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Vite bianche

di Marco Rovelli

 

E’ da tempo che giro l’Italia incontrando sopravvissuti. Coloro che hanno avuto un affetto, e lo hanno visto scomparire inghiottito dalla macchina produttiva. Incontro padri, madri, parenti, amici, colleghi dei morti sul lavoro. E ogni volta si tratta di far fronte a un dolore negato. Negato dalla società, che si rifiuta, nei fatti, di considerarlo davvero. Perché considerare una morte sul lavoro significherebbe non lasciare soli i sopravvissuti, per prima cosa, e poi cominciare ad articolare un discorso che provi a mettere rimedio al suo ripetersi, e ne affronti le cause. Significherebbe smettere di pensare che sia una fatalità. Ma questo non è possibile. Perché sappiamo tutti che la nostra società ha bisogno di sacrifici umani. E’ accettato da tutti. E’ normale così.

La strage di Torino mi riporta alla mente la morte di Matteo Valenti. Ventitré anni, di Viareggio. Anche lui morì bruciato. Ma in un’azienda artigianale, di appena due dipendenti. Il cui proprietario era il presidente della Confartigianato di Lucca, e aveva la responsabilità per la sicurezza per quattromila aziende. Nella sua, nemmeno un aspiratore. Matteo non è stato dimenticato, ed è nato un comitato che ha chiesto verità. Ma è un caso raro. Quante verità come la sua sono negate?

A Torino un lavoratore era vicino ai compagni che bruciavano. Testimone impotente. E anche in questo caso, mi viene da pensare che sia davvero questo l’inferno: un ragazzo innocente che brucia e grida, e tu che guardi e non puoi farci nulla. Di Roberto Scola, il secondo morto, il testimone ha detto: Era bianco, sembrava carne cotta. In questa immagine che annichilisce c’è tutta l’incommensurabile verità delle morti sul lavoro. E’ come se Roberto, e in lui ogni lavoratore, fosse stato sottoposto a una pressione insopportabile. Una pressione che conduce al punto di combustione, e cancella. Una pressione che svuota, che priva di ogni identità, di ogni resto. Fino a far diventare una persona una semplice appendice macchinica, bianca di morte.

Sì, morte bianca, è questa la classica e bugiarda espressione. Bianca come un sepolcro. Un’espressione ipocrita, che racchiude in realtà l’indifferenza della società. Quell’indifferenza diffusa verso cui Gramsci manifestava il suo odio, un territorio affine all’ignavia che Gesù di Nazareth vomitava dalla bocca. Morte bianca, come a dire: non è colpa di nessuno. Com’era per le morti in culla dei neonati. Se però grattiamo il palinsesto, troviamo che l’espressione originale era “omicidi bianchi”. A dire invece che le colpe c’erano, ed erano occultate.

Non sono le morti a esser bianche. Sono le vite. Vite cancellate dall’indifferenza, e dalle necessità intangibili, e sacre, della Produzione. Vite bianche.

Nella strage di Torino ci sono tante verità insieme. La grande fabbrica multinazionale, in via di smantellamento, gli estintori vuoti, i turni di lavoro massacranti. E di fronte a questa cruda evidenza, si grida allo scandalo. Ma lo scandalo è tutti i giorni, questa è la verità. Basta voler vedere, e ragionare. Quante volte si incontra negli occhi delle madri, o delle mogli, questa verità.

La strage di Torino è un evento così fragoroso che non può non conquistare i titoli principali di giornali e tg. Ma faranno presto a dimenticarsene, come sempre: conviene piuttosto additare i migranti come untori, ché la gente è contenta quando l’evidenza è confermata, e non importa se è solo un’impressione. Meglio farebbero invece a obbligarsi a dar conto di come vanno avanti i procedimenti sulle morti sul lavoro. O meglio, di come troppo spesso non vanno avanti. Di come queste vite vengano cancellate anche dopo la morte. Del resto, nessun imprenditore va mai in galera per una morte dovuta a sue precise, accertate e definite responsabilità. L’imprenditore sa che non rischia nulla. E perciò può permettersi di trascurare la sicurezza delle vite umane che sta usando. Cominciamo da qui, è questo che dicono la maggior parte dei familiari delle vittime. Non per vendetta del passato, per giustizia del futuro. E poi affrontare davvero i dati strutturali della questione: la frammentazione del processo produttivo, la catena infinita degli appalti, la ricattabilità e la precarietà dei lavoratori, la competizione selvaggia scaricata sul costo del lavoro e sulla sua sicurezza. Fino, magari, a tornare a pronunciare, magari in forme nuove, quel sintagma antico: “coscienza di classe”. E’ solo a partire dall’articolazione di un discorso di questo tipo che la lamentazione a reti unificate sulle “morti bianche” cesserebbe di essere un rito che celebra un sacrificio necessario.

(pubblicato su Liberazione, l’8-12-2007)

41 COMMENTS

  1. Se ne diceva ieri sera, di queste morti.
    Qualcuno affermava che nel corso degli ultimi due decenni sono tanto più aumentate quanto più è diminuita la forza di coesione, di difesa e di contrasto degli operai.
    Concordo con questa visione.
    Si è ricominciato robustamente a morire – spesso in modo orribile – sul lavoro, mano a mano che, a partire dagli anni Ottanta, partito, sindacato e classe operaia procedevano verso la loro fine, oppure si inoltravano in una lunga agonia di auto-annientamento.
    La scomparsa dalle nostre menti di ogni nozione di ingiustizia sociale, l’obliterazione delle parole sfruttamento-padrone-capitale – come se scomparendo le parole fosse garantita la scomparsa del referente – tutto questo produce non solo sfruttamento, ma morte.
    La sicurezza è una responsabilità precisa di ogni azienda, con precise norme e precise figure di riferimento, ma sembra che tutto si sia allentato, come se si trattasse di fastidiose briglie comuniste allo spirito di iniziativa, di fisime ereditate da altre deprecabili epoche, in cui gli operai alzavano la testa, dicevano la loro, facevano scioperi.

