Il triangolo nero
Violenza, propaganda e deportazione. Un manifesto di scrittori, artisti e intellettuali contro la violenza su rom, rumeni e donne
La storia recente di questo paese è un susseguirsi di campagne d’allarme, sempre più ravvicinate e avvolte di frastuono. Le campane suonano a martello, le parole dei demagoghi appiccano incendi, una nazione coi nervi a fior di pelle risponde a ogni stimolo creando “emergenze” e additando capri espiatori. Una donna è stata violentata e uccisa a Roma. L’omicida è sicuramente un uomo, forse un rumeno. Rumena è la donna che, sdraiandosi in strada per fermare un autobus che non rallentava, ha cercato di salvare quella vita. L’odioso crimine scuote l’Italia, il gesto di altruismo viene rimosso. Il giorno precedente, sempre a Roma, una donna rumena è stata violentata e ridotta in fin di vita da un uomo. Due vittime con pari dignità? No: della seconda non si sa nulla, nulla viene pubblicato sui giornali; della prima si deve sapere che è italiana, e che l’assassino non è un uomo, ma un rumeno o un rom.
Tre giorni dopo, sempre a Roma, squadristi incappucciati attaccano con spranghe e coltelli alcuni rumeni all’uscita di un supermercato, ferendone quattro. Nessun cronista accanto al letto di quei feriti, che rimangono senza nome, senza storia, senza umanità. Delle loro condizioni, nulla è più dato sapere. Su queste vicende si scatena un’allucinata criminalizzazione di massa. Colpevole uno, colpevoli tutti. Le forze dell’ordine sgomberano la baraccopoli in cui viveva il presunto assassino. Duecento persone, tra cui donne e bambini, sono gettate in mezzo a una strada. E poi? Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rumeni sono rom, tutti i rom sono ladri e assassini, tutti i ladri e gli assassini devono essere espulsi dall’Italia. Politici vecchi e nuovi, di destra e di sinistra gareggiano a chi urla più forte, denunciando l’emergenza.
Emergenza che, scorrendo i dati contenuti nel Rapporto sulla Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati sono, oggi, ai livelli più bassi dell’ultimo ventennio, mentre sono in forte crescita i reati commessi tra le pareti domestiche o per ragioni passionali. Il rapporto Eures-Ansa 2005, L’omicidio volontario in Italia e l’indagine Istat 2007 dicono che un omicidio su quattro avviene in casa; sette volte su dieci la vittima è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte su dieci il marito o il compagno: la famiglia uccide più della mafia, le strade sono spesso molto meno a rischio-stupro delle camere da letto. Nell’estate 2006 quando Hina, ventenne pakistana, venne sgozzata dal padre e dai parenti, politici e media si impegnarono in un parallelo fra culture. Affermavano che quella occidentale, e italiana in particolare, era felicemente evoluta per quanto riguarda i diritti delle donne. Falso: la violenza contro le donne non è un retaggio bestiale di culture altre, ma cresce e fiorisce nella nostra, ogni giorno, nella costruzione e nella moltiplicazione di un modello femminile che privilegia l’aspetto fisico e la disponibilità sessuale spacciandoli come conquista. Di contro, come testimonia il recentissimo rapporto del World Economic Forum sul Gender Gap, per quanto riguarda la parità femminile nel lavoro, nella salute, nelle aspettative di vita, nell’influenza politica, l’Italia è 84esima. Ultima dell’Unione Europea. La Romania è al 47esimo posto.
Se questi sono i fatti, cosa sta succedendo?
Succede che è più facile agitare uno spauracchio collettivo (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi) piuttosto che impegnarsi nelle vere cause del panico e dell’insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione.
Succede che è più facile, e paga prima e meglio sul piano del consenso viscerale, gridare al lupo e chiedere espulsioni, piuttosto che attuare le direttive europee (come la 43/2000) sul diritto all’assistenza sanitaria, al lavoro e all’alloggio dei migranti; che è più facile mandare le ruspe a privare esseri umani delle proprie misere case, piuttosto che andare nei luoghi di lavoro a combattere il lavoro nero.
Succede che sotto il tappeto dell’equazione rumeni-delinquenza si nasconde la polvere dello sfruttamento feroce del popolo rumeno. Sfruttamento nei cantieri, dove ogni giorno un operaio rumeno è vittima di un omicidio bianco. Sfruttamento sulle strade, dove trentamila donne rumene costrette a prostituirsi, metà delle quali minorenni, sono cedute dalla malavita organizzata a italianissimi clienti (ogni anno nove milioni di uomini italiani comprano un coito da schiave straniere, forma di violenza sessuale che è sotto gli occhi di tutti ma pochi vogliono vedere). Sfruttamento in Romania, dove imprenditori italiani – dopo aver “delocalizzato” e creato disoccupazione in Italia – pagano salari da fame ai lavoratori.
Succede che troppi ministri, sindaci e giullari divenuti capipopolo giocano agli apprendisti stregoni per avere quarti d’ora di popolarità. Non si chiedono cosa avverrà domani, quando gli odii rimasti sul terreno continueranno a fermentare, avvelenando le radici della nostra convivenza e solleticando quel microfascismo che è dentro di noi e ci fa desiderare il potere e ammirare i potenti. Un microfascismo che si esprime con parole e gesti rancorosi, mentre già echeggiano, nemmeno tanto distanti, il calpestio di scarponi militari e la voce delle armi da fuoco.
Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente, nell’ex-Jugoslavia negli anni Novanta, in nome di una politica che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; che rende indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti e cause, mali e rimedi; che invoca al governo uomini forti e chiede ai cittadini di farsi sudditi obbedienti. Manca solo che qualcuno rispolveri dalle soffitte dell’intolleranza il triangolo nero degli asociali, il marchio d’infamia che i nazisti applicavano agli abiti dei rom. E non sembra che l’ultima tappa, per ora, di una prolungata guerra contro i poveri.
Di fronte a tutto questo non possiamo rimanere indifferenti. Non ci appartengono il silenzio, la rinuncia al diritto di critica, la dismissione dell’intelligenza e della ragione. Delitti individuali non giustificano castighi collettivi. Essere rumeni o rom non è una forma di “concorso morale”. Non esistono razze, men che meno razze colpevoli o innocenti. Nessun popolo è illegale.
Per aderire on line qui.
Adesioni aggiornate alle 02.00 di giovedì 15 novembre 2007
Proposto da: Alessandro Bertante, Gianni Biondillo, Girolamo De Michele, Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Helena Janeczek, Loredana Lipperini, Monica Mazzitelli, Marco Philopat, Alberto Prunetti, Marco Rovelli, Stefania Scateni, Antonio Scurati, Beppe Sebaste, Lello Voce, Wu Ming.
Aderiscono: Fulvio Abbate – Maria Pia Ammirati – Manuela Arata – Bruno Arpaia – Articolo 21 – Rossano Astremo – Andrea Bajani – Nanni Balestrini – Guido Barbujani – Ivano Bariani – Giuliana Benvenuti – Silvio Bernelli – Stefania Bertola – Bernardo Bertolucci – Sergio Bianchi – Ginevra Bompiani – Carlo Bordini – Laura Bosio – Botto&Bruno – Silvia Bre – Enrico Brizzi – Luca Briasco – Elisabetta Bucciarelli – Franco Buffoni – Errico Buonanno – Lanfranco Caminiti – Rossana Campo – Maria Teresa Carbone – Massimo Carlotto- Lia Celi – Maria Corbi – Stefano Corradino – Mauro Covacich – Erri De Luca – Derive Approdi – Donatella Diamanti – Jacopo De Michelis – Filippo Del Corno – Mario Desiati – Igino Domanin – Tecla Dozio – Nino D’Attis – Francesco Forlani – Enzo Fileno Carabba – Ferdinando Faraò – Marcello Flores – Marcello Fois- Gabriella Fuschini – Barbara Garlaschelli – Enrico Ghezzi – Tommaso Giartosio – Lisa Ginzburg – Roberto Grassilli – Andrea Inglese – Franz Krauspenhaar – Kai Zen – Nicola Lagioia – Gad Lerner – Giancarlo Liviano – Claudio Lolli – Carlo Lucarelli – Marco Mancassola – Gianfranco Manfredi – Luca Masali – Sandro Mezzadra – Giulio Milani – Raul Montanari – Giuseppe Montesano – Elena Mora – Gianluca Morozzi – Giulio Mozzi – Moni Ovadia – Enrico Palandri – Chiara Palazzolo – Melissa Panarello – Valeria Parrella – Anna Pavignano – Lorenzo Pavolini – Giuseppe Pederiali – Sergio Pent – Santo Piazzese – Tommaso Pincio – Gabriella Piroli – Guglielmo Pispisa – Leonardo Pelo – Gabriele Polo – Andrea Porporati – Alberto Prunetti – Laura Pugno – Serge Quadruppani – Christian Raimo – Veronica Raimo – Franca Rame – Jan Reister – Enrico Remmert – Marco Revelli – Ugo Riccarelli – Anna Ruchat – Roberto Saviano – Sbancor – Clara Sereni – Gian Paolo Serino – Nicoletta Sipos – Piero Sorrentino – Antonio Sparzani – Carola Susani – Stefano Tassinari – Annamaria Testa – Laura Toscano – Emanuele Trevi – Filippo Tuena – Raf Valvola Scelsi – Francesco Trento – Nicoletta Vallorani – Paolo Vari – Giorgio Vasta – Maria Luisa Venuta – Grazia Verasani – Sandro Veronesi – Marco Vichi – Roberto Vignoli – Simona Vinci – Yo Yo Mundi.
Silvia Acquistapace – Armando Adolgiso – Enzo Aggazio – Valerio Aiolli – Fiora Aiazzi – Loredana Aiello – Cristina Ali Farah – Max Amato – Cris Amico – Cinzia Ardigò -Roberto Armani -Paolo Arosio – Monia Azzalini – Eva Banchelli – Barbara Barni – Adriano Barone -Daniela Basilico- Simona Baldanzi – Barbara Balzarotti – Remo Bassini – Elisabeth Baumgartner – Sandro Bellassai – Gigi Bellavita – Francesca Bonelli – Violetta Bellocchio – Paola Bensi – Alessandro Beretta – Alberto Bertini – Donatella Bertoncini – Marco Bettini – Paolo Bianchi – Nicoletta Billi – Valter Binaghi – Enrico Blasi -Augusto Bonato – Emanuele Bonati – Valentina Bosetti – Nadia Bovino – Giovanni Bozzo – Anna Bressanin – Annarita Briganti – Luciano Brogi – Gianluca Bucci – Manuela Buccino – Giusi Buondonno – Leonardo Butelli – Domenico Cacapardo – Daniele Caluri – Nives Camisa – Maurizia Cappello – Paolo Capuzzo – Luigi Capecchi -Alessandro Capra – Carlo Carabba – Enrico Caria – Valentina Carnelutti – Eleonora Carpanelli – Guido Castaman – Silvia Castoldi – Ettore Calvello- Francesco Campanoni – Ernesto Castiglioni – Fabrizio Centofanti – Paola Chiavon – Marcello Cimino – Paolo Cingolani – Anselmo Cioffi – Beatrice Cioni – Francesca Corona – Stefano Corradino – Marina Crescenti – Vittorio Cartoni – Marcello D’Alessandra – Cristina D’Annunzio – Gabriele Dadati – Manuela Dall’Acqua – Paola D’Apollonio – Antonella De Luca – Patrizia Debicke van der Noot – Lello Dell’Ariccia – Paolo Delpino – Valentina Demelas- Chiara Desiderio – Prisca Destro- Francesco Di Bartolo – Chiara Dionisi – Martina Donati – Bruna Durante – Arturo Fabra- Marina Fabbri – Franco Fallabrino – Graziella Farina – Giulia Fazzi – Giorgia Fazzini – Raffaele Ferrara – David Fiesoli – Claudia Finetti – Maurizio Forte -Lissa Franco – Daniela Gamba – Pupa Garriba – Walter Giordani – Viorica Guerri – Maria Nene Garotta – Luisa Gasbarri – Massimiliano Gaspari – Catia Gasparri – Valentina Gebbia – Lucyna Gebert- Silvana Giannotta -Angelica Grizi -Emiliano Gucci -Lello Gurrado – Francesca Koch – Rossella Kohler – Fabio Introzzi – Maria Rosaria La Morgia – Daniela Lampasona – Federica Landi – Loredana Lauri -Albertina La Rocca – Filippo Lazzarin – Sabina Leoni – Elda Levi – Mattea Lissia – Mariagrazia Lonza – Francesco Lo Piccolo – Giorgio Lulli – Monica Lumachi – Gordiano Lupi – Iseult Mac Call – Luca Maciocca- Giovanna Maiola – Alessandro Maiucchi- Ilaria Malagutti – Manuela Malchiodi – Felicetta Maltese – Emanuele Manco – Federica Manzon – Roger Marchi – Mauro Marcialis – Adele Marini – Gianluca Mascetti – Laura Mascia -Giusy Marzano- Anna Mascia – Mara Mattoscio – Stefano Mauri – Lorenzo Mazzoni – Ugo Mazzotta – Michele Mellara – Michele Meomartino- Camilla Miglio – Paola Miglio – Laura Mincer – Olek Mincer – Mauro Minervino – Roberto Mistretta- Giorgio Morale – Isabella Moroni – Elio Muscarella – Ettore Muscogiuri – Nino Muzzi – Rosario Nasti – No Reply – Giovanni Nuscis – Fabio Pagani – Dida Paggi – Valentina Paggi – Iulia Claudia Panescu – Rafael Pareja – Enrico Pau- Simonetta Pavan – Monica Pavani – Alessandra Pelegatta – Graziella Perin – Bruna Perraro – Seba Pezzani – Alessandro Piva- Serena Polizzi – Massimo Polizzi – Francesca Pollastro – Alessia Polli – Sabrina Poluzzi – Nicola Ponzio – Anna Porcu – Kiki Primatesta – Salvatore Proietti – Maddalena Pugno – Andrea Rapini – Vincent Raynaud -Paolo Reda – Luigi Reitani – Sergio Rilletti – Mirella Renoldi – Patrizia Riva – Monica Romanò – Alessandro Rossi – Grazia Rossi – Luisa Rossi – Marta Salaroli – Carlo Salvioni – Ida Salvo – Bianca Sangiorgio – Veronica Alessandra Scudella – Maria Serena Sapegno – Simone Sarasso – Dimitri Sardini – Monica Scagnelli – Angela Scarparo – Gabriella Schina – Elvezio Sciallis – Marinella Sciumè – Matteo Severgnini – Michèle Sgro – Carlo Arturo Sigon – Genziana Soffientini – Crio Spagnolo – Mario Spezi – Mila Spicola – Susi Sacchi – Mariagrazia Servidati – Mattia Signorini – Luigia Sorrentino – Stalker/Osservatorio nomade – Claudia Stra’ – Luigi Taccone – Giorgio Tinelli – Veronica Todaro – Eugenio Tornaghi – Umberto Torricelli – Sara Tremolada – Renato Trinca – Nadia Trinei – Roberto Tumminelli -Tonino Urgesi – Sasa Vulicevic – Angela Valente – Roberto Valentini – Selene Verri – Diego Zandel – Salvo Zappulla
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Nel regno animale il risentimento e l’odio per l’aggressione subita dal superiore si rivolge all’inferiore. Il pollo alfa becca tutti i sottoposti (e non è beccato da nessuno), quello omega è beccato da tutti (e non becca nessuno). Il fatto che ciò continui ad accadere nella società umana mostra come questa – nonostante ogni ideologia – sia ancora irretita nella storia naturale, e quindi lontanissima da quella associazione solidale che PURE SAREBBE POSSIBILE in base alla costituzione biologica dell’uomo, alla presenza in lui di libero arbitrio, di coscienza e volontà.
La paranoia, il meccanismo inconscio di proiezione della nostra aggressività, che consente di sfogare sul più debole, sul capro espiatorio, il disagio della socializzazione ingiusta, è stata sempre il principale puntello di quest’ultima.
Poche settimane fa. Cena da amici. Lui, il padrone di casa, piuttosto anonimo, all’apparenza uno come tanti, un po’ grigio, un po’ troppo perbene per risultare davvero simpatico; certo, un po’ fissato su alcune cose (la pulizia, per dire, l’ostilità al fumo). Gelo, puro orrore, quando, dalla bocca di questo “borghese piccolo piccolo” escono, dette con nonchalance, con un sorriso di sufficienza che nulla toglieva alla gravità delle stesse (e, anzi, rendeva il tutto brutale e leggero a un tempo), le seguenti parole: Per me i rumeni dovrebbero bruciarli tutti.
Che altro aggiungere?
Pensa Mario che quando mi capita di sentire le emittenti locali della zona Veneto-Lumbard, di commenti come quello del tuo commensale ne sento a uffa…I media servono quella smania di “miseria” di cui molti si nutrono. Che spettacolo!!! Ps: io abito in una zona collinare di periferia vicino ad una piccola impresa che, come molte altre, ha alcuni dipendenti provenienti dall’Est Europa. Il mattino presto, faccio la mia solita passeggiata col cane e incontro sempre qualcuno di questi lavoratori che parcheggiata l’auto si fa un pezzetto a piedi per raggiungere l’azienda. Io sono lì, sola, col mio piccolo cane, con nessuno in giro, incrocio una signora che anche lei si trova sempre in zona di mattino presto col suo piccolo cane e mi dice: faccio un giro veloce perchè quando vedo questi qui insomma, non mi fa mica star tranquilla. Io penso che li vedo da anni questi corpulenti carpentieri nel mezzo del cammin di loro vita; mi passano accanto, mentre chiacchierano beati, ci incrociamo andando ognuno verso la sua destinazione: un sorriso, un buon giorno, che ricambio; poi proseguo col cane ma se fosse per loro e per il modo in cui da sempre la faccenda degli ingressi dei lavoratori stranieri in Italia viene gestita, dovrei solo incrociare la mia paura.
Vero, Smaniz, vero: si sentono sempre più spesso queste affermazioni, ma non abituarcisi mai, tenere allenata la nostra capacità di indignazione (e il nostro orrore), è, forse il primo passo, la prima cosa da fare. Anche perché sai quale è stata la cosa più assurda di quella sera? Dopo, durante la discussione che è seguita a quella che sua moglie (minimizzando per salvare la sua “serata”) ha definito una boutade (alla faccia), il mio “borghese” mi ha detto: ma tu che sei “rosso” (proprio così, “rosso”), non dici sempre che bisogna rispettare le idee altrui, essere tollerante? allora rispetta le mie idee, la mia opinione sui rumeni.
Così ha detto. Verrebbe da ridere se non fosse il segnale (profondo) della capacità (tutta interiore) di certe frange della destra estrema di usare il relativismo a proprio vantaggio. Verrebbe da ridere se un ragionamento così capzioso non fosse il sintomo di una sporcizia mentale, di una mancanza di ordine del pensiero, che fa venire i
brividi.
Aspettavo un articolo di questa qualità!
Niente da aggiungere: tutto è detto e di manera rilevante.
segnalo che il mio commento, dove si chiedeva – non senza una certa ironia – il perché della suddivisione in proponenti, primi firmatari e aderenti è stato cancellato.
niente di particolarmente grave.
però si sappia.
quanto poi all’abitudine, che credevo quasi estinta, degli intellettuali/scrittori/artisti a promuovere la sottoscrizione castale di manifesti, quello è un altro discorso.
aggiungo.
sono d’accordo nella sostanza del testo.
ma nel documento non si fa cenno al fatto che tutte le iniziative di repressione e persecuzione citate sono opera dell’attuale governo di centro sinistra, il cui nucleo portante è proprio quel partito democratico cui alcuni dei sotto-scrittori mi sembra abbiano aderito.
il PD, lungi dal denunciare ciò che sta accadendo si fa co-protagonista di questo pensiero unico cripto fascista, xenofobo, razzista.
per essere davvero sotto-scrivibile il documento doveva essere più preciso: non una critica generica, ma un attacco diretto al governo, alla tiepidità di veltroni, alla pratica dell’inseguimento di consensi verso destra di un partito appena nato che si dice di sinistra.
non dici sempre che bisogna rispettare le idee altrui, essere tollerante? allora rispetta le mie idee, la mia opinione sui rumeni
A parte che io non userei mai l’espressione sporcizia mentale per nessuno, perchè mi sembra un termine molto marcato a destra.
