetto, ma domani, la famiglia Stan, attualmente a Pieve Porto Morone, con la trascendenza, sarebbe ancora in mezzo alla strada o in qualche baracca in qualche infima area dismessa. Domani invece porterà i documenti per una casa in affitto ad una agenzia immobiliare. Di certo su questo non ci si potrà scrivere un racconto, ma tra qualche anno, chissà, magari i piccoli Stan, cominciando ad andare a scuola se lo scriveranno da sé il loro romanzo.
In momenti così delicati come quelli di questi giorni, i tempi e i modi di espressione diventano cruciali, per chi se ne avveda, a meno che non si ammetta un’extratemporalità letteraria.
Ringraziamo con questo Nazione Indiana per aver ospitato i nostri commenti.
Irene Campari
Giovanni Giovannetti
L’ultimo intervento del circolo mi spinge a reintervenire. Perché noto una contrapposizione tra letteratura e azione, per dirla alla grossa, che non mi convince. E io non sono un letterato che sta nella classica turris eburnea. Ho sempre fatto politica, attraversando movimenti e associazioni, ho fatto volontariato, con modi e forme sempre diverse, data la mia naturale inquietudine. E attraversando l’Italia per parlare con i migranti, e far testimonianza, ho aiutato persone, concretamente. Qualcuno non è stato rimpatriato, ad esempio, e può permettersi di continuare a vivere. Come la famiglia Stan. Non sono a vantarmene, perché lo considero semplicemente mio dovere. Ma lo dico perché questo punto di vista ho le spalle coperte per dire che non capisco questa contrapposizione che mi pare state facendo. Ovviamente ho il massimo rispetto per il vostro lavoro, questo è talmente scontato che mi vergogno persino a dirlo, credo che tutti vi dobbiamo ringraziare. Ma ho rispetto anche per chi, differentemente da voi, e anche da me, si dedica solo alla sua “scrittura”. Alla sua “immaginazione”. Da ognuno secondo le sue possibilità. (Ma se vi ho frainteso, come non detto).
Altra cosa, evidentemente, è l’uso strumentale dei Valori, che è lampante nel caso pavese da voi citato. Assolutamente esemplare, direi, delle forme specifiche della nostra illuminata classe politica.
Non posso che rinnovare l’invito di Helena a contribuire al dibattito con uno scritto, non vediamo l’ora di dar luogo alla vostra voce.
E adesso, per par condicio, non sarebbe male uno scritto che, dopo l’articolo sulla Stampa, trascenda e spinga “oltre” questo di Repubblica:
http://tinyurl.com/26su7x
Complimenti per la lucidità delle tue parole e allo stesso tempo per le emozioni che fai vibrare in chi le legge. E non c’è niente da aggiungere, se non che ti manderò agli amici via e-mail e lascerò il link nel blog. Grazie!
Grazie luca dell’articolo sulla repubblica che in effetti fornisce dei rom un’immagine altra che non sia solo lo stereotipo/stoccafisso ormai vigente in Italia.
Alla luce di quest’articolo emilia diventa un essere umano che cerca di salvare un altro essere umano e l’assassino un assassino privo di pensiero, chiuso nel suo io e nella sua zoe, come molti brutali assassini lo sono.
Il racconto di Helena è buono (sarebbe buono perchè helena scrive bene) ma ha un difetto, già fatto notare: uno scrittore quando scrive un racconto ha in diritto di inventare, di immaginare (come ha fatto helena con i dialoghi attribuiti ai rom del campo), ma un racconto non può (non deve) essere scritto a caldo come fosse cronaca, altrimenti è altro e come altro può e deve essere criticato se contiene cose di finzione.
Un racconto va scritto quando tuttoè spento come la calce, a caldo è giornalismo e ha altre regole che dovrebbero essere rispettate.
Oggi purtroppo non è tanto che ci siamo abituati alla banalità del male, che, come ci ha insegnato Hannah Arendt, è veramente banale perchè chi lo fa è privo di pensiero (gli effetti del male invece purtroppo non sono banali: sono tragedia, dolore, morte), oggi ci siamo abituati ad un tipo di giornalismo che si permette di inventare e interpretare banalmente (senza pensiero), questo è la vera tragedia della nostra epoca: un giornalismo diventato finzione, che si giustifica con gi alibi del narratore.
geo
[…] la storia di Emilia, raccontata da Helena. Leggete. nessun […]
Mi stupisco che nessuno non vede il legamo tra questo atto e la violenza contro le donne. Mi sembra che il dibatto che leggo attenta, perché tutti i commenti sono intelligenti e propogono punti di vista acuti, forti, non fa apparire il centro del dolore: lo sguardo privo d’amore verso le donne.