  2. Cari amici,

    fiducioso di fare cosa utile, posto anche qui ciò che ho trovato sul sito della ineffabile Thyssen di Terni Torino.

    Il post su Absolute si intitola: SENZA PAROLE.

    Pubblico qui di seguito il comunicato apparso nel luglio scorso, dopo il primo incendio accaduto nell’acciaieria torinese, sul sito della Thissen Krupp Acciai Speciali Terni SPA. Un mix di stupefacente mancanza di pudore e di distrazione ha fatto sì che il comunicato sia ancora lì, sul sito del gruppo a questo link. Io comunque lo riproduco qui di seguito….
    Forse nella sede di Terni tutto quanto è a posto, tutto è all’avanguardia, ma a Torino certamente no. Perché? E perchè si pubblicava in luglio un articolo che, giocando sull’omonimia del nome della Società con la sede di uno dei 2 (DUE) stabilimenti posseduti in Italia dal gruppo, faceva credere al lettore in buonafede che tutto fosse a posto in tutti (e DUE) gli stabilimenti?

    Che dire? Non credevo che,in nome del profitto, si potesse fare di più che giungere sino ad uccidere degli operai. Evidentemente mi sbagliavo. Ci si poteva anche prendere gioco di loro e dell’opinione pubblica, oggi atterrita per la loro morte…

    Prevenire è meglio che spegnere

    Il sistema antincendio della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni punta su prevenzione e protezione

    L’incendio che nel 2006 ha gravemente danneggiato alcuni impianti dello stabilimento di Krefeld della ThyssenKrupp Nirosta, dimostra quanto serio sia il rischio di simili eventi all’interno di realtà come le nostre, dove le potenziali cause di incendio sono moltissime: da quelle elettriche (scintille, surriscaldamento di motori ecc.) alle esplosioni, fino alla distrazione umana (classico è l’esempio del mozzicone di sigaretta involontariamente gettato tra sostanze infiammabili).

    Per questo, la ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni si è da tempo dotata di una struttura antincendio che agisce su tre diversi fronti: prevenzione, protezione e spegnimento. Quella della prevenzione è un’attività fondamentale, che verte essenzialmente sul controllo periodico e sulla manutenzione degli impianti antincendio quali impianti fissi di spegnimento, estintori, idranti porte REI (sigla di uso internazionale che deriva dalle iniziali delle parole francesi Resistance, Entretenir e Isolement), secondo quanto previsto dalle leggi in materia e in linea con gli standard aziendali di controllo e manutenzione. In collaborazione con l’ente EAS (Ecologia, ambiente, sicurezza), vengono inoltre emesse apposite procedure e pratiche operative e sono effettuati controlli periodici nelle varie aree al fine di verificare l’attuazione delle disposizioni e soprattutto lo stato dei luoghi, dal momento che la base dell’attività di prevenzione è il monitoraggio costante del livello di pulizia e assenza di sostanze combustibili in zone pericolose. Quanto alla protezione, questa interessa in modo particolare le aree a rischio come vie cavi (completamente ricoperti di vernice intumescente), cabine e quadri elettrici (compartimentali con materiali REI). In questa attività di protezione rientra anche la recente messa in esercizio di un sistema di centralizzazione allarmi per l’Area a caldo e per l’Area a freddo (e che a breve per l’Acciaieria sarà implementato) e di un moderno sistema di telecamere ’motion control’ in grado di verificare le variazioni di immagini nelle aree, permettendo, così, di diagnosticare un evento pericoloso sin dagli inizi.

    Per le attività di spegnimento, infine, all’interno dello stabilimento opera una squadra antincendio professionale, in fase di ulteriore aumento organico, che si occupa anche della prevenzione e della protezione. La squadra è dotata di mezzi che consentono di fronteggiare anche incendi di notevoli dimensioni, come, ad esempio, un’autobotte da 8 metri cubi di acqua fornita di pompa ad alta pressione. È inoltre supportata, in caso di incendio, da circa 80 addetti agli impianti produttivi e dei servizi che hanno ricevuto un’adeguata formazione antincendio presso centri specializzati e da parte di funzionari del corpo dei Vigili del Fuoco di Stato. A questi ultimi è stata affidata anche la particolare formazione sull’antincendio ricevuta da tutti gli addetti agli impianti con Rischio di Incidente Rilevante D.L.gs. 334/99 (vedi fabbrica ossigeno e stoccaggio acido HF). Da segnalare, in ultimo, che durante lo svolgimento di un recente programma di formazione sulla sicurezza rivolto a tutto il personale economica del territorio ternano. Un brindisi vicino al nuovo laminatoio ha concluso la giornata, in attesa di prossime occasioni di festa.

    ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni Anno 12 n.2

    Aggiornamento – Al peggio non c’è mai fine
    2007-12-08 12:42:25|di Lello Voce

    Allora: davvero, come sosteneva il Maggior Nostro, al “peggio non c’è mai fine”.

