Nel nome della letteratura

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Israele ospite della Fiera del Libro di Torino 2008

Con questa firma esprimiamo una solidarietà senza riserve nei confronti degli organizzatori della Fiera del libro di Torino, nel momento in cui questo evento di prima grandezza della vita letteraria nazionale viene attaccato per aver scelto Israele come paese ospite dell’edizione 2008.
L’appello a cui aderiamo s’intende apartitico, e politico solo nell’accezione più alta e radicale del termine. Non intende affatto definire uno schieramento, se non alla luce di poche idee semplici e profondamente vissute.
In particolare, l’idea che le opinioni critiche, che chiunque fra noi è libero di avere nei confronti di aspetti specifici della politica dell’attuale amministrazione israeliana, possono tranquillamente, diremmo perfino banalmente!, coesistere con il più grande affetto e riconoscimento per la cultura ebraica e le sue manifestazioni letterarie dentro e fuori Israele. Queste manifestazioni sono da sempre così strettamente intrecciate con la cultura occidentale nel suo insieme, rappresentano una voce talmente indistinguibile da quella di tutti noi, che qualsiasi aggressione nei loro confronti va considerata un atto di cieco e ottuso autolesionismo.

Raul Montanari

prime adesioni:

Cosimo Argentina
Sergio Baratto
Daria Bignardi
Gianni Biondillo
Riccardo Bonacina
Elisabetta Bucciarelli
Benedetta Centovalli
Sandrone Dazieri
Girolamo De Michele
Marcello Fois
Francesco Forlani
Michael Gregorio (Daniela De Gregorio, Mike Jacob)
Helena Janeczek
Franz Krauspenhaar
Loredana Lipperini
Valter Malosti
Antonio Mancinelli
Antonio Moresco
Gianfranco Nerozzi
Gery Palazzotto
Laura Pugno
Andrea Raos
Mariano Sabatini
Flavio Santi
Tiziano Scarpa
Beppe Sebaste
Gian Paolo Serino
Luca Sofri
Maria Luisa Venuta
Andrea Vitali
Zelda Zeta (Pepa Cerutti, Chiara Mazzotta, Antonio Spinaci)

169 COMMENTS

  1. Io invece solidarizzo con chi ha protestato.

    E la protesta non è contro la “cultura ebraica”, ma contro l’evidente natura provocatoria della scelta di invitare, in questa fase, Israele.

    Può, tale scelta, essere giudicata non considerando il contesto in cui è inserita (a meno che non si creda che la letteratura sia avulsa da ogni contesto storico)?

    Nessuno vuole impedire agli autori israeliani di esprimersi, figuriamoci!

    Ma come ha detto ieri su Il Manifesto il poeta israeliano Aharon Shabtai (declinando l’invito): “è un’occasione di propaganda, in cui Israele si metterà in mostra come uno stato con una cultura, dei poeti, ma nascondendo che in questo momento sta compiendo dei terribili crimini contro l’umanità”.

    Nevio Gambula

  2. […] Cosimo Argentina, Sergio Baratto, Daria Bignardi, Gianni Biondillo, Riccardo Bonacina, Elisabetta Bucciarelli, Benedetta Centovalli, Sandrone Dazieri, Girolamo De Michele, Marcello Fois, Francesco Forlani, Michael Gregorio (Daniela De Gregorio, Mike Jacob), Helena Janeczek, Franz Krauspenhaar, Loredana Lipperini, Valter Malosti, Antonio Mancinelli, Antonio Moresco, Gianfranco Nerozzi, Gery Palazzotto, Laura Pugno, Andrea Raos, Mariano Sabatini, Flavio Santi, Tiziano Scarpa, Beppe Sebaste, Gian Paolo Serino, Luca Sofri, Maria Luisa Venuta, Andrea Vitali, Zelda Zeta (Pepa Cerutti, Chiara Mazzotta, Antonio Spinaci) (vedi qui) […]

  3. Mi era sfuggito l’antefatto e l’ho recuperato in rete: “Un’agenzia Ansa conferma che una quindicina di giovani antagonisti e dei centri sociali hanno occupato questa mattina la sede della Fondazione della Fiera del Libro, sventolando una bandiera Palestinese in polemica con l’invito di Israele, in un periodo come questo, di fortissima tensione. Lo ripetiamo, è una situazione politica tesa e difficile e ci sembra che la politica dello stato ebraico non lo aiuti certo ad attirarsi molte simpatie. Sul posto sono intervenuti Digos e Questura.”

    Personalmente ritengo che una quindicina di giovani facciano poco testo e che le mere raccolte di firme lascino il tempo che trovano. Meglio sarebbe stato, provocazione per provocazione e sempre “IN UN MOMENTO COME QUESTO”, invitare sia la Palestina, sia Israele come paesi ospiti.

  4. Si aderisce, per carità, il boicottaggio è un’assurdità. Ma trovo stupefacente la sproporzione tra quanto è avvenuto e la reazione quasi militarizzata della politica, della stampa e ora dei blog. A proporre la questione, si badi bene non del boicottaggio ma dell’opportunità di invitare anche i palestinesi, era stato un semplice consigliere del Pdci di Torino. L’idea del boicottaggio era poi stata avanzata dal Forum Palestina. Un po’ poco per urlare al tentativo di distruggere Israele, al pericolo antisemitismo, alla mobilitazione permanente. Vogliamo negare ai palestinesi il diritto di contestare Israele? Mi pare poco carino, hanno qualche scaramuccia con gli israeliani da qualche decennio e non se la passano benissimo. Gli stessi scrittori israeliani, ben più aperti e disponibili al dialogo di molti filoisraeliani nostrani, da Grossman a Yehoshua non fanno altro che parlare di questo. Non si può celebrare la nascita di Israele, perché questo avviene a Torino, senza parlare della non nascita della Palestina. O no? E allora ben venga la solidarietà e il no secco a quattro poveracci antagonisti che si mettono a fare le occupazioni, ma proviamo a prendere spunto da quanto avviene per parlare davvero, per discutere e non per esigere ogni volta da tutti, dalla Dandini a Fazio, credenziali di non antisemitismo a prescindere. Gli stessi che dicono che la cultura non si tocca, che gli scrittori devono parlare, sono quelli che farebbero di tutto per non far venire Tariq Ramadan a Torino (sia ben chiaro che non condivido nulla di quanto dice Ramadan). Vogliamo parlare anche di questo? Lo dico senza polemica, solo perché un dibattito che dica solo “Sto con Israele senza se e senza ma”, mi pare piuttosto sterile e pericoloso.

  5. Aderisco. E sono molto contento che abbiate lanciato quest’appello. Era esattamente quel che credevo si dovesse fare.
    Marco

  6. è stato inviatato lo stato di Israele con tutto ciò che significa e non gli scrittori israeliani. non si tratta di togliere la libertà di parola alla cultura ebraica, ma bisognerebbe togliere la visibilità al potere dello stato di israele.
    tutti sono liberi di parlare, ma c’è chi è più libero degli altri di parlare? si tratta di occupare spazi mediatici internazionali, che stranamente i palestinesi non hanno mai.
    leggendo questo appello (deludente e superficiale) mi è venuto subito in mente la vicenda del papa alla sapienza: tutti a dire dello scandalo di togliere la parola al papa! ma il problema non era quello: lui parlava all’inaugurazione dell’anno accademico dell’università pubblica italiana. non ci sarebbe stato niente di male ascoltare il papa ragionare con filosofi, biologi e quant’altro su alcune questioni, ma c’è tanto di cui discutere su un potere che entra in contrasto con un altro, lo stato laico. qua non c’è qualcosa di simile?
    che ci sarebbe stato di male invitare scrittori israeliani e palestinesi a ragionare insieme? e invece si invita lo stato di israele (a 60 anni dalla sua nascita che segna anche l’inizio di una tragedia che continua e riguarda sia israeliani che palestinesi) al più importante evento letterario nazionale come bella vetrina e rampa di lancio.
    io avrei organizzato la cosa diversamente, non ho solidarizzato col rettore della sapienza e non solidarizzo con gli organizzatori della fiera del libro perchè se non si capiscono le implicazioni politiche (proprio nel senso alto del termine, perchè io non conosco un senso basso della parola politica) dei luoghi e eventi che si presiedono, beh…allora…

  7. Sottoscrivo queste parole di stamparassegnata: «Si aderisce, per carità, il boicottaggio è un’assurdità. Ma trovo stupefacente la sproporzione tra quanto è avvenuto e la reazione quasi militarizzata della politica, della stampa e ora dei blog».

