L’omonimo del portiere
di Franz Krauspenhaar
1.
Le tendine erano abbassate. Fuori nevicava. Domenica di gennaio inoltrato nella profonda provincia lombarda. Attendeva la puttana con trepidazione. E se non fosse venuta? Guardò l’orologio. Le undici. Più o meno. Accese la radio. Porcherie melodelinquenziali. Spense. Ma sì che sarebbe venuta. Ma certo.
Si aggiustò sul letto. Le lenzuola sapevano di bucato DASH. Una bella consolazione. Nervoso, prese a leggere una “rivista specializzata” che era rimasta lì, da qualche parte della stanza marrone chiaro, abbandonata da qualcuno. Ma da chi? Non ricordava. Forse l’aveva lasciata lì un barbiere o una puttana precedente o il suo amico del cuore Franzelli. Si trattava di una vecchia copia di Playboy, sgualcita. Una bella fica guardava verso di lui di traverso alle grandi labbra. Gli diceva di fottersela. Più o meno. Più o meno con quelle grandi labbra marroni del fotocolor: “Vieni, vieni, mio bel maschione!”, diceva la vagina obliquamente distesa. Sarti emise un fischio sommesso, mormorò piano: “Okay, pupa, vengo.”
Si stava masturbando, ora. Le lenti e pesanti eliche del desiderio. Una bella attesa distensiva. La puttana non arrivava, si faceva ancor più desiderare e poi arrivò di punto in bianco com’era venuta.
Vestita di gran spolvero, una bella gonna di pelle nel mezzobusto, la vide bene mentre si sfilava il cappotto di gran moda. Sotto portava una giacca di lana. Era elegante, però la giacca era di taglio maschile, ma comunque era un gran bel vedere lo stesso. La faccia però non la distinse bene. Forse non gli interessava. Era piuttosto giovane, gli parve. La faccia era la sua anima, e lui voleva soltanto un corpo.
“Hai da bere?” chiese con mollezza la ragazza bruna, gli occhi di brace-barbecue puntati sbiecamente da qualche parte – non su di lui, comunque. Aveva un bell’ovale delicato da studentessa universitaria, lo sguardo intelligente e al contempo vacuo, ora lo si vedeva bene.
“Guarda un po’ nel mobile bar”, rispose Sarti con voce monotona. Non si era sistemato il pene ancora rigido nei pantaloni. Continuava a masturbarsi, invece, dondolandosi come un pervertito da manicomio.
La donna andò col suo passo da pantera al mobile bar e si servì un whisky da battaglia, un J&B. “Non c’è ghiaccio, merda”, osservò da vera intenditrice.
“Vieni qui”, disse Sarti. Lei disse, di spalle: “Arrivo”.
Gli saltò sopra con il bicchiere in mano.
“Cosa faccio?” domandò la donna con un sorriso svagato, agitando il braccio libero verso l’alto. Era una vera professionista. Nulla le era precluso. Ne aveva conosciuti una sporta piena, di vecchi strambi.
“Guardami negli occhi”, rispose Sarti. La donna ubbidì e rimase a cavalcioni sopra di lui mentre l’uomo ricominciava a masturbarsi. Voleva che lo guardasse negli occhi ma lui evitava, fissava imperterrito l’asta della sua esercitazione manuale. Alla fine delle operazioni le macchiò la gonna. Prima che la ragazza potesse protestare per il fiotto fuori programma e fuori misura e così volutamente mirato sulla pelle nera della sua gonna, Sarti le chiuse la bocca con un 20% in più per il disturbo della lavanderia.
2.
Sarti amava Catullo (1 sola poesia, l’unica letta ma molto amata) e la pasticceria Gattullo di Milano, (quasi tutto, anche se caro come il fuoco al kulo un tanto al kilo). Amava nondimeno le parole crociate. (La Settimana Enigmistica). Poi, ogni tanto, qualcosa, credo il suo pensiero sfibrato dalla stanchezza di non pensare mai a nulla di preciso, gli diceva di andarsene a pescare. Gli piaceva l’acqua torbida e i pesci foschi che voltolavano semivivi nel suo sacchetto di plastica della Standa.