    Sono tornato stamane sul sito della Thyssen, aspettandomi di trovare chi sa quali novità… Macché per loro, sino a pochi minuti fa c’era un solo morto e non quattro, ma in compenso hanno pubblicato il seguente annuncio:

    «Benvenuti in ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni

    Comunicato ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni A seguito delle numerose segnalazioni da parte di lavoratori e semplici cittadini, della volontà di dimostrare il sostegno alle famiglie delle vittime del tragico incidente avvenuto nello stabilimento della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni di Torino, è stato aperto il seguente conto corrente:

    Il Gruppo ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni, con stabilimenti a Terni e Torino e Società controllate e partecipate sia in Italia che all’estero, opera nel campo della produzione e distribuzione degli acciai speciali (inossidabili, basso legati e al carbonio), destinati principalmente al settore alimentare, agli elettrodomestici, all’edilizia, ai casalinghi, alla produzione ed utilizzazione di energia, ai trasporti, all’industria di base, a quella meccanica e siderurgica.»

    Bella roba, vero?
    Da notare almeno due cose:
    1) Loro aprono il conto corrente, ma si guardano bene dal dire che lo inaugurano con i loro soldini. Ci mancherebbe: con tutte le spese legali che avranno da affrontare con questo casino che gli è successo, poverini… (sul fondo si sente una voce cantare: “Che roba contessa, all’industria di Aldo han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti; volevano avere i salari aumentati, gridavano, pensi, di esser sfruttati. E quando è arrivata la polizia quei pazzi straccioni han gridato più forte, di sangue han sporcato il cortile e le porte, chissa quanto tempo ci vorrà per pulire…”.

    2) Visto che c’erano hanno pensato bene di cogliere l’occasione per fare un po’ di pubblicità al gruppo….

    Non so chi sia ( e chi lo sa? strano, vero?) il Direttore dello Stabilimento di Torino della Thyssen, ma ho certamente scoperto chi cura per loro le strategie di comunicazione e marketing: è un tale Dott. Nosferatu…

    LV

  3. C’è da fare una premessa alla ‘vicenda’ di Torino (poi proverò a dargli il nome che merita), e la premessa è questa: le morti sul lavoro sono in diminuzione, anche se lenta, da anni. Basta andare a consultare i dati ufficiali disponibili su una marea di siti: dal Ministero del Lavoro ad altri. I dati sono ufficiali e facilmente rintracciabili.

    Detto questo, omicidi (sarà la Magistratura a stabilire la tipologia di omicidio) come quello di Torino non dovrebbero verificarsi; e il punto, a mio parere, è proprio qui: in Italia NESSUNO finisce in galera per le morti sui posti di lavoro. Le leggi esistono, ma nessuno le applica e si trova sempre una scappatoia. Perché?

    I Dirigenti della Thyssen italiana sono stati incriminati, bene, Mi piacerebbe leggere di una procedura a livello Europeo che coinvolga DIRETTAMENTE i Dirigenti della Thyssen tedesca: come succederebbe in Germania se un’azienza italiana si azzardasse a tenere in fabbrica estintori scarici; tanto per citare un esempio.

    Un’altra domanda: quand’è stata l’ultima volta che un Ispettore del Lavoro ha visitato la Thyssen di Torino e che relazione ha steso? Tanto per curiosità… perché se è omicidio non curare la sicurezza, potrebbe quanto meno esserci un concorso di colpa a carico di chi, dovendo controllare – il ruolo degli Ispettori – non ha controllato o l’ha fatto in modo superficiale.

    Blackjack.

  4. e quella mitizzazione portò alla tensione e ai suoi corrispettivi. L’inizio del declino parte da quell’insipienza politica, da quella costante infantile

  5. la tensione pre-esisteva, nei movimenti trovò solo una forma di sbocco e non l’unica.
    era tempo di re-distribuzione del reddito per il capitalismo italiano.
    ma il capitale non ti dà nulla se non glielo strappi con la forza.
    guarda oggi, con gli operai indeboliti e senza identità, che si fanno 12 ore di lavoro in nero per produrre oggetti con un plus valore cento volte quello di partenza.
    non c’è bisogno di leggersi i sacri testi dei comunisti per saperlo: basta guardarsi una sera il programmna della gabanelli, per dire.

  6. Nell’indifferenza assoluta della stragrande maggioranza della popolazione italiana, presa ormai dalle idiote corse agli acquisti per le prossime idiote festività, si è consumato un altro capitolo dello sterminio della classe operaia. Alla ThyssenKrupp di Torino quattro operai sono morti dopo orribile strazio. Non è solo un incidente, è la logica conseguenza dell’inferno in cui è caduto il lavoro (unico generatore di ricchezza!). Bassi salari, alta produttività, uomini come oggetti da usare e buttare nel più assoluto disprezzo di media e persone spersonalizzate. Ogni giorno, in ogni parte del pianeta, centinaia di operai perdono la vita in nome di un benessere di cui non hanno mai usufruito, che li ha schiacciati in uno stato subumano. Basta con i discorsi di circostanza, con i buoni propositi tra una prima alla Scala e una cena di gala! È ora di aprire gli occhi e capire che queste logiche sono tendenzialmente assassine e godono di complicità, o peggio, sono supportate da pseudo politici asserviti alle logiche del liberismo e delle multinazionali. Uomini e donne che avete ancora capacità d’intendere, che conservate ancora un po’ di raziocinio nonostante il bombardamento di idiozie massmediatiche, svegliatevi, impediamo che il futuro dei nostri figli sia cinicamente basato sulla morte e lo sfruttamento di miliardi di persone. L’economia ha senso se è al servizio dell’umanità tutta, non di una minuscola parte che detiene poteri inimmaginabili. Intellettuali, poeti, artisti smettete di masturbarvi mentalmente e tornate a parlare dell’uomo. Il resto è niente: è un fottuto alibi per parlare di niente e gloriarvi di suoni. Prima viene l’uomo, sempre!

