Il Giardiniere
…La Mercedes SRL Unlimited possiede tutto il fascino della velocità, delle linee dinamiche e della perfezione sia tecnica che estetica. Figlia della leggendaria “Ala di Gabbiano” sintetizza in modo splendido il carattere di una supersportiva con tutto il comfort di una Gran Turismo…
Il dottor Gastone Perlini, direttore commerciale della filiale italiana della United States Corporation, filava sulla A1 come se fosse stata sua. Sotto il suo culo iniziava quello della Mercedes SRL Unlimited. Un’auto per pochi. Un gioiello assoluto. Gastone Perlini si era laureato alla Bocconi, come da copione.
Aveva seguito un master negli States, subito dopo ed era arrivato dove molti non erano ancora. E dietro di lui sbavavano. Di rabbia e lacrime feroci. Vincente oltre misura, Perlini, possedeva una moglie incantevole. Possedeva inoltre un Labrador, due figli maschi di sei e otto anni, un appartamento in centro a Milano, uno chalet a Cortina e una villetta a Porto Rotondo, con tanto di barca, una Victoire 22 del cantiere olandese Victoire Jachtbouw. Possedeva inoltre un’agenda fitta di impegni di lavoro e non solo. Conosceva gente Perlini: politici, giornalisti, militari, stilisti. E un lungo stuolo di untuosi leccaculo che lo seguivano ovunque.
– Non riesco più a concentrarmi, dottore. Non più come una volta.
– Come? – rispose il dottore.
Gastone Perlini aveva solo sussurrato. Non se la sentiva di pronunciare quella frase come se ne fosse convinto sul serio. A soli cinquant’anni non lo accettava. Eppure quelle capacità intuitive, quella velocità di pensiero, quell’immediatezza esecutiva che lo avevano sempre caratterizzato, che gli avevano dato lustro, denaro e successo, pareva stessero abbandonarlo. Aveva provato di tutto. Il suo medico gli consigliò uno specialista. Si prese una vacanza. Poi fece un po’ di psicoterapia. Niente. Le funzioni celebrali parevano spegnersi lente. Eppure non era Alzheimer, o forme tumorali neurologiche, nessun principio di demenza senile. Soltanto, Perlini, aveva perso smalto, interesse, passione per il suo lavoro. E, come si sa, ogni volta che la medicina non trova la causa del sintomo usa una parola magica. Ancora una volta, anche in quel caso, la parola magica fu stress.
– Che significa stress?
– Significa che sei stressato, che devi rilassarti.
Fu così che dopo la psicoterapia, i massaggi shatzu e l’aromaterapia il dottor Perlini pensò allo zen. Cercò sulle pagine gialle la parola zen. Subito dopo i vetrai trovò zanzariere (vedi anche serramenti e infissi) poi zincatura a caldo, a spruzzo e infine zincatura elettronica. Niente zen. Maledette pagine gialle. Gli venne meglio con internet e trovò il monastero Fudenji. Venne a sapere di questo Maestro. Fausto Taiten Guareschi, patriarca in linea di discendenza diretta della scuola giapponese zen Sotho. Imboccò l’autostrada. Uscì a Fidenza, in provincia di Parma, arrivò in paese, lo attraversò e prese la strada per Tabiano, come il navigatore satellitare gli ordinava di fare.
Di chi sei in cerca tu? avrebbero chiesto alle porte del Dojo a Siddharta Shakyamuni, interrogandolo sulla natura della sua ricerca. Siddharta Shakyamuni cercò di entrare, millenni di anni prima, nella via del Buddha sforzandosi di capire il Triplice tesoro: Buddha, Dharma, Sangha in termini di valore filosofico, etico, spirituale. Tutto questo senza navigatore satellitare.
Gastone Perlini arrivò sulla strada di Bargone alle prime luci. Era un tipo mattiniero come tutti i pragmatici. Si trovò immerso in una campagna collinare fatta di verde che si aggrovigliava in fondo alle colline e i monti con un azzurro tiepido appena sfumato. Entrò al monastero, scese lo stradello sterrato e costeggiò una costruzione orientale, fatta di legno e mattoni. Incastrata tra orti e giardini ordinati in maniera perfetta. Scese dall’auto e si aggiustò il blazer blu. Si respirava aria fatta di bellezza. Perlini fece alcuni passi sul prato, calzava mocassini di coccodrillo autentico. Lucidissimi. Vide all’opera un giardiniere che indossava una tuta da lavoro blu. Il giardiniere imbracciava una falce e lavorava duro. Al sole. Accanto c’erano mucchi d’erba tagliata.
– Mi scusi – fece Perlini. Il giardiniere inclinò appena lo sguardo verso di lui.
– Dove posso trovare il maestro Fausto Taiten Guareschi?
Il giardiniere allora posò la falce e con la manica della tuta si asciugò il sudore dalla fronte e dal capo. Poi guardò l’uomo di sottecchi.
– Chi lo cerca?