Però già, è proprio vero che l’estrema destra (ma direi la destra tutta e non solo) sta usando a proprio vantaggio il relativismo. Forse però abbiamo sbagliato anche noi “rossi” quando diventati tutti cani scolti, abbiamo deciso che tutto il nostro pensato in libertà avesse, nella realtà, lo stesso diritto e legittimità di quello elaborato culturalmente, e il blog e la rete ci hanno aitato ad amplificare questa nostra frigida follia amorale. Quante cose dette da noi (che ci diciamo di sinistra)… noi giustifichiamo in nome della libertà di e-pensiero? Come non pensare che di questa falsa libertà avrebbe approfittato alla grande la destra?
la destra populistica ha poche parole e pochi pensieri (e per questo ora è in aumento e fa presa). Oggi la vediamo scatenata a difendere la liberta di pensiero degli ultras da stadio … e noi non abbiamo più parole per difendere le cose più elementari, perchè spesso guardondoli (quelli di destra) ci somigliano troppo, anche per la mancanza di parole efficaci.
Ai tempi delle vignette islamofobe (costruite nei laboratori dei neocon)quanti di noi hanno trovato le parole giuste? e quanti di noi le hanno fatte circolare in nome di una falsa libertà di pensiero? Tash (di cui quasi nulla condivido) ha detto, in alcuni post fa, una cosa giusta che penso da sempre, la destra è natura (zoe) e la sinistra cultura (bios). Ma la cultura è fatica, è saper apprezzare il nemico quando se lo merita e attaccare l’amico quando se lo merita, ma quanti di noi sinistri in rete lo fanno?
geo
scusate il corsivo generalizzato … evidentemente non ho chiuso qualcosa :-)
beh tash …è … la solita macchina ;-)
PRECISAZIONE
“le hanno fatte circolare in nome di una falsa libertà di pensiero”
chiaro che quello che avevano fatto circolare erano le vignette e non le parole giuste
geo
in effetti mi sembra un po’ bizzarra la divisione tra sottoscrittori (“Primi” e “Aderiscono”). boh. comunque ovviamente aderisco (ho cliccato 2 minuti fa e riempito i due campi del form).
detto ciò, mi sembra che Tashtego dica bene chiedendo più severità nei confronti di questo governo.
Nessun popolo è illegale.
sottoscrivo-e aderisco.
[…] continua qui […]
Firmo ma non credo che la mia firma valga la pena. Penso che le firme di valore emanano dagli intellettuali e dagli arstisti: hanno il potere di cambiare le cose con la riflessione, la generosità e la bellezza.
Nell’appello vengono attaccati i demagoghi di destra e di sinistra e In tutta la prima parte Veltroni, pur non nominato, viene chiamato in causa, forse ancora più pesantemente proprio perché non viene nominato, perché è Roma/Veltronia la città dove si sfollano centinaia di persone in quanto ritenute etnicamente colpevoli del delitto di un solo individuo. E’ Roma/Veltronia la città della “allucinata criminalizzazione di massa”. Ed è chiaro che è un appello contro le ultime mosse di questo governo: si parla di ministri che fanno gli apprendisti stregoni. Ministri. I ministri non li esprime l’opposizione. Pure a giudicare da molti nomi (Evangelisti, Voce, Philopat, Derive Approdi, Revelli, Arpaia ecc.) non mi sembra l’appello di persone che vogliono fare sconti al centrosinistra. Insomma si cerca il pelo nell’uovo, come sempre, è il solito brusìo della solita fauna nullafacente da blog.
ogni firma è importante e preziosa, assolutamente.
@ tashtego
il problema risiede nel fatto che la cultura (intesa qui come confronto e battaglia delle idee) è ormai altra cosa dalla politica -ormai solo caccia di consensi in termini di voto. e vetrina di vanità. Questa è l’epoca dei contenitori (o bidoni…).
sottoscrivo il “manifesto”. sottoscrivo anche tashtego.
@Ocratsira
“Insomma si cerca il pelo nell’uovo, come sempre, è il solito brusìo della solita fauna nullafacente da blog.”
tieni i tuoi apprezzamenti per te, per favore.
quanto alle evidenze di cui tu parli sono tutte da dimostrare.
nomi non ne vengono fatti e questa a casa mia si chiama ambiguità, reticenza.
e po: nulla-facente da blog sarà tuo nonno, per dire.
Tash, ma …. il nonno di Ocratsira ha un blog? complimenti al nonno:-)
Georgia vedo che qualche giorno fa sul tuo blog criticavi un testo di Evangelisti su questa stessa questione perché a tuo dire era troppo duro con Prodi e col governo. Adesso ti associ a chi critica un appello proposto da Evangelisti perché non viene attaccato il governo… insomma…
[…] Per continuarne la lettura e per sottoscriverlo andare qui e qui: https://www.nazioneindiana.com/2007/11/15/il-triangolo-nero/#comments […]
io mi associo a tash???!!! ma sei matto/a?
magari qualche volta accade quando fa delle citazioni altrui … ma altrimenti non succede mai.
Io condivido in pieno l’appello ;-), e poi nel mio blog non avevo criticato evangelisti … (figuriamoci) ho solo fatto notare che i fascisti non aspettavano certo di essere scatenati da veltroni (e poi io, si sa, che *non voglio* che il governo prodi cada e sono molto sensibile all’argomento, quindi … come potrei associarmi a tash?) per il resto ho pure detto (sia nel post che nei commenti) che condividevo il bel pezzo caldo di evangelisti in pieno … ma ocratsira permetterai che la notizia che tuo ha un blog …. mi abbia per un attimo distratta, incuriosita e deliziata.
geo
permetterai che la notizia che tuo [nonno] ha un blog
mancava il nonno di Ocratsira
Georgia (con la “E”, mi raccomando) è la solita merdina (anche questa con la “E”, mi raccomando).
pollice merdo perchè non ti firmi con il tuo solito nick?
geo
Allora: ho cancellato io il primo commento di Tash. Gli ho anche spiegato in una email privata le mie ragioni. Non era una censura, ma un piacere che gli chiedevo. Pensavo che se la discussione volgeva su questa questione si perdeva di vista il fuoco. Purtroppo vedo che sta diventando così.
Dovete sapere che fra le proposte del “comitato proponente” c’era anche quella di chiudere i commenti. Qui su NI s’è deciso di lasciarli aperti, sperando in un innesco di discussione.
Vorrei fosse chiara una cosa: da subito l’elenco dei firmatari era un “tutti dentro”, indifferenziato. L’enorme numero di riscontri avuto ha creato confusione (abbiamo avuto uno scambio epistolare, dalla nascita dell’idea alla realizzazione del testo, impressionante, centinaia e centinaia di email). Ad un certo punto, di fronte all’ipotesi di un coinvolgimento della carta stampata, più di un giornalista (per pigrizia? Per abitudine?) ci ha chiesto: “chi propone l’appello? Quali sono i nomi ‘noti’ che lo controfirmano?”. All’inizio capivamo poco questa posizione, poi c’è stato spiegato che, dati i tempi ristretti, erano tutte informazioni che aiutavano l’eventuale pezzo sul quotidiano. “Bene, facciamolo, allora, se serve alla diffusione” ci siamo detti.
Non siamo “ esperti comunicatori” della carta stampata. Abbiamo gestito l’elenco in fretta, senza nessuna revisione fatta con calma, senza nessun disegno dietrologico. Avevamo poco tempo, abbiamo scritto, diffuso l’appello e raccolto le firme nel giro di pochi giorni. Con autori che erano chi al lavoro, chi fuori sede, chi occupato con la famiglia, etc. Fateci caso: l’appello è pubblicato dalla redazione di NI eppure alcuni indiani sono finiti fra gli aderenti e non fra i primi firmatari e persino il nome di uno degli autori dell’appello è stato dimenticato. Che ci crediate o no, non c’era nessuna voglia di fare la prima classe, la seconda o la terza. Io, senza problemi, cancello subito le eventuali classificazioni che possono apparire immotivate, qui su NI.
Ma, detto fra noi, è davvero questo il fulcro della questione? Per me lo è il fatto che blog di singoli autori, siti letterari, riviste on line, tutti insieme, nello stesso momento, hanno fatto “muro” su una questione che reputavano importante. E che tranne l’Unità (che ha dato una buona visibilità) e (ma non l’ho letto) credo un trafiletto di Repubblica, tutti gli altri quotidiani coinvolti “non se ne sono accorti”. Parliamo di questo, semmai.
tre anni fa conobbi un ragazzo rumeno : era arrivato in Sardegna per conoscere l’isola. Ci incontrammo, parlammo e passammo insieme un anno della nostra vita. Inutile dire che la maggior parte dei miei amici di allora, tutti di sinistra e superlaureati sia chiaro, mi tolsero il saluto pur di non doverlo invitare alle loro feste. Premetto : era molto più presentabile di loro, parlava 4 lingue ed era gentilissimo. Mi dissero : mai sei pazza? ti ucciderà e ti svaligierà la casa… adesso vive in Irlanda e ogni tanto ci vediamo in giro per l’europa. I miei amici ovviamente non li vedo più…
caro gianni.
mi sembra che almeno da parte mia, al di là della questione delle categorie di ripartizione dei firmatari, ho cercato di porre un problema di sostanza: al di là di della assoluta condivisibilità del contenuto del manifesto (un po’ troppo genericamente politically correct) perché dimenticare che è il governo che ha preso quei provvedimenti, che la televisione di stato fa un’informazione se possibile persino peggiore di prima, che il PD non ha una posizione decente su questo argomento e che anzi, nella sua smania maggioritaria, soffia (con discrezione) sul fuoco del sentire razzista?
insomma QUESTO secondo me è il problema.
cosa ci importa di ripetere le stesse condanne generiche rivolgendole però verso nessuno?
cosa ci importa di ottenere adesioni su questa piattaforma?
che ci frega di riscaldare per l’ennesima volta la minestrina dei chierici democratisci & de sinistra?
non vedete cosa sta succedendo?
Tash,
io reputo che il clima di emergenza sia transpolitico e abbraccia tutta la società.
Dico anche che abbiamo scritto: “Succede che troppi ministri, sindaci e giullari divenuti capipopolo giocano agli apprendisti stregoni per avere quarti d’ora di popolarità.” Se parliamo di ministri parliamo di ministri di questo governo, non del passato. Se parliamo di sindaci parliamo di quelli che hano fatto gli sgomberi forzati.
Chi su Carmilla, chi in altre sedi hanno fatto, in ogni occasione, espliciti riferimenti a cariche istituzionali.
(ti ricordi cosa ho scritto pochi post fa?
“Ho paura di un governo che sbanda, che segue l’onda emotiva della piazza per ragioni di gretta sopravvivenza elettorale, che di primo acchito demolisce le baracche, disperde i poveracci (per ritorsione?), decide di espellere tutti, indiscriminatamente, basta che siano rOmeni.”
ed anche: “La Moratti l’ha detto a chiare lettere: “fuori i poveri dall’Italia”, andando contro alla stessa direttiva del Parlamento Europeo sulla sicurezza.”).
Non mi pare che non si sia fatto esplicito riferimento a QUESTO governo, o che non si siano fatti i nomi.
E sai che ti dico? Se avessimo scritto: “Veltroni, così come Fini. Cofferati, così come la Moratti”, tu avresti detto: ecco il cerchiobottismo.
Il problema è che è proprio così: “”Veltroni, così come Fini. Cofferati, così come la Moratti.”
Quindi, insisto, è un problema transpolitico.
E pensare che diverse persone non hanno firmato l’appello perché ci vedevano un attacco troppo violento e unilaterale al PD, a Veltroni e all’Unione… Che è anche, con ogni probabilità, uno dei motivi del silenzio che lo ha accolto su certi organi di stampa (di contro al grande e sano rumore che sta facendo in rete, e per fortuna).
Ovviamente, quell’interpretazione del comunicato era più pertinente di quella avanzata poco sopra.
Vorrei anche far notare che questo appello è stato preceduto da svariate prese di posizione di diversi dei suoi promotori, prese di posizione di cui tutto si può dire tranne che fossero reticenti sul ruolo del PD.
Noi abbiamo anche ricordato, su Giap e su Carmilla, che la più grave ed efferata strage di migranti nella storia europea dal Dopoguerra a oggi è avvenuta nel 1997 con Prodi premier e Veltroni vice-premier, e che quel governo fece tutto il necessario per rimuovere e insabbiare.
Riporto qui lo stralcio di una mail che ho mandato alla lista informale che lavorava all’appello:
[…] Se ci preoccupiamo di “non colpire a sinistra” in un paese dove la sinistra politica di fatto non esiste più, non andiamo da nessuna parte.
Sia chiaro: io non vedo il PD come “subalterno” all’ideologia securitaria e poliziesca della destra. Lo vedo come partito di sub-destra e principale agente, nel presente allungato e nel futuro prossimo, di quel genere di politiche. La canea sui lavavetri di qualche mese fa era farina del sacco delle amministrazioni di centrosinistra. E al governo del paese c’è il centrosinistra. Mica possiamo fare un’azione che abbia come bersaglio polemico soltanto l’opposizione…
L’appello ha recepito in toto questa posizione, infatti colpisce la classe politica a destra e a ex-manca, descrive Roma (città fiore all’occhiello del PD) come l’epicentro di una fiammata d’odio e voglia di pogrom, chiama in causa Giuliano Amato però, è vero, non lo menziona. Non fa quello né altri nomi, non menziona nemmeno Giovanna Reggiani. Non fa nomi perché i nomi avrebbero dato l’impressione di “piccolo cabotaggio” e polemica contingente, mentre la tendenza emergenziale a cui stiamo assistendo è più grande di questo o quel singolo nome o episodio, e ben più grave delle malefatte di questo o quel ministro o partito. Su questi allarmi sociali, sotto la vernice degli scontri di facciata, c’è di fatto il monopartitismo, senza distinzioni di sostanza tra destra e sub-destra.
Solo una lettura disattenta, pregiudiziale e avulsa dal contesto di questi giorni può far pensare che dire questo significhi “fare sconti” al PD, quando invece lo mette sul medesimo piano della vandea di destra e con ruolo non subordinato.
Riporto i link ad alcuni interventi che hanno preceduto l’appello (selezione parzialissima e fatta alla brutto boia, su due piedi):
Cetomediume vigliacco, cofferateria diffusa:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap13_VIIIa.htm#0
Romania fa rima con etnia:
http://www.carmillaonline.com/archives/2007/11/002437.html
Ancora sui rumeni in Italia e gli italiani in Romania:
http://www.carmillaonline.com/archives/2007/11/002438.html
Veltroni è il nome di un cocktail analcolico. Bevuto, ovviamente poeticamente, da Vincenzo Mollica, per dire.
Prodi è il nome di una marca di cravatte per vecchi e ricchi uomini di partito della prima repubblica, di quelli che scoreggiano di notte e poi al mattino trovano macchie di cacca rappresa nelle mutande.
Berlusconi è il nome di una marca di bomboniere che vanno bene sia nei matrimoni chic che in quelli popolari. Un mio condomino le ha scelte, per dire. Ma anche un altro mio amico, che però ha la villa a Mondello.
Franco Giordano è la marca di una ditta specializzata nell’arredo degli scantinati. Ho visto gli autisti di questa ditta leggere famosi best seller impegnati mentre guidano.
I rOmeni? Non bevono cocktail, non indossano cravatte, non comprano bomboniere, non frequentano scantinati. In pratica e in teoria non esistono. Mi pare.
grazie a Gianni per gli interventi e le precisazioni
L’articolo sull’unità io l’ho postato, se vi interessa eccolo qui:
Rom, no al triangolo nero: nessun popolo è illegale
di Valeria Trigo
L’APPELLO Oltre trecento tra scrittori, artisti e intellettuali firmano un manifesto contro la criminalizzazione dei rumeni e il silenzio sulla violenza alle donne: i delitti individuali non giustificano castighi collettivi
«Il triangolo nero. Violenza, propaganda e deportazione. Un manifesto di scrittori, artisti e intellettuali contro la violenza su rom, rumeni e donne»: oltre trecento tra scrittori, artisti e intellettuali italiani hanno deciso di far sentire la loro voce, stanchi di assistere alla deriva razzista che attraversa il nostro paese, purtroppo aggravata dalla morte violenta di Giovanna Reggiani. Non potendo rimanere indifferenti alla guerra contro i poveri che si sta combattendo in Italia e rivendicando il diritto di critica di fronte alla dismissione dell’intelligenza e della ragione. Una specie di comunità, non solo virtuale, che smentisce le accuse ripetute dai cosiddetti opiniosti nei confronti della non partecipazione degli scrittori italiani alle questioni sociali.
Da giorni la rete era in fibrillazione, grazie alla mobilitazione di Alessandro Bertante, Gianni Biondillo, Girolamo De Michele, Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Helena Janeczek, Loredana Lipperini, Monica Mazzitelli, Marco Philopat, Marco Rovelli, Stefania Scateni, Antonio Scurati, Beppe Sebaste, Lello Voce e il collettivo Wu Ming. Nasce così – da una partecipazione sempre più crescente, da arricchimenti reciproci e da un principio di base sacrosanto e imprenscindibile, riassumibile nella frase «Nessun popolo è illegale» – l’appello-manifesto al quale hanno aderito finora in più di trecento e che da oggi sarà in rete, su Carmillaonline, Wumingfoundation, Lipperatura, Nazione Indiana, beppesebaste.blogspot.com, Articolo 21 e francarame.it. Tra i nomi, quelli di Roberto Saviano, Sandro Veronesi, Franca Rame, Bernardo Bertolucci, Moni Ovadia, Simona Vinci, Botto&Bruno, Massimo Carlotto, Carlo Lucarelli, Nanni Balestrini, Mauro Covacich, Erri De Luca, Giuseppe Montesano, Valeria Parrella, Enrico Palandri e Ugo Riccarelli (del quale in questa pagina pubblichiamo un testo che lo scrittore romano ha affidato a un quotidiano svizzero).
«Odio e sospetto alimentano generalizzazioni – si legge nel manifesto -: tutti i rumeni sono rom, tutti i rom sono ladri e assassini, tutti i ladri e gli assassini devono essere espulsi dall’Italia. Politici vecchi e nuovi, di destra e di sinistra, gareggiano a chi urla più forte, denunciando l’emergenza. Emergenza che, scorrendo i dati contenuti nel Rapporto sulla Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati sono, oggi, ai livelli più bassi dell’ultimo ventennio, mentre sono in forte crescita i reati commessi tra le pareti domestiche o per ragioni passionali. Il rapporto Eures-Ansa 2005, L’omicidio volontario in Italia e l’indagine Istat 2007 dicono che un omicidio su quattro avviene in casa; sette volte su dieci la vittima è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte su dieci il marito o il compagno: la famiglia uccide più della mafia, le strade sono spesso molto meno a rischio-stupro delle camere da letto».
Ma, nonostante i fatti, nel nostro paese rimane il vizio dell’«emergenza continua». Dopo la morte di Gabriele Sandri, il ragazzo laziale ucciso da un poliziotto, tutti i quotidiani esteri hanno commentato: «l’Italia è il paese dei problemi che non si risolvono mai». Più «facile» agitare uno spauracchio collettivo piuttosto che affrontare seriamente e risolvere le vere cause dell’insicurezza sociale. O continuare a sfruttare le ragazze immigrate e la manodopera piuttosto che attuare le direttive europee (come la 43/2000) sul diritto all’assistenza sanitaria, al lavoro e all’alloggio dei migranti: nei cantieri ogni giorno un operaio rumeno è vittima di un omicidio bianco.
Il rischio è enorme: «Si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, in nome di una politica che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; che rende indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti e cause, mali e rimedi. Manca solo che qualcuno rispolveri dalle soffitte dell’intolleranza il triangolo nero degli asociali, il marchio d’infamia che i nazisti applicavano agli abiti dei rom».
l’Unità 15 novembre 2007
E’ forse una piccola ma significativa buona notizia di oggi che il Parlamento Europeo ha condannato le indecenti dichiarazioni di Frattini in merito alle espulsioni dei rom. Una buona notizia, s’intende, che viene da oltreconfine.
Qua dentro invece le cose continuano ad andare malissimo.
Ho firmato l’appello anche io, lo approvo in pieno e lo avrei approvato anche se fosse stato più esplicito. Non credo che sia stato opportunismo tacere il nome di Veltroni o del PD, perché quel genere di appelli alla tolleranza zero e all’emergenza li avrebbe fatti anche l’altra allegra combriccola, uguali uguali. Nel mio piccolo lo diffonderò, ma con estrema disillusione. Disillusione non nei riguardi del presunto centrosinistra, che non mi aveva illuso affatto, e ha offerto uno spettacolo per molti versi persino più desolante di quello del precedente governo Berlusconi, bensì della ignobile crudeltà e viltà di questo paese che non finirà mai di disgustarmi.