  8. Sto con Gambula. La scelta di invitare Israele in occasione dell’ anniversario nefasto non è stata una scelta calibrata, altro che proposta di dialogo. Tirate giù i muri, se volete dialogare, non andate a farvi belli e grandi al salone. E’ lo Stato ad essere stato invitato. In riferimento al post di Angelini, purtroppo non li possono invitare entrambi per un motivo fondamentale: la palestina (Ancora) non è uno stato.
    Tutti leggiamo gli scrittori israeliani, tutti apprezziamo la loro cultura, si tratta di scelte, non si doveva fare questa scelta proprio in questo periodo e proprio in occasione dell’anniversario. Tutto qui. Naturalmente per me. Poi il fatto che l’ospite dovesse essere l’Egitto mentre poi si sia scelto Israele mi sembra alquanto strano…dietro non c’è nessuna scelta politica nel senso più alto, ma economica, forse?
    Ma tanto c’è Bush per fare la pace..

  9. Simona!
    Ah!
    E io che cercavo il tuo libro! Ovunque!
    E adesso sarò davvero costretto a leggerlo, dopo queste parole gettate in pasto agli ipocriti!
    E mi fai sprecare così, numerosi, gli esclamativi! Ah! Mi stupisci…
    “…se non si capiscono le implicazioni politiche…” ;)
    E’ una guerra persa, Simona, ma sempre guerra è. Non se ne può parlare, e certamente non qui. Guarda quanti lodevoli “aderisco!”, tutti in fila, e la memoria corre lontano, ma neanche tanto, qualche decennio… proprio quella memoria che si vorrebbe “giornalizzata” e la si giornalettizza, duiu comprénd? la memoria svalutata e in pasto ai cani. Che si tengano la loro fiera! Scintillante! Lucidata! Evviva!
    “politico solo nell’accezione più alta e radicale del termine”, l’unica accezione accettata, la genuflessione delle avanguardie, l’avanguardia della genuflessione!
    Simona! Ci sono momenti, e tempi interi, e tempi molto lunghi per giunta, in cui il dialogo è precluso, e non serve più… un consiglio, per quanto possa io misero darne: non sforzarti! Conserva la salute, resisti!
    La strada è quella, e ti saluto. Solo a te sìsì, e all’amico Locio, un po’ più su
    *

  10. Non solo non condivido questo appello, ma lo reputo veramente scadente quanto a contenuti.

    La scelta di Israele, che ricade non a caso nel sessantesimo della nascita, come esplicitato dagli stessi organizzatori della fiera, è un atto “politico” non nell'”accezione più alta e radicale del termine” – e quale sarebbe questa accezione? non è dato sapere – ma nel senso di atto di parte. Solidarizzare con gli organizzatori significa schierarsi politicamente (in questi casi non si può non schierarsi), che lo si voglia o meno, ossia prendere parte per uno schieramento.
    Io mi schiero con chi ritiene inopportuna e sbagliata la scelta della Fiera proprio in quanto scelta di parte e – di fatto – di propaganda, e ritengo lesivo della dignità del popolo palestinese omaggiare Israele come stato (è ospite d’onore) proprio nel suo sessantesimo anniversario senza contemporaneamente omaggiare lo stato palestinese che non c’è e che continua a non esserci per via dell’occupazione israeliana – ossia di un crimine contro un popolo che perdura da oltre 40 anni.

    Reputo infine veramente imbarazzanti le seguenti frasi:
    “In particolare, l’idea che le opinioni critiche, che chiunque fra noi è libero di avere nei confronti di aspetti specifici della politica dell’attuale amministrazione israeliana, possono tranquillamente, diremmo perfino banalmente!, coesistere con il più grande affetto e riconoscimento per la cultura ebraica e le sue manifestazioni letterarie dentro e fuori Israele.”
    che è una ovvietà che non si capisce per quale motivo debba essere esplicitata
    “Queste manifestazioni sono da sempre così strettamente intrecciate con la cultura occidentale nel suo insieme, rappresentano una voce talmente indistinguibile da quella di tutti noi, che qualsiasi aggressione nei loro confronti va considerata un atto di cieco e ottuso autolesionismo.”
    che significa di fatto che le manifestazioni letterarie dentro Israele sono considerate dagli scrittori firmatari dell’appello “strettamente intrecciate” alla cultura occidentale tanto da essere “indistinguibili” dalle loro voci, il che porta dritti dritti a dire: NOI SIAMO EBREI NOI SIAMO ISRAELIANI – di 11 settembre memoria, quandi si diceva SIAMO TUTTI AMERICANI –
    dal che nascono spontanee alcune domande:
    1. la cultura araba, invece, e la palestinese in particolare, non è abbastanza “intrecciata” con quella “occidentale” e quindi è “distinguibile da tutti noi (voi, se permettete)”?
    Sia nel caso di risposta affermativa che di risposta negativa si aprono ineludibili questioni, piuttosto penose.
    2. dato che “qualsiasi aggressione nei loro confronti [delle manifestazioni letterarie ebraiche e israeliane] va considerata un atto di cieco e ottuso autolesionismo”, le aggressioni alle manifestazioni letterarie meno intrecciate alla cultura occidentale e più distinguibili dalle vostre voci vanno considerate cieche, ottuse e autolesioniste in misura minore?
    Veramente triste ogni risposta che io possa immaginare.

  11. […] stesso). Il testo con le prime firme — e relativo dibattito — è anche su Nazione Indiana. Questo articolo è stato pubblicato il 6.02.08 @ 11:45 am nelle categorie: Rifiuti, Napoli, […]

  12. Nel nome della letteratura, della libertà d’espressione, e della libertà di contestazione.
    Questo appello in difesa delle manifestazioni letterarie, in linea con lo spirito libertario di NI, mi sembra cortocircuitare la difesa della sacrosanta libertà d’espressione con l’impossibilità di contestare una manifestazione culturale. Credo che sia comunque possibile, e non ci vedo niente di sbagliato, contestare gli organizzatori, meglio il loro invito ad Israle in occasione del suo 60° compleanno, e contemporaenamente apprezzare, leggere, ed invitare a manifestazioni letterarie e culturali gli scrittori israeliani, così come tutti gli altri scrittori. Insomma, questa volta credo che si stia dando retta ad una urgenza di accorrere comunque in difesa di …, senza leggere bene le ragioni dei contestatori. Con le dovute differenze mi ricorda le maledizioni lanciate contro i fisici della Sapienza.
    I contestatori dell’invito ad Israele, e ripeto (in quanto aggravante) in occasione del suo 60° compleanno, stanno organizzando una controfiera alla quale hanno già invitato scrittori israeliani che stanno aderendo; e questo dovrebbe dimostrare che è possibile contestare la politica del governo di Israele e continuare ad apprezzare molti scrittori di quel paese.
    Infine, ma col dubbio d’invetario perché non ho ancora avuto riscontri, riporto una notizia dal forum per la Palestina, che pur non modificando quello che ho scritto, dovrebbe mettere una pulce all’orecchio a molte persone troppo sicure.
    Secondo il portavoce del forum per la Palestina, Germano Monti, l’invito per il 2008 era stato fatto ed accettato da tempo nei confronti dell’Egitto, che aveva già prenotato spazi espositivi e albergo, e solamente dietro pressioni israeliane (sempre per il 60°) all’ultimo momento gli organizzatori hanno sostituito l’Egitto con Israele.
    lucio

  13. Ma che bella fiera di ipocriti, grafomani del cazzo, senza arte né parte! Ma quale letteratura! Gente da televisione, anzi da retequattro, da bagaglino…
    Bene, Gambula, chiunque tu sia.