    Antonio Schiavone è morto
    Roberto Scola è morto
    è morto anche Angelo Laurino
    è morto anche Bruno Santino
    alla Fiat di Cassino S.P.
    è stato schiacciato da una bisarca
    e muoiono ogni giorno fratelli e compagni
    in cantieri fabbriche campi
    muoiono come bestie
    per chi li tiene nella miseria
    bestie sono e da soma e dispongono solo
    di silenzio e di morte
    di notizie che disturbano il criminale
    sogno borghese.
    Malpagati, malvisti, maltrattati
    sfruttati e poi depredati
    infine schiacciati, uccisi dal fuoco
    volati senza ali
    infilzati senza scuse in pilastri in costruzione
    costretti a vergognarsi
    d’esistere, ridotti a oggetti
    a costo del lavoro da ridurre
    da contrarre da minacciare,
    ricattati da capi, politici, capipopolo,
    merde ridenti e inceronate,
    costretti a contare i centesimi
    a stringere la cinghia
    a negarsi la vita.
    “Finirai operaio!”,
    minacciano insegnanti e pedagoghi,
    operaio tra negri e albanesi,
    tra musulmani e cinesi.
    E ridono le iene svisonandosi
    in prime alla Scala
    in sottoscale del benessere assassino.
    E piangono a comando
    politici, sindacati, preti,
    giornalisti che mettono i vostri corpi
    tra le tette rifatte
    dell’ultima videomignotta
    e le luminarie di un Natale
    da nazismo liberista.

    Enrico Cerquiglini

  7. E’ vero, dagli anni cinquanta i morti sul lavoro sono forse tre volte di meno, se non ricordo male. In termini assoluti sono scese (tranne che negli ultimi anni però: risalgono). Ma non in termini relativi. Se si considera che i settori a rischio (che insistono nel primario e nel secondario) assorbono percentualmente meno lavoratori, e che contemporaneamente le tecnologie che permettono di garantire la sicurezza sono migliorate esponenzialmente. Il dato centrale da considerare, in ogni caso, è che in Italia i morti sul lavoro sono tre volte più che in Gran Bretagna.

  8. nel caso thyssen, da cui siamo partiti, le responsabilità sono esclusivamente dell’azienda, non ci sono garbugli o squilibri di forza da tirare in ballo. Questi, dice bene Rovelli, sono omicidi e che la thyssen emetta un comunicato senza omettere il pistolotto sulla sua missione è disgustoso, dice bene Lello Voce

  9. @Marco: verissimo, in italia i morti sul lavoro sono molti di più che in Inghilterra (e anche di altre nazioni europee rispetto alla forza lavoro). Solo colpa degli imprenditori alla Thyssen Krupp oppure di un sistema che non controlla/funziona come dovrebbe?

    Alcune considerazioni.

    Non è che in Italia si preferisce negoziare il livello di rischio, monetizzandolo, invece di negoziare per diminuirlo? A questo proposito vorrei rimarcare come non esista un esposto ufficiale delle RSU di Thyssen ad ASL, Ispettorato del Lavoro, Magistratura, etc… relativo alle condizioni di sicurezza dello stabilimento nonostante i gravi precedenti legati alla struttura. Per me un comportamento NEGATIVO non ufficalizzare, con una denuncia ufficiale, condizioni di sicurezza che (ora) tutti considerano insicure.

    Ribadisco che in Italia non esiste un solo caso di un Imprenditore/Amministratore finito in galera per omissioni sulla sicurezza (traducibile in omicidio): si trova sempre un accomodamento. Perché?

    I numeri possono essere trovati su qualunque sito: dal Ministero del Lavoro, a Confindustria ai Sindacati.

    Blackjack

  10. @Tashtego: la piattaforma di ‘dismissione’ della Thyssen di Torino è stata firmata e approvata da 5 (cinque) organizzazioni sindacali. Premesso che, come scrivevo, mi aspetterei non solo un’azione della Magistratura a livello italiano, ma anche un’azione a livello europeo nei confronti della Thyssen, e la dichiarazione dei dirigenti italiani di Thyssen è da delinquenti teste di cazzo (e che mi querelino che ci divertiamo in compagnia, sono giusto connesso con l’indirizzo IP in chiaro e quindi rintracciabile), è strano che, da una parte si evidenzi, giustamente, come lavorare 12 ore (o anche 16) in una fonderia abbassa i livelli di attenzione, mi pare comunque strano che un simile comportamento fosse tollerato, senza azioni di sorta, dalle RSU di Thyssen. Se leggiamo le interviste (Corriere mi pare) un esponente delle RSU di Thyssen dichiara che simili pratiche lavorative erano isolate a pochissimi operai e volontarie.
    In altre tutta l’enfasi è sulle troppe ore di straordinario, come se fosse un’usanza stabile.

    Sicuramente un elemento che la Magistratura dovrà verificare, ma anche qui dichiarazioni contrastanti.

    Blackjack.

  11. La tendenza alla monetizzazione c’è, a volte. Una tendenza che procede circolarmente insieme alla dismissione della coscienza di classe. Alle necessità dei lavoratori stessi di far soldi per pagare il mutuo, per esempio. (Guarda l’esempio delle paghe conglobate). Ma non si può generalizzare, occorre esaminare caso per caso.
    Sull’esposto, non so, hai letto da qualche parte che non c’era? In tal caso sarebbe certo una grave omissione dell’rls. Ma mi pare strano che qualcuno lo possa affermare. Io so che in molti casi anche se gli rls chiamano, la asl non si fa vedere comunque… (e in ogni caso è la asl che si occupa di sicurezza, non gli ispettorati del lavoro, che invece si occupano della regolarità delle contribuzioni, ecc)

  12. @Marco: che non sono stata mai fatte denunce UFFICIALI da parte delle RSU è stato dichiarato e ribadito ieri, durante un’intervista a Radio 24, dal Rappresentante Sindacale della Thyssen. Forse ho toppato qualcosa e il termine corretto non è Ispettori del Lavoro, ma ‘qualcuno’ adibito a controllare la sicurezza dei luoghi di lavoro, il rispetto delle leggi in materia e alle dipendenze delle Stato, c’è. Quando sono stati fatti i controlli? Chi li ha fatti? Che documenti ha prodotto? Sarebbe interessante saperlo.