– Sono il dottor Perlini di Milano. Ho bisogno di parlare con il maestro.
l’altro lo osservò un poco, da capo a piedi. Poi rispose
– Può parlare con il maestro verso sera. Ora non è possibile. – Verso sera? Tra quanto intende?
– Non ne ho idea…
Perlini era preso dallo sconforto. Per la prima volta, dopo trent’anni, si trovava all’inizio di un giorno feriale senza nulla da fare. Si sentì perduto.
– E che faccio io ora? Dove posso aspettarlo?
– Bah…- fece il giardiniere – potrebbe darmi una mano.
A Perlini venne da ridere.
– Lasciamo perdere – fece – sarebbe più il danno che altro.
Il giardiniere allora si avvicinò all’orto e raccolse una vanga.
– Come vuole lei. In quella cascina c’è una tuta da lavoro. Potrebbe zappare la terra vangata.
Perlini fumò tre sigarette in soli cinque minuti. Poi si attaccò disperato al cellulare ma capì subito, con angoscia, che da quelle parti non c’era campo. Fece un giro attorno al monastero. Nessuno. Fece un altro paio di giri, osservò le colline antistanti, i vigneti, le querce e i casolari dispersi.
– Dove diavolo è quella tuta?- sbottò alla fine.
Il giardiniere sorrise e gliela indicò con un breve cenno del mento.
– Come si fa? – chiese Perlini che appariva così ridicolo infilato in panni altrui che gli stavano larghi e sbilenchi. Ai piedi portava un paio di stivali di gomma. Quelli, invece, gli andavano stretti e i piedi gli facevano male.
– Stringa la zappa per il manico e cerchi di spezzettare la terra più asciutta – rispose il giardiniere riabbassando lo sguardo. I due si misero a lavorare per un bel po’. Senza fiatare. Ogni tanto Perlini si fermava. Si riposava, chiedeva informazioni. Il giardiniere invece continuava duro e rispondeva a monosillabi. A un certo punto lasciò il proprio attrezzo e si avvicinò – Sostenga il manico proprio a quest’altezza. Con questa mano – gli fece scostandogli il braccio di una lunghezza impercettibile.
– C’è differenza in questi pochi millimetri? – rispose Perlini scocciato. Poi aggiunse: – Mi permetta ma il suo mi sembra un atteggiamento un po’ maniacale.
Il giardiniere sorrise ancora. – Non confonda lo stile accurato con la puntigliosità. E’ un gesto spontaneo il mio. Pura spontanea azione.
Perlini sbuffò impaziente. Ormai erano passate ore e del Maestro neppure l’ombra. Il giardiniere a quel punto sistemò con cura una tovaglia candida su un banco da tavolo. Dopo aver tolto gli attrezzi e spazzato via trucioli e chiodi, apparecchiò. Le posate erano sistemate, precise, accanto ai piatti. Invitò Perlini a tagliare pane e salame mentre sturava una bottiglia di Gutturnio.
– Ma il maestro sa che qui si beve vino e si mangia salume? fece incauto Perlini. Al giardiniere venne da ridere poi rispose: – Sì, al termine del Ramadam ci concediamo qualche piccola trasgressione.
Continuò a ridere.
Perlini non recepì per nulla la battuta e annuì con il capo. Alla fine del pranzo i due andarono a raccogliere la frutta dagli alberi e la sistemarono in apposite cassette. Poi spostarono pietre e mattoni. Sacchi di cemento e sabbia.
– Ci sarebbe da spaccare un po’ di legna. Non tanta. Poi abbiamo finito.
– E meno male – sussurrò lieve Perlini madido di sudore.
– Ma il maestro?
– Credo arrivi a momenti. Ma lei, piuttosto, perché è qui?
Perlini non aveva neppure voglia di rispondere ormai. Era stanco e provato. Stava quasi imbrunendo e non era riuscito a concludere nulla di ciò che era segnato in agenda.
– Con esattezza, non so – rispose comunque – mi hanno parlato dello zazen, dicono che rilassi moltissimo. E’ un periodo che sono stressato.
– Mmh – fece il giardiniere alzando lo sguardo verso di lui – lei sa di cosa si tratti?
– In tutta sincerità non proprio – rispose Perlini – e lei?
Il giardiniere si avvicinò, inarcò le sopracciglia e buona parte delle rughe sulla fronte. Poi indicò la parte del monastero dove i monaci praticavano lo zazen.
– Lo zazen non è nulla – affermò.
– In che senso?- domandò Perlini senza comprendere quelle parole. E pentendosi subito di avere interrogato un giardiniere.
– Proprio nulla, mi sembra di aver capito. Stanno lì seduti. Non fanno nulla.
Perlini era sempre più sconcertato.
– Ma se non è nulla, se non significa nulla, perché lo fanno.
– Mah, non so – buttò lì il giardiniere grattandosi il capo.
– Anche perché, un’altra volta, ho sentito dire da loro che lo zazen è tutto.
Perlini si stava proprio spazientendo. Le lancette del suo rolex acciaio oro lo stavano guardando di traverso.
– Insomma, cerchiamo di essere logici – sbottò alla fine.