  14. non solidarizzo con nessuno, qui.
    solidarizzo coi palestinesi, lì.
    e mi domando, con quello che sta accadendo nella striscia di gaza, come sia possibile sottoscrivere un appello del genere.
    voglio dire, come sia possibile affrettarsi a farlo in nome della “cultura”, come se la cultura di israele non la si veda, anche e soprattutto, a gaza, a ramallah, lungo il muro, negli insediamenti coloniali, ai posti di blocco, eccetera.
    come se la cultura di israele fossero solo i suoi scrittori (quanti scrittori israeliani in arabo esistono? quanti se ne vedranno a torino?) e non anche tutto il resto, come la sua politica di espulsione totale e definitiva di ogni presenza araba nella zona, in alcuni casi apertamente certificata da alcuni storici israeliani.
    ma qui no, a torino ci va la cultura-cultura, tutta la cultura israeliana, per così dire larga, per noi ne deve restare fuori, in modo che si possa asetticamente e molto democraticamente distinguere, tra le idee di scrittori “molto critisci” e la concreta intollerabile azione di un popolo, contro un altro popolo.
    poi ci si domanda che fine abbiano fatto gli intellettuali in italia.
    bene eccoli.

  15. vorrei fosse chiaro a tutti che Nazione Indiana non aderisce in quanto tale all’appello, solo i singoli redattori che l’hanno firmato. Io ad esempio non aderisco, come ho già spiegato nei commenti ai post di Inglese.

  16. Sono d’accordo con quanto ha scritto qui Lucio Angelini: “IN UN MOMENTO COME QUESTO”, invitare sia la Palestina, sia Israele come paesi ospiti”.

  17. Una volta gli appelli degli intellettuali servivano a sensibilizzare la popolazione intorno a questioni gravi di cui si parlava poco e si voleva parlare poco. In genere, gli appelli davano voce ai più deboli. Alcuni appelli, in certe circostanze, potevano costare molto a chi li promuoveva. E’ abbastanza surreale che oggi si facciano appelli promossi da scrittori, che non fanno che riprendere quello che TUTTA la stampa dice, e un appello che si mette comunque dalla parte dei forti.
    Ma più surreale, è la sfilza di “obbedisco”… volevo dire “aderisco”. Cosi, senza neanche uno straccio di analisi. Ma pensare con la propria testa fa cosi male? Non mi riferisco certo a coloro che hanno argomentato e anche criticato l’appello.

  18. Chiamare sempre un palestinese quando c’é un israeliano
    fà il paio col chiamare sempre un nazista quando c’è un ebreo.
    Perchè non si chiama mai un israeliano a discutere le ragioni
    di un paletinese: quello non é politically correct?

  19. Aderisco, e sia da esempio di civiltà a chi civile non è, con la sua politica del massacro. Ma ubi major, minor cessat, in questo caso, e l’universalità della letteratura lasci fuori il particolare (assai misero) della politica.

    Giovanni Nuscis

  20. fiero di essere incivile, anche se quando parli di “politica del massacro” dovresti guardare dalle tue parti, mr. Nuscis.

  21. rileggo incredulo il testo dell’appello di cui mi colpisce la separazione che viene operata tra la cultura letteraria di un popolo e l’esistere e l’agire in tutti i campi di quello stesso popolo, come se gli intelletuali-scrittori fossero eradicabili dal loro brodo di coltura etico-politico e i loro prodotti si potessero considerare una cosa a parte e più alta e nobile.
    mentre è evidente che in una manifestazione come quella di torino il problema per israele è innanzi tutto un problema di immagine.
    la protesta vuole ricordare la falsità dell’immagine che quel paese cerca di proiettare all’esterno, perché se dobbiamo credere a quello che l’informazione internazionale ci sta dicendo di quello che accade nella striscia di gaza allora non possiamo allo stesso tempo accogliere come nulla fosse la letteratura e i letterati di quel paese, ma senza impedirgli di venire, dobbiamo almeno ricordargli che qualche problema l’abbiamo, vogliamo sentire cosa ne pensano, per esempio.

    se gli estensori dell’incredibile manifesto avessero almeno chiuso rilanciando il problema della palestina e dei territori occupati come tema centrale del quale i vari grossman dovranno venirci a raccontare qualcosa, perché gli sarà inesorabilmente domandato di esprimere la loro posizione, come conditio sine qua non, occuparsi poi eventualmente di altri temi quotidiani e umani e esistenziali erotico famigliari che sono ugualmente ininteressanti dappertutto.

    finisco la mia inutile filippica: come scrittore, l’unico tema che davvero mi interessa è quello della sopraffazione in tutte le sue forme, collettiva e individuale, palese, strisciante, occulta, l’unica cosa che davvero vale la pena di narrare è quello che ci fa la storia e quello che noi, nella storia facciamo ad altri.
    in questo quadro la “difesa della letteratura” coinciderebbe con la difesa dell’uomo.
    poi fate un po’ voi.

  22. Aderisco senza riserve…
    …ma è triste aderire ad un appello su un evento che non necessiterebbe di adesioni.
    Sarebbe l’ora di finirla con tutta questa cagnara intollerante che si sprigiona quando si ha a che fare con Israele…una cosa è certa, coloro che si fanno portavoci di tali vergognose iniziative sono i più ferventi predicatori di odio e di bieca miopia che si possa immaginare, tanto più pericolosi quanto più desiderosi di apparire come i moralizzatori e i difensori dei soprusi e delle sopraffazioni subite dai “deboli” e dalle “vittime” del mondo

  23. Premetto che sono di familgia ebrea.
    Generalmnete non amo i boicotaggi.
    Però ci sono alcune cose su cui l’ipocrisia, anche intellettuale non paga.
    Come si fa a non vedere che per ogni isareliano ucciso tutta la stampa si muove e su tre palestinesi uccisi nn trovo nemmeno la notizia?
    Come non si fa a vedere una sproporzione incredibile tra la realtà dei territori occupati, delle nuove colonie e dei muri rispetto alla copertura internazionale.
    Mi spiace dirvelo una volta gli intellettuali stavano con i deboli.
    Qui con i deboli non ci sta nessuno.
    Di fatto state rispondendo ad appello di Aldo Grasso, sul cui giornale, l’informazione è quotidianamente mortificata.
    Gli scritto ri isareliani hanno tutto il diritto di esprimersi.
    Ma lo stesso diritto dovrebbe valere anche per i palestinesi.
    Eppure nessuna fiera di torino festeggiare i 10 anni della nascita dell’autorità palestinesi.
    Questi nuovi “amici di israele” ricordano gli stessi che hanno accusato Barenmboin.

    Sarebbe carino che gli scrittori aiutassero a capire la realtà e non la propaganda.
    Sia filopalestinesi che filoisareilana.
    Anche perchè essere filopalestinesi o filoisareliani dovrebbe obbligare anche a dare critiche e consigli.

  24. Aderisco. Sempre. E non capisco perché ogni volta che si debba parlare delle radici culturali di Israele (o della Palestina) subito ci debba essere qualcuno che ritiene “opportuno” parlare anche di quelle della Palestina ( o di Israele). Questo voler sempre porre in relazione (o peggio, in antitesi) le due realtà non aiuta certo il processo di pace: così facendo si condiziona l’esistenza dell’una alla ragione d’essere dell’altra.