Quando una ragazzina marocchina di 16 anni finisce schiacciata da un pullman e tutti intorno i suoi coetanei e compagni di classe si affollano con i telefonini a far foto e video da mettere su youtube, scusatemi, ma mi pare che le definizioni per perimetrare questo orrore vengano tutte meno. E’ un caso di insensibilità di genere perché la vittima era una femmina? E’ un caso di insensibilità razzista perché era marocchina (di seconda generazione, peraltro, e perfettamente integrata)? E’ un caso di insensibilità generazionale perché gli adolescenti l’entità di certe tragedie ancora non l’hanno ben chiara, non la sanno riconoscere? Le stragi scolastiche in America e nel Nord Europa potrebbero farlo pensare. Non lo so. Però a me sembra un punto di non ritorno.
trovo l’appello molto sensato e ben scritto, penso che ridurlo ad un banale problema di destra o sinistra sia un’analisi superficiale e svilente del problema, credo che il problema sia culturale e che ci sia bisogno di un’educazione al rispetto di chi è “diverso” da noi.
L’appello è condivisibile nel suo impianto concettuale e nella sua tensione ideale e infatti in serata lo riporterò sul mio blog. Lo trovo un po’ debole, invece, quando cita le fonti di dati. Certo, gli omicidi si sono dimezzati neglu ultimi 20 anni, ma è anche vero che nel giro di vent’anni la proporzione di stranieri denunciati per omicidio consumato passa dal 6% al 32% del totale e quella per tentato omicidio dal 5% al 31%. Ma anche su altri crimini (violenza sessuale, rapine in pubblica via, sfruttamento della prostituzione) la percentuale degli stranieri denunciati oscilla tra il 40% e il 60% dei denunciati totali. Primi nelle classifiche degli omicidi consumati e delle violenze sessuali tra gli stranieri i cittadini romeni. seguiti da cittadini albanesi e marocchini.
Ritengo che siano dati preoccupanti, anche se negli ultimi 20 anni la popolazione immigrata è passata dall’0,8 al 4, 7& di quella complessiva e quindi il numero di reati “pro capite” è diminuito. Ma la percezione conta, come anche il fatto che, a fronte di una diminuzione netta di molti reati, gli stranieri residenti in Italia presentano un’incidenza percentuale in forte aumento.
Certamente, concordo gli estensori dell’appello quando scrivono “Di fronte a tutto questo non possiamo rimanere indifferenti. Non ci appartengono il silenzio, la rinuncia al diritto di critica, la dismissione dell’intelligenza e della ragione. Delitti individuali non giustificano castighi collettivi. Essere rumeni o rom non è una forma di “concorso morale”. Non esistono razze, men che meno razze colpevoli o innocenti. Nessun popolo è illegale”. Tuttavia, ritengo si debba discutere dell’allarme sociale che deriva dai flussi migratori senza pregiudizi ideologici e senza generalizzazioni speculari ai fenomeni che si cerca di denunciare.
FINALMENTE PAROLE CHE HANNO UN SIGNIFICATO,CHE COLPISCONO IL SILENZIO AGGHIACCIANTE E SCIOLGONO IL CUORE. GIOIA E RIVOLUZIONE
Essendo uno degli estensori dell’appello, posso rassicurare chi lo vede poco esposto verso l’attuale governo di centro-sinistra: se si criticano dei ministri, è chiaro che sono quelli attualmente in carica. Se si criticano i sindaci-sceriffi, è chiaro che ci si riferisce a quelli che chiedono pieni poteri, e la maggior parte di loro sono di centro-sinistra (quantomeno nell’esporsi: quelli di destra lasciano fare ad altri il lavoro sporco e aspettano di goderne i risultati).
Non aver fatto nomi e cognomi serviva, almeno per me, ad evitare una personalizzazione della critica: non è importante sototlineare che una certa dichiarazione la fa Veltroni piuttosto che Amato, importante è criticare la politica che la sottende, chiunque se ne faccia portavoce.
La discussione sui dati è sacrosanta, però devo ammettere che mi sta sfiancando, perché dopo un po’, quando alla stessa obiezione rispondi sempre con la stessa argomentazione e lo stesso invito a leggere i dati da più angolazioni e non da una sola, ti senti anche un po’ un deficiente…
Come diceva Girolamo su Lipperatura poco fa, se le più gravi tipologie di crimine sono in drastico calo da oltre vent’anni, la provenienza etnica di chi li commette sarebbe un dato secondario se non intervenissero altri fattori (precisi interessi politici nel cavalcare ed esasperare la percezione di rischio, funzionalità del razzismo ai fini di una regolazione del mercato del lavoro etc.) Se vent’anni fa c’erano venti tagliagole in giro per il mio quartiere, tutti italiani, e oggi ce ne sono meno otto-nove però con un accento diverso, perché quegli otto-nove sono più pericolosi dei venti di una volta? E’ chiaro che il pericolo non è aumentato oggettivamente, ma c’è un fattore culturale all’opera. Quel fattore culturale coincide in gran parte con l’area semantica della parola “razzismo”(che non è necessariamente consapevole, è un habitus mentis). Che siano aumentati i reati commessi da stranieri è normale, dato che sono aumentati pure gli stranieri, e che all’interno di contesti di marginalità ed esclusione si producano condizioni criminogene è altrettanto normale, però si tratta di percentuali in crescita di numeri in vistoso calo. I media danno visibilità agli episodi, non alle tendenze, e men che meno alle tendenze a lungo termine. Gli episodi a cui più viene dato risalto, per razzismo interiorizzato ancor prima che cosciente, sono quelli che hanno come protagonisti immigrati. Così il cittadino si fa l’idea che per colpa degli immigrati omicidi e crimini violenti siano aumentati, quando invece sono calati. Si chiama “profezia che si autoavvera”: a forza di evocare l’aumento del crimine, si crea tensione sociale, che a sua volta potrebbe contribuire ad aumentare il crimine per davvero. Dopodiché, è senz’altro vero che i rumeni sono primi in classifica negli omicidi commessi da stranieri, ma parliamo dei numeri assoluti, per una volta, e non ci fermiamo alle percentuali? Se non diciamo a cosa corrisponde il cento quando diciamo “quindici per cento”, quel “quindici” rimane un numero senza senso. Nel 2006 22 rumeni sono stati arrestati per omicidio (arrestati, non condannati, quindi alcuni potrebbero pure essere innocenti). Ventidue. Facendo una media tra i dati forniti da Caritas e ISTAT, i rumeni in Italia sono circa tre milioni. Ventidue sospettati di omicidio in una comunità di tre milioni di abitanti. Questa proporzione sarà certo più alta di quella che si riscontra in altre comunità di stranieri (tra gli arrestati per omicidio del 2006 mi pare non vi sia neppure un filippino), e quindi è legittimo discuterne, capire le cause etc., però è altrettanto vero non è una proporzione che giustifichi i toni esasperati di questi giorni. I quali ultimi si giustificano con una percezione di rischio distorta da preconcetti. Ecco, volevo solo far notare questo.
proprio ieri davanti alla macchinetta del caffè due colleghe parlavano dei rumeni, con me dietro: “Bisognerebbe fare come al loro paese e tagliargli le mani quando rubano!”, confondendo la romania con l’ arabia saudita, forse.
Beh, perlomeno sono quasi certo le persone che han firmato sta petizione non girano col machete in tasca. buono a sapersi!
Condivido appieno le tesi dell’appello e ho firmato, ma mi chiedo perché nella petizione non si fa riferimento alla violenza omofoba? Le persone gay e trans subiscono continui attacchi mediatici e pochi intellettuali hanno speso parole a loro favore.
Come mai nessuno parla del ragazzo che si è ucciso lunedì scorso perché omosessuale?
Allarghiamo la petizione anche contro la violenza contro i gay lesbiche trans* bisex e queer, dunque
una bella questione quella di Grammancino.Se fosse utile estenderei l’appello pure contro la violenza verso i maschi adulti e i maltrattamenti degli animali.Ma forse si è operata una scelta perchè le urgenti contingenze determinate dai frutti acerbi dell’incultura dominante spingono in tal senso.Di certo è bello vedere accostati in una battaglia comune persone che normalmente non hanno problemi a mandarsi al diavolo in diatribe leggere o surreali cazzeggi
Ho integrato l’appello con un parallelo d’attualità nel mio blog.
Sono una studentessa rumena a Milano. Ho fatto la triennale a Padova, dove ho dovuto dormire per 1 settimana in un capannone perché NESSUNO mi voleva affittare una casa. Bastava aprire la bocca per beccarsi la lettera scarlatta. Ho fatto un breve commento sui fatti accaduti sul mio blog,
http://me-eat-pasta.blogspot.com/2007/11/needed-but-not-wanted.html
apprezzerei se mi voleste dare un feedback
Ana
“Succede che è più facile agitare uno spauracchio collettivo piuttosto che impegnarsi nelle vere cause del panico e dell’insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione.”
l’insicurezza purtroppo è legittima;
agitare uno spauracchio collettivo è pericolosissimo, ignobile e mistificatorio;
non impegnarsi nelle vere cause del panico e dell’insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione è folle e suicida per tutti.
Tuttavia condivido molto meno l’attacco ai ministri e ai sindaci del centrosinistra definiti capipopolo, apprendisti stregoni per avere un quarto d’ora di popolarità.
Credo che comunque sia importante il rispetto delle regole per tutti.
Rispetto delle regole per l’impresa edile che impiega lavoro nero (e non si capisce perché sia così difficile farla chiudere), per l’italiano come per lo straniero che delinque, per lo Stato e gli Enti locali che non rispettano, loro per primi, i compiti che la costituzione loro assegna, ancora per lo Stato che non richiede i finanziamenti per attuare politiche sociali (come i fondi UE disponibili per l’integrazione dei Rom), rispetto delle regole per una giustizia che non funziona, e per tutto il resto che in generale non funziona o dovrebbe funzionare meglio.
insomma rispetto delle regole! (quelle che ci sono già, senza crearne altre demagogicamente assurde).
detto questo, è forte e intensa la frase:
Nessun popolo è illegale.
aggiungerei:
Ognuno è una risorsa.
Se lo si capisce si va avanti, altrimenti…solo insicurezza e decadenza.
(ho firmato l’appello)
“Capipopolo” era riferito ai giullari, cioè a Grillo. Non ai ministri. Quelli sono solo cape di cazzo.
Solo una testimonianza
In un quartiere storico di Firenze vive un ricercatore farmaceutico di quarant’anni. Nato in Romania, alla fine degli anni ‘90 ha rinunciato alla cittadinanza americana. Da tre anni ha passaporto italiano. Ogni volta che leggo dichiarazioni politiche sui romeni, penso a quest’uomo e lo invito a bere un bicchiere di rosso in centro. Negli ultimi mesi ha perso il suo sarcasmo. Oggi è una persona opaca.
Un tempo pensavo che le donne rom fossero più raffinate delle gonne di Prada. Oggi mi sembrano delle poveracce senza più status. Della loro fierezza non c’è più traccia. Qualcuno le ha assassinate.
I lavavetri invece mi hanno sempre fatto perdere l’equilibrio. Mai fermarsi con la bici nell’ora di punta ad un semaforo sui viali.
Invito tutti ad ascoltare questa splendida canzone di Lu Colombo.
NINNA NANNA ROM
testo D. Gaita – musica M.L. Colombo
arrangiamenti M. Saroglia
ninna ninanna rom ninna nanna rom
è cruda la città
ninna nanna rom
dormi sui tuoi lividi
non li curerò
ninna ninanna rom ninnanna rom
di parabrezza ormai non ce ne son più
autolavaggi e guai
chissà chi è gesù
anche le grondaie sai
non ti tengon più
prendi il cartone e vai
ma non quaggiù
ninna ninanna rom ninna nanna rom
è cruda la città
ninna nanna rom
dormi sui tuoi lividi
non li curerò
ninna ninnannarom ninnanna rom
il marciapiede non
sa chi frenerà
sporco culetto rom
occhio a chi ti da
vita di semafori
ma chi ruba a chi
gloria di profughi
certo non qui
ninnaninnanana
solo una riflessione e una precisazione, che vorrei non si leggesse in un senso politico o nell’altro.
quello di “rischio” è un concetto che per definizione incorpora il concetto di “percezione”. il rischio non esiste di per sè, esiste una percezione del rischio. questo non solo nella criminologia, più o meno scientifica, ma direi anche nel resto delle scienze sociali, economia (e finanza) in primis.
giusto dire che la percezione del rischio può venire distorta da preconcetti (o comunque, in maniera più neutrale, influenzata da fattori storici, culturali, sociali, mediatici); sbagliato dire che questa o quella persona/gruppo non possano costituire, dati alla mano, un rischio oggettivo: perchè il rischio oggettivo non esiste, esiste solo un rischio soggettivo.
così, giusto per precisare.
L’ultimo rapporto sulla criminalità, citato da qualcuno, mostra come, nonostante dati su atti criminali in forte diminuzione, la nostra percezione del rischio non sia diminuita, anzi, aumentata.
allora sposterei la domanda più in là (qualcuno ha già provato a rispondere, ma rilancerei), aldilà di rumeni o altri gruppi etnici.
Perchè è cambiata la nostra percezione del rischio? Perchè siamo più paurosi/impauriti?
Precisione per precisione, io non ho usato l’espressione “rischio oggettivo”, bensì “pericolo oggettivo”, che è diverso.
Sul perché ci sia più paura nella società: sarà mica perché c’è più precarietà (e non parlo solo di lavoro a tempo determinato e senza diritti)?
Negli ultimi vent’anni abbondanti, nel mondo occidentale sono venuti a mancare molti “ammortizzatori”: si sono smantellati vasti settori di stato sociale; le reti di solidarietà e mutuo sostegno si sono allentate o consumate perché competizione e individualismo hanno avuto il sopravvento; il tessuto della convivenza è liso e mostra la corda in più punti. Si è preteso che il “libero mercato” (una bestia mitologica) potesse e dovesse regolare tutto, senza “intralci” né interferenze, e questo ha riprodotto arbitrio, soprusi, negazione di diritti fondamentali. Un sacco di gente non riesce a visualizzare un futuro, vive in un eterno presente asfittico, inseguendo scadenze, urgenze, emergenze, tappando continuamente falle nella propria anima.
Per anni ci hanno detto che oramai noi italiani eravamo tutti benestanti, e via a ripetere che ormai la maggior parte di noi aveva la casa di proprietà. Falso: aveva un mutuo da pagare, in realtà la casa era di proprietà di una banca. Oggi le pareti della bolla cedono, e si scopre che sempre più persone non ce la fanno a pagare le rate, e si parla di un vero e proprio boom dei pignoramenti immobiliari: soltanto a Milano, nel 2006, sono stati 1.883, e si parla già di un aumento del 22% nel 2007 (cioè circa 2300 pignoramenti). In provincia la sofferenza è ancora maggiore: l’aumento percentuale è stimato al 27% a Macerata, al 26% a Como… Il Sud è nella merda, solo a Napoli l’aumento sarà probabilmente intorno al 30%!
Tramontato il sogno dell’individualismo proprietario di massa, cosa rimane? La guerra tre vetero- e neo-poveri? Molto probabilmente. Di certo rimane insicurezza. Chi ha perso qualcosa si sente più deprivato di chi non ha mai avuto un cazzo: si scivola giù nella scala sociale, si perde autostima, si reagisce “incazzati e con la bava alla bocca” (condizione auspicata, non a caso, da Daniela Santanché l’altro giorno alla convention del nuovo partito storaciano).
Soprattutto, si è disposti a prendere per buono qualunque capro espiatorio venga additato dai demagoghi.
Perché mica te la prendi con la banca che ti ha strangolato col mutuo a tasso variabile, no di certo.
Te la prendi con lo zingaro che ti rompe le palle chiedendoti l’elemosina. A te! Ma non lo sa che sei messo pure peggio di lui! Hai un diavolo per capello!
Lungo questa china si scende sempre più veloci.
@Wu Ming
La comunità romena in Italia non è di tre milioni di abitanti. Tre milioni è l’insieme degli stranieri che vivono in Italia. La comunità romena era di circa 300.000 cittadini verso la fine del 2005 e verosimilmente arriva a mezzo milione adesso. Detto questo, non credo che si possa liquidare le reazioni degli Italiani ai flussi migratori con l’etichetta generica di “razzismo”. Certo, la progressiva mancanza di sicurezza e di protezione sociale incide, come anche l’enfasi dei mezzi di comunicazione di massa sui crimini commessi dagli immigrati, ma che in Italia operino organizzazioni criminali “estere” che controllano settori importanti dello sfruttamento della prostituzione, dello spaccio di stupefacenti e dei furti/rapine in casa mi pare un dato innegabile. Parlavi di numeri assoluti. Va bene, nel triennio 2004- 2006 gli omicidi consumati dagli immigrati sono stati 519 e quelli tentati 1450, le violenze sessuali a carico degli immigrati più di 3.700 (e si sa che le denuncie per questo reato raggiungono a stento il 15% dei crimini reali), i furti in abitazione 10.000 e le rapine (in esercizi commerciali e in pubblica via) circa 10.200.
Non è un quadro apocalittico, ma un dato su cui riflettere, in un quadro sociale ed economico che, come hai segnalato, tende a deteriorarsi e a generare effetti di incertezza e precarietà.
Detto questo, l’assimilazione forzata degli immigrati allo status di delinquenti è una barbarie e anche una sciocchezza che viene agitata in modo strumentale.
Ma non possiamo ridurre tutto a un problema di razzismo culturale. Questa mi pare una forzatura ideologica che rovescia gli stereotipi che con l’appello si cerca di denunciare.
@ Writer, certamente non “tutto” si spiega solo con il razzismo culturale (che non è un semplice difetto della personalità dei singoli ma è l’accettazione e interiorizzazione di una gerarchia tra le culture e le comunità, gerarchia su cui si basa anche l’economia ma sarebbe un discorso lungo), tuttavia ammetterai anche tu che il razzismo incide parecchio.
Parecchio, perché altrimenti non si capirebbe l’attenzione parossistica per alcuni aspetti eclatanti dell’attività criminale in Italia a fronte di una totale indifferenza per altri aspetti ben più gravi.
In Italia operano criminali stranieri, è vero, ma intanto il crimine organizzato “nostrano” è la principale industria del Paese per introiti, profitti, dinamismo e raggio d’azione. E spesso i criminali stranieri lavorano per quelli nostrani. Or non è tanto, i media hanno comunicato il “primato” di cui sopra en passant, senza enfasi, come una curiosità qualsiasi, roba da rubrica della “Settimana enigmistica”, eppure è un pericolo per la società ben più oggettivo e pressante di quell’altro.
Di fronte alla presenza di stranieri si percepisce un rischio maggiore di quello rappresentato, per dire, dalla schiacciante presenza camorristica nell’edilizia, nel commercio, nell’industria alimentare. Questo si può spiegare solo con un’istintiva, irrazionale paura dell’Altro, che tutti abbiamo ma che oggi viene coltivata, fomentata, incanalata e pilotata da chi ha interesse a farlo.
Sull’altra questione: chiedo venia, in fondo avevo anche avvertito :-) A forza di dibattere sui dati si fanno sviste, refusi etc. e tra un po’ mi s’incrociano gli occhi. Mi è venuto da scrivere “rumeni” a furia di ripetere la parola in questi giorni, ma – come già in altri blog – parlavo di ventidue rumeni arrestati per omicidio su circa tre milioni di *stranieri* in Italia (2.938.000 stranieri regolari secondo l’ISTAT).
Mi spiego meglio:
– i rumeni nel 2006 erano circa 342.000, se non sbaglio lo 0,6% dei residenti in Italia e l’11% degli stranieri;
– i rumeni denunciati (non condannati) per omicidio erano circa il 15% degli stranieri denunciati per omicidio nel 2006;
– quindi è vero, sono l’11% ma sono denunciati per omicidio per il 15%, la discrepanza c’è, tendono a delinquere (o a essere accusati di farlo) un po’ più degli altri stranieri…
– …però poi quel 15% si traduce in un numero di persone che non riempirebbe mezzo autobus! E che cazzo! In un paese di sessanta milioni di abitanti?!
Insomma, quando guardiamo i numeri reali e non solo le percentuali, ci rendiamo conto di quali dimensioni abbia il fenomeno, e non sono le dimensioni iper-mega-ultra di cui si strilla sui media. Si tratta di un rumeno accusato di omicidio per ogni tre milioni di abitanti della Penisola. L’altro giorno avevo tradotto questo dato in un’immagine: nel 2006 un rumeno accusato di omicidio in tutto il Veneto. Non c’è un’ “emergenza assassini rumeni” come la descrivono i media. Manteniamo la calma.