E’ tutta la società che deve ricordare il rispetto che un uomo deve a una donna. Non capisco questo silenzio! Si parla della miseria, la miseria tocca prima le donne. Sono rivoltata davanti al destino fatto alle donne ( in particolare quando sono nella miseria).
Mi associo in pieno a tutto quanto detto nel suo intervento di oggi da marco rovelli.
Non capisco neanch’io la contrapposizione.
Ritengo opportuno se NI lo ritiene si apra un dibattito sui Rom (un dibattito non trascendentale, né metafisico, ma concreto).
@ Helena
il tuo intervento di ieri sera mi sorprende un po’.
Credevo che tu avessi scritto il tuo invervento proprio per poterlo commentare…
Oggi ho qualche certezza in più
(e qualche dubbio in meno)
Beppe, ma nell’inciso avevo anche specificato che non volevo censurare i commenti sul testo! Mi sembrava solo che a questo punto una discussione sulla questione rom fosse un occasione da non perdere. Vabbé, comunicare in rete è faticoso, si sa…
beppe sei buffo :-)
dici:
Ritengo opportuno se NI lo ritiene si apra un dibattito sui Rom (un dibattito non trascendentale, né metafisico, ma concreto).
Ma non c’è bisogno di ritenere, ne di ottenere il consenso da NI :-) è chiaro che ogni post in un blog (con commenti aperti) permette l’apertura di un dibattito (i blog esistono soprattutto per questo) se poi il dibattito sia metafisico, trascendentale o concreto (ma cosa vuol dire dibattito concreto?) questo dipenderà dai commenti :-).
Il dibattito è già aperto fin dall’inizio, non te ne sei accorto? altrimenti i commenti del centro pasolini, di marco rovelli, i rimandi al post di scarpa su Il primo amore ecc. le risposte intelligenti di helena cosa sarebbero?
geo
Per me, aggiungero più niente, perché il problema non è trattato: il problema della violenza contro le donne. Mi dico che l’omerta riguarda anche un blog come NI. Il nodo del crimine oltrepassa la questione della miseria. Non diro più niente perché non sono italiana (dunque devo fare atto di riserva), non vivo in Italia e mi considero come invitata.
Questa storia tragica commuove molte cose in noi. In ogni modo, non ho pensato questa tragedia come legata alla comunità rom, invece ha fatto sorgere lo spettro conosciuto della violenza contro le donne.
Rircordate la tragedia di Marie Trintignan in Francia. Si dirà che il motivo è diverso: furto/ passione. Per me è la stessa cosa.
Direi per fare corto che il testo di Helena è bello e vero. Poi, che la verità abita il cuore, la compresione del mondo passa tra questo sguardo.
Leggo nel sito del Circolo Pasolini un articolo sull’economia balcanica (ripreso dall’Osservatorio sui Balcani). Leggo della “spinta verso margini di profitto sempre maggiori” che caratterizza la missione delle imprese occidentali in Europa Orientale. Leggo del grande colpevole, il mercato, il capitale, insomma il sistema economico globalizzato. E va bene, lo abbiamo smascherato. Ma credere che dopo il crollo del Muro di Berlino la penetrazione dei capitali stranieri nei Balcani potesse avvenire in modo placido, controllato e regolato da qualche norma internazionale, mi sembra un po’ utopico, anzi, com’era? trascendentale.
Se c’era un mercato da colonizzare senza freni era proprio quello balcanico, dove le regole erano saltate da un bel pezzo. Nell’articolo che ho letto sul sito del Circolo, infatti, non c’è scritto (chiaramente) che nei decenni precedenti all’89 quelle economie erano state drogate dai miti autogestionari e della collettivizzazione forzata. Si volle trasformare i contadini in operai ma quando la grande industria pesante divenne anacronistica quel modello di sviluppo mostrò di essere effimero e incapace di rinnovarsi (ogni operaio conservava il suo pezzo di terra da coltivare nel tempo libero, la metà dei suoi guadagni veniva da lì).
Economie che non sono in grado di trasformarsi non aspettano altro che “margini di profitto sempre più ampi”. Se non li trovano, crollano. Voglio dire, nella Jugoslavia degli anni ottanta sembrava di vivere in una società avanzata, auto, tv e frigorifero, ma in realtà tutti gli indicatori economici erano sballati e negli anni novanta il debito pubblico e l’inflazione hanno galoppato in modo spaventoso. Viene prima la crisi economica dei raptus razzistici, etnici e xenofobi, questo è certo. Insomma per spiegarci i movimenti di lavoratori nella Unione di oggi occorre parlare dei mali di ieri, quando si sognava un decollo che non è mai arrivato.