Il vizio, inoltre. Un anno con puttane di tutte le risme. Sarti era solo da quando era morta la Pina. La Pina Bucoli, sua moglie. Il vedovo Sarti; che pertanto, a partire dalla sepoltura della Pina, aveva cominciato con lo sputtanarsi i soldi, il cervello e, inutile dirlo, il membership.
3.
“Sta a sentire. Oggi sei un uomo libero, capito? Mettila in questo modo”.
“NO.”
Così aveva parlato Liberato prima del NO, nel pomeriggio che aveva seguito la mattina in cui Sarti aveva, per usare un simpatico eufemismo, festeggiato il primo anniversario della sua vedovanza. Liberato era il suo migliore amico. Cioè, l’unico. Di Sarti era l’unico amico, di sicuro. E Sarti di Liberato, viceversa e vicendevoli entrambi. Sicuro come l’oro. Garantito al limone. Ah sì, proprio, davvero, urca, come no, fidati, ci potete scommettere L’EREDITA’ DI AMADEUS. Liberato era solo anche lui e dunque, tutti i giorni, cascasse o cagasse il mondo, andava puntuale (ore 12.30) a pranzare da Calpigi, la trattoria più in voga di Caronno Pertusella. Uova al tartufo bianco. Uno schifo le uova e anche il tartufo bianco. Poi era pur vero che la maggior parte delle volte si faceva portare il riso in bianco e la fettina di vitella e l’acqua minerale e stop, ma questa è un’altra storia, come si usa dire nelle storie, perlomeno in molte di quelle fiacche.
4.
Liberato, a Marzo, precisamente il 13 alle ore 21.46, rientrò con due puttane negre. Tiè, disse all’amico Sarti, ECCOTELE, FATTELE, ANZI FACCIAMOCELE.
No.
Perché?
Perché non ne ho voglia. Non sono razzista. Ma non ci ho voglia. Mandale via.
Va… BBE’.
Se ne andò via con le due signorine di colore (abbronzato) mugugnando come un cretino. Avrebbe pagato le due al prezzo di due.
5.
Sarti, Sarti, Sarti. Non Antonio, ma Guido. Guido Sarti. Ecco la spina nella presa, ecco la mano tesa, ecco la faccia fuori dal corpo, ecco il morto, ecco la solitudine assoldata, ecco l’assolo di sax nel silenzio, ecco la mano pesante, ecco il sole montante, ecco la fine pensata, ecco l’inizio rapito, ecco il bel niente stupito. Era ormai Aprile. Sarti, di tanto in tanto, scriveva poesiole nella notte, in piena oscurità. Rime su rime. Non erano proprio delle poesie; erano piuttosto rime su rime una via l’altra, a rincorrersi e a volte a percuotersi. Le scriveva per evitare di tanto in tanto le parole crociate.
6. (25 Aprile).
MEGAN CHI?
Non lo so.
Una che fa la televisione, forse? Anche se è un po’ che non si vede più? E’ lei?
Ah si, può darsi. Comunque, mai sentita. Non è lei. Magari non si chiama neanche Megan.
L’avrai vista di sicuro, come no? Faceva la pubblicità della VODAFONE. Possibile che… Insomma, faccia da cretina totale, però un gran bel corpaccione da zoccola oceanica.
Fa il surf?
No, oceanica da Oceania. Dato che è australiana, la Megan Gale, si chiama così.
Ora mi pare… Gale. Si, Megan Gale. Quanto costerà, secondo te?
Non fa la troia. Non in quel modo, almeno.
Ma secondo te? Spara una cifra.
Mah… Direi sui… 2.500 euro per un paio d’ore. E’ una VIP. Per scoparsi una della TIVU’ si parte da quella cifra. Con meno non le vedi nemmeno. Cioè, solo in televisione. Hanno una reputazione da difendere con le unghie e con i denti, entrambi finti. ALBERGO A 5 STELLE ISOLATO DI LORO SCELTA A PROVA DI PAPARAZZI ESCLUSO, S’INTENDE…
Meglio una troia NON VIP. LA FIGA E’ FIGA, MI PARE.