Infine, non credo tu abbia i dati degli omicidi consumati da stranieri nel periodo 2004-2006, visto che molti di quei processi sono ancora in corso. Io finora ho solo visto i dati degli stranieri *denunciati* per omicidio. Le denunce non sono condanne, almeno non ancora. Idem per le altre tipologie di reato. Stiamo attenti alle parole, queste non sono sfumature ma differenze sostanziali. Come mi faceva notare un amico qualche giorno fa, via e-mail:
—
…a proposito di cifre “criminali”, c’è anche da considerare questi elementi:
1) che le cifre riportate da tanti media con abbondanza di zeri non si basano sulle sentenze, cioè sulle condanne (che già notoriamente possono essere erronee), ma sulle denunce, che sono statisticamente più elevate e meno verificabili;
2) che c’è una tendenza ormai persecutoria che spinge chi ha subito un furto a denunciare di principio uno straniero;
3) che se la vittima del furto non denuncia uno straniero, il maresciallo che verbalizza la denuncia farà di tutto per indurla a mettere a verbale che c’era un rom o rumeno che si muoveva con fare sospetto in zona (come è capitato a una mia amica che è andata in una caserma della benemerita a denunciare lo smarrimento o il furto del portafogli con tutti i suoi documenti dentro, e ha dovuto quasi leticare per non far mettere a verbale che probabilmente aveva subito un furto da uno straniero);
4) che infine le cifre sui cosiddetti crimini degli immigrati sono ingigantite da un elemento chiave: il fatto che essendo stati dichiarati illegali, in quanto obbligati in tanti alla clandestinità, sono ipso facto criminali, e delinquono per il fatto stesso di respirare dentro all’italico suolo.
Il problema, visto un po’ più in generale, potrebbe esser descritto così.
La società cosiddetta civile sopravvive e si riproduce sulla incessante espansione capitalistica. Tutto il resto è secondario. L’uomo stesso, che sarebbe il fine di tutto, e per cui tutta l’attività produttiva dovrebbe funzionare, è secondario – un’appendice da spremere e buttare via. L’eliminazione delle barriere nazionali, il più libero movimento di capitali, merci e persone, sono messi in atto con lo scopo prioritario di abbattere il costo del lavoro, di livellarlo ad un valore minimo in base alla legge della domanda e dell’offerta. I selvaggi flussi di emigrazione che ne risultano, e i relativi problemi sociali, vengono poi affidati alla pubblica sicurezza e ad una parvenza di assistenza sociale, o più spesso ignorati e lasciati marcire da un lato nella devianza e dall’altro nell’intolleranza. Solo un ordinamento sociale mondiale, che garantisse redditi e condizioni di vita civili in ogni paese, potrebbe porre fine a queste dolorose trasmigrazioni bibliche, ma questo è precisamente ciò che bloccherebbe il motore di tutto: l’incessante espansione capitalistica.
illegali sono le frontire e la povertà
[…] Qui il manifesto a cui anch’io, come molti altri, ho aderito. […]
@Wu Ming1
“Tramontato il sogno dell’individualismo proprietario di massa, cosa rimane? La guerra tre vetero- e neo-poveri? Molto probabilmente.”
Ottima sintesi, e aggiungo: l’abbiamo già visto più volte, nella storia.
Una nazione che si sente non più garantita nelle sue sicurezze elementari, aggredita da un’esterno minaccioso (che sono i maneggi del capitale internazionale molto più che i migranti scalzi) produce il cancro xenofobo e razzista. Allora mentre teniamo a bada l’effetto purulento, non è il caso di fare un po’ di autocritica sulla distrazione con cui abbiamo lasciato espandere la causa? Perchè non accorgersi che dietro l’ideologia del globalismo cosmopolita e multicolore, del movimento di uomini e libertà, dell’indebolimento dello Stato-nazione come vecchio residuato, c’era il trionfo della redditività del capitale e il livellamento verso il basso del mercato del lavoro? Il clintoniano Veltroni rappresenta esattamente il progressismo neo-liberista che ha cucito questo inganno. Quando cominceremo a parlare di restituire ai popoli il controllo della propria economia, il valore del denaro circolante, quando cominceremo a parlare del vero potere, cioè quello delle banche?
Il miserabile trucco di ogni società ingiusta è quello di sfruttare l’odio stesso che suscita, stornandolo da sé e deviandolo sul capro espiatorio, esterno o interno che sia. In ciò – e con le debite, profonde differenze – si incontrano il positivista Freud e il cattolico Girard. La possibilità di scaricare sull’inferiore la frustrazione subìta dal superiore, dà compenso libidico, rafforza il narcisismo umiliato, quando non procura vantaggi materiali. Ciò consente al singolo di sopportare la pressione del dominio, e alla società di perpetuarlo.
Perfettamente d’accordo sul manifesto, e sulle firme(magari anche altri altolocati ne partecipassero), ma iniziamo noi.
Maria Pia Quintavalla
Binaghi, su un certo tipo di conclusioni, anzi, su un certo tipo di torsione che dai verso la fine del ragionamento, io non ti seguirò mai, lo sai bene. Dal mio punto di vista, come tutti i reazionari, confondi livelli, spinte e soggettività diverse.
La tensione a una fratellanza universale è presente in differenti forme in tutte le culture fin dall’alba dell’umanità, come controspinta rispetto a particolarismi e tribalismi. Si è sempre cercato un equilibrio, in tutte le mitologie e religioni ad un certo punto parte un’occhiata che abbraccia il mondo. Miti del meticciato e della convivenza tra diversi, leggende su migrazioni virtuose appaiono in ogni frangente e a ogni latitudine, come antidoto agli altri miti, quelli della guerra, dello scontro, dell’annientamento del nemico. Formazioni storico-sociali hanno avuto come spinta l’incontro tra culture molto prima che esistesse il capitalismo, e questa spinta prosegue, sotto di noi, e muove tutto, e tu dovresti saperlo dato che sei cattolico, che significa universale, e dovresti avere l’ecumene come bussola di etica e fede.
Quello contro cui ti scagli, cioè il cosmopolitismo del capitale, il multiculturalismo del consumo e del mercato, è “soltanto” la riprova del fatto che il capitale parassita e sfrutta bisogni e desideri umani. Non è con questi ultimi che dobbiamo prendercela, ma con il sistema che li perverte e svilisce. L’umanità sogna da sempre di riconoscersi senza confini interni, il capitale le vende una versione di plastica di quel sogno, questo significa forse che il sogno è cattivo o sbagliato? Secondo me no, anzi, aggiungo che se il capitalismo fosse totalmente “innaturale” e contrario all’umano non si sarebbe mai affermato; a volte “in capitalismo veritas”: illuminandole per mercificarle, il capitale rivela i contorni di emozioni e pulsioni importanti.
Io quindi non butto il bimbo con l’acqua sporca e, alla facciaccia tua, continuo a ritenermi cittadino del pianeta, nostra patria è il mondo intero, nostra legge la libertà, ed un pensiero ribelle in cor ci sta.
Sergio Baratto ha postato su il primo amore una anteprima dalla rivista Il primo amore 2, Il dolore animale, con pezzi dall’intervento di Anna Ruchat.
Vale la pena di leggerlo, come vale la pena di leggere il pezzo di Moresco sulla poetessa Mirella Mehr di origine zingara-Jenische
geo
Al di là di tutta questa muffa, chi attacca i rom lo fa per difendere la percezione del proprio status. Minacciato. Sono i modi e i toni della polemica che sfiorano l’isteria. Ottocentesca.
Un saluto da Londra a tutti i romeni che vivono in Italia. Conosco un paio di odontotecnici che sono venuti a laurearsi nel vostro paese.
i rom sono attaccati da sempre, perchè non hanno uno stato, ambasciatori, burocrati, eserciti ecc. :-), i popoli senza stato fanno sempre paura, perchè in fondo sono più liberi degli altri dai condizionamenti e dal nazionalismo guerrafondaio. Per lo stesso motivo, perchè non ha una gerarchia di preti, la religione musulmana (naturalmente quella sunnita) oggi crea tante paure irrazionali al punto da far diventare isterici razzisti, personaggi fino a ieri ultrademocratici e da far diventare talmente cretini gli abitanti di una regione virtuale, come la padania, da farli passeggiare con un maiale al guinzaglio.
Ma ora tu sei diventato inglese (che lo chiami il nostro paese)?
geo
*****
– Eh, signora mia ikke la vole, ‘un ci son più i parvenù di una volta …
– come l’è vero, come l’è vero … Del resto anche gli altri ‘un son poi mica molto meglio …. eh, son tempi duri, signora mia, ‘un ci son più le stagioni … ci restan solo, come sempre, gli stagionati esterofili
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Rapidamente, invito a che a riflettere su un altro fatto, oltre ai dati e ai ragionamenti molto chiari di Roberto. Che la percentuale di stranieri regolati condannati è quasi esattamente uguale a quella dei regolari residenti (6 e 5%). La sproporzione nasce dagli irregolari (“clandestini”: parola infame, come dicevo poc’anzi, che rivendico per ribaltarne il senso). Ora, la maggior parte degli irregolari sono i cosiddetti “overstayers”: coloro che erano regolari e che hanno perso questa condizione di regolarità (visto o permesso di soggiorno scaduto: e il nesso è quello soggiorno-lavoro). Già questo, credo, dovrebbe suggerirci un’ipotesi: che fare emergere alla luce una persona, dandogli i diritti di “persona”, è il modo migliore per ridurre al massimo situazioni “criminogene”. Conferma di questo è un altro dato: che, in corrispondenza delle sanatorie fatte nel 96, nel 98, nel 2002, il numero dei reati ha sempre avuto un netto calo, per non dire crollo. Pensiamo poi alla situazione degli “asilanti”, che stanno in Italia “regolarmente”, ma che versano spessissimo in condizioni di miseria (l’Italia è il paese peggiore d’Europa, da questo punto di vista): se fosse solo la miseria a spingere al crimine, dovremmo trovara tra loro alte percentuali di criminalità Ciò che non avviene, invece. A confermare ulteriormente che se consenti a una persona di avere diritti (i “diritti umani”) questa persona, generalmente, non intende perderli. E che, se mai, è la produzione di clandestinità, dovuta alle legge più restrittiva e repressiva d’occidente, che induce al crimine.
chiedo scusa a morgillo (verso cui, lo ammetto, sono prevenuta) solo ora mi accorgo che si rivolgeva direttamente ai rumeni e che il “vostro paese”, che laurea gli odontotecnici, era il loro.
In italia le lauree in odontotecnica sono a numero chiuso e l’esame viene superato solo dietro grosso *appoggio* ;-) … per questo gli odontotecnici italiani sono una strana fauna e casta e fanno cacare e costano cifre esorbitanti … anzi se mi dai l’indicazione dei tuoi odontotecnici laureati in romania, forse … cambio dentista?
geo
Signora Georgia, conosco un paio di odontotecnici italiani che si sono laureati in Romania. Bravissimi. Forse riescono a metterle un ponte. Per il resto, tutto bene? Ha dato da mangiare alla gatta?
Non ho gatti (amo gatti e cani ma non amo i legami) e poi i ponti mi risulta che non si mettano più da tanto:-) ma … in che epoca vive lei, e i suoi odontotecnici, scusi?
geo
@Wu Ming1
Qui giochiamo a non capirci. Il sogno dell’universalmente umano è una cosa, e hai ragione a dire che per un cattolico è più vero che per altri perchè è fondato spiritualmente, ma l’ideologia cosmopolita è tutt’altro, perchè finge di poter scavalcare la realtà dei luoghi, delle comunità e delle culture, cifra dell’incarnazione, cioè dell’essere storico, concreto, dell’uomo. Demonizzare la nazione e disarmarne la politica di interesse nazionale in nome di istitutuzioni economiche e pseudoumanitarie (da nessuno elette) è stato il modo migliore per attentare ai suoi poveri, mettendoli in competizione con i più poveri del mondo.
Se le mie sono torsioni, le tue sono rimozioni belle e buone.
Invece di sottoscrivere manifesti e discettare sul nulla, gli auori di fama dovrebbero collaborare con altri scrittori romeni. Su Nazione Indiana mi piacerebbe leggere il post di un intellettuale romeno. Di solito è così che funziona. Si crea un ponte fra Noi e Loro. Con l’aiuto di un bravo odontotecnico.
Non che una cosa escluda l’altra, quindi possiamo appoggiare il manifesto, e parlare anche di letteratura romena (invece di discettare sul nulla come fa morgillo).
Beh intanto si potrebbe incominciare con il contattare Viorel Boldis :-)
“Viorel Boldis è nato nel 1966 a Oradea, in Romania. Dopo la caduta del muro di Berlino, ha lavorato come giornalista, ma anche come sarto, vigile notturno, agente di commercio, cameriere, per poi prendere la strada dell’emigrazione. Dopo un breve periodo vissuto ad Atene, nel 1995 è arrivato in Italia, prima a Milano, poi a Cellatica, un paese alle porte di Brescia, dove vive e lavora tuttora. Nel 2000 ha vinto il concorso Culture a confronto, con un breve racconto. Nel 2005 ha vinto il concorso Eks§Tra, con il volume di poesia Da solo nella fossa comune(Bologna, Gedit edizioni 2006)” cfr. El-ghibli
il conto
di viorel boldis
non tengo niente
né case né terre
nemmeno
un conto corrente
mi affido al vento
incostante stridente
ormai non mi spavento
non tengo denaro
nada nulla nafing
che cazzo di vita
da lupo mannaro
che faccio
ignaro
di cose e vizi
incolore
non bevo non fumo
faccio poco all’amore
sono un nulla facente
non spero
e non credo più in niente
cavalco la vita
come fosse una troia
e lei brutta stronza
sfottendo s’annoia
cavalco cavalco
ma domani la smonto
me ne vado in banca
e mi apro un conto.
Sempre su El-gibli trovate altre poesie.
Se poi non vogliamo fermarci all’attuale e vogliamo far felice anche il commentatore che chiedeva più attenzione ai gay, qualcuno potrebbe parlare di un autore (che non ho letto ma che potrebbe essere molto interessante) citato nel mio blog da un certo genseki (commentatore intelligente anche se non del tutto politicamente corretto), Panai Istrati e del suo Kyra Kyralina edito in Italia da Feltrinelli oppure Il bruto edito da e/o con postfazione di Fofi.
geo
Ah poi naturalmente c’è anche la bravissima e bella Ingrid Coman, che Gabriella Fuschini aveva postato su Il primo amore il 7 marzo 2005 e che io avevo ripreso nel mio blog aggiungendoci una foto.
Il suo ultimo libro è La citta dei tulipani. Leggete Montanari, e nello stesso link c’è una intervista.
Insomma morgillo invece di sputar solo sentenze, perchè non si attiva anche lei, chissà quanti rumeni scrittori (e non solo odontotecnici) ci sono a londra al momento :-)
geo
Sono rumena…grazie per aver ritrovato la speranza con voi…la mia “storia italiana”e triste…forse un giorno vi raccontere
larissa lei è per caso uno degli odontotecnici del morgillo?
Beh già che ci sono le devo dire che gli ha limato troppo acuminati i canini ;-)
geo
@ valter binaghi
è pur vero che oggi ci troviamo di fronte a un caso veramente nuovo: l’economia sta per diventare talmente globalizzata che se una farfalla batte le ali a Pechino, nel paesello dell’alta garfagnana qualcuno perde i suoi soldi in banca (si fa per dire).
Questo significa che l’identità nazionale che oggi possiamo mantenere è talmente condizionata da quel che succede in qualunque altra parte del mondo che o 1) ci chiudiamo in una ormai impossibile autarchia (saremmo talmente deboli che resteremmo stritolati anche come nazione) o 2) cerchiamo di concepire un nuovo concetto di comunità e di nazione in cui riusciamo a contemperare il locale con il globale.
Il sentimento di appartenenza alla nazione deve necessariamente fare i conti con l’insieme ‘mondo’ ormai. Necessariamente.
Faccio un esempio. Se il sentimento nazionale è contro lo sbarco di clandestini sulle coste calabresi, non possiamo non considerare che questo dipende dalle condizioni di estrema povertà in cui versa l’Africa. Non so se mi sono spiegato. Nel senso che 1) se ci chiudessimo a riccio non riusciremmo (come non riusciamo) a impedire lo sbarco poiché si tratta di una migrazione epocale 2) se invece elaboriamo un’idea di nazione cooperativa con altre comunità, forse riusciamo a far sviluppare quei paesi e a risolvere il problema dei flussi migratori.
Poi vorrei portarti l’esempio di una grande nazione e cioè gli Stati Uniti d’America dove la popolazione ha un forte sentimento nazionale (a volte non sempre indirizzato nel miglio modo). Bene, quella nazione è multietnica e multireligiosa (anche se è vero che vi sono forti problemi non del tutto risolti raziali. Per contro uno dei candidati alle primarie del partito democratico è di colore).
Infine vorrei spezzare una lancia anche al sentimento di appartenenza a comunità più ampie come quella europea o come quella, sì, lo ripeto, mondiale. Io, sinceramente mi ci ritrovo e mi piace familiarizzare e sentirmi partecipe della comuntà ‘mondo’.
Questo non mi impedisce di sentirmi partecipe della comunità del mio Comune, della mia Provincia, della mia Regione, della mia Nazione, del mio Continente e del mio Pianeta….considerando la teroria degli infiniti mondi di Giordano Bruno, anche di questo Universo.
Ciao Fratello.
@ Valter, guarda che l’idea di cosmopolitismo che prendi a bersaglio polemico è caricaturale, è la semplificazione che nasce dalla vulgata di una vulgata, è figlia del convergere di due critiche all’illuminismo, quella reazionaria pre-moderna e quella post-moderna post-tutto che critica l’universalismo omologatore, solo che entrambe quelle critiche prescindono quasi totalmente dalla conoscenza dell’illuminismo come movimento di pensiero nelle sue concrete manifestazioni. Guardacaso scarseggiano le citazioni di autori illuministi… L’illuminismo, se si vanno a leggere gli autori, fu molto meno eurocentrico / livellante / universalistico di quel che si pensa. Il cosmopolitismo degli illuministi è una roba un filino più complessa della semplificazione che ne fanno i suoi nemici: si era “cosmopoliti” perché l’Europa era un ginepraio di ridicole “piccole patrie”, principatini, ducati, baronati, con ragnatele di confini assurdi, visioni del mondo che non andavano oltre quel che si vedeva dal campanile. Essere “cittadini del mondo” significava rifiutare quegli orizzonti angusti, trasmettere e captare idee oltre la collina, viaggiare per il continente e per il mondo. Era una ricerca di diversità, non di omologazione. Gli illuministi cercavano di produrre il catalogo delle differenze umane, al contempo cercando elementi comuni sotto o dietro quelle differenze. Questo atteggiamento è ben diverso dalla caricatura post-post che ci viene propinata da qualche decennio a questa parte, come è diverso dalla descrizione spacciata dalle varie “nuove” destre, scuole del nuovo razzismo “culturalista”, dell’ “ognuno stia a casa tua perché le culture sono diverse e non si possono incontrare”.