    @massey: nessuno toglie la responsabilità, per me ASSOLUTA in questo caso, del datore di lavoro, ma un sistema sta in piedi se TUTTE le componenti, Controllato e Controllore, svolgono il loro mestiere fino in fondo. Un Ispettore che non rilevi e segnali alle autorità competenti, condizioni di sicurezza inadeguate è quanto meno corresponsabile e tenere in giro Ispettori, regolarmente pagati, che non servono a nulla, mi pare ancora più assurdo. Non mi pare il caso di continuare il gioco dello scaricabarile, tipico della nostra italietta, anche in questo caso: vorrei vedere il culo nudo di tutti quelli che hanno commesso omissioni in questo caso, vorrei vedere Ispettori licenziati, se non hanno fatto quello che dovevano fare, e dirigenti in galera se è vero quello che raccontano i giornali (estintori scarichi etc…).

    Blackjack.

  13. Guarda, non funziona così. La Asl è tenuta a intervenire quando arriva una segnalazione. Anche solo telefonica. Non lo fanno. Un operaio, giusto oggi, diceva che gli avevano detto, mandi un fax. Ma non basta neanche un fax. (Poi spesso mica è colpa tutta della asl, loro sono sottodimensionati, e seguono delle priorità di intervento: anche lì, occorrerebbe esaminare caso per caso). Dopodiché, quello della Thyssen non può dir nulla, mica è a lui che dovrebbero essere indirizzate richieste d’intervento alla asl!
    (e non è una questione di “termini corretti”, ma di competenze e di procedure)

  14. Dopodiché sono assolutamente d’accordo, devono pagare anzitutto i padroni. E poi deve pagare anche chi ha omesso di controllare (ovvero asl e vigili del fuoco essenzialmente)

  15. Scusa, avevo letto male. Dicevi il rappresentante sindacale. Avrebbero dovuto farlo (non giuridicamente, ma proprio sindacalmente), questo è ovvio. Ma i sindacati sono deboli, e non riescono a fare tutto quello che potevano fare una volta. Li hanno voluti concertativi e collaborativi, hanno voluto che riducessero il conflitto. Una parte del sindacato ha fatto buon viso a cattivo gioco, e questi sono i risultati.

  16. @Marco: io ai sindacati ‘deboli’ non credo; credo invece a un sindacato che è diventato un’impresa (leggi CAF tanto per citare un esempio) e che serve oramai solo da rampa di lancio per la politica. Tutti, ma proprio tutti, i responsabili delle confederazioni sindacali finiscono in politica: ma che vadano a cagare, che quello gli riesce sicuramente bene, loro e chi in politica li porta.

    Le ASL sono sottodimensionate e non hanno fatto i controlli se richiesti? Non me ne frega un cazzo: che si cacci il Dirigente che accetta di gestire una società che non è in grado di fare il suo lavoro. Mi sono rotto i coglioni di questo scaricabarile, del sottodimensionato, delle telefonate, dei fax e di tutto il resto.

    Qui tutti hanno una scusa per non fare quello che dovrebbero fare, questo è il vero problema, e nessuno gli impone di farlo e continuiamo a pagarli.

    Non so se ho reso l’idea.

    Blackjack

  17. @Marco: ritorno sul sindacato debole. Ma debole dove? Hanno i loro uomini infilati in tutti i gangli decisionali della politica, partecipano a tutti i tavoli che contano e PRENDONO decisioni. Non vendiamo la barzelletta del sindacato debole, ma chiediamoci se quello che noi chiamiamo sindacato E’ ancora un sindacato oppure se, nel frattempo, si è trasformato in qualcosa d’altro. Magari un partito trasversale, non eletto da nessuno, che nomina i vertici come gli pare, che gestisce un fatturato annuo miliardario (in euro), che non presenta bilanci, che utilizza servizi a ‘cooperativa’ per offrire prestazioni a costi impensabili per una normale azienda e avere una flessibilità che le aziende normali, con la Biagi, si sognano. Oppure la chiamiamo col suo nome: precarietà?

    Questo è tutto oramai tranne che un sindacato. Il resto tutte scuse.

    Blackjack.

  18. Le cose che scrivi sono un’invettiva. L’invettiva va bene, basta non spacciarla per un’analisi però.
    Forse non hai letto bene. Io parlavo di un’anima conflittuale e di un’anima concertativa. Nel sindacato ci sono tante anime. Il sindacato non esiste, in realtà. Ci sono confederazioni diverse, e diverse federazioni, e diverse camere del lavoro, e diversi uomini. Fare un discorso generalista è puro qualunquismo (filo-padronale, quelli della Thyssen gioisocono di fronte a questi discorsi). Certo che all’interno dei sindacati c’è anche la struttura di potere di cui tu dici: ma, dicevo io, questa è cresciuta proprio nella misura in cui i sindacati sono stati messi all’angolo, e in alcune loro parti resi concertativi, cooptati man mano, in forme diverse.
    Più conflitto, meno concertazione. Questa è la morale, a mio parere.