  25. aderisco!
    adeRisco!
    heil!

    ma dimmi come non ti vengono, Giovanni Nuscis, i brividi a vederti a testa bassa, pronto a sacrificare il tuo nome, e il tuo cognome, a una vetrina! carte false per averla, ora, nell’ora più buia della propaganda, un milione e mezzo di persone, già da anni ingabbiate, ora senza corrente… che tappeto ci vuole per nasconderle? per nascondere le mani tese e la dignità cancellata, nonostante tutto? ce ne vogliono tanti! in tutti i paesi! e “nel nome della letteratura”, per giunta! ma guardalo, guarda quel titolo! “Nel nome della letteratura”! Ma cosa?
    La lettertura, questa monade indipendente dagli affari umani, ma che miracolo! Sì che un Grossman non risiede, non mangia, non caca, non ha figli che gli muoiono, e se ne ha non ne resta turbato perchè cos’è stato a ucciderlo… ma sarà il fato… non trae esperienza dalla guerra, ciò che scrive è “letteratura”, ovvio… essa viene e ispira, lontana dalla terra e dalla storia e da chi la fa e ci vive, epperò fa anche mangiare, la letteratura… specie se si vende all’estero… ma per vendere all’estero, per la promozione, ci vuole altro dalla letteratura, ci vuole concordanza di visione, armonia, con la realtà di quel paese e chi la comanda. Io mi sentirei offeso, se fossi in Grossman per esempio, da un appello simile “Nel nome della letteratura”…
    E allora cos’è? O è veloce, pensato male, giusto il tempo per dire “io c’ero” in fretta e furia – prendere posizione, scivolando grossolanamente – oppure è l’appello più meschino e maledetto, in cattivissima fede, che si potesse imbastire. E il sospetto viene, leggendo questa frase “il più grande affetto e riconoscimento per la cultura ebraica e le sue manifestazioni letterarie dentro e fuori Israele”… sarebbe un po’ da orbi pensare che tutte le manifestazioni letterarie della cultura ebraica dentro e fuori Israele siano rappresentate da una vetrina di un solo padrone, il governo di quello stato, ché quello stato rappresenta all’estero, ed è lo stesso che occupa e distrugge, che si macchia di crimini contro l’umanità, che agisce costitutivamente fuori dalla legalità internazionale. E quindi, per quali di quelle “manifestazioni della cultura ebraica” sarà mai la nostra vetrina? Per quelle che cantano la stessa canzone, all’unisono, “nel nome della letteratura”.

  26. Aderisco all’appello
    Gianfranco Viesti
    Professore straordinario di Economia Applicata
    Facoltà di Scienze Politiche
    Università di Bari

  27. cavolo, ma che è, la corsa all’adesione?
    mmmmmmmmmm ….
    Io NON aderisco
    Beh dopo tutti queso corri corri ad aderire mi sembra giusto mettere un NON in neretto, cavolo ho sempre detestato i consensi bulgari e anche voi dovreste pensarci un po’ prima di andare sempre in soccorso della parte più facile a cui aderire. Pur essendo lettrice e ammiratrice di molti scrittori, poeti e storici israeliani, li leggo e li stimo (mica tutti ma questo non importa) e voglio che parlino nel mondo, ma non vedo proprio perchè dovrei aderire al fatto che si inviti israele per il sessantesimo della sua fondazione, che cavolo c’entra un anniversario nazionalista con la letteratura? e condivido pienamente quanto scritto da paolo
    geo

  28. La memoria vive di cose quotidiane,dopo sessanta anni un giorno di visibilità per non dimenticare.

  29. @Diego. Ti sfugge che aver scelto Israele come paese ospite dell’edizione 2008 della Fiera del libro non vuol dire avere “ospite” il governo e l’esercito israeliano, ma scrittori della levatura di Grossmann, a cui va tutta la mia stima. Io e te, salvo prova contraria o incarichi di responsabilità che lo attestino, non siamo l’Italia che va in guerra o che manda a rotoli il paese. Mettere alla porta o polemizzare con queste persone, portatrici di cultura, civiltà e dolore lo trovo un atto inaccettabile, pur consapevole del contesto politico e storico di riferimento. Pur comprendendo le ragioni dei manifestanti, in questa circostanza non mi sembrano opportune. La responsabalità, come nel diritto penale, sono personali, e non comunitarie, e, peggio ancora, politiche.
    Metto sempre il mio nome e cognome in ogni cosa che scrivo, e me ne assumo con ciò la piena responsabilità. Comprendo i cuor di leone che non fanno altrettanto, purché non vengano a farmi discorsi di principio. La mia adesione non è frettolosa ma ponderata, il post è di ieri. Prendo posizione ogni volta che lo reputo opportuno, senza nulla da guadagnare né da perdere.

    Giovanni Nuscis

  30. Qui non si capisce più in quale post dire la propria, ma a questo punto vorrei aggiungere qualcosa al post del braccialetto. E cito qualcosa che ho scritto ieri sera:
    Se devo stare con qualcuno sto con gli anarchici israeliani contro il muro (ebrei, israeliani, residenti in Israele). Io sto con tutti gli ebrei democratici, che riconoscono che il loro Stato esercita un’oppressione. E il punto è proprio quello: lo Stato. Finché non si esce da Stato contro Stato la questione non verrà mai risolta. Cosa possiamo fare noi allora? Favorire l’incontro. In ogni occasione. Ma la fiera del libro ha fatto questo? No. E’ passata dallo Stato, quando avrebbe potuto saltare la mediazione statale e rivolgersi direttamente alle comunità di scrittori, di persone, da una parte e dall’altra. Se io voglio la pace faccio questo. E mi viene da pensare, se avesse fatto così la fiera non avrebbe avuto i contributi che sicuramente ha avuto. La fiera è un’istituzione di potere, e come tale si è comportata.
    (Vedo con piacere che anche Wu ming 1 oggi è intervenuto in questi termini, in un altro thread)

  31. è uno spettacolo davvero avvilente, quello che si vede qui.

    questa adesione di massa acritica da parte di persone che per lo più si ritengono scrittori o intellettuali, credo.

    su un appello il cui testo, come ho già scritto sopra, risulta singolarmente infelice nell’arrivare a sostenere la scelta che esprime.

    mi chiedo se non sia il caso che altri scrittori o intellettuali o semplici persone pensanti non scrivano un appello critico verso la scelta della fiera di torino, senza pronunciarsi espressamente sulla possibilità di sostenere o meno la campagna di boicottaggio.

  32. Aderisco.
    Sono israeliana (italiana di nascita) e sono strabiliata dalle bugie e dalla malafede che leggo in alcuni commenti.
    Siamo in molti a criticare la politica dei nostri vari governi ma siamo ancora di più ad ammettere che per ballare il tango bisogna essere in due. Anche per fare la guerra e anche per fare la pace. La responsabilità della situazione è per lo meno condivisa al 50% tra israeliani e palestinesi.
    Peccato che tutti i benpensanti che mi precedono non si siano adoperati nell’agosto 2005 per aiutare i palestinesi ad iniziare a costruire il loro staterello invece di sfruttare i territori finalmente sgombrati per trasformarli in campi per lancia-razzi. Da quanto ho capito si accusa gli iniziatori della Fiera del Libro o/e i dirigenti di aver fatto una scelta politica. Non sono in grado di giudicare, ma di certo posso dire che (a parte gli indottrinati che non prendo in considerazione) sia quasi impossibile capire la situazione di questa parte del mondo ma per essere onesti si dovrebbe ammettere quello che è ormai palese a chi segue da vicino le vicende di questa regione. L’odio non ha niente a che fare con i palestinesi che sono marionette nella mani dello sconfinato popolo islamico che li usa e li sfrutta per i propri scopi. Il resto lo si può capire dai sermoni pronunciati nelle moschee in tutto il mondo. per questo però è necessario un minimo di onestà.

  33. Caro Lorenzo,
    in nessun caso quanto è espresso dall’appello e da chi lo sottoscrive esclude la possibilità di avere una posizione critica – in senso politico- rispetto a quanto accade nei territori. Poi scrivi:

    questa adesione di massa acritica da parte di persone che per lo più si ritengono scrittori o intellettuali, credo.
    e vai con l’insulto a metà,
    acritical mass intellectuals…

    per continuare affermando,

    mi chiedo se non sia il caso che altri scrittori o intellettuali o semplici persone pensanti

    se non l’avevi capito, e allora occorre ribadirlo, qui in calce all’appello ci sono proprio firme di persone semplici. per una questione, e su questo sono d’accordo con te, assai più complessa.