Refuso (o lapsus?): ho scritto “ognuno stia a casa tua”. Ovviamente, non intendevo casa di Binaghi :-) Volevo scrivere: “ognuno stia a casa sua”.
walter binaghi, il cosmopolitismo è il primo passo del neonato verso l’insegnamento di Nostro Signore nel quale io e lei (spero) confidiamo.
se nel suo incedere da bambino il “cosmopolitismo” abbia sbagliato qualche passo, è dovuto più alla ferace reazione della “realtà delle culture” che lei è così inopinabilmente disposto a giustificare, che all’imperfezione dei suoi passi. Colgo desolato il fatto che il sagace WM1 le possa dare lezioni in merito. Per noi seguaci di Gesù e Francesco il vero ostacolo da abbattere risiede sempre nello stesso luogo. il fatto che la Chiesa costituisca un rifugio, non concede a nessuno la libertà di farne un rifugio dei nemici dell’uomo. la cosiddetta “realpolitik” e le strategie sul come “non” mettere contro i poveri del mondo sono destinate a fallire: non ci è dato influire sui casi del mondo. ci è dato combattere fino in fondo la nostra battaglia.
giuseppe
dal carteggio binaghi-wu ming (escludendo le banche, caro valter, per non fare un polpettone: per quanto assassine – sono d’accordo – non spiegano tutto), mi sembra chiaro che il grande nodo al pettine del “liberalismo democratico globale” sia proprio la gestione dell’aumentata percezione del rischio da parte della popolazione (che concordo essere dovuta a una aumentata precarieta’ – anche questa percepita).
questo e’ il punto, e il paradosso: la sinistra ha potuto adottare il concetto di liberalismo democratico globale perche’ per un decennio (direi dal 92 al 2001), grazie a una fortunata congiuntura economica e politica, e’ sembrato che l’apertura dei mercati (e la conseguente globalizzazione) potesse convivere con l’apertura delle frontiere, delle menti e delle case e dei cortili allo straniero: da nemico (o comunque sconosciuto) ad investitore, da malvisto a ben accetto.
in altri termini per dieci anni si e’ pensato che la riduzione, e la distribuzione, del rischio sui mercati (primo effetto dell’integrazione economica-finanziaria) potesse essere accompagnata da una riduzione della percezione del rischio in piazza, sottocasa, sulla strada. l-illusione degli anni novanta e’ stata l’assenza di questo “risk-spread”.
la globalizzazione rompeva a sinistra perche’ in fondo – cosi’ e’ parso per un bel pezzo – non confliggeva con l’idea di solidarieta’, di apertura al prossimo, di benessere universale (di piu’ e meglio per tutti), di solidarieta’ globale.
da quando questa illusione, per colpa della recessione economica cominciata nel 2001, e della successiva escalation terroristica, e’ venuta meno, allora il liberalismo democratico di sinistra si trova di fronte al bivio(anche se l’ha capito molto tardi, diciamo appena un paio di anni fa):
A) rifiutare il dogma dell’apertura dei mercati, cosi’ da evitare il dogma dell’apertura delle frontiere;
B) accettare e mantenere il dogma dell’apertura dei mercati, ma a condizione di adottare una nuova politica sul piano interno, di controllo ferreo, di repressione, diciamo una politica “di destra”.
questo mi sembra il grande dubbio interno alla sinistra, alla base delle molte rotture che si sono verificate in molti partiti della sinistra europea;
parte della sinistra ha scelto la A (seguita anche, paradossalmente, da una certa destra ex liberal, vedere in Italia la rivoluzione copernicana di Tremonti); parte ha optato per la B (vedere in Italia le piccole rivoluzioni di Cofferati o di Chiamparino o fors’anche di Amato).
Ma e’ un dubbio che rimane; un nodo al pettine; e che mette la sinistra in crisi.
Il “risk spread” si e’ riaperto: sui mercati economici e finanziari cosi’ come sul raccordo anulare.
@Wu Ming1 e Selo
La lezione sull’Illuminismo (e anche quella sul messaggio cristiano) va bene e l’accetto, però non ne avevo parlato io di Illuminismo. Quello che io mi sento di contestare è un approccio alla politica che la sinistra non ha mai dismesso, dove il fallimento di certe ricette è costantemente ignorato per un ulteriore rilancio utopico. Realismo politico significa anche capire che ospitalità, condivisione e convivenza sono auspicabili dal singolo, non esigibili a meno di non costringere bottegai e kulaki a trasformarsi in spirituali francescani, pena il gulag. Chi invece può decidere di accogliere e integrare è l’istituzione (lo Stato) ma allora deve farlo
1) Approntando strumenti e strutture adeguate previo accertamento di risorse disponibili
2) Esigendo il rispetto delle leggi a chi soggiorna
senza confondere pulsioni umanitarie con possibilità politiche, altrimenti si ricade nel caso precedente: la fregola degli ideologi la pagano i poveri, locali e migranti.
dal carteggio binaghi-wu ming, mi sembra chiaro che il grande nodo al pettine del “liberalismo democratico globale” sia proprio la gestione dell’aumentata percezione del rischio da parte della popolazione (che concordo essere dovuta a una aumentata precarieta’ – anche questa percepita).
questo e’ il punto, e il paradosso: la sinistra ha potuto adottare il concetto di liberalismo democratico globale perche’ per un decennio (direi dal 92 al 2001), grazie a una fortunata congiuntura economica e politica, e’ sembrato che l’apertura dei mercati (e la conseguente globalizzazione) potesse convivere con l’apertura delle frontiere, delle menti e delle case e dei cortili allo straniero: da nemico (o comunque sconosciuto) ad investitore, da malvisto a ben accetto.
in altri termini per dieci anni si e’ pensato che la riduzione, e la distribuzione, del rischio sui mercati (primo effetto dell’integrazione economica-finanziaria) potesse essere accompagnata da una riduzione della percezione del rischio in piazza, sottocasa, sulla strada. l-illusione degli anni novanta e’ stata l’assenza di questo “risk-spread”.
la globalizzazione rompeva a sinistra perche’ in fondo – cosi’ e’ parso per un bel pezzo – non confliggeva con l’idea di solidarieta’ globale che la sinistra ha sempre avuto con se’: apertura al prossimo e aumento del benessere universale (di piu’ e meglio per tutti).
da quando questa illusione, per colpa della recessione economica cominciata nel 2001, e della successiva escalation terroristica, e’ venuta meno, allora il liberalismo democratico di sinistra si trova di fronte al bivio (anche se l’ha capito molto tardi, diciamo appena un paio di anni fa):
A) rifiutare il dogma dell’apertura dei mercati, cosi’ da evitare il dogma dell’apertura delle frontiere;
B) accettare e mantenere il dogma dell’apertura dei mercati, ma a condizione di adottare una nuova politica sul piano interno, di controllo ferreo, talvolta pure di repressione, diciamo una politica “di destra”.
questo mi sembra il grande dubbio interno alla sinistra, alla base delle molte rotture che si sono verificate in molti partiti della sinistra europea;
parte della sinistra ha scelto la A (seguita anche, paradossalmente, da una certa destra ex liberal e liberista, vedere in Italia la rivoluzione copernicana di Tremonti, o di quella destra atea ritrovatasi subitamente in un particolarismo cristiano ortodosso); parte della sinistra ha optato per la B (vedere in Italia le piccole rivoluzioni di Cofferati o di Chiamparino o fors’anche di Amato in tema di ordine pubblico).
Ma e’ un dubbio che rimane; un nodo al pettine; e che mette la sinistra in crisi e che costituira’ il piu’ grande banco di prova per i prossimi presidenti liberali di sinistra, dal veltroni alla hillary.
Il “risk spread” si e’ riaperto: sui mercati economici e finanziari cosi’ come sul raccordo anulare. e non solo per colpa delle banche. e mo’, direbbe il pacifista veltroni, e mo’ che famo?
Valter, ma la “ricetta” che sta fallendo è quella del neoliberismo. Onestamente, non mi pare proprio che la responsabilità della devastazione liberista si possa imputare alla “sinistra utopica” con cui continui a fare shadow-boxing (com’è tipico di tutti i transfughi e gli ex, aggiungo: passano la vita a rimarcare le distanze dai compagni di un tempo).
Vorrei far notare che in tutto il mondo c’è una sinistra sociale che ha fatto tutto il possibile per ostacolare o almeno rallentare l’incedere dei rulli compressori liberisti, delle razzie ribattezzate “privatizzazioni” etc. A Seattle e a Genova ci si era dati convegno per denunciare quello che soltanto pochi anni dopo è ormai sotto gli occhi di tutti: la superstizione mercatocentrica dei figli dei Chicago Boys sta distruggendo il pianeta e chi ci vive sopra.
…sono un essere umano che prima e stato “clandestino” poi schiavo per un anno e sette mesi, che a fatto una denuncia cinque anni fa e ASPETTA ancora easpettaigtrtizi..
valter, d’accordo con lei. ma la vera domanda è ora quella che puri di sinistra e neoliberisti “de noantri” evitano per ragioni diverse: quanti ce n’entrano ancora. la risposta non la darà né l’utopia né l’inginocchiatoio.
saluti
l’ultimo intervento di valter binaghi secondo me è abbastanza condivisibile.
inoltre fa riflettere quel “dove il fallimento di certe ricette è costantemente ignorato per un ulteriore rilancio utopico.”, nel senso che nell’utopia c’è chi ci sguazza.
La globalizzazione non è però un’utopia…ma un dato di fatto.
I migliori modi di interpretarla e di rapportarvisi, una necessità.
poi @ beccalossi
darei anche una lettera C)
C) attuare profonde riforme strutturali capaci di cogliere i lati positivi dell’apertura delle frontiere. mi riferisco all’attrazione anche di capitali (impiegati nell’economia reale), di idee, di cervelli, di idee, di manodopera da qualificata e da qualificare, ecc ecc.
In sostanza volevo dire che c’è anche un modo positivo di rispondere all’insorgere di nuovi problemi. Un problema è sempre anche un’opportunità di innescare il cambiamento. Scusate l’ottimismo a oltranza (quello ovviamente della volontà).
Forse questa è la risposta a quel “mo’ che famo?” che metti in bocca a Veltroni.
Purtroppo siamo in Italia e le rendite di posizione non si mollano! (pessimismo della ragione).
Stasera a Sanremo la Legga chiedeva ai cittadini di firmare per “eliminare”i rumeni della città! Io combatterò !
@Roberto Bui
“passano la vita a rimarcare le distanze dai compagni di un tempo”
“Ma l’amor mio non muore…”
Passo la vita a provare a tenere insieme quello che ero con quello che ho capito dopo.
Altrimenti che ci faccio qui, a parlare con te?
“Passo la vita a provare a tenere insieme quello che ero con quello che ho capito dopo.”
O quel che avevi capito prima con quello che sei adesso?
Perchè sia ancora più chiaro il mio punto di vista (che non reclama alcuna chiusura autarchica) mi permetto di riportare qui ciò che ho già scritto altrove, circa la questione immigrazione-ordine pubblico.
Occorre dare una svolta alle politiche immigrazioniste, finora capaci solo di una sorta di alternanza isterica tra accoglienza noncurante e repressione cieca. Mi pare che le frontiere indiscriminatamente aperte e i rigurgiti razzisti siano destinati a rincorrersi, perchè i modi finora praticati di accoglienza non sembrano efficaci. La mia soluzione è in un’ipotesi di nuova politica, chiamiamola “comunitarista”.
L’errore più grande delle politiche immigrazioniste non è tanto nella quantità ma nella qualità: cioè nell’aver finto di ignorare che ognuno di quegli immigrati una volta in Italia avrebbe fatto riferimento alla comunità etnica o religiosa di appartenenza ben più e ben prima che alle istituzioni italiane. Perchè così sono fatti gli uomini, anche se il liberalismo e il socialismo non lo capiscono: prima che individuo o massa, l’uomo è membro di una famiglia. E se non si vuole che un familismo regressivo, mafioso o tribale, ne gestisca le pulsioni, occorre aiutare il migrante a costruire una comunità virtuosa, civilmente compatibile.
Prima di tutto: siano i suoi ad accoglierlo.
Legittimare una o più comunità di accoglienza, composte da membri integrati e autorità culturali o religiose della nazione di appartenenza, impegnandole a introdurre i nuovi venuti alla legalità. Scoraggiare o cassare gruppi o comitati non riconosciuti dallo Stato italiano.
Questo presuppone una comunità preesistente e già ben integrata. Se non esistesse?
Mi porrei seriamente il problema della compatibilità di un certo stile di vita che non ha ancora prodotto una integrazione legale con quello del paese ospitante. Per parlar chiaro, io non credo affatto che siano le sue caratteristiche etniche o le sue credenze religiose, ma la sua ostinazione a restare un parassita che vive di furto ed accattonaggio, a rendere indesiderabile un Rom, e la sua adesione a codici tribali più che al codice civile. Non credo che questo possa cambiare per pure iniziative individuali. L’integrazione deve nascere da una pedagogia sociale che gli giunge dalla sua comunità, quella di cui si fida, perchè essa stessa va responsabilizzata e costretta a posizioni chiare su questo ed altri punti.
Insomma riconoscere e valorizzare l’elemento comunitario di cui il migrante è portatore anzichè rimuoverlo o reprimerlo come fanno rispettivamente illuministi e reazionari, subordinandone la legittimità a una piena accettazione della civiltà giuridica su cui si fonda il nostro sistema di convivenza. Forse è il migliore possibile e forse no, ma è l’unico che consente di vivere qui.
Quello chi ero,sono e sarò …ho paura di ciò che posso diventare se mi dimentico chi ero ,sono e sarò…e sono cui per non dimenticare…
@ Beccalossi
le opzioni A e B sono esistenti (e anzi al governo), ma non coprono affatto l’intera sinistra. Ed anzi, sono due diversi modi in cui la sinistra moderata ha continuato a fare quello che faceva negli anni Ottanta: assumere le posizioni della destra cercando di interpretarle meglio (=il mondo non si può cambiare, solo amministrare). In entrambi i casi lo stato di cose esistente viene assunto come inevitabile, immodificabile, una sorta di ordine naturale: nel 2000, in una intervista, D’Alema rimasticò malamente il taoismo di cui si dichiarava lettore parlando di una politica che non si oppone al senso dell’essere, ma cerca di introdurvi impercettibili cambiamenti. Esiste, ed esisteva anche prima del 2001, un’altra sinistra, quella emersa con i movimenti anti-globalizzazone, quella di “un altro mondo è possibile”. Esistono, ed esistevano, studi critici anche prima del 2001: Bauman, Marazzi, Bonomi, Bifo, Wallenstein, Arrighi, per i quali era, ed è, doveroso e possibile opporsi allo stato di cose esistente, e modificarlo. Da piccolo mi hano insegnato che questo è il discrimine tra destra e sinistra, da grande continuo a pensarlo, chiuedendomi ogni volta: se la differenza non è questa, quale mai potrà essere?
Non è, la mia, una puntualizzazione oziosa: perché proprio in quegli autori che ho citato (dai quali sono partito, alcuni anni fa, quando ho cominciato ad occuparmi di globalizzazione) si trovano spiegazioni e cause del panico sociale che si manifesta oggi come paura dell’altro e chiede rssicurazioni, costino quel che costano.
@ Alessandro
parte dei testi e dei dibattiti che da una settimana circolano in rete, compreso questo appello, stanno viaggiando in Romania, e in rumeno vengono tradotti affinché i rumeni sappiano che in Italia c’è anche questo.
@ Wu Ming
mi pare che fai un casino con le seguenti categorie. Mi piacerebbe che mi definissi cosa intendi per:
a) neoliberismo;
b) sinistra utopica;
c) sinistra sociale;
d) chicago boys.
Vorrei anche che mi chiarissi i seguenti distingui:
a) neoliberismo vs sinistra utopica;
b) sinistra utopica vs sinistra sociale;
c) chicago boys vs papa boys;
d) neoliberismo vs liberalismo;
perchè a me risulta che bush figlio (visto che citi genova) non guardi troppo di buon occhio i cosiddeti “chicago boys” di friedmaniana memoria. e che nemmeno bill clinton (visto che citi seattle) fosse un fan dei sopra citati. mi risulta che da venti anni, fin dai tempi della sfida Dudakis-Bush del 1988, i presidenti americani abbiano un terrore folle di essere bollati come neo-liberisti (ovvero liberal, in inglese). e che solo in europa rimanga del fascino per il soggetto.
sulla sinistra sociale (in italia) che avrebbe fatto di tutto per evitare “la razzia delle privatizzazioni” sorvolo, rimandando magari ad altri post e ad altri più ampi spazi.
@ valter binaghi
“Scoraggiare o cassare gruppi o comitati non riconosciuti dallo Stato italiano”.
D’accordo, non solo per rumeni o rom o altri immigrati: anche per gli italiani. Peccato che lo Stato italiano abbia una abilità formidabile nel riconoscere soggetti, gruppi, comitati o partiti, specialmente quando non andrebbero riconosciuti.
Un saluto a Larissa. Dei romeni mi piace lo stile caustico. Battute pungenti e nichilismo che sfiora il sublime. Ho un debole per Emil Cioran. Costantin Brancusi è stato il primo a farmi intuire il senso dell’infinito. Con una semplice colonna. Insomma, cara Larissa, so chi sei…
@ girolamo
vorrei leggere su un blog italiano l’intervento di almeno un giovane intellettuale romeno. Così ci siamo Noi e Loro. Manca il ponte. L’odontotecnico…
un semplice grazie a Wu Ming 1, che (tra i promotori) sta motivando ogni passo in modo -per me- impeccabile. Con (in alcuni casi) davvero una pazienza certosina.
Spiace (a me almeno) che nell’appello manchi un accenno agli strumenti di come si scateni la paura. Dai media (e magari notare che certi telegiornali in alcuni servizi sono davvero responsabili di allevare i bassi istinti) dalla distorsione delle parole e slittamento semantico. Trucco usato da secoli, in ogni persecuzione (dai cristiani, passando agli ebrei, finendo a ROMeni…)
Aderisco, mi ci ficco!
Uno dei frutti marci del multicult l’ho sperimentato sia l’anno scorso che quest’anno in classe. A furia di dire che non esistono razze, che le culture sono tutte uguali (anche se poi ce ne sono sempre alcune che sono più uguali di altre), che italiani a romeni sono una faccia una razza e compagnia dicendo, vorrei segnalare l’atteggiamento sempre più crescente dei ragazzi figli di migranti che studiano nelle scuole italiane (si può dire italiane?). Costoro sempre più spesso si fanno scudo del multicult per ‘vittimizzarsi’, e quindi scampare all’interrogazione, scampare alla nota sul registro, accusare (spesso in modo sommario, ma anche in maniera furbetta) i loro compagnucci di albano laziale di essere razzisti, squadristi, eccetera, eccetera. Tutto questo egualitarismo calato come una clava su un istituto industriale, alberghiero, psicopedagogico, non fa altro che falsificare i rapporti (anche i rapporti di forza), tra gli studenti, consegnandoci ragazzi e ragazze sempre più divisi gli uni dagli altri, alla faccia di chi fa il propopopeo con le “destre culturaliste” (quelle almeno un’identità l’hanno riproposta, non l’hanno cancellata insieme al loro viso). Sia chiaro, nelle classi romane fioriscono sempre gli ultrà neonazi che piacciono tanto alla sinistra ribellista e banlieuttara, quelli che ao’ so’ della ‘llazio, ao’ dalli all’ ‘ebbreo, dalli alla ‘gguardia, a frocio negro de’ merda. Bellissimi sedicenni cresciuti allo stadio, che luogo ameno. Ma vi segnalo anche il fenomeno opposto, non saprei ancora come definirlo, fatto sta che questa studentessa albanese che ho conosciuto ieri sembra fiera di non avere libri di scuola, di oscillare sulla sedia rischiando di cadere e fratturarsi, e nell’arco di un paio d’ore è stata capace di accusare i suoi compagnucci di farla sentire nell’ordine straniera, ladra, ignorante, diversa, nonostante praticamente se la comandi all’interno nella classe, ma se la comanda proprio alla grande. E il preside che fa?, viene in classe, controlla il registro, parla di integrazione e dice che ci dobbiamo volere tutti bene. Bell’esempio di multicult de’ miei cojoni.
Sul Corriere 16 novembre 2007
Beccalossi, non scendo sul piano della tua giocosa provocazione, che vorrebbe costiparmi in un dedalo catalogatorio. “Sinistra utopica” è un concetto binaghiano, non mio: l’ho desunto dai suoi paralogismi. Su cosa sia il neoliberismo e su chi siano stati i Chicago Boys, beh, se a quest’altezza del 2007 ancora non lo sai, non basterebbe un mio commento per colmare la lacuna :-) Che nel mondo (soprattutto nel Sud del mondo) negli ultimi anni, spesso derisi e comunque inascoltati, si siano mossi movimenti, comitati, network di cittadini, sindacati di base, gruppi autoconvocati che si sono opposti alla privatizzazione dell’acqua, alla brevettazione di piante e sequenze genetiche da parte di multinazionali, alle politiche di Banca Mondiale e FMI, e che hanno chiesto riforme (vere, non controriforme come quelle liberiste) ed estensione dei diritti, beh, non è una cosa che mi invento io. Nel dibattito che ha attraversato il pianeta, Italia compresa, questa galassia è stata descritta, per capirsi, con l’espressione “sinistra sociale” (c’è pure un libro di Marco Revelli con quel titolo), poiché nata dal basso e il più delle volte estranea ai tradizionali meccanismi di rappresentanza politica, e anche teoricamente divergente rispetto agli approdi della sinistra del Novecento. Autori da leggere: John Holloway, Raul Zibechi, Jean Ziegler, Arundhati Roy, anche Naomi Klein, Walden Bello etc. Spiace un po’ vedere che c’è chi non si è accorto di questi sommovimenti, che pure non sono avvenuti in piccole nicchie di società… Pregi e difetti di quelle realtà avrebbero meritato maggiore attenzione da chi pretende poi di discutere di certi problemi, pionieristicamente segnalati proprio da chi non è mai caduto nell’illusione liberista… Ma vabbe’, pazienza.