  19. @Marco, chiami invettiva la constatazione della realtà: il sindacato non è mai stato messo all’angolo, ci si è messo da solo (con i suoi dirigentucoli) nel momento in cui ha iniziato ad assaggiare il potere mescolandosi con la politica, da un lato, e dall’altro non è stato in grado di evolvere mirando esclusivamente a conservare (sempre grazie ai suoi dirigentucoli) le posizioni acquisite.
    Non raccontiamoci barzellette: il sindacato italiano (tutte le confederazioni) sono oramai un’impresa che fattura, solo con i CAF, centinaia di milioni di euro all’anno, a fronte di investimenti infimi e senza alcun rischio d’impresa. Ai suoi dirigentucoli di fare i sindacalisti non gliene frega nulla e vedono il sindacato come trampolino di lancio verso carriere professionali (consulenti di solito o dirigenti di qualche impresa/ente pubblico), imprenditoriali (li trovi a dirigere le più svariate cooperative) e politiche (sono infilati in tutti i partiti e a tutti i livelli). Vuoi nomi e cognomi? Se ognuno di noi facesse un minimo sforzo e portasse dieci nominativi, potremmo compilare 10 post almeno.

    Chiami invettiva cacciare il Dirigente di una ASL che ha la consapevolezza di non gestire nulla e non riuscire a garantire nemmeno i controlli di base? Io lo chiamo buon senso.

    La tua posizione, invece, io la chiamo ‘atteggiamento italico’: si martella solo dove si vuol vedere e si giustifica il resto giustificando in questo modo un sistema che fa acqua da tutte le parti e che non funziona.

    E per quanto riguarda i ‘signori’ Thyssen riderebbero molto meno se qualcuno sbattesse in galera i loro dirigenti e aprisse una procedura a livello europeo. Purtroppo in Italia, per omicidi sul lavoro, non è mai andato in galera nessuno e TUTTI sono sempre pronti a trovare le scuse e mai le cause e i responsabili; a tutti i livelli. Molto comodo.

    Ti lascio un’ultima domanda: perché quando esplodono le fabbrichette artigianali di fuochi d’artificio a Napoli, il clamore si riduce a due trafiletti sui giornali e un passaggio al telegiornale nelle notizie brevi? Contano forse meno quei morti?

    Blackjack.

  20. Anzi, visto che stasera sono in vena di ‘invettive’ aggiungo un altro passaggio che mi dà da pensare: non è che tutto questo clamore, alla fine, si ridurrà a nessun condannato, nessun responsabile e un unico soggetto che se ne avvantaggerà?

    Non è poi così difficile da identificare: l’unico elemento politico che ancora non ha trovato un cavallo da far trottare è il ‘mistico’ Arcobaleno: la cosa rossa. Un martire fa sempre comodo: appiana le discussioni, smussa gli spigoli e rende tutti più disponibili. Qui sono ben più di uno, i martiri veri, e mi dispiacerebbe se questa vicenda prendesse la solita via italica.

    Blackjack.

  21. E ancora: non ero sicuramente seduto io al tavolo delle trattative, assieme al governo dell’epoca, quando alla Thyssen, poi aggregata con la Krupp, furono letteralmente regalate, con i relativi contributi di stato, le acciaierie di Torino e altre ‘amene’ industrie italiane. C’erano, assieme ai politici e ai dirigenti dell’IRI, guarda caso, i sindacalisti dell’epoca ora, tutti in politica. I nomi dovresti conoscerli almeno quanto me.

    Lo ribadisco: un sistema democratico sta in piedi se i ruoli di Controllato e Controllore sono SEPARATI, senza COMMISTIONI e FUNZIONANO: un sindacato/impresa (vedi legge sui CAF) che fa politica, che diventa un partito ombra non votato da nessuno, che muta il suo obiettivo, dalla tutela dei lavoratori a un master sul campo per la formazione dei futuri politici, non è altro che un minestrone vomitato. Immangiabile e inutile.

    Senza nulla togliere alle responsabilità della Thyssen e sperando che, almeno questa volta, si crei il precedente di qualche dirigente in galera. Dirigente però, non l’imbianchino di passaggio.

    Blackjack.

  22. Quello che mi fa girare i coglioni è ch io non nego quello che tu dici. Ma tu pretendi che sia tutta la verità. Non articoli. Spari sul sindacato nella sua interezza. Senza accorgerti (ripeto) che la corrente maggioritaria del sindacato l’attacco anch’io: concertativa, e non conflittuale (devo ripetere ancora una volta?).
    Ora, chi attacca il sindacato da destra fa come fai te. Dice il sindacato è questo e quello, e che vorrebbe? Che il sindacato non ci fosse. Che sparisse proprio.
    Il sindacato, invece, è tante cose insieme. E deve riprendersi l’anima (conflittuale). Sparare a zero, invece, ha come unico obiettivo: farlo sparire.

  23. Marco, no, Bertinotti si è ‘semplicemente’ limitato ad appoggiare, all’epoca e in buona compagnia, il regalo delle acciaierie italiane alla Thyssen, offrendo anche un cospicuo gruzzoletto di aiuti di stato, senza chiedere in cambio garanzie di alcun tipo se non un generico ‘mantenimento’ dell’occupazione per un decennio. Cazzo che genio!

    Certo, era un genio in compagnia di tanti altri geni: una specie di MENSA politico, ma non è chiaro cosa servissero o cosa mangiassero; o forse è chiaro ora.

    Per quanto riguarda il fine analista, mi consolo. Ma perché ti infastidisce tanto sapere che il là a queste morti aveva avuto, all’epoca, anche l’avvallo di Bertinotti?

    Blackjack.

  24. No, caro Marco, io non chiedo la scomparsa del Sindacato; semplicemente pretenderei che il Sindacato, quello con la S maiuscola, tornasse ad essere il Sindacato e non quell’oggetto viscido e multiforme che non serve più a nulla che è ora: talmente imbrigliato nelle sue (sue non dei lavoratori) quotidiane preoccupazioni, dall’essere diventato non solo inutile, ma addirittura pericoloso.