(Poi ci fu un lungo silenzio. La pioggia scendeva a rivoli compatti fuori dalla finestra. Solo quel tamburellare continuo nel silenzio opaco. Finché quel silenzio Liberato lo ruppe cambiando argomento).
Io conto i giorni che mi separano dalla morte, caro Guido.
Bella trovata. Allora i miei migliori auguri di buon conteggio alla rovescia.
7.
Sarti Guido. Leggeva i gialli di un suo omonimo di BO.
VACCATE, disse Liberato che s’intendeva di letteratura, così diceva lui. LEGGI ED MC BAIN, DAMMI RETTA.
L’ho letto, mi addormento. Mi addormento con tutti, se è per questo.
AH. ALLORA SONO GRANDI SCRITTORI.
Già, d’accordo. La letteratura è il Valium dei senza cuore. Degli insensibili.
8. (Primi giorni di Maggio, domenica).
Sarti uscì. Andava a pescare. Sentiva Britney Spears alla radio. CHI E’ STA TROIA BALDRACCA FIGLIA DI PUTTANA? chiese a se stesso senza troppo interesse ma con troppa rabbia. Gli mancava la povera Pina. Pina era stata bella, una volta. Il Sarti morirà senza sapere che quella volta aveva ascoltato nientepopodimeno che una canzonetta di Britney la bambolona statunitense del SOUTH.
Spense la radio. Silenzio magistrale. Nessuna risposta dallo stesso silenzio, ottimo e abbondante e circolare e circolante e circostanziato.
SENTO I CLASH anche se mi fanno venire la malinconia paranoica, pensò allora Sarti, cercando nel vano portaoggetti la cassetta di SANDINISTA. Per fortuna non trovandola. Per fortuna del suo prossimo, pessimo stato d’animo.
Entrò nello stagno. Si sentiva un sasso.
SPLASH, fece con tutto il suo corpo affaticato.
9.
Ritornando a Caronno Pertusella sulla sua Nissan Micra del 1994, Sarti sentì alla radio che Schumacher il Primo aveva vinto il Gran Premio di Barcellona.
“Affenarsch!”, disse Sarti a commento in un tedesco perfettamente volgare; lui che aveva lavorato in Germania, zona Kassel, in un ingrosso di fiori nel 1974, un’esperienza parecchio formativa per la sua personalità allora in divenire: in divenire UNO SCHIFO secondo il suo personale parere, talmente personale che non l’aveva mai espresso a nessuno, nemmeno al suo unico amico Liberato Antonio FU GIUSEPPE.
Sulla strada, come se nulla fosse, vide la pubblicità 20 metri x 15 del TONNO STAR, e senza una ragione apparentemente giustificabile si sentì scuotere da rapidi brividi di freddo. Sentiva morire il tonno gigantesco sotto i colpi di un mercenario Achab conserviero.
10.
Più tardi telefonò l’amico, il Liberato. STANCO DI FARE IL COGLIONE UNA DOMENICA DI MAGGIO? (4.5.2005, n.d.a.).
No, rispose Sarti, che si sentiva, in quel dato momento, proprio l’omonimo del vecchio portiere dell’Inter anni 60, la GRANDE INTER d’Helenio, l’HH. Sognava di parare l’imparabile. Un rigore di Omar Sivori. Dopo il prodigioso gesto tecnico-atletico faceva il gesto dell’ombrello al “cabezon”. Questi per reazione tentava di saltargli al collo. L’arbitro Concetto Lo Bello espelleva il testa calda e indisciplinato argentino.