– Logici? – domandò il giardiniere – che significa essere logici?
Perlini tra stanchezza e malumore buttò giù una risposta
– Essere logici significa essere conformi alla logica.
– E che cos’è la logica, allora?
Perlini assunse un’espressione di vero sgomento.
– La logica è lo studio delle condizioni in base alle quali il ragionamento pensato risulta corretto.
– Ah – rispose allora il giardiniere mentre afferrava i manici di una carriola piena di mattoni – il ragionamento pensato, dunque – spinse la carriola poi continuò: – e pensato da chi? Da colui che pensa o dal pensiero stesso?
– Che significa il pensiero pensato dal pensiero stesso?
– Significa che, secondo me, talvolta il pensiero si pensa da solo. Allora tanto vale non pensare. O meglio pensare senza pensare.
– E’ questo quello che insegna il Maestro qui? Pensare senza pensare? Ma dove sono capitato?
Il giardiniere raccolse i mattoni e li scaricò qualche centinaio di metri più in là. Perlini lo raggiunse, si chinò e lo aiutò a dividerli per forma e dimensione. Ne accumularono centinaia. Poi li divisero in gruppi diversi. E, alla fine, li coprirono con larghi teli di plastica. Ormai stava imbrunendo. Raccogliendo mattoni Perlini cercò di allontanare i propri pensieri. Mentre sopra di lui scendeva piano piano la sera padana.
I due uomini si incontrarono proprio lì. Quando non era più giorno, ma neppure notte. In bilico tra due mondi identici e opposti. Qualche cicala iniziò un canto lieve così che anche i grilli cominciarono a suonare. Allora quel verde intenso e chiaro andò a nascondersi tra alberi e arbusti in fondo alla valle. In un unico respiro. Perlini era stanco e indifeso.
Il giardiniere gli indicò un cartello accanto all’entrata del Dojo “Ben eretto siedi” c’era scritto “Ben corretta la postura del corpo. Non a destra, sinistra, avanti, indietro penda il corpo. Orecchie, spalle, naso, ombelico in linea. Contro il palato la lingua riposa, la bocca chiusa, si toccano i denti, sempre gli occhi aperti. Quieto il respiro attraverso il naso. Siedi come un monte fermo, solido. Pensa dal fondo del non pensiero.”
– Tutto qui?- gli venne da dire a Gastone Perlini.
– Sì, qui è l’inizio – rispose l’altro – a volte l’inizio può essere tutto.
Perlini si strinse a sé come un bimbo intirizzito. In fondo era stato bene con quell’uomo. Non era ciò che aveva cercato, ma era lui che aveva trovato.
Sentì di doversene andare, ormai era tardi per aspettare ancora il Maestro, si tolse la vecchia tuta, gli stivali e rindossò i propri abiti e i mocassini di coccodrillo. Poi salutò il giardiniere che lo ricambiò con un breve inchino e un sorriso appena accennato. Tornò alla sua Mercedes, fece scattare la sicura automatica e per la valle si udì un suono luminoso e finto. Una specie di bip inopportuno. Straniante. Gastone Perlini salì in auto e appoggiò finalmente il capo sul poggiolo dei sedili in pelle.
A poche centinaia di metri, nel luminoso buio di quella notte di settembre, vide alcune persone scendere lungo lo stradello. Erano monaci del monastero.
Si avvicinarono al giardiniere e lo circondarono di un unico inchino.
– Buonasera Maestro – gli fece il più anziano.
E gli toccò, con fare tenero e devoto, il palmo delle mani.
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“Il giardiniere inclinò appena lo sguardo verso di lui.”
Ho letto di peggio, ma anche questo racconto, o quel che dovrebbe essere, non scherza affatto.
“Altzaimer”: che razza di nuova malattia dovrebbe essere?
“Siddharta Shakymuni”: chi sarebbe?
Ci sarebbe altre cose, ma evitiamo, tanto il racconto è a dir poco penoso.
sarebbero
Mi scuso per gli errori di editing, mia distrazione. Grazie a Giuseppe, ho già provveduto a correggere.
Ma è tamarro godersi il Mercedes-Benz?
Non lo so, io ce l’ho, quella dei poveri ovviamente, e mi diverto moltissimo a maltrattarla e retrocederla a ruolo di trattore.
noblesse oblige
Beh, effettivamente spesso sarebbe il caso di “pensare senza pensare”. Convinzioni, idee, ideologie stratificate e incancrenite quanto basta a convincere che il proprio “pensiero” sia in perfetta assonanza con la realtà … inducono purtroppo a straparlare anzi … a strascrivere.
Il Giardiniere non giudica nè la mercedes nè il rolex, non suggerisce terapie contro lo stress … indica una strada, un metodo che consiglierei anch’io a qualche penna avvelenata
Il racconto ha un sapore classico, che a me non dispiace – in particolare non dispiace di trovarlo in rete. Che il giardiniere fosse il maestro era forse prevedibile, ciò non toglie che ci sia un che di salutare nel genere di esperienza qui narrata.