    Ma mai come ora, almeno per me, andava espressa una posizione semplice, si a Israele alla fiera del libro di Torino, il che significa, sì alla cultura israeliana a Torino. se poi tra le opere presentate al salone dovesse capitarmi una silloge di poesie d’amore, rivolte da un essere a un altro essere – magari non sappiamo se il poeta è arabo-israeliano o ebreo tunisino, se è una donna che scrive a un’altra donna, o un uomo che si rivolge a un altro uomo. Poesie semplici d’amore, diciamo, con un riferimento a una tradizione che pur facendone parte, magari ignoriamo. insomma un libro così, le cui pagine non portino il sangue delle stragi compiute nei due campi, dai due, tre campi, ma solo qualche goccia del dolore d’amare,ebbene, caro lorenzo, secondo te quelle poesie sarebbero della merde o più semplicemente della letteratura?

    effeffe

  34. Aderisco senza alcuna riserva e alcun distinguo.

    Francesco Catastini

    European University Institute
    Department of History and Civilisation
    Via Boccaccio, 121
    I – 50133 Florence

  35. @ff
    tu almeno discuti, qui e sugli altri post, io mi sono espresso in toni così forti, o meglio scorati, per il fatto che quasi tutti i firmatari gli aderenti nei commenti finora non hanno neanche discusso la questione in oggetto né il testo dell’appello.

    per il resto, la tua è una domanda retorica, e dunque non necessita risposta. il punto della discordia come sai è un altro.

  36. @Giovanni Nuscis
    che posso dirti Giovanni
    >non vuol dire avere “ospite” il governo israeliano
    allora forse dobbiamo lambiccarci sulla definizione di paese
    se facciamo i finti tonti è un’altra storia.
    cmq. sì, non stimo grossman, affatto.
    e ora basta, vermante.
    a me tutto ciò rattrista molto, e tutte le adesioni, così come le ho viste, a raffica, mi inquietano. certo non mi meravigliano, nello specifico ho visto di peggio. ma almeno non “nel nome della lettertura”, questo va detto.
    salut
    come ho detto stamattina, non ne vale la pena.
    adda passa’a nuttata

  37. Invitare israele alla fiera del libro sarebbe come invitare il sudafrica di botha come stato nazionale ospite d’onore…
    Il sudafrica dell’appartheid è la forma di governo più simile a quella israeliana che attualmente fra l’indifferenza continua a uccidere e destabilizzare l’intera area…

    Ma naturalmente fra ignoranza e qualunquismo tutti proni con l’aderisco più ignobile della storia…bunuelianamente dico defeco sullo stato tutto di israele e sul suo esercito…e basta con la favoletta dell’antisemitismo!!!

    Sono nato 70 anni dopo la guerra, mai appartenuto a nessuna formazione politica fascista o di destra, nè appoggio come appoggerò mai ideali razzisti di alcun genere, semplicemente i ladri e gli assassini li digerisco poco.

    Facciano abiura pubblica della politica israeliana questi “intellettuali” e questi “scrittori” e dopo potranno andare a dire e presentare le loro opere…
    MEntre vi indignate e aderite all’appello c’è gente che muore di fame o che viene uccisa nei territori mentre sui vari giornaletti gratuiti della metro si arriva a scrivere palestinese di 10 anni ucciso come se non fosse un bambino ma solo un palestinese dei tanti morti ammazzati…non avete nessuna scusante per difendere questo stato criminale israeliano.

  38. Scusate, io ho una mente ristretta. Come si faccia ad aderire a una porcheria del genere non lo capisco. E quel che e’ peggio non lo capiro’ mai. Per quello che vale, cioe’ niente, non aderisco.

  39. Nessuno contesta ai palestinesi il diritto di contestare Israele. Perché devono farlo alla Fiera di Torino?
    Alcuni dicono che è stato invitato lo Stato d’Israele. Non mi pare. A Torino verrà Grossman e non Olmert.
    Non sono per nulla filoisraeliano ma a volte, dietro certi pronunciamenti, c’è la solita idea che vorrebbe negare a Israele la sua esistenza.
    Filadelfo Giuliano

  40. scusa Giuseppe ma io non vedo (per fortuna) nessuna guerra. Il post in questione è un appello, in cui si ha la possibilità di aderire o meno. Se raccogliessimo firme con un banchetto, si fermerebbero e firmerebbero coloro che sono d’accordo, di principio con il testo dell’appello.
    Nei blog accade che si possano esprimere posizioni differenti – non credo sia capitato ad un banchetto di vedere uno che si ferma e invece di firmare ti scrive sui fogli perché non è d’accordo- ed è quanto sta accadendo qui. L’unica nota “militare” permettimi riguarda semmai quanti non solo non sono d’accordo ma che in più intervengono per dire che chi firma è più o meno uno sprovveduto, nel migliore dei casi, o un pirla, nel peggiore.
    perché? meditate gente meditate
    effeffe

  41. Ma quale solidarietà…

    Il festeggiato è lo stato d’israele che non dovrebbe esistere eppure ha già 60 anni.

    Oggi lo stato sionista criminale è il peggiore pericolo per la pace.

    Tirino giù i muri e la smettano di angheriare i Palestinesi.

    Da parte mia nessuna solidarietà nè agli organizzatori nè a israele.

    Anzi, quando vedo un prodotto made in israel sistematicamente non lo compero. invito tutti coloro che disprezzano israele a fare lo stesso.

  42. Ariela wrote:
    La responsabilità della situazione è per lo meno condivisa al 50% tra israeliani e palestinesi.

    Replico con la risposta che Ilan Pappe diede a una persona che insisteva con la domanda: cosa possono fare i palestinesi per la pace?
    Hai domande per gli Africani sotto il regime di apartheid ?
    Hai domande per gli Spagnoli sotto Franco ?
    Hai domande per i Cileni sotto Pinochet ?
    Quando sei sotto un regime dittatoriale la domanda va rivolta ai criminali non alle vittime (scatta un appaluso scrosciante)
    http://www.assopace.org/news.php?id=94

    Non adersco all’appello e boicotto tutti i prodotti di Israele, compresi gli intellettuali embedded che saranno in Fiera.

    Dissento ed è un diritto farlo. Boicotto per una giusta causa condivisa anche da molti intellettuali ebrei. Peccato che quelli che prima vivevano e lavoravano in Israele siano stati costretti a mollare gli incarichi universitari e a emigrare. Anche Atzmon sospetto che potrebbe dire qualcosa sulla possibilità di vita degli intellettuali dissidenti in Israele. Grossman? ma Grossman era tra quelli che prima di fare una tiepida critica all’aggressione al Libano ne rivendicava, purtroppo, la liceità.
    E non dovrei boicottare? potrei farlo pure ad personam se sarà veramente il governo israeliano a stabilire quali intellettuali devono finire in vetrina.

  43. io aderisco a quelli/e che non aderiscono
    che questo appello è roba da chiodi!
    e…”baciatemi il culo” è sublime
    la funambola

  44. Aderisco all’appello, ribadendo che nell’ambito sia letterario che scientifico non debbono esserci frontiere o sbarramenti di sorta.

    Ausilio Bertoli
    scrittore e sociologo

  45. Aderisco pienamente, da essere umano, da cittadino, da valdese, da uomo di sinistra, da scrittore per bambini e per adolescenti.
    Se non aderissi, quando andrò nelle scuole o nelle biblioteche a incontrare i ragazzi, avrei difficoltà a spiegare perchè me ne sono stato alla finestra come Ponzio Pilato, senza prendere posizione.
    Luciano Comida

  46. @ effeffe

    Non ho niente da dire sul post, in quanto mi trova perfettamente d’accordo con quanto espresso da Raul Montanari, Effeffe. Mi riferivo semplicemente alle “opinioni non richieste”, come molto bene hai evidenziato nella seconda parte del tuo commento. Comunque l’importante è che il tamtàm continui sui blog anche “nel nome della letteratura”.

