La smania degli idioti
un poemetto di Fabio Franzin
Nuovi esodi
È che mi si sommuovono dentro
tutte le mie spine che mi commuovo
ogni volta fino alle lacrime, o forse è per
questa benedetta casa che vogliamo sentire
finalmente nostra a tutti i costi, amore,
qualsiasi sia il peso, i sacrifici necessari
per acquistarla, il mutuo, il tasso di sconto.
Ed è anche che quando la telecamera
szuma e nel video quel nuovo serpentone
umano si dipana in tutta la sua apocalittica
portata – magari proprio mentre placido sto
infilandomi le ciabatte dopo la doccia –
questa fiumana di storie che mi fa shangai
fra le viscere e passa lenta dentro il monitor
con la sua disperata carovana, con i suoi
improvvisati carretti carichi di dolore
di speranza e masserizie, aprendosi
un cupo sentiero qui fra le costole, che
nella sua fuga disordinata – come sempre
è scomposto ogni gesto dettato dal panico
dall’orrore – urta strappa e ingarbuglia
ogni argine, ogni parola, ripenso ancora
a quello là – quello dietro la donna col foulard
viola che si sbraccia e urla, forse, non so –
quello con la camicia gialla che si stacca
dalla massa e si volta, si ferma, si siede e stretto
si prende il capo fra le mani, quello cui forse
è sovvenuto solo ora della vecchia lettera d’amore
dimenticata dentro il cassetto in camera
e non sa se tornare indietro oppure continuare
continuare a dannarsi, poi, per sempre.
*
Ed ora odissea
Ed ora odissea è remare
fra muraglie e rupi d’orrore
rimanendo puri, mentre
il kamikaze si fa saltare
in aria nella piazza affollata
e le schegge della sua follia
risplendono azzurre prima
di conficcarsi nel fianco
più indifeso della memoria.
Ma il rischio è alto, colare
a picco più che un’ipotesi, e
se quelle schegge formeranno
mai una nuova costellazione
il silenzio squarcerà la pace,
l’ombra partorirà un urlo
viola e la luce allora calerà
nel particolare raccapricciante
a soddisfare l’immonda
smania degli idioti.
*
Nel pozzo
1
Tutta questa feroce, inaudita
e quotidiana violenza, poi, tutti
questi raptus omicidi che fanno
audience in TV e questi nostri
poveri bambini sempre più spesso
nudi ostaggi in balìa di un amore
che si capovolge ormai perduto
dentro la folle rima con orrore
ci hanno svuotato anche
dell’ultima iperbole ormai,
il pensiero si accartoccia
attorno alle urla del silenzio
e gli occhi ristanno spalancati
senza più nessun orizzonte
morale cui far affidamento.
Viene una paura nel luogo
lasciato libero dalle parole,
uno squarcio cupo ove ogni
sguardo si fa rovo impietoso,
dove l’orco dalle bave rosse
sgrana pietà con la roncola
e i corvi volano dritti dentro
i tuoni come freddi coltelli
cerchiamo di rimpastarci
il coraggio come il bimbo
che cerca di assemblare
la casetta delle favole
con i mattoncini del Lego,
un pezzo saldato all’altro
un pomeriggio che piove.
2
E tutto questo indegno abuso
del dolore privato (trasformato
in spettacolo per l’orrenda pruderie
di chi ha svenduto l’anima in cambio
di turpi passatempi) è cominciato
venticinque anni or sono, rammentate?
Vermicino: Alfredino Rampi, il pozzo
artesiano dimenticato aperto…
diciotto ore di diretta tivù a reti Rai
unificate; pure il presidente Pertini
al capezzale in quella brulla prateria
pasoliniana trasformata in tragico set
cinematografico; gli speleologi
come attori di una scena da happy end
non riuscita, purtroppo, fino in fondo;
e quel bellissimo sorriso sospeso ormai
in icona fra il bordo della canottiera bianca
a righe nere e il caschetto dei capelli castani.
Da allora, noi tutti, incastrati più
ancora dentro uno schermo, noi,
così sbadati a scivolare nell’insano
bla-bla sull’atroce delitto del giorno
noi che ora gai andiamo in gita a Cogne,
a Casalbaroncolo1, che ci mettiamo in posa
per una foto ricordo davanti a quella famosa
villetta, di fronte a quella famosa fossa, noi
che ci stiamo scavando la nostra con un solo
dito, fra i pulsanti di un cellulare, di una
fotocamera digitale, di un telecomando.