Mi trovo in accordo col commento di Giuseppe Iannozzi.
Un bel racconto, nostrano. Nella brevità sintetizza il nostro mondo e la nostra vita suggerendoci che, forse, anche chi non conosciamo ha qualcosa da insegnarci. Complimenti ad Andrea. Ancora una volta è riuscito a toccare le corde dell’animo.
Conosco i luoghi e l’atmosfera è ricostruita alla perfezione. Anche il personaggio, che esiste realmente, è caratterizzato con cura. Farei solo una piccola correzione, ma la voglio dire personalmente all’amico Andrea.
Mi trovo in totale disaccordo sl commento lasciato da Iannozzi. Soffermarsi sugli errori di editing significa non essere in grado di cogliere il significato del racconto, che invece ho trovato molto bello. Sia per come è narrato sia per quello che vuole rappresentare: a volte le apparenze ingannano ma se ciò che si cela dietro di esse è profondo e reale arriva al cuore di chi lo sta cercando, anche percorrendo le strade meno evidenti. Cosa che sicuramente non può accadere a che si limita a guardare una Mercedes.
Quando si commenta uno scritto altrui si deve motivare il perché del giudizio. Dire “penoso” è un giudizio critico gravemente insufficiente che ne mostra la superficialità. Il racconto, in ogni caso, non rappresenta certo il miglior Villani, ha un percorso troppo prevedibile e non lavora sull’ambientazione.
Concordo con pag.
Le critiche distruttive non servono a niente.
A parte questo il racconto ha un suo fluire, tenta di lasciare messaggi importanti però avrebbe acquistato in ritmo snellendo i dialoghi e abbattendo il fattore ‘giardiniere=maestro’ che emerge già dalla prima apparizione del personaggio.
Mah… è un racconto scritto bene, a tratti la voce sembra innalzarsi, a tratti cadere e farsi quasi flebile nelle descrizioni bucoliche. Mi piace più in questo secondo aspetto, perché meno stereotipata (il ritratto del dottor Perlini è un po’ incolore, mentre i tratti naturalistici sono efficaci, come questo: allora quel verde intenso e chiaro andò a nascondersi tra alberi e arbusti in fondo alla valle). La scena finale compone bene il contrasto tra la frenesia del protagonista e la serenità del Maestro. Ma che il giardiniere fosse Taiten si capisce subito, però. In definitiva, secondo me è un racconto positivo, che sconta però qualche clichè.
la letteratura ha di bello che può piacere e non piacere. ciò premesso a me villani piace, e parecchio. il racconto ha quel respiro che ho già trovato nei suoi romanzi e quel sapore di cose a volte antiche e a volte moderne che fanno parte della sua cifra stilistica. fa odore di cose buone, e di certo è una scrittura che non manca mai di essere onesta con sè stessa. sincera, e questo basta. mica poco in questi tempi
Non conoscevo andrea villani ma sono contento di averlo scoperto casualmente “rumigando” in questo sito.
Un bel racconto, molto visivo.
Neanche tanto per la descrizione dei luoghi geografici quanto piuttosto per quelli dell’anima.
Scusatemi, forse non so scrivere bene quello che volevo dire: ma mi è piaciuto, e in qualche modo dovevo comunicarlo
Per come conosco Andrea, sicuramente può fare di meglio!
Il racconto è piacevole e fluido, ma, secondo me, manca di lavoro di lima. Non mi riferisco certo alle sviste di editing, ma al godersi alcuni passaggi, alla poesia che Andrea sa raggiungere e che qui non ho trovato. Avrei lavorato di più su alcune dinamiche, evitando, in effetti, la fine un po’ scontata del giardiniere/maestro e soprattutto evitando di darle un ruolo centrale.
Questo, però, non giustifica i giudizi gratuiti, non motivati e superficiali. Distruttivi per il puro gusto di esserlo.
Andrea, se vuoi ne parliamo :)
Io faccio lo scrittore e so quanto scrivere sia bello e faticoso. So anche quanto sia forte, una volta finito un racconto, la voglia di liberarlo subito, dandolo ai lettori. Così, è inevitabile, qualcosa scappa sempre. Oltre agli errori segnalati da Iannozzi, che ora sono stati corretti, approfitto per segnalare anche “millenni di anni”. Detto questo, datemi pure del coglione per averlo notato. Focalizzarsi su una cosa del genere è quantomeno riduttivo da parte mia, in presenza di un racconto che lo stesso Herman Hesse non avrebbe mancato di apprezzare. “Confondere lo stile con la puntigliosità”, mi direbbe il maestro del racconto, posando il bicchiere di Gutturnio con un sorriso cordiale, “è un po’ da…” E mi lascerebbe lì a trovare da solo la risposta.
Se le critiche distruttive sono solo quelle negative, è un disastro. Da queste parti si sono lette cose migliori. Iannozzi ha centrato al primo colpo. Forse è stato troppo pesante dicendo che è un racconto penoso. E’ un racconto inadatto a Nazione Indiana. Sembra che la sfilza di commenti positivi siano le truppe di sostegno all’autore. Nomi che a me non dicono niente, a qualcuno forse sì.