Stava mangiando dei MINI RITZ SAIWA con ingordigia. Ruttò quasi con discrezione. Guardava BLOB: c’era Santoro. Poi Ciprì & Maresco. (Un ciccione in bianco e nero scoreggiava).Poi Bella Ciao, cantato forse da una banda di Alpini alla sesta grappa. Poi Bruno Vespa & Previti. Poi Quelli Del Grande Fratello. Poi Claudio Amendola. Poi Claudio Amendola che dice: “Però i farsi alarmi sò stronzate, no’ li fate…” Poi Grande Fratello (Nomination con tettona presentatrice chirurgicamente rifatta, cioè Barbara D’Urso). Poi Marco Bechis, regista cinematografico. Poi Giuliano Ferrara. Poi Emilio Fede in “Berluskoni dixit urbi et orbi”. Poi ancora Bella Ciao (banda di Alpini alla nona grappa NONINO). Poi ancora Amendola che dice al pubblico del concerto “de stà zitti 10 secondi”. Poi Previti & Vespa. Poi Bossi & la Padania. Poi Cristiano Malgioglio anni 80 con fusciacca da gayputtano. Poi Pezzotta il Sindacalista. Poi Piero Pelù il Rockista. Poi Paola Cortellesi & Amendola che parlano a cazzo (di cane) di preservativi. Si vede il culo della Cortellesi. Culi molto migliori, in giro. Casino da concerto. Ancora Vespa. Poi Pubblicità Progresso. Poi Federica Sciarelli- Pubblicità Processo- che parla di Previti (condanna). Poi programma trash Raidue non identificato, indistinguibile da tutto il palinsesto prima durante e dopo.
Poi Sarti spense la TIVU’ con un ringhio fesso.
11. “Rosario?!”, disse Sarti. “Non si chiama Gianfranco? Ah no? E allora sai che ti dico? Ti dico chi se ne frega. Va bene, grazie. Ciao”. Mise giù. Liberato era di nuovo un ricordo. Per pochi secondi. Poi svanì nell’oblio. Ora si trattava di passare la serata in qualche modo. Si preparò un panino con i wurstel della STANDA. Una schifezza. Non aveva né mostarda né ketchup né maionese né salsa tartara né salsa rosa. Mi mangio il pesce che ho pescato, pensò, anzi disse.
Il pesce era un PREREFRIGERATUS MINGHERLINUS. Lo prese con grande precauzione e aggricciando le narici tra le dita viscide, come se si fosse trattato di un preservativo usato. Era nero come la pece, il pesce. Pieno fino a scoppiare d’inquinamento continuato. Meglio metterlo sotto l’acqua. Il nero però non andò via. Peggio di una canzone di Vecchioni, pensò Sarti. LUCI A SAN SIRO.
12.
Si buttò sul giornale: PREVITI, IRAQ, AFGHANISTAN, SARS. Tra dieci anni questa sarà LA STORIA, pensò Sarti. Si buttò sul letto. Aveva di nuovo la vecchia copia di Playboy in mano. CHIAMO DI NUOVO LA PUTTANA DI GENNAIO, pensò. Poi ci ripensò: “Ma no, ma no, meglio di no, è tardi…” S’interruppe. Non aveva la benché minima forza di andare avanti. E poi non c’era ragione di dire ciò che sapeva già. Parlare da solo non serviva a nulla, sapeva esattamente ciò che aveva da dire e dunque, a scanso di inutili ripetizioni, era meglio non dirlo.
Si addormentò. Il lunedì, senza fretta e in silenzio, avanzava nella notte buia, pronto come sempre a svegliare tutti, tutti quanti, anche Sarti l’omonimo del portiere. Anzi, lui per primo: alle 5.47, prima dell’alba.
Perché Guido Sarti nella vita faceva il pendolare. E le uniche cose che parava erano i colpi di sonno in prossimità della Stazione Centrale di Milano.
13.