3
Le ho viste coi miei occhi, udite coi miei orecchi
hanno avuto anche l’impudicizia
di intervistarle, i giornalisti: persone
che sembravano del tutto normali
che si sentivano del tutto normali…
ma che avevano percorso centinaia
di chilometri (e si erano poi civilmente,
educatamente poste in fila di fronte
al tribunale già di buon mattino) perché
“volevano proprio vederla da vicino
la Franzoni”, quella donna delicata
con la frangetta che sembra anche
essa normale, eppure… eppure sospettata
del delitto più atroce e inaudito:
“riuscire a guardarla negli occhi, così,
per cercare di scorgervi fra le iridi
il bagliore, il guizzo viola della follia”
Le ho viste coi miei occhi, udite coi miei orecchi
persone apparentemente normali:
con gli occhiali griffati, la cravatta di seta,
il foulard, la messa in piega … col cellulare,
l’auricolare, la carta di credito in tasca,
il codice fiscale… così cortesi fra loro,
così portate al dialogo, a stringersi
la mano… cittadini mai stati schedati,
indagati… che giocano la schedina
il sabato, il gratta e vinci… che spingono
la bici o il triciclo di un figlio,
di un nipote al parco, la domenica…
persone normali che fanno proprio pena
e che mi fanno tanta, tantissima paura.
*
1: Paesi balzati alle cronache per i terribili, recenti, omicidi di due bambini: Samuele Lorenzi e Tommaso Onofri. Mete del turismo più macabro e bieco. N.d.A.
*
Fabio Franzin (1963) ha pubblicato in poesia: El coeor dee paroe, Zone, 2000; Canzón daa Provenza (e altre trazhe d’amór), Fondazione Corrente, 2005; Il groviglio delle virgole, Stamperia dell’arancio, 2005; Pare, Helvetia, 2006; Mus.cio e roe, Le voci della luna, 2007; Entità, Biagio Cepollaro E-dizioni, 2007. In narrativa: Là, dove c’era l’erba, Filca Cisl, 2003. Con il racconto “Lettera ai prati” è presente nel volume Il Veneto del futuro. Sogni e visioni. Dieci racconti, edizioni Marsilio-Corriere Veneto, 2005.
anche così va intesa la poesia,
riflesso di inconsci bisogni,
reali spezzoni di vita,
profilo commosso di noi,
paure che non puoi
sai
contenere…
Non capisco perchè certe cose di alto livello non vengano a volte commentate. Per esempio qui: una poesia civile, arrabbiata e desolata, senza inutili giochi linguistici, ma calda nel suo essere spoglia, una poesia che “canta” la desolazione di questa nostra Italia telestrangolata. Silenzio dal loggione.
Beh, io m’incazzo.
E dico bravo a Fabio Franzin, con stima.
Testi molto belli Fabio. Meritano più tempo per meditarli ( e di tempo almeno io ne ho poco ), ma la tua poesia ha forza misura coraggio.
Salve a tutti. Innanzitutto ringrazio Capuche e Nadia per il commento lusinghiero. A Franz un grazie a parte, davvero di cuore. Ma non incazzarti per me, per le mie parole, ti prego. E’ destino della poesia, del poeta, il silenzio, quello del loggione, quello suo: l’amara radice di cui si ciba per estrarre il succo della parola. E’ sempre stato così. Di questi tempi, poi… Vedi, caro Franz, sedici anni orsono, più o meno all’epoca in cui ho incominciato a tradurre in versi l’urlo soffocato del mio tempo, ho partecipato, come spettatore, alla festa per i 70anni di Andrea Zanzotto; una persona del pubblico gli chiese se avesse raggiunto il suo scopo originario, attraverso la sua opera poetica, e Zanzotto diede una risposta che si è incisa in me: “se anche un solo mio verso fosse riuscito ad evocare qualcosa di sé, ad aprire una piccola finestra nell’animo anche di un solo mio lettore, so che avrei raggiunto il mio scopo”.
La notte scorsa tu sei stato quel lettore che spalanca lo scopo, che dà senso a questo lavoro spesso oscuro.
Te ne sono immensamente grato. La tua indignazione è il premio più ambito. Spero che ci si possa incontrare, prima o poi, da qualche parte. Intanto il mio abbraccio e la mia immensa gratitudine, caro Franz.
Con affetto, Fabio Franzin
Non sempre quando si legge si lascia un commento. Io lo faccio poche volte, forse sbaglio, ma a volte è imbarazzo. Ho letto e riletto le tue poesie e meritano. Come vedi ci si torna su, si rilegge. Non spaventi il silenzio. E buon lavoro.
Ma figurati Fabio. Ti ammiro e mi piace questo tuo porti così caloroso. Manca calore, tra gli scrittori, spesso.
Ti contatterò quanto prima, magari per qualcosa da fare assieme.
Un abbraccio,
Franz
Non lo so questa incazzatura sull’assenza di commenti, credo che non esista un diritto di chi scrive ad avere a tutti i costi delle ‘risposte’, quando si pubblica qualche cosa. Altro discorso è il flusso immane di pezzi che arrivano giornalmente su questo blog e l’evidente predilezione per il dibattito su temi di (chiamiamola) attualità. Un caro saluto all’autore e a Franz
arrivo solo ora a leggere…
che bellezza Fabio, le tue parole si infilano là dove gli eventi, le persone, le cose si girano un attimo distratti, e da quegli spazi vuoti dell’orrore quotidiano apri il luogo di una breccia. come infilare un chiodo in un muro duro duro.
complimenti davvero.
giuseppe