Un’altra cosa. Non credo di allontanarmi troppo dal focus della discussione se dico che andrebbe riconsiderato anche il ruolo che stanno giocando alcune multinazionali nella stabilizzazione dell’area balcanica, megaprocessi economici che potrebbero avere ricadute positive sulle questioni di confine, la soluzione dei conflitti in atto (a dicembre si decide la sorte del Kosovo), il destino delle minoranze e della loro mobilità in Europa. I grandi gruppi globali, come Eni e Gazprom, ormai lavorano in modo quasi autonomo dai rispettivi governi. Un progetto strategico come Blu Stream II non è semplicemente un grande affare (e lo so che i firmatari si riempiranno le tasche con qualche milioncino di dollari…), è anche un modo per attutire i conflitti e generare processi (indotti o spontanei) di riconciliazione su scala locale. Ecco, volevo dire questo sul pezzo che ho letto nel sito del Circolo.
i rom
li ho conosciuti, a milano, anni fa.
sempre a mentire, mendicare, rubare sulla metropolitana.
oggi li conosco qui e oggi come ieri.
sono parassiti
considerano tutti i non-rom come bersagli da sfruttare, truffare, circonvenire, derubare
conoscono ogni piega delle nostre leggi, meglio di me e di te, e in ogni piega si infilano per sfruttarci
mandano bambini a fare quello che non possono fare gli adulti, mettono avanti le donne, ma solo quando serve
mettono incinte le proprie donne a sedici anni e le portano davanti all’ ospedale quando hanno le doglie, sporche come bestie, mai una ecografia o uno straccio di analisi prima, tanto ci pensiamo noi, ma solo quando serve, poi vengono a prendersi la donna e il bambino il giorno dopo
e queste cose ti assicuro le ho viste di persona
il coplevole e’ mailat…
il colpevole non e’ il mercato, cari signori della sinistra che ben pensate e mai agite. il colpevole non e’ veltroni, e nemmeno i lampioni
se c’erano i lampioni a tor di quinto, avrebbero fatto il campo da un’altra parte
e ovviamente la madre di mailat oggi e’ li a raccontare che e’ un povero pazzo, che si piantava i chiodi nella testa…
conoscono le pieghe della legge meglio di me e di te: te l’ho già detto?
Non si puo parlare cosi! Perché aggredire una donna non è il fatto solo dei rom. E’ un problema di rispetto verso le donne. Stupro, abuso, colpi vengono dalla parte degli uomini che odiano il femminile in noi ( bellezza, dolcezza, tenerezza), massacrano la parte più dolce dell’umanità.
E’ un problema di odio della donna considerata come inferiore, destinata alla
consumazione del piacere (dell’uomo ovviamente).
Ascoltate le donne (amiche, fidanzate, compagne) e sarete sorpresi delle storie che racconterano (violenza nella famiglia o di un ex amico, aggressioni): non è il simbolo di comunità rom, credo…
@ georgia
se io sono buffo (il che mi può anche star bene)
te non hai seguito con attenzione tutto il lunghissimo dibattito che si è svolto al di sopra di queste righe.
Dunque ti invito a rileggerlo prima di commentare un singolo intervento a sproposito.
Infatti:
1) ho usato il termine ‘concreto’ per parafrasare la critica che il circolo Pasolini mi aveva fatto allorché avevo usato il termine ‘trascendentale’;
2) non ho parlato di consenso di NI, ho detto ‘se lo ritiene opportuno’ e l’ho detto per rispetto al Blog e di chi lo modera e raccogliendo l’invito guarda caso di Helena Janeczek e di marco rovelli
comunque :-) a te (dato che son Buffo spero sinceramente e volentieri di averti tenuto di buon umore).
@ the O.C.
un’analisi economica interessante. Ripeto che occorre l’aiuto della UE affinché quelle economie si sviluppino in maniera non caotica come è avvenuto in Russia e si stabilizzino insieme alla democrazia.
@ véronique vérgé
è vero occorre che NI riapra anche un dibattito sulla violenza nei confronti delle donne. Ciò che mi interesserebbe discutere è come le donne oggi mettano talmente in crisi la coscienza degli uomini da trasformali in potenziali carnefici.
@ mos
da come ti esprimi quanto meno sei un razzista e mi dissocio fortemente :-(
Tuttavia, e lo dico al circolo Pasolini, è vero che i rom hanno usanze che, mi ripeto, cozzano proprio con la dichiarazione dei diritti dell’uomo.
Mi rivolgo a voi del circolo Pasolini: ma voi, quando avete consegnato una copia dei diritti dell’uomo ai rom, gli avete spiegato che vale anche per loro e per i loro bambini e per le loro donne?
ANALISI
Il vero problema è tuttavia ancor più fondamentale: l’economia occidentale non tollera chi rifiuta il concetto di lavoro, di regola, di mercato. Non può andare.