Eppure c’era qualcosa che mancava. Tornando dal lavoro, sul treno, ci aveva pensato a fondo. Fondamentalmente. Quella puttana di gennaio era bella. Passo da pantera. THE PANTHER. Svicolava a tutta mancina come un cartone animato, SVICOLONE. Era comunque un felino. Bruno, soffice, la mandibola secca e pronunciata, gli occhi quasi rossi come in un autoscatto porco LE ORE. Era troppo aggraziata, la baby, troppo sì. Non puttana 24 h, non era possibile. O forse studentessa universitaria triste e solitaria y final (Claudio Villa – Simone Cristicchi- Osvaldo Soriano). O figlia della buona borghesia lombarda, una delle tante che a sentire Liberato Franzelli l’esperto d’inguini femminili faceva la trasgressiva mondando alla rovescia il peccato originale familiare d’essere ricchi e rispettabili. Ma insomma, ci pensava su fisso come in una fotoripresa da microscopio, l’obiettivo parato dritto su quella femmina alata come l’angelo della Rolls Royce. Amore amore amore amore amore amore amore amore amoooor… Era una vecchia colonna sonora del Conte Piccioni per Sordi, e gli faceva sordo rimbombo nelle orecchie malmostate da ore di officina meccanica DE PRATESI S.r.l., Milano, via Lorenteggio. Una bella brochure di presentazione, con le macchine in funzione, mandrini autocentranti a tutto pestare e lui in tuta blu sbiadita dai troppi lavaggi che in una foto rappresentava il personale specializzato, il grugno teso all’operazione nel fotocolor d’impatto. Era il testimonial muto, sordo e ignoto dell’azienda.
14. A casa scelse la confezione di 4 SALTI IN PADELLA FINDUS. Aveva una fame svizzerotedesca. A scaldarne il contenuto ci mise davvero quei pochi minuti di cui si favoleggiava in tutti gli spot. Erano gli spaghetti allo scoglio. Mentre affrontava il piatto mirando dritto al decongelato con la forchetta impastata, decise di telefonare.
“Pronto Ester?”
“Sì?”
“Sono il tizio di Playboy”.
“Chi?”
“Niente. Provincia di Varese, sega a cavalcioni.”
“Ah ecco, sì.”
“Ecco. Quando può tornare?”
“Sempre la stessa cosa?”
Sarti deglutì. Inspirò profondamente. “No, stavolta mi farebbe piacere una completa, se non ha nulla in contrario”.
Lei rise. “Si figuri. Dipende da quello che lei vuol fare. Domani andrebbe bene?”
“Domani sera?”
“Si, o anche nel pomeriggio.”
“Eh, io al pomeriggio lavoro… senta, facciamo domenica, che sono libero tutto il giorno?”
“Ehm, io domenica avrei da fare… sabato?”
“Va bene. Ma nel pomeriggio. Alla mattina lavoro”.
“Va bene. Mi ridà l’indirizzo?”
15. Arrivò il sabato. Appuntamento a casa del Sarti alle 17.30. Lui aveva fatto in tempo a darsi la rinfrescata, a dormire un’oretta con un occhio solo. Aveva chiamato Liberato.
NIENTE, NON CI SONO, aveva detto. Liberato voleva sapere che cosa c’era sotto ma lui non aveva vuotato il sacco.
Ecco la mente che si spalanca all’abisso del niente, ecco la donna misteriosa, l’ansiosa vigilia, la rosa non colta che ronza nella testa come la mosca ansante, ecco che attende l’uomo la sua donna di poco, di tempo massimo affiorato tra biglietti d’euro rimossi dalla banca, la stanca attesa in vestaglia della donna non amata, pagata, solo così sarà sua, sarà pur sempre qualcosa.
La bella playboiesca entrò. Sarti si sistemò il nodo alla cravatta di lana, la invitò nella stanza da pranzo. Era imbarazzato. La ragazza gli sembrava ancora più bella della volta precedente. L’aveva vista bene, muoversi verso la stanza con l’incedere delle regine. Un ‘apparizione di madonna peccatrice. Il sacro e il profano abbracciati insieme in una stretta atomica. Con delicatezza, dopo aver accettato un caffè, la ragazza fece capire a Sarti che era ora di passare alle estreme confidenze, di dare fiato alle trombe di un concerto grosso per archi per nulla sviolinanti di basso continuo.