  47. come dice effeffe non è obbligatorio aderire o meno, e non c’è bisogno di motivare la propria aderenza o rifiuto però sarebbe anche carino leggere qualche motivazione di chi aderisce, e non vederli scrivere solo *aderisco* come fosse la cosa pù naturale del mondo, come se fossero accaduti a torino atti di vergognoso antisemitismo, come se e la cultura fosse in pericolo (quella lo è ma non certo per tre o quattro persone che boicattano), insomma non è che aderire e basta voglia dire sono per la libertà degli scrittori israeliani … per quella lo siamo tutti (anzi vorremmo che fossero liberi anche dalla loro ambasciata e dal loro ministero degli esteri che li usa propagandisticamente per usare l’unica aprte presentabile al mndo) e l’appello stavolta è, secondo me, solo tanto per fare.
    Qui sembrate quelli che aderivano al papa e a bgnasco :-).
    Insomma quello che chiedo è: é possibile che, fra tutti questi intellettuali che aderiscono, a nessuno venga alcun dubbio sul fatto che invitare uno stato in occasione di una celebrazione nazionalista NON abbia nulla a che fare con la libertà della cultura, ma anzi?
    Insomma con tutti gli anni in cui israele poteva essere invitata proprio le direttive dellambasciatore israeliano dovevano essere seguite da quelli del salone, al punto da spostare all’anno prossimo l’ospite che era già stato scelto.
    Invece di scrivere solo aderisco, come se fossimo in una situazione di emergenza, mi spiegate come mai nessuno di voi nutre su questo alcun dubbio, come dovrebbe nutrire sempre un intellettuale libero?
    geo

  48. Aderisco convintamente. Se poi si vuole una motivazione, e sia. Anzitutto: boicottare i libri è come bruciarli. E questo è già avvenuto, mi pare, in altra epoca, a noi così vicina. Come a dire: chi invita ai boicottaggi, offre la triste misura della propria smemoratezza.
    E poi ancora, su un piano più politico: il boicottaggio della Fiera di Torino parte dal presupposto che Israele sia un problema per il mondo e non una risorsa. Ed invece è proprio così che, soprattutto a sinistra, esso andrebbe visto: come il luogo (l’unico luogo) in cui Oz, Yeoshua, Grossman hanno trovato cittadinanza e dove hanno avuto libero spazio le loro legittime critiche al governo. Se Israele non esistesse, non esisterebbero nemmeno loro. Non vi sarebbe, in tutto il medio oriente, alcuno spazio di democrazia. Né vi sarebbe, in alcun angolo del pianeta, un luogo per gli ebrei, ma solo non luoghi, inviti condizionati a sedersi al tavolo di altre mense. Inviti sempre revocabili, ospitabilità sempre negoziabili. Lo abbiamo già visto.
    Se non si capisce quanto conta Israele, non si è nemmeno in grado di capire i palestinesi. I destini di entrambi sono intrecciati: non si dà l’uno senza gli altri. E viceversa. Altro che boicottaggi.
    Sempre più convintamente, mi associo.

    Fulvio Orlando

  49. Questo thread dimostra, in modo inequivocabile, come il progetto berluscon-cialtroniano di normalizzazzione di un paese già abbondantemente evirato e deturpato sul piano etico, politico, intellettuale, critico, progettuale, sia ormai in fase di avanzata attuazione.

  50. ma perchè devo sentirmi dire che voglio negare l’esistenza di israele se mi permetto di criticare la scelta di festeggiare i 60 anni di uno stato (non la sua cultura, attenzione…se no lo stesso invito si poteva fare l’anno scorso o il prossimo, per esempio, anzi auspico che ciò avvenga – così ci togliamo ogni dubbio su pro, contro, filo, per etc etc -) che nella sua storia e nella sua esistenza odierna, per le scelte politiche e non la sua popolazione (anche se le scelte politiche si rafforzano per un sostegno di una parte, più o meno grande, consapevole, potente, affarista, etc etc, della popolazione), ha probabilmente poco di condivisibile.

    smettiamola di avere paura di esprimere le nostre opinioni, se dico che putin è criticabile, un affarista, debolmente democratico…sono antirusso? odio i russi?

    ripeto..smettiamolo di far tempeste quando siamo tutti su una barca in mare aperto.

    la scelta di torino è stata infelice:

    non ha compreso in anticipo la possibilità di inviare un messaggio di speranza, confronto e civiltà invitando anche il mondo palestinese,
    ha comunicato male le sue intenzioni mettendo al centro i festeggiamenti dei 60 anni di uno stato al posto della cultura di israele.

    possiamo dirlo serenamente e per questi motivi non aderisco!

  51. Carissimo Salvatore, a me pare il contrario almeno per due ragioni. la prima è che se inquadri l’appello nel contesto del sito nazione Indiana, vedrai come la querelle del boicotto della fiera del libro sia stata inquadrata da quattro, almeno, diversi punti di vista. A riprova che in un progetto di tipo collettivo, come un blog, non ci sia spazio per una logica da pensée unique.
    Nè tanto meno per un dispositivo ancora più deprimente, cosiddetto bipartisan, per cui, come accade negli illuminati giornali italici, i paginoni si articolano in chi è pro, chi è contro, a riprova di quanto ho sempre pensato, ovvero che sarebbe opportuno trascinare la televisione italiana al tribunale dell’Aja per strage di cervelli.
    Per quanto riguarda l’intreccio politica / cultura, chi è a favore del boicotto dichiara che in una manifestazione culturale non dovrebbe esserci spazio per la politica, come a dire che in italia dovrebbe essere bandita, a rigor di logica, ogni presenza di assessori alla cultura, sindaci, consiglieri, sindacalisti, soubrettes, suffragettes, dalle presentazioni dei libri. E tutti sappiamo che non è così.
    Come del resto sappiamo che quello d’Israele è l’unico caso di un paese in cui stato e governo significano la stessa cosa. Molti nemici d’israele infatti non sono contro questo governo, ma contro lo stato tout court, anzi diciamolo pure, contro il popolo che quello stato lo abita.
    La bandiera israeliana, per esempio, tra le più bruciate nella storia delle bandiere perché non dovrebbe suscitare in un comune cittadino israeliano, quanto il tricolore in un ragazzino italiano, come nel caso delle manifestazioni sportive? E’ come se la mia bandiera italiana fosse la stessa di Rauti o di Nuova Gioventù. lo so che è paradossale affermarlo, ma non è così.
    – continua-
    effeffe

  52. Aderisco pienamente. E’ sorprendente (e, purtroppo, è trasparente quell’ignoranza nei confronti di Israele che si trasforma velocemente in antisemitismo e che ha sin troppe radici) che s’intenda negare diritto di parola a uno stato che non è nato per imposizione ma su voto e riconoscimento delle Nazioni Unite (che, a quanto pare, vanno bene solo in determinate occasioni). Uno stato che, per manifesta ignoranza storica e, temo, perconvenienti pregiudizi che dovrebbero rimanere inconfessabili, viene dipinto come il Male Assoluto, reso privo di ogni giustificazione umana. In realtà, si vuole negare il diritto di Israele a esistere, si osteggiano persino coloro che, per l’appunto, tentano di offrire un’immagine diversa di Israele rispetto a degli stereotipi che puzzano tristemente di pura propaganda. In Israele non esistono, dunque, dialettica, democrazia, sentimenti contrapposti, dialogo, umanità, dubbio, lacerazioni ma solo una cricca selvaggia, persino caricaturale (vengono in mente talune oscene vignette in voga nel Terzo Reich) di razzisti e affaristi sanguinari e guerrafondai. Un’immagine volutamente ignorante, di ignoranza violenta e smaccatamente fascistoide, che con la scusa di difendere i diritti dei palestinesi (troppo spesso traditi e manipolati dai “fratelli arabi, più interessati a un conflitto permanente che alla coesistenza pacifica di due stati) vuole cancellare lo stato di Israele, come se nel 1948 la sua esistenza fosse nata da chissà quale proterva invasione imperialista e colonialista (una tesi cui intellettuali come Alberto Asor Rosa, in sprezzo alla Storia, hanno profuso energie degne di miglior causa).
    Colpisce in questi atteggiamenti, intrisi di un razzismo che si autogiustifica in nome di un Bene artato e distorto, la smaccata ignoranza nei confronti di Israele, della sua storia, della sua società nonché l’indifferenza disumana nei confronti di una popolazione che soffre da decenni, da ben prima del 1967 (gli attentati terroristici contro israeliani, infatti, nascono prima di quella data). Mi chiedo quanti, fra i lirici protestatari, hanno mai messo piede a Tel Aviv, quanti fra di loro si sono dati la pena di studiare l’evolversi di una tragedia che non coinvolge un popolo solo (come si vuole far credere) bensì due.
    Trasuda odio nei confronti di Israele, un odio che così può sentirsi legittimato senza dover lasciar trasparire (ma traspare, eccome se traspare) un fondo antigiudaico che inquieta.
    Si vuole mettere a tacere qualsiasi voce proveniente da Israele, qualsiasi voce che possa mettere in discussione gli stereotipi che servono a tingere di retorica a tinte forti l’esistenza stessa dello stato israeliano.
    Chi aspira all’esistenza pacifica di due stati dovrebbe invece incoraggiare certe manifestazioni, perché è evidente che di Israele poco si sa: è evidente che allargare certo tipo di conoscenza smusserebbe in parte le armi di chi, invece, vuole semplicemente la cancellazione della presenza israeliana (ed ebraica) sulla faccia della Terra. Ottenuta la quale, immagino, si dovrebbe assistere a chissà quale panacea. Temo, purtroppo, che a quel punto la vita dei palestinesi cesserebbe di suscitare l’appassionato interesse di molti benpensanti.
    Gianni Morelenbaum Gualberto