@Wu Ming
Binaghi “come tutti i reazionari”, non ragiona ma “paralogizza”
Sinistra utopica no. Vogliamo dire denigratoria e boriosetta?
@Pelo
Wu Ming1 che bravo che è, l’intellettuale Einaudi che spiega a noi plebei con infinita pazienza. Ma ti rileggi quando scrivi?
Guarda che questo è servilismo, più che soggezione intellettuale.
The O.C., non figli di emigranti che studiano nelle scuole italiane, ma italo-qualcosa che studiano nelle strutture del paese dove sono nati e di cui hanno la cittadinanza. Adesso vi saluto. Il sabato spesa al Tesco, dove alla cassa ci sono un paio di donne che indossano il velo come fosse un semplice, delizioso vezzo.
ho firmato!
Buona domenica!
:-)
Valter, libero di pensarle come credi. Se non è un paralogismo (=ragionamento che da una data premessa trae una conclusione che non c’entra niente) partire dal falllimento della globalizzazione liberistica e poi arrivare a prendersela con una certa sinistra colpevole di “ignorare il fallimento di certe ricette” in favore di “un ulteriore rilancio utopico”… Utopia (cattiva, cattivissima utopia) era la credenza nella mano invisibile del mercato che poderosamente si regola da sé, senza bisogno di “interferenze” quali leggi, garanzie, limiti allo sviluppo, diritti sindacali. E su questo siamo d’accordo entrambi. Ma che poi ce la si prenda con quella parte di sinistra che tale utopia e tali “ricette” le ha sempre contrastate, avvisando che il loro fallimento era dietro l’angolo… Beh, insomma, questo è un paralogismo. E’ denigratorio constatarlo? E vabbe’, vorrà di’ che te denigro, amen!
Roberto, non farmi così scemo.
L’ineluttabile della globalizzazione sta in Marx prima che in Clinton. Globalizzazione del capitale e auspicato rovesciamento in rivoluzione globale. Uomini, comunità e tempo storico stanno nel mezzo di queste due gloriose apocalissi, come tra l’incudine e il martello.
E’ lì che mi metto io, il reazionario.
Mah, io lascerei fare, ogni realta’ locale se la sbrighi da se’ come meglio crede e riesce. Se emerge il lato-feccia italiano, cosi’ come se emerge quello integrativo, pazienza, quelli siamo localmente. Per dire, la Puglia e’ una macchia di leopardo, anche in provincia di Foggia (quella dei pomodori svelata dal giornalista dell’Espresso l’estate scorsa) dipende dal paesino nel quale finisci. Non mi preoccuperei molto, a livello di Stato, dell’accoglienza: l’immigrato modello si muove solo con un contratto di lavoro in mano; chi non ce l’ha, non dovrebbe aver diritto di entrare e stabilirsi, il resto e’ una conseguenza. Cio’ non significa libera ronda in libero Stato, ma che liddove l’ingresso non autorizzato crea un disequilibrio (vedi: lavavetri, ambulanti di merce contraffatta, ladruncoli, beggars in Foggia citta’, con Foggia citta’ nelle ultime cinque a livello nazionale per reddito pro-capite e qualita’ della vita), chi entra si espone alla lotta per le briciole con i molti e molti neopoveri italiani. Chiamatelo razzismo, ma e’ solo guerra tra miserabili.
Siamo globalizzati da sempre. Un tedesco usa i numeri arabi e l’alfabeto latino, mangia pizza napoletana e kebab turco. Prima ci si globalizzava via mare. Adesso via etere. Quanto al meticciato… Quello c’era già ai tempi dell’Impero Romano. Devo ricordarmi di comprare le spezie e il tè al supermarket.
… Un tedesco usa i numeri arabi …
e gli arabi usano i numeri indani :-)
ma pensa te com’è buffo il mondo ;-)
geo
Da una connessione volante (sono fuori milano):
Valter scrive, a Leo: “Wu Ming1 che bravo che è, l’intellettuale Einaudi che spiega a noi plebei con infinita pazienza. Ma ti rileggi quando scrivi?
Guarda che questo è servilismo, più che soggezione intellettuale.”
Ti dirò, non ho problemi a dimostrarmi un tappetino. Reputo WM1, per citare quel tale, “una delle migliori menti della mia generazione”, che di certo, però, non farà la fine di quei tali.
(a WM1, però: sappi che non sei solo. Ieri l’ho detto pure a Labranca!) ;-)
Mi chiedo che differenza passa tra promotore e adesore?
Tornano i “ firmaioli” della sinistra buonista per santificare i rom.
Di Ippolito Edmondo ferrario
Da il Secolo d’Italia, sabato 17 novembre 2007
Un manifesto in difesa dei rom fa discutere la sinistra milanese e non solo. Si tratta di un’iniziativa degli ultimi giorni, una petizione intitolata “Triangolo nero. Violenza, propaganda e deportazione. Un manifesto di scrittori e artisti contro la violenza su rom, rumeni e donne”. Le firme che compaiono in calce al manifesto appartengono a scrittori e giornalisti di fama: il giallista Gianni Biondillo, lo scrittore Enrico Brizzi, Tecla Dozio della libreria La Scherlokiana di Milano, lo scrittore Valerio Evangelisti, Gad Lerner, Franca Rame, Erri De Luca, carlo lucarelli e molti altri. Il testo prende le mosse dell’omicidio di Giovanna Reggiani paragonando la sua morte a quella di una donna rumena, anche lei violentata e ridotta in fin di vita da un uomo, anche se le due vittime non hanno pari dignità: “Della seconda-commentano gli intellettuali-non si sa nulla, nulla viene pubblicato sui giornali; della prima si deve sapere che è italiana, e che l’assassino non è un uomo, ma un rumeno o un rom”. Insomma si parte dalla tragedia di Tor di Quinto per farlo diventare l’evento scatenante di una criminalizzazione dei rom che francamente non c’è stata. Gli episodi di razzismo xenofobo sono stati per fortuna isolati né abbiamo assistito alle espulsioni di massa paventate da molti. Il manifesto tuttavia prosegue rivangando i temi più cari alla politica buonista del nostro Paese: “Su queste vicende si scatena un’allucinata criminalizzazione di massa. Colpevole uno, colpevoli tutti. Le forze dell’ordine sgomberano la baraccopoli in cui viveva l’assassino. Duecento persone, tra cui donne e bambini, sono gettate in mezzo a una strada. E poi? Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rumeni sono rom, tutti i rom sono ladri e assassini, tutti i ladri e gli assassini devono essere espulsi dall’Italia”.
Si continua così nelle facili generalizzazioni, evitando di fare i conti con anni di politiche di assoluto garantismo verso chi delinque e che hanno fatto diventare il nostro paese una meta ambita per orde di disperati tutt’altro che integrabili. Ma questo sembra importare poco agli intellettuali che, proseguendo nellaloro analisi della situazione, non potevano non ricorrere al vecchio quanto usurato spauracchio nazi-fascista associato all’allarme xenofobia:” Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente, nell’ex-Jugoslavia negli anni Novanta, in nome di una politica che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; che rende indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti e cause, mali e rimedi; che invoca al governo uomini forti e chiede ai cittadini di farsi sudditi obbedienti. Manca solo che qualcuno rispolveri dalle soffitte dell’intolleranza il triangolo nero degli asociali, il marchio d’infamia che i nazisti applicavano agli abiti dei rom. E non sembra che l’ultima Così, di fronte alla semplice richiesta di legalità che sale dal Paese al di là di ogni etichetta, i sottoscrittori dell’appello ricorrono al logoro luogo comune marxista dello sfruttamento: “Succede che sotto il tappeto dell’equazione rumeni-delinquenza si nasconde la polvere dello sfruttamento feroce del popolo rumeno. Sfruttamento nei cantieri, dove ogni giorno un operaio rumeno è vittima di un omicidio bianco. Sfruttamento sulle strade, dove trentamila donne rumene costrette a prostituirsi, metà delle quali sono minorenni, sono cedute alla malavita organizzata a italianissimi clienti…”
Si giunge infine a negare la stessa emergenza criminalità, un tema che sarebbe al centro di una colossale strumentalizzazione politica da parte della destra e della sinistra, per denunciare il fatto che le aggressioni fisiche e gli stupri che colpiscono le donne in un caso su quattro avvengono tra le pareti domestiche. Ancora una volta dunque assistiamo al fastidio tipico dei salotti di sinistra verso ciò che si muove nella realtà del Paese: si preferisce, da parte degli intellettuali di sinistra ancora buonisti e ancora non convertiti al neocattivismo della sinistra sceriffa, ingabbiare le dinamiche sociali in antichi schemi ottocenteschi finendo con l’alimentare proprio quel razzismo che a parole si vorrebbe esorcizzare. Sul manifesto abbiamo chiesto un parere a uno che non ha peli sulla lingua, il giallista milanese Andrea G.Pinketts, il quale innazitutto respinge la generalizzazione rumeni-rom e poi, pur condividendo l’appello contro le discriminazioni, aggiunge che “ i toni sono troppo politici, un po’ faziosi” e che “ la bandiera dell’antifascismo è vecchia e consunta” e non è dunque il caso di innalzarla. Di fronte a questa escalation criminale come credi che dovrebbe reagire lo stato?“Lo stato-osserva Pinketts- dovrebbe essere più agile quanto intollerante verso ogni forma di illegalità. Uno stato deve saper affrontare le emergenze mostrandosi inamovibile. La lunghezza di alcuni processi finisce per essere scambiata per inutilità e di conseguenza diventa un incentivo alla delinquenza. Tuttavia in proprosito lo scrittore è chiaro: “ Ma tra la legalità e la caccia alle streghe c’è una bella differenza. Il giustizialismo alla Bronson mi fa paura quanto l’assenza dello Stato.
@Biondillo
La mia stima per Wu Ming1 è tutta nel mio desiderio di farmi capire da lui.
Mi piace meno l’ammucchiata, e quelli che corrono in difesa del vincitore.
Che volete, sarà l’abitudine a fare il cane sciolto…
E’ vero il mercato porta con sé la tendenza all’oligopolio e al monopolio.
Tuttavia, la mano invisibile di Smith secondo me non è un’utopia, piuttosto una delle prime teorie economiche. Sappiamo come le teorie economiche tendano a schematizzare e semplificare troppo la realtà (del resto anche le teorie scientifiche propriamente dette sono semplificazioni falsificabili).
La ricetta economica comunista per altro è stata ancor più fallimentare. L’equazione marxista è stata tradotta in economia nelle forme più sbagliate, tanto che (l’economia comunista) non ha assolutamente risolto i problemi dell’alienazione del lavoratore, anzi. Anche perché l’utopia comunista non è mai uscita fuori dal concetto, comunque capitalistico, di produzione.
Che Marx poi abbia parlato del comunismo nei termini sovietici è tutto da dimostrare.
Ma quello che mi preme sottolineare è come necessariamente il liberismo debba essere, direi: governato.
Chi dice che liberismo debba coincidere con l’anarchia economica è colui che strumentalizza le parole per giungere al monopolio e al puro esercizio del potere.
Che gran parte dell’economia sia in mano alle multinazionali, è spacciato come liberismo dell’economia, ma non lo è, è debordamento del potere economico-politico. I monopoli multinazionali, sono tutto meno che liberali, lo stesso Berlusconi, nonostante si sia professato falsamente liberale, è uno che senza protezioni politiche non sarebbe mai andato così avanti, ed è un monopolista. Lo sappiamo bene.
Voglio dire che occorre distinguere ciò che è liberismo da quello che è sopruso camuffato.
L’esempio dei semi OGM brevettati o della politica delle multinazionali farmaceutiche non fa parte, a secondo me del liberismo, ma del ‘potere’ monopolistico, quello che poi alla fine, alla resa dei conti, ha bisogno del potere militare per mantenere il dominio.
Tuttavia mi esalta il fatto che oggi i popoli di paesi una volta arretrati possano, attraverso i meccanismi pur imperfetti del mercato, affacciarsi alla ribalta della ricchezza, e come questo inarrestabile processo ci metta finalmente in crisi. Ma auspico una crisi proficua di cambiamento.
Addirittura leggevo che la nuova frontiera dello sviluppo (dopo la Cina, l’India, il Brasile) sarà proprio l’Africa.
Si tratta di verificare la sostenibilità dello sviluppo globale (ma questo è un altro problema)
In sostanza, la ‘paura’, di cui si è parlato in questo dibattito, deriva da una indisponibilità al cambiamento e a mettersi in gioco fino in fondo. E’ la paura di ‘perdere’, senza apprezzare il fatto che, perdendo qualcosa (in particolare il privilegio di essere occidentali e dominatori del mondo), si acquista qualcos’altro e forse molto di più.
Non è un sogno romantico, né utopistico, è quello che sta accadendo.
Poiché nessuna ricetta economica è perfetta si tratta di scegliere quel meccanismo che mobiliti meglio le energie, favorisca l’interscambio, imponga il confronto, esiga un continuo ripensamento dei paradigmi. E’ chiaro che occorra un’incessante elaborazione teorica e una continua analisi.
Si pensi che oggi alcuni economisti stanno rivalutando come maggiormente efficace, rispetto al comportamento individualista, quello cooperativo (Sen).
La rivoluzione è dunque di ampia portata, investe le coscienze e deve vedere sì i problemi e le opportunità.
E’ una ginnastica mentale che mi affascina e che voglio fare mia.
E’ questo che intendo come liberismo.
@ OC
I promotori hanno promosso, cioè in concreto hanno discusso, scritto e riscritto il manifesto finché non è sembrato abbastanza buono, e messo su uno straccio di coordinamento per diffonderlo, gli aderenti (adesori?) hanno aderito all’appello ricevuto prima che fosse diffuso pubblicamente.
@ Pelo
C’è più di qualche cosa che andrrebbe aggiunto, sottolineato ulteriormente, ecc. ad es. la violenza omofoba, come è stato ricordato): ma ad ogni revisione il manifesto cresceva, e a un certo punto bisognava fermarci, sennò diventava un libro. Ma fai/fate bene ad aggiungere: lo scopo del manifesto è anche quello di aprire una discussione, enuovi temi la arricchiscono.
@ l’esimio giornalista del Secolo d’Italia che denuncia anni di lassismo (qualcuno lo informi che per 5 anni hanno governato loro, per favore)
non so se mi leggerà (sapranno usare i feed al Secolo?), ma terrei a fargli sapere che, benché anch’io autore Einaudi, non ho un salotto, il mio studio è sotto il soppalco della camera da letto/lavoro/libreria, e il divano nell’altra camera è il letto di mia figlia. Ma se pure vincessi lo Strega e vendesi 200.000 copie e venissi invitato sul fuoribordo del sindaco per il fine settimana e potessi comperarmi il villino a due piani davanti al quale passo ogni giorno da due anni, cambierebbe qualcosa? I rom diventano più o meno delinquenti se passo da due a tre stanze? I rumeni sono più buoni o più cattivi se la sera vado all’after hour invece di cucinarmi gli spaghetti in casa?
Da un punto di vista politico, la legge 482 sulla tutela delle minoranze linguistiche e culturali ha escluso l’etnia rom e sinta da questo riconoscimento. All’interno del popolo italiano ci sono molti italiani di etnia rom e sinti; sono persone con le quali dialoghiamo ogni giorno ma alle quali non è riconosciuto di appartenere ad una cultura e di avere una lingua antica e tuttora in uso. E’ per fortuna prevista l’integrazione della legge e l’inserimento dell’etnia rom tra le minoranze linguistiche e culturali.
Dal punto di vista culturale, ci sono ancora molti stereotipi legati al mondo rom e sinti. E poi bisogna dire che la scarsa conoscenza dipende anche dal fatto che la lingua romanès è una lingua parlata e che questa lingua ha col tempo acquisito sfumature e dialetti diversi.
Dal punto di vista economico, è forse venuta meno la piccola economia su cui si è sempre basata la sopravvivenza delle famiglie rom e sinte; le giostre sono state per la maggior parte soppiantate da grandi parchi di divertimento, i mestieri di calderari non sono più come un tempo; inoltre molte ordinanze hanno limitato non solo la circolazione dei rom stranieri e italiani all’interno dei confini dello stato, ma hanno anche limitato le loro possibilità di lavoro.
Queste non sono solo mie impressioni ma sono cose di cui mi sono interessato sul mio blog, e questa petizione l’ho sottoscritta più che volentieri.
Carlo64
Valter, il problema è proprio quello, secondo te non può esistere un cosmopolitismo della liberazione, ma solo un cosmopolitismo dell’alienazione. E’ su questo che non sono d’accordo. E il nodo teorico sta proprio nelle differenti interpretazioni della supposta “dialettica dell’illuminismo”, ma quando ho provato a parlarne mi hai detto che ti facevo la lezioncina! :-))) E’ chiaro che tu, da quando ti sei convertito, stai avendo un momento di reazione totale a tutto ciò che segue l’illuminismo e la rivoluzione francese. Io su questo non ti seguo, che ci posso fare? Non mi convince. Non mi convince proprio. Detto questo, amici come prima. O no? :-/
‘della costipazione e del populismo’
caro Wu Ming
quella che tu chiami “costipazione in un dedalo catalogatorio”, io la chiamo precisione nell’analisi, esattezza nelle definizioni, capacità di distinguere, volontà di discernere, ed assenza di preconcetti, del cuore prima ancora che del cervello. E’ un compito duro, sfigato, che non fa troppi fan nè troppi lettori: per questo non faccio lo scrittore. Pazienza. Per i tuoi timori di costipazione conosco un idraulico liquido; è pure polacco, oltre che illuminista, dunque adeguato con quanto stiamo promuovendo qui (su cui, è il caso di ribadire, siamo entrambi d’accordo).
per quanto riguarda il neo-liberismo, quello su cui mi premeva fare chiarezza era il fatto che da diversi anni, ormai, le sue ricette non vengono nemmeno più prese in considerazione nella “patria” del liberalism, ovvero negli Stati Uniti. Questa è una cosa che spesso passa in secondo piano. Ma basterebbe sforzarsi di analizzare la politica economica e finanziaria di Bush per rendersene conto. a patto di non avere paura di rimanere costipati. :-)
per quanto riguarda i movimenti “derisi e inascoltati” (ma quelli veri, del Sud, come dici tu), che, ahimè, mi sarebbero sfuggiti all’attenzione, sappi che quei comitati li ho conosciuti da vicino, avendo vissuto per un bel po’ di tempo in uno di quei paesi del secondo o terzo mondo vittime “del FMI e del neo-liberismo”. L’argentina, proprio durante la crisi del 2001-2002. E pur partendo con le migliori intenzioni mi sono reso conto anche dei tanti danni che ha fatto, in loco, quella sinistra sociale movimentista a cui ti riferisci (assieme ai benefici, ovvio). Ad esempio con iniziative come quella del trueque: “la banca e il mercato dei popoli”, così abile nel gonfiare cuori e bandiere quanto capace di svuotare i portafogli dei poveri cristi già sul lastrico per colpa altrui.
Quella stessa “sinistra sociale” che accolse con fragore l’elezione del “nuovo” e “sostenibile” Kirchner e che ora accetta con indifferenza le distruzioni di massa imposte dalla coltivazioni di soia, perchè bisogna pur sempre mangiare, anche se nel piatto del libero mercato.
Perchè a me sembra che ogni tanto, in questo mondo (e paese) di paralogismi e di paraculi, pur di evitare “la costipazione del dedalo catalogatorio”, si finisca per ritornare un po’ tutti quanti populisti, amanti del populismo e dei leader populisti. ma tant’è:
il leader populista funziona anche in libreria. peccato non abbia lo stesso effetto con sifoni e lavandini.
Amici Roberto, e anche di più: ricercatori. Per capirci ancora meglio, la svolta storica per me non è l’Illuminismo ma il Seicento della rivoluzione scientifica, dello Stato assolutistico che dissolve i corpi intermedi, delle enclosures che annullano gli usi civici, del sessismo che fagocita il genere.
La macchina razional-burocratico-industrial-militare che amministrra l’uomo in condizioni di scarsità di informazioni, di risorse e di diritti. I miei autori sono Illich, Lasch, Polanyi. Non Evola, giusto per precisare.
Speso si comincia così, si sottovalutano i gesti anche se hanno simboli ben precisi, sono ragazzi ( indipendentemente dall’età ) nelle curve degli stadi si mandano invettive, ma sono solo, battute da stadio, non sono razzisti.