Oppure si tratta dell’autore mascherato. Chi può dirlo? Lo scrittore Colitto può confermare che scrivere vuol dire correre il rischio. Giocarsela e sapere che si può piacere o non piacere. Fra refusi, sciatteria e ingenuità siamo sotto il livello minimo di decenza richiesta. Da me che sono un lettore, perlomeno. Iannozzi, saggiamente come sempre, l’ha notato subito.
Mah. Refusi, sciatteria e il resto rendono questo un racconto mediocre. Iannozzi, ripeto, l’ha definito subito. Un racconto che si poteva non pubblicare.
Ciao Gianni!
:-)
Un racconto nella sua brevità non è che la scintilla che innesca l’azione di un motore; il mercedes è rimasto parcheggiato e da allora la scintilla ha acceso la suggestione e il pensiero…Sarebbe bello trovare un giardiniere nella rara occasione in cui gettiamo l’agenda, il cellulare non trova campo e le scarpe di coccodrillo autentico non servono più…ma purtroppo forse non lo vedremmo o forse nemmeno gli rivolgeremmo la parola. Grazie Villani per averci spento il motore,gettato l’agenda e non averci fatto trovare campo!
Fra i due protagonisti del racconto,così diversi,si instaura un dialogo silenzioso su come falciare l’erba,zappare,raccogliera la legna,ordinare i mattoni . In quella giornata sono le cose più importanti da fare.
Allora io penso alla consistenza della zolla che si rompe,all’odore della legna e dell’erba,alla polvere dei mattoni sulle mani screpolate….alla fatica…alle scarpe sulla testa,al respiro calmo di un uomo in equilibrio con la natura.
Grazie Andrea,grazie Giardiniere è un pò che di queste cose non mi ricordavo.
Ecchecazzo, quanto spreco di energie per un raccontino ino ino.
Come al solito, sai stupirmi…
Anrea ha scritto racconti bellissimi in passato Cianghiali, Alice sull’antologia di scrittori del Ducato che ho avuto l’onore di leggere in bozza. E questo non è da meno. La scrittura sul web, lo sappiamo, è sempre veloce e frenetica e quindi Gianni Biondillo non ha nessuna colpa, anzi… Apprezzo nazioneindiana perché rispetto ad altri siti dove si parla solo di critica, qui si da attenzione anche alla scrittura, quella vera.
Gianni Biondillo è uomo d’onore. Ci siamo incontrati, entrambi ospiti, a un paio di rassegne letterarie e tempo fa mi ha chiesto un raccontino da inserire in “Nazione Indiana”. Di solito evito internet, sono convinto che gli italiani siano mediamente coraggiosissimi in due situazioni: in auto a finestrini abbassati oppure su internet. Soprattutto quelli che si fanno chiamare, nino, pino, gianni o orsetto blu. Ma Gianni Biondillo è uomo d’onore, mi ha onorato, e il raccontino l’ho buttato giù. Forse non è una delle mie cose migliori. Se ne sarebbe potuto parlare, chissà, in altri termini. Certe stolte cattiverie, davvero inutili, mi confondono, le evito. Detesto la volgarità di certe intenzioni. Di questo Iannuzzi, Iannetti mi sono arrivate dodici mail per mettermi al corrente del suo disagio. Non mi interessa. Si può dire ciò che si vuole, fare ciò che si vuole. Non spostano un millimetro di me stesso. Solo una cosa non permetto. Una cosa che mi ha fatto capire la malafede che c’è nel fondo. Il suo giannizzerogianni ha vagamente fatto riferimento al fatto che io potessi celarmi dietro a certi nomi “che a lui non dicono nulla”. Ecco la dimostrazione di una malevolenza viscida, pelosa. Non ne avrei il tempo e soprattutto le capacità “tecniche”. Per questo non me ne posso curare. Ma ringraziare piuttosto chi, in qualche modo, ha voluto accompagnarmi fuori da questa bizzarra trappola. Torno alla carta stampata.
Ancora grazie a tutti voi.
Nessuno escluso.
Non ho la pretesa di parlare di letteratura,o di “letter-aratura”,come pare sbrigare in fretta la questione il signor Iannozzi, saettando ancor prima dell’editing perfezionato,contro un “profumato”racconto settembrino ed emiliano. Leggo i vostri racconti, raramente i post, ma essendo il sig.Iannozzi il primo ad aver scagliato la pietra e conoscendo personalmente il “reale” Maestro Guareschi,concedo volentieri a Villani il mio plauso. Ah,se si fosse avventurato nel racconto della magia del territorio,dallo svincolo dell’autostrada Villani avrebbe accompagnato personalmente il dott. perlini nella bassa guareschina e lo avrebbe certo convinto,tra lambrusco e culatello,che quella terra avrebbe iniziato a corrodere il suo Stress; ma lo ha lasciato solo col suo navigatore satellitare, condannandolo a vagare invano verso il Tempio del maestro, che,nudo come l’imperatore agli occhi dei bambini lo attendeva. Bravo Villani,lo condanni il dott.Perlini, insegni anche noi come può esser breve e facile stressarsi veramente per non aver vissuto.