    Dici che non articolo? Sarà anche vero, ma non credo tu abbia grandi problemi nel verificare quanto incassa annualmente per i CAF e, chiedendo a qualche operatore (tutti rigorosamente precarizzati da sempre, ben prima della Biagi), quanto sono pagati e fare una banale sottrazione: una marginalità mica da ridere.

    Vuoi i nomi degli ex dirigenti sindacalisti di primo livello finiti in politica? Forse qualcuno si è dimenticato di Benvenuto e Del Turco è solo Presidente delle Marche (se non sbaglio), ma i nomi degli altri sono noti a tutti ed è già pronta l’infornata dei Pezzotta e compagnia. Di Cofferati non parlo; meglio, rischierei una querela.

    Vuoi i nominativi degli ex sindacalisti di secondo livello finiti a dirigere enti pubblici o cooperative di grido? Conosco benissimo quelli della mia zona, ma visto che non mi interessa di raccontare al mondo di dove sono te li risparmio, ma sono certo che parecchi nominativi li conosci anche tu.

    Hai mai letto un bilancio pubblico del sindacato (mi riferisco a quello con la s minuscola)? Io nemmeno. Sarà, forse, perché il sindacato è esentato dal presentare bilanci?

    Dici che il sindacato ha molte facce? Vero, in italia ha talmente tante facce che nessuno è più in grado di capire quale sia quella vera.

    Blackjack.

  25. Sì, conosco gente che ha fatto “carriera”. Sarebbe strano il contrario. Forse che tra i sindacalisti non ci sono “esseri umani” con i loro opportunismi e le loro meschinità così come da ogni altre parte? Io penso che a questa natura dell’essere umano è solo una struttura forte che fa argine: un sistema diverso. Nella fattispecie, venuta meno la tanto vituperata Idea, ecco tornar fuori presto i particolarismi. E certo, le convenienze personali.
    Insomma, è questo che voglio dire: il Sindacato deve essere espressione diretta dei lavoratori. Ma questo non può che significare (lo so, sono ossessivo) conflitto. Non vedo cos’altro potrebbe significare. E dire conflitto significa dire essere portatori di un’idea altra della società.
    (Comunque, so quanto guadagnano personalmente i dirigenti sindacali nazionali – a quanto ne so, hanno stipendi non più alti dei 2mila euro. Così è per la fiom; così è in Fillea. Non mi pare dunque sia un’associazione a fini di lucro. Poi, certo, in una struttura così gigantesca è ovvio che si annidano spazi, anche vasti, per la gestione del potere, e quant’altro. E senza dubbio ci sono parti del sindacato che hanno fatto danni).

  26. Mi meraviglia sempre constatare come, in questa nostra Italia dei ‘sentimenti’, sia sempre complicatissimo, a fronte di eventi luttuosi, come quello verificatosi nella Thyssen di Torino, fare le due cose più semplici: identificare i responsabili e capire come sia stato possibile che un gruppo multinazionale ricchissimo, non sia riuscito a garantire nemmeno la manutenzione degli estintori.

    Per quanto riguarda il primo punto, l’identificazione dei responsabili, mi meraviglia dover constatare che mai nessuno è finito in gattabuia per le morti sul lavoro. Credo sia un caso mondiale, se escludiamo i regimi totalitari, più unico che raro: al massimo qualche arresto domiciliare. Non ho elementi per giudicare le motivazioni giuridiche e le leggi ma, sentendo gli esperti, pare che le leggi ci siano e se ci sono: perché non sono mai applicate?

    Il secondo argomento è invece, un po’ più complesso. Prima di trattarlo vorrei fissare un punto fondamentale: il Titolare o il Dirigente dell’impresa che non garantisce un livello di sicurezza sufficiente e, con la sua mancanza, è causa di morti, deve finire in prigione. Oltre a risarcire tutti i danni civili del caso.

    Fissato questo punto provo ora a risalire alla fonte del caso Thyssenkrupp. Il Gruppo in questione, al di là delle vicende di entrambe le famiglie nel periodo pre 1945, è un gruppo in ottima salute e considerato altamente affidabile dal punto di vista economico. Le risorse non gli mancano.

    Ma torno all storia: a fronte della crisi dell’acciaio degli anni ’80 qualcuno, (il qualcuno è l’IRI) decide, prima di raggruppare tutte le acciaierie nobili in difficoltà all’interno dell’ILVA (società a partecipazione statale pagata con le nostre tasse e controllata dall’IRI) e poi, per non far torto a nessuno, di infilarci anche quelle in perdita e senza alcuna prospettiva. TIPICO CASO ITALIANO DI LUNGIMIRANZA POLITICO ECONOMICA.

    La decisione è uno dei primi esempi di concertazione; FIAT, DC-PSI-PCI, Sindacati: tutti d’accordo nell’approvare la soluzione. Ovviamente gode solo FIAT che riesce a rifilare ferrivecchi allo Stato; cioè a noi. Ma il tempo è galantuomo, anche stronzo a volte, e nel 1992 la situazione debitoria dell’ILVA è talmente fuori controllo (più di 10.000 – diecimila – miliardi delle vecchie lire di perdite) che all’IRI, proprietaria dell’ILVA e diretta da, indovinate chi, non trovano di meglio che fare a pezzi l’ILVA e regalarla al primo che passa o al solito introdotto, fate voi. Esemplare il caso di Taranto finita alla famiglia Riva per una manciata di milioni (delle vecchie lire non di euro).