  53. “Lo scambio di esperienze tra un giovane israeliano e un giovane arabo (tutti e due muiono in una battaglia sul Golan ecc. e ognuno dei due rinasce nel corpo dell’altro, vivendone le esperienze culturali: l’arabo vive l’industrializzazione e il cosmopolitismo industriale di Israele, a Betsabea, e l’israeliano vive l’esistenza preindustriale, contadina, magica, di un villaggio del Libano povero). La storia finisce con due funerali veri”. (P.P.Pasolini, PETROLIO)

    Provo disgusto nel veder montare questa campagna di intolleranza nei confronti degli scrittori israeliani alla partecipazione della prossima fiera del libro. Comè possibile che la sinistra, nella sua essenza di universalità e inclusività, cade ancora oggi in queste trappole, infantili nel loro radicalismo politico-ideologico, che soffocano sopratutto la figura della cultura, dei libri, degli intellettuali israeliani che tentano di sfuggire alla trappola della propaganda politica, opponendo ad essa la loro mitezza, nonviolenza, persuasione nel tentativo di spiegare un conflitto che non si può vincere poichè combatutto da vittime su entrambi i fronti. Ed è motivo di rammarico leggere le dichiarazioni di Ibrahim Nasrallah o di Mahmud Darwish, che si esprimono in un linguaggio binario (o con noi o contro di noi) che fa torto alla sensibilità delle loro opere, rilasciando in giro altro inutile livore. Occorre ricordare che la letteratura è un tentativo di restituire un immagine frammentaria della società nel suo mostrare ansie, pulsioni e contraddizioni. Partire da qui, dalle voci letterarie (Grossman,Yeoshua,Oz,Keret) ma anche giornalistiche (Amira Hass,per esempio) per dare vita a quel dibattito necessario che faccia scattare l’allarme nei cuori e nelle menti degli israeliani tutti, di fronte alle immagini dei palestinesi di Rafah o Gaza che nel loro vivere/morire da affamati, fatto di continui traslochi trascinando povere cose, ci fanno venire in mente un altro periodo, un altro posto, un altro popolo. Che impedisca a Israele di tagliarsi dal resto del mondo chiudendosi su se stessa, nelle proprie paure e nella sua tradizione di dolore.Se rinunciamo alla riflessione, a quel momento di dialogo e distacco che i libri offrono, cosa resta se non la violenza dei generali?

    Boicottare i libri. Non posso non pensare al 10 maggio del 1933, quando a Berlino sull’Onerplatz si diedero alle fiamme 25 000 “libri di spirito antinazionale e di impronta democratica-giudaica”.

    “Al di qua e al di là della striscia di Gaza, delle religioni e delle persecuzioni (quelle compiute e quelle ancora in corso) che spaccano la stessa terra in due, due processioni funebri si fermano. Ugualmente rabbiose. Ugualmente senza futuro. I ricordi e le memorie si riordinarono su un nuovo asse senza tener conto di quale bandiera oggi sventolasse”.

    Aderisco all’appello

  54. Francesco,
    non contesterei mai il tuo diritto, o quello di chiunque, di firmare tutti gli appelli che vuole, ma, proprio per questo, rivendico anche il mio, di diritto, di contestare, a prescindere (ma solo in questo momento, e per questa mia risposta) dall’oggetto del contendere, un appello chiaramente intimidatorio: intimidazione che l’ars retorica utilizzata nella costruzione del testo non riesce nemmeno a dissimulare.

    “… solidarietà senza riserve nei confronti degli organizzatori della Fiera del libro di Torino…”

    – Affari vostri, ma forse qualche “riserva” fareste bene a conservarla, visto che le “centrali” con cui solidarizzate, in modo diretto o indiretto contribuiscono, con le loro politiche, a rendere la cultura e la sua fruizione fuori dalla portata (anche economica) di larghe fette di cittadini (e sempre le stesse: da sempre).

    “… evento di prima grandezza della vita letteraria nazionale…”

    – Della serie: ognuno ha gli eventi che si merita (e che si sceglie). Pagare dieci euri di tangente per andare a comprare libri, contribuendo, una volta entrati, a fare da cornice alla passarella mediatica della grande editoria e dei suoi interessi, la stessa che rende impossibile l’esistenza della micro e piccola editoria di qualità, che insegue unicamente le logiche della mercificazione e del profitto e che scientemente ha trasformato il libro in un oggetto innocuo da supermercato, da una parte, o in un inavvicinabile status symbol dall’altro – ebbene, sta in questo la “primaria grandezza”? E’ la legge del mercato, baby, e ci siamo tutti dentro? Oh, yes! Affari vostri anche questi.

    “L’appello a cui aderiamo s’intende apartitico…”

    Oh, yes! Vuoi mettere!

    “… politico solo nell’accezione più alta e radicale del termine.”

    Qui il sublime, cioè il ridicolo, si tocca con mano.
    Della serie: solo coloro che si riconoscono in questo appello sono i depositari dell’accezione e della pratica più alta e radicale (!) dell’agire politico!
    E gli altri? Quelli che magari non se la sentono di delegarvi questo compito e questa rappresentanza fatti di “idee semplici e profondamente vissute”?

    Siete così sicuri che costoro non nutrano “affetto e riconoscimento per la cultura ebraica e le sue manifestazioni letterarie”?

    “… manifestazioni da sempre così strettamente intrecciate con la cultura occidentale…”

    – Ecco ci siamo: una bella rivendicazione di appartenenza. E le altre culture, a partire magari da quella palestinese? Affanculo, magari insieme agli internati di Gaza, perché la “cultura occidentale” ci tiene a che i due aspetti restino ben distinti! Eccheccazzo! E poi siamo “critici”, noi, nevvero, siamo “radicali”, ma solo dopo la conclusione della parata celebrativa…

    “… qualsiasi aggressione…”

    Chi non firma, o è a qualsiasi titolo contrario a tutta la messinscena, perché ancora capace di svelarne (anche solo a se stesso) i veri fini, è un aggressore, o un complice indiretto di “eventuali” aggressioni (!!!).

    “… atto di cieco e ottuso autolesionismo.”

    Rispetto a chi e a cosa? Chi siete voi per dettare la linea, e quale linea state dettando?
    In ogni caso, “cieco” e “ottuso” non connotano mai azioni, che in sé non lo sono, ma connotano solo “persone”, soggetti. Non era meglio scrivere, fuori da qualsiasi artificio metonimico: chi non aderisce è un coglione e non ha capito un cazzo della “alta” e “radicale” politica di cui noi siamo i depositari?

    *

    Per quanto riguarda “l’oggetto del contendere”, cfr. Gambula, tashtego e pochi altri estensori di commenti “ciechi” e “ottusi”.

    Salùd.

  55. Gualberto, mi sono bastate solo poche righe della tua sborratina di cazzate per dirti che l’accusa di antisemitismo e di fascismo te la puoi ficcare direttamente nel culo.

  56. Aderisco perchè so che non c’è alcun festeggiato ( tantomeno lo stato d’israele) ma solo un ospite. E che ci sono solo i libri e il pensiero degli scrittori di un Paese che, come tanti altri, vive di molte contraddizioni, ma anche del rispetto delle minoranze e delle idee dissidenti. Una grande occasione per ricordarci – per ricordare a noi, a loro – anche i diritti dei Palestinesi umiliati ma pure l’orrore del terrorismo di altri palestinesi fanatici e seminatori di morte. Per ridare forza, attraverso i libri e il pensiero, all’utopia della pace.