Andrea, una volta, mi parlò di Fausto Taiten Guareschi (maestro zen che esiste davvero, mica è finzione). Mi incantò. Era così vero che sembrava un personaggio di un racconto. Quindi mi prendo volentieri la colpa di questo racconto.
Buono il racconto. Illustra con tocchi lievi.
E l’autore non può che essere una persona simpatica e ricca di autoironia, se dice “gli italiani siano mediamente coraggiosissimi in due situazioni: in auto a finestrini abbassati oppure su internet
Dicevo della Mercedes perché mi ricordo che al Paz gli piaceva il macchinone grosso e fuoribordo.
Chiedo innanzi tutto scusa a gianni Biondillo e ad Andrea villani se posto un messaggio “inappropriato” ma davvero non riesco a farne a meno.
Cito “Sembra che la sfilza di commenti positivi siano le truppe di sostegno all’autore. Nomi che a me non dicono niente, a qualcuno forse sì. Oppure si tratta dell’autore mascherato. Chi può dirlo?”
Beh, Sig. Gianni neanche a me il suo nome dice niente … per quanto mi riguarda Lei potrebbe essere Giuseppe Iannozzi … ma scoprire la Sua identità non mi intriga.
Adesso ha il mio nome e cognome e, se proprio vuole saperlo, ammetto di far parte delle truppe di sostegno all’autore. Proprio quelle truppe che in alcuni post hanno dimostrato che un amico può essere anche criticato ma MAI deriso.
“Per la prima volta, dopo trent’anni, si trovava all’inizio di un giorno feriale senza nulla da fare. Si sentì perduto.”
‘Sto Gastone Perlini stava a pezzi, se neanche sapeva oziare…
Mi associo, meno forasticamente e sempre con grande rispetto per chi scrive, ad alcuni commenti negativi apparsi a proposito del racconto: prosa elementare, scarsamente descrittivo, finale prevedibile. Ho letto cose di ben altro calibro in NI. Me, too.
Trovo triste che non si aspetti altro se non poter pizzicare l’altro in fallo. E’ come se ci fosse una goduria sottile nel poter denigrare, in un modo o nell’altro, l’operato altrui. E lo si fa sempre con toni accesi, quasi si volesse smontare, decostruire. La critica, anche qualora volesse essere negativa, dovrebbe sempre andare a braccetto con il rispetto e l’educazione anche perchè temo sia l’unico modo per migliorare e per rendere il confronto fruttuoso. Altrimenti diventa una frecciata continua di sterilità infinita. Ed è un discorso generale. Che esula da Villani e dal Signor. Iannozzi piuttosto che dal Signor. Gianni. Si tratta di modi e maniere che, ahimè, sembrano proprio latitare. Anche quando si stronca un racconto, un libro, un’opera d’arte, un film… un qualsiasi prodotto culturale si può essere raffinati, caustici ma totalmente privi di veleno. I toni stizzosi non si adattano agli appassionati di critica letteraria. Almeno non per me.
signorsì.
Cara Charlotte, avevo pensato di non tornare più sull’argomento e di chiudere. Poi mi hanno avvertito di questa tua che condensa esattamente il mio pensiero. Io non conoscevo queste cose e sono rimasto sconcertato. Non credevo proprio che potessero succedere anche nell’ambiente letterario. Pensavo in quello del calcio magari. Dalla De Filippi. Forse. Non lo sapevo e non ci avrei creduto . Venticinque anni che scrivo, e che mi pagano per farlo, che frequento rassegne, incontri, presentazioni, festival. Poi un bel giorno arriva uno che dice che la mia scrittura è penosa, elementare, scontata. Addirittura sciatta. E in mezzo ad altri venti che ti fanno complimenti pare che quel fischio tra tanti applausi , e qualche critica costruttiva e affettuosa perchè conoscono il resto del mio lavoro, sia quasi importante. E ci si sofferma ad ascoltarlo. Poco valgono le mail private di sostegno. Stamattina ne ho trovate addirittura ventidue che dicono che sono un pazzo se solo mi metto a comunicare con certi mitomani autoreferenziali che vagano per la rete eccetera eccetera. Ma quel fischio può far male perchè è cattivo. Perchè non lo si tollera in un ambiente che noi frequentiamo proprio per difenderci da certe cose. Dal desiderio conscio di volere fare male. L’arte e la letteratura dovrebbero proteggerci, lo pretendiamo, ma non è così. Ma del resto io ho accettato di pubblicare su internet e mi prendo tutte le conseguenze. Anche quella di essere stato talmente ignorante da sottopormi alla gogna pubblica di una specie di corrida dove qualunque signor nessuno può permettersi di massacrarmi a chilometri di distanza o addirittura sotto falso nome. Con toni stizzosi, appunto, che vorrebbero solo alimentare una rissa e che non fanno, neppure, per me.