Si comincia sempre così, ho assistito ad un incidente stradale, un immigrato è stato investito, il commento della gente…. Si, ma era solo uno straniero, andiamo avanti così….
Valter, detto da uno che spesso ti ha dato addosso (a volte esagerando): un conto è essere reazionari, nel senso non offensivo del termine, altro conto è Evola. Insomma, mica sei un cretino! :-) (e infatti mica Rai2 ti offre un posto come redattore culturale, dal momento che non sei evoliano)
(Poi hai ragione, anche secondo me il Seicento è il secolo dirimente: purtroppo temo che anche sul Secolo di ferro io e te siamo come Titti e Silvestro)
eh, beccalossi, tu non sei antipatico, però fai un po’ troppo il furbetto pensando di avere di fronte uno sprovveduto :-)
I neoliberisti sono contro il dirigismo soltanto a parole, in realtà lo praticano quanto e più degli altri. E’ il dirigismo a sostegno del forte, delle corporations.
[Quando mai il mercato è stato… libero? Mai. Non si è mai dato, in nessuna formazione sociale della storia, un mercato che si autoregolasse senza l’intervento di fattori esterni. Quella della “mano invisibile” è una mistica, fa parte di un corpus di miti come la storiella delle capre e dei cani sull’isola, o la favola delle api di Mandeville etc.]
L’espressione “libero mercato”, tradotta dal gergo post-friedmaniano e FMIista significa:
“I padroni del mercato devono essere liberi di fare quel cazzo che gli pare, e lo stato deve fare il possibile per agevolarli e tenere a bada rompicoglioni anche potenziali”.
Quindi lo stato deve “alleggerirsi” dei suoi aspetti più solidali (pardon, “assistenziali”), legiferare in modo da rimuovere “lacci e lacciuoli”, tagliare le tasse ai ricchi, seguire le ricette (dirigiste) di organismi sovrastatali (come la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio etc.) e, soprattutto, gestire il conflitto inevitabilmente scatenato dall’applicazione di tali ricette.
Quindi lo stato ce l’ha eccome, un ruolo, all’interno dello schema neoliberista. Anzi, ne ha più d’uno, non ultimo quello di gendarme (mi limito a dire “non ultimo”, ma secondo certi studiosi è addirittura quello principale).
E infatti il paese dell’esperimento neo-liberista par excellence, quello su cui i Chicago Boys si scatenarono come e più degli architetti postmoderni a Barcelona, è… (rullo di tamburi) il Cile di Pinochet. Quello è il case study portato all’occhiello dai nipotini di Milton. Il… “miracolo economico” cileno.
Ragion per cui, il fatto che l’amministrazione Bush sia fortemente “interventista” in economia non è per nulla in contraddizione con la professata fede nel libero mercato. Il “dirigismo da warfare state” non è minimamente in contraddizione con l’ideologia neoliberista.
Riguardo al resto, mi dispiace che tu ti sia trovato male in Argentina, mi dispiace sinceramente. Ma non vedo perché un tuo disagio personale debba portarmi a definire spregiativamente come “populisti” i comitati di cittadini indiani che lottano perché il governo indiano non riconosca la proprietà intellettuale di Novartis su un farmaco salvavita per leucemici chiamato Glivec… E’ solo uno dei mille e mille esempi di gruppi, comitati, movimenti che, non da ieri, mettono in discussione i capisaldi di quel turbo-capitalismo e di quella globalizzazione a senso unico (capitali liberi, esseri umani nei CPT e affini) che oggi non riesce più a nascondere la polvere sotto il tappeto.
Valter e Girolamo: sapete bene quanto me che in ogni ricostruzione storica seria della genesi dell’Illuminismo il Seicento di Spinoza, Newton et alii e il Settecento dell’Encyclopèdie fanno parte di un unico continuum (non lineare, certo).
Dopodiché, Valter: Illich e Polanyi sono anche miei autori di riferimento (Polanyi puoi vederlo in traluce in quasi tutti i miei commenti di questo thread, non ultima la mia replica a beccalossi su “libero mercato” etc.). Ma in nessuno di questi autori ho mai trovato incitazioni a gettare via, assieme all’acqua sporca della ragione utilitaria e strumentale, anche il bimbo della razionalità emancipativa. Io non credo che ammettendo l’importanza delle opere di Diderot o D’Alembert si precipiti giù per la china che porta dritti al Fondo Monetario Internazionale, all’imperialismo, al colonialismo e a Guantanamo. Queste sono stupide riduzioni di complessità, sono “protesi riduttive” che sostituiscono un’analisi seria del rapporto tra pensiero e società. Se oggi stiamo qui a discutere e argomentare senza farne una guerra di religione e potendo permetterci di rimanere ciascuno della propria opinione è anche merito (o colpa) di Newton, Spinoza, Cartesio, Hume, Locke, Hélvetius, Condorcet, Voltaire e tutti gli altri.
Ciao Girolamo. Titti e Silvestro comunque fanno un bel cartone.
Mia figlia non riesce ancora a dire “Silvestro” e allora lo chiama “Gatto Silverio”. E a me viene in mente Corvisieri…
Così, per tornare al tema. Nel mondo pre-industriale (che non significa alieno dall’industria, ma dove il modo di produzione industriale non è ancora divenuto egemone) i Rom avevano un loro statuto sociale: calderai, allevatori di cavalli, ecc. La decadenza di questi mestieri ha trasformato il nomade in parassita. E non l’ho scritto io che se Marx l’avesse avuta vinta avrebbe trasformato il mondo in una fabbrica.
Valter, ultima poi chiudo qui altrimenti diventa tutto troppo accademico: il Marx degli ultimi anni, quello della “Lettera a Vera Zasulich”, quello dei “Taccuini etnologici”, quello dell’interesse per il comunismo primitivo, per la comune contadina russa, per le ricerche di Morgan sugli Irochesi… Ecco, quello non è il Marx che dici tu, anzi, è un Marx radicalmente diverso, è quello della comunità umana che può realizzarsi e diventare comunismo anche senza il passaggio intermedio al capitalismo. Io ci ho fatto la tesi di laurea, (anche) su questo. Da quel Marx, scoperto gradualmente nella seconda metà del Ventesimo secolo grazie alle edizioni critiche di inediti e appunti, partono filoni di pensiero misconosciuti anche all’interno della sinistra (penso alla rivista “Invariance” di Camatte). Eppure, nemmeno *quel* Marx getta il bimbo con l’acqua sporca. Non c’è nessun buttare alle ortiche l’illuminismo. Ecco, Valter, per il tuo “ritorno a Marx”, ti consiglio *quel* Marx. Ciao.
vi chiedo cortesemente, se potete e condividete, di partecipare e diffondere.
Grazie
24.11.2007 ore 14:00 – 24.11.2007 ore 00:00
Incontro
Contro la violenza sulle donne
In occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle Donne, l’assemblea di singole donne e di realtà associative femminili, femministe e lesbiche, provenienti da tutta Italia, che si sono riunite in assemblea pubblica domenica 21 ottobre a Roma presso la Casa Internazionale delle Donne, sulla base dell’appello diffuso dal sito http://www.controviolenzadonne.org hanno indetto una
MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA
SABATO 24 NOVEMBRE 2007–ORE 14–PARTENZA DA PIAZZA DELLA REPUBBLICA
L’Assemblea ha denunciato le continue violenze e gli assassini che avvengono in contesti familiari da parte di padri, fidanzati, mariti, ex e conoscenti. La violenza contro le donne viene attiribuita alla devianza di singoli, mentre avviene principalmente all’interno del nucleo familiare dove si strutturano i rapporti di potere e di dipendenza.
L’aggresività maschile è stata riconsciuta (dati Onu) come la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne in tutto il mondo. L’Assemblea ha sottolineato come il tema, soprattutto in Italia, continua a essere trattato dai mezzi di informazione come cronaca pura, avallando la tesi che sia qualcosa di ineluttabile, mentre si tratta di un grave arretramento della relazione uomo donna.
L’Assemblea ha richiesto con forza che il tema non venga ricondotto, come si sostiene da più parti, a un problema di sicurezza delle città o di ordine pubblico. La violenza sulle donne non potrà essere sconfitta attraverso scorciatoie legislative e provvedimenti solo di stampo repressivo.
La violenza maschile non conosce differenze di classe, etnia, cultura e religione e senza un reale cambiamento culturale e politico che sconfigga una volta per tutte patriarcato e maschilismo non può esserci salto di civiltà.
Tutte le donne e le realtà associative presenti all’Assemblea del 21 ottobre hanno unanimemente stabilito di prendere la parola in piazza SABATO 24 NOVEMBRE a Roma per affermare, non come vittime ma come protagoniste, la libertà di decidere delle proprie vite nel pubblico e nel privato, ribadendo l’autodeterminazione e la forza delle pratiche politiche femminili e femministe.
Per firmare l’appello http://www.controviolenzadonne.org
Inizierei con la storia di Mircea Spiridon, operaio 32 anne padre di tre figli, sepolto sotto il crollo di una palazzina di 5 piani a Torre di Gaffe, tra Palma di Montichiano e Licata, nell’ Agrigentino. Abbandonato per tre giorni in mezzo alle macerie (i titolari dell’ impresa che stava eseguendo i lavori nello stabile avevano dichiarato alla polizia che non c’ era nessun operaio sotto le macerie, in quanto Spiridon lavorava in nero e non si voleva denunciarne la presenza…) e ritrovato solo grazie al fiuto di due cani dei vigili del fuoco, Falco e Kyra, evidentemente molto più civili e coraggiosi di tanti imprenditori edili italiani…
Proseguirei con la vicenda esemplare di Danut Milea, uno stalliere ucciso il 22 aprile del 2006 a Padru, in Sardegna. Mario Nieddu, Il titolare dell’ agriturismo “Il cavallino”, in cui il rumeno lavorava, era rimasto impressionato dalle sue capacità lavorative e voleva assumerlo per la somma di 600 euro al mese, più vitto e alloggio. Una cifra ridicola per molti italiani, ma che avrebbe fatto perdere del denaro a tre collaboratori occasionali del “Cavallino”. Per questa ragione i tre italianissimi macellai lo hanno prelevato di notte, in pigiama, legato mani e piedi in mezzo a un campo e lo hanno ucciso con due colpi di pistola, uno alla schiena e uno alla tempia. Sembra che nelle intercettazioni telefoniche i tre galantuomini sardi parlassero di “punire lo straniero invasore”…
Vorrei procedere, per rimanere in tema di sicurezza e lavoro, con la storia di Bogdan Mihalcea, travolto da un’ ondata di piena mentre svolgeva la manutenzione di un condotto sotterraneo. Sarebbe stato sufficiente che l’ azienda per cui lavorava (in nero) gli fornisse una qualche forma di imbracatura perché Bogdan non finisse affogato nelle fogne. La madre della vittima, dopo sedici mesi, aspetta ancora un risarcimento…
Potrei continuare poi con la storia di Carmen Liliana Moldoveanu, ricercatrice universitaria uccisa con quaranta martellate nel sonno dal marito Giancarlo Serri, Professore Universitario presso l’ Università di Parma. Dopo essere stato assolto dal delitto perché totalmente infermo di mente il docente ha pensato bene di chiedere un sussidio e l’ eredità della moglie defunta: in base allo statuto dell’ Università Parmense in caso di invalidità, incidente o morte di un dipendente, i parenti hanno diritto a un sussidio una tantum, nel caso specifico di 1800 euro…
La famiglia rumena della vittima si è leggermente indignata…
Per finire, anche se non c’ entra con il mondo del lavoro, citerei il caso di Iuliana Panteleimon, gettata sotto la metropolitana di Roma dalla studentessa Miriam Garbini (25 anni). Pare che anche la studentessa Garbini sarà dichiarata inferma di mente, come il professore universitario di Parma che forse era suo docente, in quanto ha detto di avere ucciso la rumena perché “delle voci” nella sua testa gli hanno detto di farlo…
Ci si chiede a questo punto se anche per Romulus Mailat verrà invocata l’ infermità mentale…
Questo post è dedicato innanzitutto a Giovanna Reggiani e a tutte le altre vittime della criminalità rumena… oltre che a Mircea, Danut, Bogdan, Carmen, Iuliana… e a tutti i martiri dell’ insicurezza e della ingiustizia italiana, di qualunque nazionalità, razza, sesso, religione essi siano.
invece tu Wu Ming mi stai un po’ sulle balle, ad essere sincero, per quanto non ti conosca. Ma non cambia granchè le cose: non sono qui per trovare amici ma per scambiare idee (e in questo mi sembri ben dotato, complimenti).
Ma, secondo me, ti stai ancora confondendo. Prima però di spiegarti perchè, una premessa: non sono l’apologo del neoliberismo, e nemmeno l’avvocato del libero mercato. Mi interessa solo fare chiarezza. Detto ciò: la scuola neoliberista non appoggerebbe mai finanziamenti alle industrie di stato, nè le restrizioni al commercio, di capitali o beni. Rileggere Friedman, se non Hayek, e il resto dei compari. La politica economica di Bush sul tema (dal finanziamento alle big corps alle restrizioni a difesa di alcuni mercati e industrie, come quella dell’acciaio) è talmente lontana da quelle posizioni che non so come tu possa definirla neo-liberista.
La tua confusione la imputo proprio alla retorica di un certo movimento che confonde tutto e tutti, facendo di tutti i nemici (che magari pure si odiano), un Grande Impero del Male (tra Toni Negri e Guerre Stellari). Quando *tutti* i nemici diventano *uno*, questo *uno* assume ciascuna delle proprietà che erano dei *tutti*: ed ecco quindi che l’impero è al contempo statalista e neoliberista, centralista e privatizzatore, leggero e pesante. Again, discernere please (farebbe comodo non solo all’onestà intellettuale, ma forse pure per sconfiggerlo, quel nemico).
Il Cile si, fu neoliberista: si aprì tutto il possibile, e si privatizzò tutto. Ad eccezione dell’industria del rame, che rimase allo Stato. E a conferma della mia idea fu il fatto che ciò comportò una seria rottura nei rapporti tra Pinochet e il ministro delle finanze Sergio De Castro (che era un Chicago Boy).
Per quanto riguarda l’Argentina, quello da me visto nei comitati di quartiere e nei movimenti della sinistra sociale non ha comportato alcun disagio: quanto detto nel mio precedente post (senza cercare di tediare nessuno) era un’esperienza che non si limitava all’adesione accorata a una causa in apparenza giusta ma cercava di capirne anche punti deboli e side effects.
Solo la retorica dell’impero (che accomuna te, gli altri pseudo-indiani, i no-global così come Bush e i suoi amici) è capace di annullare i colori. Anche se portatori di una bandiera arcobaleno, a furia di pensare che il nemico sia soltanto *uno* si finisce per colorare tutto di nero.
Libro difficile. Se solo aveste letto a suo tempo Lo scambio simbolico e la morte di Jean Baudrillard, non stareste qui a fare chiacchiere televisive, sognando il salottino dell’Italia sul Due. O un’intervista barbarica dalla Bignardi.
Quanto ai Rom… Il loro status era quello di gitani. Oggi siamo tutti zingari. Sono il nostro spettro. Mendicanti nell’India dei Maraja.
Che l’Italia poi attacchi ciclicamente gli stranieri la dice lunga sul suo lento ed inesorabile declassamento ed isolamento internazionale.
Il discettare di Wu Mingh 1 è tendenzialmente terzomondista. Nel nostro paese è giusto che abbia il suo spazio. Temini da liceali ai primi mestrui.
Ah, ecco, doveva pur arrivare l’attacco ai perfidi “no-global”, il ritardo era inspiegabile ;-)
Ribadisco: poiché il libero mercato non è mai esistito da nessuna parte e in nessuna epoca, la teoria liberista va letta come mito, con gli strumenti che si usano per interpretare il mito.
Non è mai esistita un’applicazione integrale e coerente della teoria neoliberista pura, poiché tale applicazione è impossibile.
E’ impossibile perché la teoria economica liberista si basa su assiomi che non reggono la prova della realtà, e ha come soggetti protagonisti esseri umani astratti, sempre perfettamente informati dell’andamento dei mercati, sempre in possesso degli strumenti per comparare i prezzi e trovare quello più vantaggioso etc. L’informazione fluisce sempre senza alcun intoppo, ogni decisione presa in base a tale informazione è la più razionale possibile.
E’ chiaro che nella realtà le cose non funzionano così, mai. Tra l’altro, anche le ricerche di neuroeconomia stanno demolendo alle fondamenta l’assioma che gli esseri umani prendano decisioni principalmente in base al vantaggio che ne trarranno. C’era un bell’articolo anche su “Le monde diplomatique” (bieco organo dei no-global) qualche tempo fa.
E allora ha poco rilievo la tua contestazione che la tal politica concreta o la tal altra non era pienamente coerente con la teoria liberista e quindi la parola “liberista” viene usata a sproposito. Ha poco rilievo perché la teoria liberista è puro mito, e le traduzioni in prassi del mito non possono avere coerenza. Il mito è ispirante, non normativo.
Il fatto che l’industria del rame cilena sia rimasta in mano pubblica cosa dovrebbe significare? Che il Cile non era *perfettamente* liberista? Nessuno lo è mai stato, perché è impossibile.
Quando il non compianto Friedman rimbrottava questa o quella “deviazione” dalla purezza della sua teoria, svolgeva il ruolo del vecchio zio che ogni tanto fa il Savonarola e inveisce. Lo si ascoltava con un misto di reverenza e compatimento. La differenza tra un economista e uno che gestisce l’economia reale è questa: il secondo sa bene che la teoria non copre tutta la prassi.
Però quando nel dibattito pubblico si parla di “neoliberismo” non si intende la teoria pura, bensì le applicazioni spurie. Perché ciò che è puro non fa parte della realtà, ciò che è spurio *è* la realtà. Per “neoliberismo” si intendono le ricette economiche che privilegiano deregulation, privatizzazioni di settori strategici (e di servizi in precedenza erogati dallo stato), drastici tagli alla spesa pubblica, defiscalizzazione, indebolimento dei sindacati, abbattimento delle “barriere tecniche” al commercio etc.
Non è una definizione “pura”? E chissenefrega. E’ una definizione pratica.
In Romania parlano di noi. Niciun popor nu este infractor!
http://tinyurl.com/34eawq
Sì, e adesso dopo il temino, a schiacciarti le bolle. Finanziarie. Non ci si può più fidare neanche delle quotazioni di Van Gogh.
Se quel Van Gogh è il regista Theo, personalmente lo quoto ben poco. Ciao, esco.
Anch’io. Ciau.
@ Wu Ming 1
ho tentato di inserirmi alcune volte senza successo, non è facile. Mi scuso ma ci riprovo.
Propendo per il neoliberismo (s’era capito?).
Volevo aggiungere solo che il principio utilitaristico è solo uno dei modelli della teoria economica capitalistica. Anche il concetto di razionalità è stato ampiamente rivisitato, come pure quello delle ‘preferenze’, oggi si parla anche di metapreferenze, ecc.ecc.
Credo che una sostanziale differenza possa consistere nel credere o meno che esista un meccanismo (da tenere sotto controllo, chiaro) secondo cui gli individui regolano abbastanza liberamente la loro attività, contribuendo ad accrescere il benessere collettivo, oppure ciò sia possibile solo attraverso un sistema più o meno coercitivo che imponga regole di produzione a individui incapaci di fare altrimenti senza far danni.
Mi spieghi qual’è il tuo modello economico di rifierimento?
Scusami, Beppe, non ti avevo proprio visto. Ora vado di fretta, magari un giorno proseguiremo in privato. Solo due cose:
1. Non credo di avere un modello economico “di riferimento”. Non so nemmeno bene cosa significhi, avere un modello economico di riferimento.
Intendi una teoria economica che spieghi tutto?
O un ideale di come dovrebbero andare le cose?
Nel primo caso la risposta è: no, non ce l’ho.
Nel secondo caso la risposta è: come tutti, mi auspico delle cose (la cooperazione tra liberi ed eguali, il mutuo appoggio etc.) e non me ne auspico delle altre (lo sfruttamento, i soprusi, le grassazioni).
Esercito in piena libertà una critica dei miti e delle ideologie. Giudico la credenza in un mercato in grado di autoregolarsi una credenza chimerica e pericolosa, com’era una credenza chimerica e pericolosa quella della futura estinzione dello stato attraverso la statalizzazione di tutto quanto. Trappole della dialettica.