Nella camera di letto, Sarti si scatenò. Sentì una pressione concomitante alla ghiandola pineale surrettizia, gli diede giù come un mandrillo mandrinante, fottendo a colpi pelvici uno più rotondo dell’altro. Se la fece a zig zag, facendole entrare il cazzo in una specie di gimcana dx/sx. Lei mugolava. Niente a che vedere coi mugolii dei pornazzi professionali e non che Sarti di tanto in tanto guardava per il segone della staffa. Qua gli sembrava di udire la Pina, la moglie passata a miglior vita di camposanto, quando nei primi anni fremeva di sincera passione, e gli si attaccava alle spalle sudate, gli diceva arrochendo la vocina “amore mio” a ripetute volte, fino all’esplosione biposto. In quel momento Sarti riviveva antiche storie matrimoniali in pieno sboccio, sentiva abbattersi sullo sterno una specie di amore incomprensibile per la giovane donna sotto di lui. Sentiva d’amarla come aveva fatto con la Pina, o forse stava amando di nuovo la Pina attraversando quel giovane nuovo corpo di sconosciuta bellissima a pagamento. Fatto stava che, prima che lui venisse, lei diede segni di sincera venuta. E a quel punto, non credendoci neppure ma essendone stimolato, Sarti l’omonimo del portiere gli diede giù alla bruttodio con tutto il cuerpo y l’alma, venendo nel preservativo DUREX installato attorno al cazzo pompante come da prescrizioni minime.
Lei alzò la testa, la fronte gocciolante di sudore, sul bellissimo viso un sorriso disteso BONOMELLI. “Hai una sigaretta?” chiese. Sarti saltò fuori dal letto con un’agilità insospettata e tirò fuori un pacchetto di KIM (la sigaretta, assieme alla MURATTI AMBASSADOR, del baffuto e peloso playboy di provincia anni 70) – tirò fuori una lunga paglia bianca in tutta la sua lunghezza e la porse con un sorriso sereno alla ragazza.
16. Dopo che la bella pupa fu uscita verso una BMW SPIDER, Sarti cominciò a teorizzare un nuovo incontro. La ragazza lo aveva salutato con una cordialità luccicante, stampandogli un forte bacio sulla guancia, quasi come a ringraziarlo. Strana puttana, pensò. Lui l’aveva ringraziata tante altre volte: perché con lei era tornato indietro, questa volta, di almeno vent’anni, a quando era innamorato perso di sua moglie, e il mondo lo sentiva accessibile, tutto gli pesava di meno e non tanto perché era più giovane di vent’anni.
Tutta la domenica a pensarla. Era una cosa strana. Quella ragazza qualcosa gli aveva raccontato, fumando quella KIM. Lui gli aveva fatto un grazioso interrogatorio. E lei aveva risposto senza complessi, raccontandogli di quando aveva fatto la modella per l’alta moda pronta; e anche foto, aveva fatto, soprattutto quelle, perché in passerella era durata poco, la fashion vittimizzante voleva donne più alte, lei arrivava al minimo consentito, e insomma la pubblicità l’aveva chiamata, ma quanti anni fa? Ah, ormai dieci, eh sì, sono dieci anni, non sono più tanto giovane, sai? Ah sì? Non ti chiedo l’età ma… Ma sì dai, ho 37 anni. Non si direbbe proprio! Eccetera.
Aveva evitato, Sarti, di chiederle la cosa solita e tri-ritrita, cioè perché era passata al settore inguinale. Lei non fece mostra di volerne parlare, ma sicuramente, pensò Sarti il giorno dopo, se glielo avessi chiesto… ora mi rimane la curiosità.
17.Arrivò il lunedì. Sulla MM VERDE, salito a CENTRALE F.S., Sarti viaggiava verso CADORNA, insomma si muoveva verso il posto di lavoro. Non aveva dormito nemmeno quella notte. La ragazza era diventata un’ossessione.
Lei si svegliò di soprassalto, nel suo appartamento midcult di viale Bligny. Nello stesso momento in cui Sarti, sulla MM, pensava a lei.