Con tanto bene, Andrea.
Com’è che ti difendi tanto, scrittore?
Finiamola qui, per piacere. So come vanno inutilmente avanti queste discussioni. A sputi in faccia.
Fanno ridere gli insulti di una persona che non riesce ad articolare una critica come si deve.
Questo è il rischio di internet , permetti ad una persona di dare aria alla bocca senza essere vista e molte volte il risultato è questo , insulti e niente di più.
Il testo è curato , a volte si ferma un pò troppo sulle descrizioni , ma mi ha invogliato a leggere altri testi dell’autore , il resto lo lasciamo agli stupidi .
Bel racconto, Andrea! A me è piaciuto!
Siamo messi male.
Sei messo malissimo
Concordo anch’io con Charlotte. Anche se per certi testi pubblicati andrebbe implorato a gran voce il ritorno dell’inquisizione. Perlomeno per stroncare non lo scrittore – uno ci prova e ci crede, e solo per questo va rispettato – quanto l’editore o chi per lui ha reso pubblica la cosa scritta.
Di nuovo senza offesa e con grande rispetto nei tuoi confronti, Andrea Villani, non ho il piacere di conoscere nè te nè i tuoi scritti pecedenti, ho camminato lungo il muro perimetrale della tua difesa. Non ho scorto però neanche un piccolo varco dal quale s’affacciasse una punta di modestia.
Tutti i tuoi critici qui sono cattivi, a massacrare i tuoi anni di studi, letture, scritture e convegni. Da parte tua, neanche un minimo dubbio a manifestare la possibilità che in NI non sia stato pubblicato il tuo racconto migliore.
Mi sbaglio, può essere. Magari non sarebbe bastato a fermare le cannonate ad alzo zero contro i tuoi scritti. Chissà, forse ad abbassare la spocchia di qualcuno, sì.
Concedere una seconda possibilità a chiunque (a parte Hitler…), è doveroso.
ho camminato lungo il muro perimetrale della tua difesa?
metafora esagerata? ;-)
No. Io avrei scritto il bastione.
Decisamente…Plessus. La cosa davvero triste è che ormai, è proprio dalle major dell’editoria che in proporzione proviene la peggio feccia, segnale davvero inquietante. Basta non sostenere queste cause, basta non acquistare quello che non merita. Basta sapersi documentare, saper scremare. Che non vuol dire comprare solo cose underground… per carità, sarebbe di una limitazione mentale infinita, significa solo saper essere un minimo critici e, per una volta, soggettivamente capaci di discernere l’evitabile dal necessario.
Per il resto direi che la discussione si è protratta anche fin troppo a lungo.
Plessus,
“ho camminato lungo il muro perimetrale della tua difesa”, devo ammettere, è bella assai come metafora.
Andrea Villani non ha esperienza del mondo dei blog, luogo un po’ sanguigno, dove il rutto, spesso è libero. Sapete come la penso: al di là delle critiche (che sono doverose e fruttuose), io gli insulti, se rivolti a me, non mi fanno né caldo né freddo, ci sono abituato, ho le spalle larghe.
Insultare gratuitamente i miei ospiti, invece mi indispettisce. E’ questione di buona educazione nei loro confronti. E in generale nei confronti dei lettori muti, quelli che non commentano perché terrorizzati da eventuali flame che li coinvolgerebbero.
Salus et otium.
Gianni Biondillo, ti ringrazio dei complimenti e contraccambio con simpatia per la tua, di metafora, ruspante ed efficace.
Ora stacco da un lavoro e attacco con un altro, meno noioso e privo di pc, con più salus e meno otium.
Chissà se le acque nel frattempo si saranno chetate.
Salute e saluti
bravo gianni! (biondillo). Gradualmente la discussione si è spostata dal racconto di Andrea Villani al tema del rispetto reciproco di chi posta e anche di chi non posta (il lettore muto). E’ un tema che mi sembra molto pertinente per NI, perciò alla fine tutti ‘sti commenti forse non sono energia sprecata.
ciao a tutti
io sono quello che viene definito un “actionwriter”, ma sì di quelli che scrivono quei romanzacci da pochi soldi dove si spara e non si parla, doveo si è uomini d’onore o si finisce con la gola tagliata. non faccio letteratura e non mi interessa farla.
Ho i miei lettori, e questo mi basta.
Conosco Andrea Villani e lo stimo. perchè siamo anche molto diversi e spesso litighiamo, forse senza sapere veramente perché.
però il suo lavoro mi piace, perchèè scirtto con le viscere, con la voglia di raccontare la sua storia.
E credo meriti rispetto.
E’ bella assai come metafora?
Sono arrivati i battaglioni di sostegno del day after. E non sappiamo veramente perché.
però deve essere piacevole avere i battaglioni di sostegno, io potessi scegliere preferirei avere loro piuttosto che un gruppo numericamente equivalente di appassionati lettori. Ché i lettori possono perdere la passione, il sostegno dei battaglioni invece è per sempre.