2. Non mi convince, non può convincermi la dicotomia che poni come premessa. E’ chiaro che, posta così, uno sceglie sempre il primo dei due termini: chi diamine sceglierebbe mai un sistema coercitivo? Chi non vuole credere che gli esseri umani possano gestirsi da soli e responsabilmente? Solo che, Beppe, secondo me ci sono più cose e idee tra quei due estremi di quante possa mai contenerne la cornice in cui li hai inquadrati. Io mi auspico con tutte le forze che gli umani possano cooperare tra loro nelle migliori condizioni. Però l’etologia umana e l’esperienza vissuta ci insegnano che gli umani non sono “buoni di natura”, né li spinga unicamente la razionalità.
Ecco, diciamo che si potrebbe riformulare il discorso spostando un po’ di enfasi (nel senso di “accento”) da “esista un meccanismo” a un’altra frase, quella che hai messo tra parentesi “da tenere sotto controllo, è chiaro”. Pensiamola fuori dalla parentesi, quella frase. E poi: “abbastanza liberamente”. E’ evidente che tu ti sei concentrato su “liberamente”. Per come sono fatto io, mi intriga di più riflettere sull’altro avverbio, “abbastanza” :-)
Scappo, ciao e grazie degli stimoli.
grazie a te Wu
Per come la vedo io, parlare di economia significa parlare di relazioni. Individui, comunità, movimenti, sono soggetti. L’onnipotenza del mercato (vera o presunta) e anche la statalizzazione dei mezzi produttivi, presuppone la riduzione del soggetto ad individuo, spogliato delle tutele che la comunità gli offre ma anche liberato dai vincoli che la comunità gli impone. La mia “critica della ragione storicamente egemone” (che si voglia definire illuministica o no), parte da qui, incontrando ad esempio un testo fondamentale come “Il Paradiso in terra” di Christopher Lasch, che mostra come l’unica vera opposizione al capitalismo industriale venne da istanze comunitariste, mentre il socialismo marxista finì per legittimarlo (per una sorta di eterogenesi dei fini, certo) perchè ne condivideva l’ineluttabile egemonia. Questo ultimo Marx che segnala Wu Ming1 non lo conosco e m’interessa, di sicuro.
l’argomentazione della teoria che, nella prassi, diventa spuria è propria pure di altri ismi, compreso, e innanzitutto, il marxismo.
parafrasandoti, ecco dunque la differenza tra uno di sinistra e uno di sinistra che gestisce la politica reale: il secondo sa bene che la teoria non copre tutta la prassi.
questo risponde a molte domande/riflessioni che avevo suggerito in precedenza. molto più di altro. e credo conforti molto il valter (non il binaghi).
che tu lo chiami neoliberismo o fjsèojfbb non fa differenza. ma chiamalo così quando è davvero così. ad esempio, dai un elenco di ricette neoliberiste che l’ultimo bush, che a te piace chiamare “neoliberista”, ha proprio ignorato (eccetto qualche taglio alla spesa).
per il resto siamo d’accordo: la teoria economica si fonda sui mercati ad informazione perfetta. ma l’informazione non è mai perfetta e anzi credo che la non-perfetta informazione (cioè le notizie solo per pochi) siano il motore dei mercati.
ciao, ti saluto. alla prossima
scusate dove devo firmare? Purtroppo il razzismo oggi è combattuto solo da antifascisti e antirazzisti… come se non riguardasse tutto il mondo… come se ognuno di noi, nel proprio piccolo, non avesse mai subito un atteggiamento di prevaricazione.
Ho l’impressione che fin dall’inizio fossimo più d’accordo di quanto ci sembrasse (uff, i congiuntivi imperfetti…) Ad esempio, ho ben poco da eccepire sul tuo ultimo commento. Certo, quel che ho detto per il liberismo vale anche per gli altri “ismi”, per questo mi interessano gli “ismi” in termini di mitologia e mitopoiesi. Per il resto, esiste un uso dell’espressione “neoliberista” che pone l’accento su un’egemonia culturale, una mentalità, una serie di assunti, riflessi condizionati e “frames” che inchiavardano ogni discorso sull’economia. Vogliamo distinguere tra “neoliberismo in senso stretto” (la teoria di Friedman e soci nella sua formulazione pura) e “neoliberismo in senso lato” (l’insieme delle “ricette” elencate qualche commento fa)? Non farei dispute nominalistiche, è come quando si parla di “copyleft” come insieme di pratiche che usano il copyright per garantire la libera riproduzione anziché per ostacolarla, e arriva qualche “purista” che dice: “No, un’opera è copyleft solo se la licenza sotto cui è rilasciata è GPL o GFDL!” Peccato che quando si parla di copyleft si intenda quasi sempre l’espressione in senso lato, e quella in senso stretto stia entrando in disuso. Quanto all’amministrazione Bush: l’accelerazione della tendenza a “privatizzare la guerra” impiegando agenzie di contractors tipo Blackwater (e poi subendo il contraccolpo quanto tali contractors ammazzano i civili) è conseguenza dell’ideologia e dell’egemonia culturale di cui parlo. Consiglio un libro uscito da poco, “Are We Rome?” di Cullen Murphy, c’è un intero capitolo dedicato alle conseguenze nefaste della privatizzazione, con uno stimolante parallelo tra impero romano e impero USA: secondo molti storici il primo fu disintegrato dalle privatizzazioni. Ah, il capitolo si apre con un dialogo dal film “Syriana” in cui un lobbista di Washington cita Milton Friedman! :-) Comunque, cazzo, è stata una bella discussione. Faticosa ma bella. Bella ma faticosa. Grazie.
Ciao Maria, c’è un link in calce all’appello, subito prima del blocco di firme.
@ Valter
« l’unica vera opposizione al capitalismo industriale venne da istanze comunitariste, mentre il socialismo marxista finì per legittimarlo (per una sorta di eterogenesi dei fini, certo) perchè ne condivideva l’ineluttabile egemonia».
Permettimi di notare che non il socialismo marxista, ma il cosiddetto DiaMat, cioè la versione sovietica, o sovietizzata, del marxismo (Lenin o Stalin, fai tu, in Italia e Spagna entrambi significano Togliatti). Marx non parte dall’ineluttabilità dello “stato di cose esistente”, ma dalla possibilità della sua abolizione. Questa possibilità non è estrinseca, ma interna all’esistente: ogni realtà sociale ed economica contiene al suo interno la possibilità di una diversa realtà. Che poi questa possibilità sia stata intesa come una causa finale, piuttosto che una pluralità di possibili (l’aristotelismo di Marx che di tanto in tanto emerge, purtroppo dico io, so che tu non lo diresti); che il DiaMat ha proceduto con lo sterminio, fisico o intellettuale, di tutti quei marxismi che al determinismo, alla ruota della storia che gira verso il socialismo, ecc. si opponevano, con esiti nefasti per gli uomini e per il pensiero, è un fatto. Ma se oggi io, che marxista non sono e che penso che di Marx non si possa fare a meno, devo prendere in mano quelle tradizioni, perché mai non dovrei tenere presenti Pasoukanis, Luxemburg, Benjamin, Gramsci, Bloch, e tutto quello che da loro è scaturito, e che oggi è ancora pensiero vivo?
Tu hai pieno diritto di proporre un’alternativa comunitaria: ma non ti pare che pensarla come “unica alternativa”, e non come “una delle alternative”, sia ricadere nel determinismo e nell’essenzialismo? Che ci sia sempre impoverimento quando le possibilità vengono ridotte a due sole alternative: l’esistente, o un’unica sua modificazione?
@ Wu Ming 1
tu che al tempo di Corvisieri (Corvis/ieri Corvi/oggi Corvi/domani) non c’eri: ma devi proprio rivoltare il coltello nella piaga? :-)
@Girolamo e Roberto
Mi piacerebbe sapere se conoscete gli studi di Illich sulla dimensione che lui chiama “vernacolare”, e sulla genesi del regime di scarsità a partire dalla distruzione di quella. Confrontarmi con voi (non necessariamente qui) su questo. Alla base dell’eterogenesi dei fini di un pensiero che si voleva rivoluzionario e anticapitalistico, c’è per Illich un equivoco antropologico (cioè l’utilizzo da parte della sinistra delle stesse categorie della scarsità). Ne consegue la necessità di rifondare l’antropologia “scientifica” per ritrovare una prospettiva storica corretta, e rifondare una prassi di liberazione.
Purtroppo il razzismo oggi è combattuto solo da antifascisti e antirazzisti
Sono d’accordo con te però …. maria, non possiamo neppure pretendere e permettere (e non sarebbe neppure prudente farlo) che siano i razzisti a combattere il razzismo … come invece sempre più spesso oggi accade
geo
Ho aderito, anche se i toni del capoverso:
“Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente….Manca solo che qualcuno rispolveri dalle soffitte dell’intolleranza il triangolo nero degli asociali, il marchio d’infamia che i nazisti applicavano agli abiti dei rom. E non sembra che l’ultima tappa, per ora, di una prolungata guerra contro i poveri.”
mi hanno infastidito, perché sono completamente sopra le righe, perché non ne posso più dei continui riferimenti a sproposito verso Hitler (vuoi per il nuovo dittatore di turno, vuoi per le leggi sulla fecondazione artificiale (fin qui lo fan le destre), vuoi per episodi di razzismo (qui lo fa la sinistra, di solito)); va bene un po’ di enfasi retorica ma qui la forma rischia di diventare sostanza, e la sostanza di quel che sta accadendo è, obiettivamente, molto diversa da quella che ha portato al triangolo nero nazista: la realtà dell’atteggiamento italiano verso i rom è sì quella descritta all’inizio della petizione nei fatti, ma non è vero che “manca solo” che qualcuno rispolveri quel triangolo.
Comunque, visto che l’allarme è giustificato, e urgente, il mio fastidio per quella frase è durato solo 5 minuti, e la mia firma c’è.
Lorenz
Concordo. Anche la mia firma c’è, a determinarla la risposta di Biondillo a Tashtego.
si, è vero, eravamo (e siamo) più d’accordo di quanto si creda. ed è anche vero che perdersi nelle definizioni allontana dal punto.
ma comunque mi dispiace, in quel “neoliberismo in senso lato” che tu vedi nella politica (economica e non solo) americana degli ultimi 10-15 anni, io trovo troppa roba, vedo pure elementi di keynesianesimo (non è la guerra, che sia privatizzata o meno, in fondo, il modo più semplice di aumendare la domanda con la spesa pubblica? Lo diceva pure Keynes), di welfare state (assieme al warfare state) e di centralismo economico che assomiglia di più alle politiche di Mitterand negli anni 80 che a quelle di Reagan o della Thatcher.
Solo questo, voglio puntualizzare, per concludere. Limitarsi alla categorizzazione spicciola di Bush e soci fa capire molto meno di quello che andrebbe capito. E riduce la conoscenza di quello che potrebbe accadere di qui a domani a solo una piccola lista di cose. E perde di vista quanto sia cambiato negli ultimi dieci anni. E ciò nonostante l’ “America” si presti alla categorizzazione spicciola molto più della vecchia Europa, così come Roma si prestava alla semplificazione molto più del mondo ellenico.
E infine ultimo ultimo per favore non usare le citazioni degli uomini dell’Amministrazione Bush. Pensa che George W. cita pure il Vangelo.
Comunque è stata una bella discussione. concordo. si ripeterà, I am sure.
@ Valter
non conosco quei testi, ma sono giovane e ho tempo. Mandami qualche titolo (magari in privato), me li metto in agenda.
Certo che ‘sto Wu-Ming cià na parlantina sciolta, multipla. Ne prendo una a caso: “Ah, ecco, doveva pur arrivare l’attacco ai perfidi “no-global”, il ritardo era inspiegabile”. Per me sinceramente è inspiegabile che tra ieri e oggi c’è stata una copertura mediatica totale sulla manifestazione di Genova (30.000 persone) e solo qualche refolo di Tiggì sui gazebo di Forza Italia (qualche milione di persone). Misteri di RaiUno, ma tanto chissenefrega no? Quando ‘sto governo travicello cadrà perché è giusto che cada, sarà da morir dal ridere vedere come andrà a finire. Rifondazione, rilettura e revisione de Marx compresa.
Riporto qui di seguito un estratto dall’articolo di Amartya Sen sul Corriere della Sera di oggi:
“Si può arginare l’odio e l’ostilità con vari mezzi, tra cui l’azione dei media, l’incoraggiamento alla partecipazione politica, l’espansione di attività culturali su una base molto estesa e capace di includere tutti i soggetti, e altri mezzi per stimolare il rispetto e la comprensione reciproca. Il cammino civile verso la pace esige inoltre di eliminare le più vistose disuguaglianze economiche, le umiliazioni sociali e la privazione dei diritti politici, che contribuiscono a gererare risentimento e conflittualità. Tuttavia i parametri puramente economici delle disuguaglianze non fanno emergere la dimensione sociale della disuguaglianza stessa. Per esempio, quando le persone in fondo alla scala economica hanno diverse caratteristiche non economiche, in termini di razza, o un diverso stato di immigrazione (gli arrivi più recenti per rapporto agli immigrati già stabiliti), allora la gravità della disuguaglianza economica viene esostanzialmente intensificata dall'”abbinamento” con altre divisioni, ricollegata a gruppi di identità che nulla hanno a che vedere con la condizione economica.”.
Beccalossi, solo una piccola precisazione: non ho citato uomini dell’amministrazione Bush. Cullen Murphy è un giornalista che, intrigato dall’insistita metafora impero romano / “impero” americano, si è messo di buonissima lena a studiare il declino del primo per vedere quanto possa insegnare ai cittadini del secondo. Anni di lavoro hanno prodotto un saggio non eccessivamente corposo ma densissimo, molto documentato e davvero godibile. Tra i paralleli che fa, mutatis mutandis, il più sconvolgente è quello tra i processi di privatizzazione che sbiellarono Roma (verso la fine della sua plurisecolare decadenza, l’impero non aveva più un esercito pubblico, solamente “contractors” barbari) e quelli che rischiano di far implodere gli USA.
E poi: vero, le politiche da warfare state sono (anche) una mutazione del keynesismo. Mutazione che però non si professerebbe mai come tale (“Non fono un animale! Non fono un elefante! Fono un effere umano!”), e continua a professare fedeltà al liberismo e ne usa tutta la retorica, a cominciare dal modello meta-economico del “padre rigido” (cfr. George Lakoff). Ma è un discorso luuuuuungo. Fatto sta che in queste settimane una delle battaglie che si sta combattendo in America è quella sul programma di assistenza sanitaria pubblica ai bimbi di famiglie prive di assicurazione. I democratici vogliono mantenerlo, i repubblicani vogliono eliminarlo perché, ehm, assistenzialista, “socialista” e contrario al libero mercato. Pensa un po’! Ma aridatecelo, Keynes, tutta la vita! :-)
Valter, ho in casa una copia che cade a brandelli di “Lavoro ombra”. Annotata, ormai molti anni fa, fino a fare buchi nella carta. Ma questo thread sta diventando OT e per “iniziati”, già da un pezzo siamo sull’incomprensibile andante, quindi domando scusa a quelli che abbiam tediato e saluti a tutti! :-)
‘azzz!!! e chi lo avrebbe mai creso!!! o.c. che rimprovera la ‘parlantina sciolta, multipla’ di wu ming 1!!! proprio lui che ha un passato, ancora ‘fresco d’inchiostro’, in qualità di pioniere e poi di maestro riconosciuto nell’arte dei post chilometrici e delle citazioni enciclopediche!!! come cambiano i tempi! e i temp(l)i!!
di’ la verità, o.c., non è che un po’ ti rode il fatto di essere stato scavalcato a sinistra? beh, nel tuo caso non è che ci volesse poi molto. comunque, consolati: sembra abbiano istituito un premio da assegnare a chi ha contato e annotato il maggior numero di gazebo berluschini nella giornata di ieri. puoi sempre concorrere, no? il premio? una stretta di mano di bondibondi e leccalecca e una copia, firmata da ‘lui’, del libro nero del comunismo. da mostrare ai nipoti…
In totale sintonia e rispetto con il vostro manifesto antirazzismo abbiamo appena sottoscritto e invitato a fare altrettanto nel nostro umile spazio:
http://guerrillaradio.iobloggo.com/archive.php?eid=1608
restiamo umani.
Vittorio Arrigoni
Grazie ai intelletuali italiani che hanno preso atitudine contro queste manifestazioni, che una volta iniziate porterano tanti danni e soferenze in seguito.
Un intervento come questo puo fermare il vincolo e la trappola in cui possiamo cadere. Sono arrivati al fine ad arestare l’attrice rumena che ha vinto il Grande premio a Cannes questo anno, alle due di notte i poliziotti italiani hanno rotto la porta della sua stanza in albergo per arestarla!Hanno sbagliato persona!!!! NIente scuse e ciao. La stampa italiana non ha detto NIENTE! Per che? per che si doveva disaculpare per la forma non profesionista in cui non prezenta i fatti. per che presenta i documentari vecchi per sostenere un ideea sbagliata . GRAZIE a queste persone di alto livello morale per la belezza delle loro menti.Sono rumena e credo che questo oddio seminato per nascondere i propi problemi non risolve niente..anzi COSTERA CARO a quelli che l’hanno generato senza responsabilita.
Ingrid Coman, scrittrice rumena, ha scritto un pezzo che ho postato, Gente per bene, georgia
Ciao ragazzi, massima solidarietà.
Anch’io bel mio piccolo ho inserito tutto nel sito, sperando di raggiungere più persone possibili. Fenomeni come il fermento fascistoide ombreggiato che si diffonde come un’epidemia sono possibili solo in paesi in forte apnea culturale. L’Italia di oggi è questo, un paese becero, distratto e impaurito, e da questo, principalmente, derivano tutti i fenomeni di sottocultura che regolano la vita pubblica (malgoverno, deriva razzista, cattiva amministrazione, tendenza criminaloide in primo luogo delle classi dirigenti, informazione aberrante, assenza totale di trasparenza), rendendola insopportabile.
Giancarlo Liviano
tino tino che simpatichino
grazie o.c., tu sì che sei un intenditore.
un saluto e i miei complimenti (sinceri) al tuo aplomb.
p.s.
converrai, comunque, che è stato un thread come non se ne vedevano da tempo su n.i.
Una delle poche cose intelligenti lette a proposito della vicenda della donna uccisa a Roma, il vostro appello, che ho sottoscritto con convinzione. Fa paura come anche tra i politici di sinistra, in occasioni come queste, prevalga la confusione e la necessità di schierarsi dietro chi urla più forte, chi sembra affermare con aggressività la sicurezza totale nel proprio credo, e più è limitato e ciscoscritto, quel credo, meno lascia spazio a dubbi e domande, più sembra degno di considerazione.
Sottoscrivo per civiltà e senza troppe parole.
[…] http://www.giugenna.com/interventi/il_triangolo_nero_nessun_popol.html https://www.nazioneindiana.com/2007/11/15/il-triangolo-nero/ Print This Post Invia ad un […]
[…] son giorni che vorrei scrivere perchè non firmo e non firmerò questo risottone qui, condito pesante i sughi delle buone intenzioni, delle buone cause, dei buoni gesti a costo zero e […]
Convenghino.
“E’ chiaro che il pericolo non è aumentato oggettivamente, ma c’è un fattore culturale all’opera”, scrive WuMing1, buttandola subito sul razzismo. E’ così che si ragiona, signori? Si prende una dimensione antropologica, quale quella dello straniero, e la si schiaffa dentro un quadretto naif, con i cattivoni razzisti da una parte e gli intellettualini fighette dall’altra, che gridano allo scandalo e lanciano l’allarme? Con queste premesse quand’è che finirete le scuole elementari e arriverete a dire qualcosa di nuovo e illuminante sul fenomeno del “capro espiatorio”? Senza contare la lodevole fesseria sui clienti delle prostitute che diventano – oplà – degli stupratori quasi autorizzati. A voi certe donnette v’hanno amminchiato il cervello. Tanti cari saluti, eh.
sciangrilà, asciugatela ‘sta bavetta, non ti si può guardare!
Sì, Shangri-La, certo Shangri-La, brava Shangri-La… e ora a nanna, forza…
Biondillo, che tenerello che sei, col tuo barattolone di vaselina. In effetti mi concili il sonno, col tuo buonismo buono per i peppinielli.
http://antifeminist.altervista.org/
[…] Segnalazione d’obbligo per un bell’intervento -sul crescente razzismo- di un gruppo di intellettuali: triangolo nero. […]
[…] vera criminalità è nelle nostre case, nelle nostre famiglie. Riporto una parte di un articolo di Nazione Indiana. “Il rapporto Eures-Ansa 2005, L’omicidio volontario in Italia e l’indagine Istat 2007 […]