Lei invece no. Dentro di sé, nei suoi recessi parzialmente consci, ringraziava però quell’uomo, ogni tanto, perché era stato quello che l’aveva nuovamente sbloccata al piacere vero, dopo anni. Aveva avuto un orgasmo dopo 12 anni. Allora, l’ultima volta, lavorava ancora nella moda. Ora quell’uomo insignificante le aveva fatto riprovare il vero piacere. Sorrise. Aprì una vecchia rivista.
Un trucco giocoso quella della primavera, le nuance decise vanno a risaltare come alberi di natale, abiti balloon, corpetti di paillettes, lurex e crinoline, SMALTO FIRE 159, CHANEL (Sarti scendeva a Cadorna, si sentiva stanco, strascicava i piedi, faceva tutta la strada sotterranea fino alla LINEA ROSSA, si fermava davanti a un treno appena arrivato, destinazione MM BISCEGLIE, saliva) – Gisele Bundchen, che cos’è per lei l’amore? Una delle cose più belle della vita. Ma bisogna viverlo nella maniera giusta: devi essere in grado di dare, prima di poter ricevere. Da dove arriva questa saggezza? Leggo libri, faccio yoga, dedico molto tempo alla meditazione. Conoscersi è essenziale per essere felici. CRAZY REFLECTIVE MOTOROLA, H & M VESTITO EURO 29,90 ( Sarti non trovava come al solito posto a sedere, ma di solito non gli importava, adesso invece avrebbe voluto sedersi, gli girava la testa) Meltin’ POT, BACI & ABBRACCI collezioni, sottogonna di tulle, Luisa Beccarla, Bustier Vintage, top ricamato con macro paillettes, DOLCE & GABBANA, longuette abbinata (EURO 2.650) VIVIENNE WESTWOOD, COTTON BELT New York, N.Y. U.S.A., BUGATTI VEYRON con 1.001 cavalli e un apparato elettronico progettato per le esigenze di guida delle donne (Sarti sudava freddo, guardava intorno a sé, nella calca del vagone, alzava ora una mano come per chiedere aiuto, cercava di parlare ma dalla sua bocca non usciva alcun suono, gli occhi si chiusero mentre il treno frenava lentamente verso la prossima stazione.)
(Incluso nell’antologia “Attenzione! Uscita operai” di No Reply. Immagine: Axel Krause – Kunststueck 2004)
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Un turbine psichedelico, l’ansia di fagocitare l’effimero presente. Come la nuova ( e ultima) donna di Sarti.
Bravo, Franz
Carlo Capone
PS Il metrò c’è sempre. Un’ossessione?
Un racconto godibilissimo Franz. una scrittura fluida che non lascia spazio al lettore per pause. All’interno di una società che ormai ha poco da scoprire, dentro la stanchezza di un lavoro e dell’individuo, si staglia la solitudine di un uomo, uno come tanti, uno che cerca di vivere altri scampoli di tempo illudendosi, forse, di riacciuffare un passato che non è più, o forse lasciandosi trascinare dalle sue voglie, dalla sua insonne poesia per credere a un ulteriore significato che si ferma però dentro un vagone affollato così come si perde per sempre il suono della sua voce.
cari saluti
jc
giusto
non ci son più le mezze stagioni
chi fa da se fa per tre
meglio una gallina oggi che un uovo domani
di bellezza ce n’è di più in un attimo di sordida malinconia
sublime. come l’avessi scritto io.
saluti,
rs
non mi è piaciuto!
a me fa un pò ridere
hehehe…
Mah!
Bello.
Davvero molto bello. Blob e Meltin’ POT sublimamente striscianti.
Complimenti,
Giuseppe
vi leggo
la pochezza del maschio smascherato
senza più amore
@Augusta
Scusa se mi permetto, ma se rileggi forse troverai la fragilità di un uomo e, pur tra pagine di “vizio”, un desiderio che è nostalgia d’amore. Un uomo che non si nasconde, dunque non può essere smascherato.
cordialmente
jolanda
il vizio è il desiderio più sincero che ci sia.
poi dicono che le donne sono complicate….
Grazie per i vostri commenti!
Carlo, prendo il metrò dal 1974. Ormai è il mio “sottosuolo”.:-)
Franz