Trovo il racconto di Andrea una piacevole escursione, una gita in compagnia di personaggi non eclatanti, ma veri: mi ha fatto sentire, vedere, pensare. Questo chiedo a una storia, e questo “Il Giardiniere” mi ha dato. Con in più qualche tocco davvero riuscitissimo. Certo, avevo intuito anch’io che il Maestro fosse il Giardiniere, ma questo non mi ha tolto il piacere della lettura fino all’ultima riga. A costo di rubare le parole al Maestro zen del racconto, dico che non credo che fosse importante la meta, ma il percorso per raggiungerla, no? E io me lo sono goduto. Bravo, Andrea!
E’ probabile che di questa discussione io sia la fine. Sono il lettore muto, quello che non interviene perchè spaventato dai lanci nell’arena, chissà mai che me ne capiti uno tra capo e collo intanto che mi sporgo a dire la mia. Che non sono neppure titolata al dire, sono lettrice. Non scrittrice, nè critico letterario. Ma faccio teatro e ho confidenza con la parola: quella scritta, quella detta. Così, per conoscere di più la parola scritta di Villani, me ne sono andata sul suo sito, in cui l’apertura rimanda subito alla pagina di repubblica in cui è pubblicato un suo racconto. Perchè, se di Villani si parla, viene voglia di sapere come scrive. E scrive meglio, meglio davvero di quanto non abbia fatto ne “il giardiniere”. Che pare quasi che usi diversi registri; non si lamenti poi se, non avendo usato in questo il suo migliore, qualcuno glielo fa notare. tutto qui: il racconto pubblicato da “Repubblica” è fantastico, scritto con accuratezza, oltre che passione. Quello pubblicato da NI non è allo stesso livello.
Il problema sono sempre i toni: sono quelli che spaventano. Grazie per l’ospitalità. E ignoratemi. Del resto è finita, siamo agli sgoccioli. o no?
“Cattiva pubblicità, sempre pubblicità.”…
Che anche dietro a Gianni si nasconda Andrea Villani?!?
A questo punto tutto è plausibile eh Iannuzzi?!?
Dal momento che la discussione è divenuta così sterile da focalizzarsi esclusivamente su questa inutile disputa da forum adolescenziale piuttosto che sul racconto di Villani potrebbe essere davvero plausibile.
A me il racconto è piaciuto e Andrea con le sue parole mi ha trasmesso il profondo rispetto e l’affetto che l’autore nutre nei confronti del maestro Guareschi.
I miei commenti personali sul racconto vedrò di riferirli a Villani in altro modo perchè qua verrebbero persi a favore dell’attenzione che alcuni commentatori hanno voluto attirare su loro stessi.
che dire Andrea?
arena difficile questa e bravo tu che hai voluto cimentarti.
una sola frase a questo punto mi vine da dirti.
dello zen non si parla
lo zen lo si pratica
anche la scrittura, dopotutto
grazie a tutti per la possibilità di esprimere un pensiero
A Stefano di Marino: lo sai, te l’ho già detto. Le porte di casa mia per te sono sempre aperte. ;-))
Valentina, Giuseppe si chiama Iannozzi, non Iannuzzi. E non capisco l’incaponirsi su di lui, dato che ha fatto solo due commenti, e firmati col suo nome e cognome.
Io non ho nulla contro i nick, ma non è certo lui quello che dissemina di insulti sotto mentite spoglie, conosco il personaggio. Sono spessissimo in disaccordo con lui, ma lo fa mostrando il volto.
E poi, per piacere, tutti: basta con questa lagna da inter-milan. Com’è che tutto si trasforma in un derby in Italia?
O con me o contro di me. Che palle. Mai avere la possibilità di leggere il buono e il cattivo di un racconto, cum granu salis, solo uno schierarsi l’uno contro l’altro armati.
Sia come sia 60 commenti non sono pochi. Di certo, bello o brutto che sia, il racconto è stato letto, direi. Ve lo ripeto, per favore, chiudiamola qui, dimostriamoci irenici. Zen.
Ohmmmmmmmm
Auguri!
:-)
Perchè tanta avversione? C’è qualcosa tra i due che non sappiamo? C’è grossa crisi! Sembra molto pretestuoso (e/o gratuito) questo attacco. Imbarazzante per la spropositata acrimonia che assomiglia più a frustrazioni personali che non a vera cura nei confronti del “casus belli”. Il racconto, non senza qualche venialissimo peccato, ha una sua dignità e non ne ravviso i disastrosi ed orripilanti aspetti che tanto hanno scandalizzato il Iannozzi.
Gino Delledonne
(Non è uno pseudonimo per Andrea Villani, lo posso dimostrare.)
PS.: Linkare il proprio blog alla luce di cotanta spocchia è un vero autogol (ma se poi, quale supplemento d’indagine, ci si avventura in google c’è anche di più per farsi una “sicuramente fallace” opinione). S’io fossi Villani direi “…da che pulpito, Iannozzi!”
Mi scuso con Biondillo e gli altri se ho postato dopo il fischio dell’arbitro
:-)
Gino Delledonne