Mi diceva mia nonna che gli ‘zingari’ un tempo erano bravi artigiani impagliatori. Il mercato e il progresso li hanno esclusi e loro, per non rinnegare la loro cultura nomade, si sono fatti escludere.
Dunque il mercato deve porsi anche il problema di tutte quelle popolazioni (penso all’Africa) che non riescono (forse giustamente) a pensare al forsennato bisogno di produrre e di far crescere il PIL come il fine ultimo e il senso della vita.
Vi invito infatti a considerare che ad esempio un grande e noto economista indiano Amartya Sen ha proposto (senz’altro giustamente) di sostituire il PIL con il HDI (Human Development Index).
Il discorso sarebbe lungo…
veramente beppe ho letto tutta la discussione o quasi, ad ogni modo tu inizialmente avevi parlato di trascendenza e a questo ti avevano risposto quelli del circolo pasolini, poi hai invece parlato di trascendentale, e a questo io ho risposto dicendoti che eri buffo … non è che trascendente e trascendentale abbiano, per me, lo stesso identico significato … almeno da kant in poi … per kant tra l’altro credo che fare un dibattito facendo a meno del trascendentale fosse del tutto impossibile, il trascendente invece, volendolo, lo possiamo anche mettere da parte in una discussione
Va beh dai mi scuso per la pignoleria, ma sai … come hai detto tu, si fa per fare i simpatici ;-)
geo
“considerano tutti (…) come bersagli da sfruttare, truffare, circonvenire, derubare
conoscono ogni piega delle nostre leggi, meglio di me e di te, e in ogni piega si infilano per sfruttarci…”
Ehi mos, hai visto? basta cassare una parolina e gli stessi principi valgono per tutta la razza umana.
Tu no, tu non fai parte della razza. Sei al di là della razza e al di qua della mazza, in senso randelliano.
per chi fosse interessata/o il link con data percorso appello ecc.
della manifestazione nazionale indetta da tempo contro la violenza sulle donne
http://www.controviolenzadonne.org/
Grazie primo a Beppe che mi risponde. Ecco un pezzo su La Repubblica:
“La sorella di Nicolau, Denis, fu massacrata di botte e uccisa dal marito” La Reppublica Lunedi 5 novembre
Grazie a Nadia Agustoni: spero che la manifestazione farà prendere coscienza che la violenza contro le donne è atroce, indegna di tutto uomo che si rispetta.
Per Beppe,
Cito la Repubblica ” La sorella di Nicolau, Denise fu massacrata di botte e uccisa dal marito”
Grazie per la risposta ma resto con la mia opinione.
Mille grazia a Nadia Agustini: spero che la manifestazione sarà un successo e farà prendere coscienza che un uomo che si rispetta rispetta le donne.
uno su uno. quando ho letto che una donna del campo di tor di quinto aveva denunciato un uomo di tor di quinto ho pensato solo a una boccata d’aria. a tutta la follia attribuita con la quale comincia Janeczek. a che cosa deve essere per uno o una che vive nel campo di tor di quinto tirare una boccata d’aria. non lo spiffero che ti piega le reni ogni sera. e nemmeno lo sfrigolare delle foglie sulle baracche di lamiera e fogli di plastica e drappi da chiesa ortodossa. il bene che si compie gratis certe volte somiglia, contra kértesz, a un primario istinto di sopravvivenza. lo è. dove per sopravvivenza si intende integrazione. adattamento allo stato. complicità al senso di comune convivenza. ammissione di stato di diritto. e dunque di reato, di punizione, di diversificazione. di normalità. di pena. per giovanna e per emilia.
mailat mailat altro da me.
che adesso questo pensiero venga generalizzato da un decreto dello stato è indegno, che vengano spianati i campi con la stessa facilità con la quale si nasconde la polvere sotto i tappeti è imbarazzante, e i lampioni non sono palliativi, anche se forse aiutano.
io non lo so helena.
io al pari di emilia penso Aria, penso Normalità.
penso Sono diversa da lui perché non ho aggredito e stuprato e spinto nessuno in un fosso dopo averlo derubato.
al pari di emilia penso Fuori da questo campo. e il campo di emilia, con questo gesto, è diventato tutta italia.
e questo senso di appartenenza è l’unica faccenda che mi consola.
poco. ma mi consola.
uno su uno hai ragione tu. e grazie per avermici fatto pensare.
chi
[…] “rom”, vuol dire in realtà uomo, essere umano. E vuol dire anche donna, vuol dire Emilia, la “rom” appunto che ha indicato alla polizia l’assassino di Giovanna Reggiani […]
helena ha catturato un istantanea accennata distrattamente dai media
l’urlo elementare dalle viscere delle disperazione.
Emilia ha scollinato la vetta della paura
solo lucidamente incoscente.
[…] Emilia […]