    Ovviamente sono tutti d’accordo: l’IRI (la FIAT non c’è più), il PDS (la DC è in piene mani pulite, il PSI idem e Forza Italia non esiste ancora) e i sindacati. E volete che non si inventi un regalino anche al solito investitore straniero? Alla Thyssen sono cedute tutte le acciaierie nobili con un unico vincolo: mantenere l’occupazione per 10 anni. Ovviamente, nel frattempo, lo Stato italiano si impegna a garantire, oltre a un prezzo d’acquisto di favore, anche tutte le coperture economiche necessarie per tutelare l’occupazione: cassa integrazione, pensionamenti anticipati, etc…

    Non un brutto affare, ma i veri obiettivi della Thyssen, nel frattempo fusa con la Krupp, sono chiari da subito: levare dal mercato un potenziale concorrente portando le produzioni pregiate e la ricerca in Germania. Il risultato finale è sotto gli occhi di tutti: fabbriche volutamente disastrate e livello occupazionale passato da 13.000 a 200 dipendenti.

    E siamo ai morti recenti con una semplice domanda: fatta salva la responsabilità della Thyssenkrupp per le mancate manutenzioni sugli apparati di sicurezza, agli stronzi che hanno creato i presupposti politico economici che non potevano portare ad altro che a un simile disastro; cosa gli facciamo? Un applauso a quattro mani mentre ora, come membri dell’attuale governo, si battono il petto e recitano discorsi scritti dai loro ghostwriter?

    Blackjack.

  27. Marco, il declino del sindacato è antecedente alla caduta del muro e al venir meno ‘dell’idea’ e quando parlo di dirigenti non parlo dei dirigenti interni al Sindacato, ma dei sindacalisti che hanno usato il Sindacato (molti, troppi!) semplicemente per fare carriera (fuori dal sindacato e dove gli stipendo sono diversi) e spesso senza avere i titoli e nemmeno le conoscenze.

    Impegnati, che i nomi si trovano e sono molti: troppi. Basta giustificare la merda che ci gira intorno. Per colpa di questa gente il sindacato non esiste già più e non tutela più nessuno. Prima ce ne rendiamo conto e prima si troverà una soluzione: il rischio è che finisca come la DC dopo mani pulite, e allora sì, sarebbe un vero guaio.

    Blackjack

  28. Quella che fai è una ricostruzione che mi pare condivisibile. Detto questo, mi pare che porti acqua al mio mulino… E’ negli anni novanta, non a caso, che l’Europa è definitivamente investita dalla marea del neoliberismo (codificato in Maastricht), che diventa religione di Stato (altro che monopartitismo). Ora, a me pare che l’unica soluzione praticabile in alternativa a quella che dici fosse di mantenere il controllo pubblico sulle aziende svendute (come sarà poi per Telecom, autostrade..). Ma se alla sinistra è venuta meno un’idea forte di società, come si poteva (e come si può) proporre una cosa simile senza che qualcuno invochi il tso? La sinistra, nel 92, aveva da far dimenticare il suo passato comunista, figuriamoci…
    (dopodiché, sai bene che di applausi a quattro mani al governo non ne ho mai fatti, almeno questo toro per favore non fermelo…)
    Quanto alla prima questione: le leggi ci sono per le prescrizioni (la 626). Non per le sanzioni. Ci vuole una modifica al codice penale. Da sempre in Italia è così: i padroni non si toccano (epperò se dici queste cose sei un brigatista…). Prodi ha detto infatti, decreto che stabilisca delle pene certe. Magari. Ma vatti a fidare. Se lo facessero davvero, questa riforma e l’Amato-Ferrero sarebbero due ragioni che da solo basterebbero ad appoggiare il governo democristiano (e si badi sempre che a dire queste cose è un “estremista”… che però ha cuore la vita della gente, e cerca di bilanciare le cose). Ma ripeto: chi si fida?

  29. Marco, non ti seguo e c’è qualcosa che non mi quadra. Anzi, alcune cose che non mi quadrano. Primo: il disastro dell’acciaio italiano è iniziato ben prima di Maastricht e del tanto vituperato neo-liberismo. Erano gli (allegri) anni ’80 e, con un minimo di sforzo, siamo in grado entrambi di identificare il genio che all’epoca dirigeva IRI. E’ lo stesso genio che, qualche anno dopo, privatizzava Telecom, Autostrade, altre amenità e qualche anno prima si divertiva con SME (oltre che con l’acciaio).

    Lasciamo perdere la chimica che lì ci sono già stati due suicidi illustri.

    Secondo: a me questo continuo giustificare (la sinistra che perde l’idea, il sindacato che si dà al gioco d’azzardo, etc…) non piace. Mi suona (sempre) come il tentativo di cercare giustificazioni e mi ricorda i giocatori d’azzardo che, prima ancora di iniziare la partita, hanno già pronto il libretto delle scuse per inventarsi una gloriosa sconfitta da raccontare.

    Sì, ma sempre di sconfitta si tratta. E ora vado a dormire e ti lascio in pace.

    Blackjack.

  30. Vorrei ricordare un’altra vicenda, ancora oggi irrisolta – o meglio di colletti bianchi puniti, nemmeno l’ombra –
    La “città bianca”, ovvero Casale Monferrato, dove per quasi 80 anni i proprietari della maledetta “Eternit” si sono riempiti le tasche di denaro, proporzionalmente al numero di morti che hanno causato, e che purtroppo continuano a causare (e non solo di lavoratori dipendenti dell’azienda, ma anche di comuni cittadini che non hanno mai avuto a che fare con la Eternit; la “polvere bianca”, infatti, veniva trasportata dalla stazione ferroviaria alla fabbrica utilizzando autocarri – in cassoni completamente scoperti -)
    Ma la beffa è che nel 1956 (DPR 303) l’Italia denuncia ufficialmente la pericolosità della polvere bianca, ma ahimè, è solo nel 1986 che la “Eternit” chiude.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.