  57. @riggi
    ci sono anch’io con te gambula e tashtego! e rivendico di essere stato tra i primi commentatori ad analizzare il testo
    (va be’, un po’ di vanità, si cerca anche di scherzarci su ormai),
    e se guardi bene alcune tue considerazioni sulle frasi del testo arrivano alle stesse conclusioni del mio primo commento…

  58. allora questo cos’è se non viscidume
    “Come del resto sappiamo che quello d’Israele è l’unico caso di un paese in cui stato e governo significano la stessa cosa. Molti nemici d’israele infatti non sono contro questo governo, ma contro lo stato tout court, anzi diciamolo pure, contro il popolo che quello stato lo abita.”
    Sul sito della bella fiera si può leggere un comunicato in cui è scritto:
    “Il presidente della Fiera Internazionale del Libro Rolando Picchioni e il direttore Ernesto Ferrero hanno incontrato stamani a Torino il ministro plenipotenziario presso l’Ambasciata d’Israele in Italia, Elazar Cohen. Oggetto dell’incontro la partecipazione di Israele alla XXI Fiera, in programma dall’8 al 12 maggio”.
    Tutto ciò avviene perché, com’è giusto che sia, per “invitare” un Paese intero devi riferirti alle sue rappresentanze ufficiali, fino a prova contraria, ed un ministro plenipotenziaro (viceambasciatore e responsabile per gli affari culturali ad interim, il “numero due” dell’ambasciata israeliana) è la figura di riferimento diretto di quel paese, come ancora è giusto che sia. Non sono stati invitati i “circoli letterari” di Israele, ma il Paese. E quando inviti “il Paese”, guarda un po’, stato e governo significano, nell’accezione scientifica del termine, la stessa cosa.
    Elazar Cohen poi, uomo di cui ogni singola parola è propaganda anche perchè, com’è giusto che sia, è il suo lavoro. Un esempio?
    “La vita culturale israeliana è molto intensa e vivace e può succedere che registi o scrittori critichino l’attività del governo. Ma Israele è una società aperta, libera e democratica (vallo a chiedere agli arabi israeliani, o a tutta la bella gioventù che si fa tre anni di leva obbligatoria… ndme) ed è proprio la libertà di espressione di tutti a costituire la sua forza. La cultura deve essere la sentinella critica della società, per impedire qualunque deriva autoritaria. Nei Paesi non democratici è difficile trovare gente che critica la linea del governo e può continuare a lavorare. Questo è il loro punto di debolezza, una lacuna. Analizziamo per esempio i due modelli, quello israeliano e quello iraniano. In Iran lo scrittore Salman Rushdie è stato condannato a morte per avere scritto i Versetti Satanici mentre in Israele le voci critiche rappresentano solo un ulteriore stimolo alla discussione e al confronto.” (da un’intervista pubblicata sul quotidiano online http://www.shalom.it).
    Cohen è lo stesso personaggio – per continuare nell’esempio – che ha affermato, in merito alla questione palestinese, le seguenti amenità:
    «Il problema [del conflitto] è concettuale , non riguarda lo scambio di territori altrimenti lo avremmo già risolto ieri. L’obiettivo [dei palestinesi aizzati dal mondo arabo, ndme] è solo distruggere Israele per costruire il Califfato» (citato qui).
    Ma hai google, e puoi agevolmente rendertene conto da te.
    Per quanto riguarda il “popolo che quello stato abita”, sarebbe davvero cosa tristissima se corrispondesse – come lo stesso articolo sembra pretendere – a quegli “israeliani” che “chiedono condizioni precise”:
    “Gli israeliani non hanno alcuna intenzione di fare retromarcia, ma chiedono condizioni precise per confermare la loro presenza come Paese ospite d’onore alla XXI Fiera del Libro di Torino. Una in particolare, e cioè che la presenza di scrittori e intellettuali palestinesi non assuma la forma di un doppio invito, come se le nazioni ospiti per il 2008 fossero due invece di una” (Vera Schiavazzi sull Corriere della Sera, 4 febbraio 2008)
    ma sai benissimo anche tu che – fortunatamente – non è così.

  59. Carissimi amici e colleghi,
    sebbene apprezzi moltissimo le vostre misurate parole, non solo non aderisco al vostro appello, ma spero che altri scrittori ne sottoscrivano uno completamente contrario. Sono totalmente d’accordo col boicottaggio del Salone del Libro di Torino, che non celebra la cultura ebraica – magari – ma la fondazione dello Stato di Israele. Il muro, e il ghetto che costruisce, gli espropri di case, acqua, risorse e diritti, l’umiliazione a cui è costretto il popolo palestinese, gli omicidi mirati, (condanne morte senza processo), e il razzismo etnico e religioso praticato da Israele sono ragioni sufficienti per giustificare qualsiasi atto di contestazione nei confronti di quello Stato. Il fatto poi che Israele sia uno stato ebraico non è un attenuante ma semmai un’aggravante, e non perché consideri gli ebrei peggiori – per antisemitismo – o migliori – per aver subito l’olocausto, e quindi più “sensibili” – di altri, ci mancherebbe, ma perché considero qualsiasi stato religioso un’aberrazione. La religione di per sé è razzista, e se qualcuno non se ne accorge, soprattutto al giorno d’oggi, c’è poco da fare, raffinato intellettuale che sia. (Ho detto religione, non fede.) Lo ammetto sono contrario allo stato di Israele, perché credo che l’unica soluzione vera al problema sia quella di un unico stato in Palestina. Utopia, forse, o magari realismo visto che sono 40 anni che due stati non riescono a convivere, mentre ebrei, musulmani e cristiani hanno convissuto pacificamente per secoli in quei territori.
    Forse è vero, il boicottaggio è desueto, e presenta molte controindicazioni, anche se ha già avuto il merito di far discutere. E gli scrittori israeliani invitati e che hanno ac-cettato, tutti almeno inizialmente favorevoli alla recente guerra contro il Libano, hanno un notevole credito internazionale – grazie anche al fatto che fa molto comodo che lo abbiano – e comunque non sono certo degli sciocchi. Ma ribadisco che comunque non si tratta di boicottare scrittori, ma le celebrazioni ufficiali di uno Stato, e io che sono un cultore della letteratura egiziana, mai parteciperei a celebrazioni che fossero, anche solo minimamente, una giustificazione della brutale politica di Mubarak – come preannunciato nel 2009 per esempio.
    Ma questo non è il punto della questione. I punti sono altri.
    Chi è favorevole al boicottaggio viene tacciato di essere contro la cultura e di confondere politica e letteratura. Personalmente non credo esista buona letteratura che non sia anche politica, ma qui si tratta di altro. Chi ha confuso letteratura e politica sono stati gli organizzatori del Salone che in un momento così delicato della Storia hanno deciso di parteggiare per Israele, invitandolo proprio in occasione di un anniversario politico. Non hanno invitato degli scrittori, ma uno Stato, e gli scrittori che hanno accettato di partecipare sono lì a sostenere quello stato. Proprio perché amo la letteratura mi disgusta che sia usata come arma politica.
    Altra accusa ai sostenitori del boicottaggio e che così si rifiuta il dialogo.
    Innanzitutto è falso che a Torino sia possibile il dialogo. O meglio a Torino verrebbe-ro riproposte le stesse condizioni di sempre del dialogo fra Israele e Palestinesi. Una parte in posizione di superiorità e l’altra d’inferiorità. Uno stato che viene celebrato, se non osannato, con alcuni scrittori di grande successo sostenuti dai mass media, da potenti case editrici e uffici stampa, e dal solito seguito di politici ossequiosi, locali e non, di sicuro bipartisan, e magari con ambasciatori, consoli e parlamentari al segui-to. Dall’altra pochi e assai meno noti e celebrati scrittori, in posizione di inferiorità, almeno ufficialmente parlando.
    E ai sostenitori del dialogo chiedo: a chi giova Torino in queste condizioni, alla causa di Israele o a quella palestinese? E ha questo a che vedere davvero coi libri e la cultura?
    Se ne può discutere, ma dovrei essere molto più ingenuo di quello che sono per non sapere che sarà un’altra occasione per riaffermare la superiorità intellettuale dei buo-ni, raffinati e tolleranti scrittori israeliani e quindi di Israele e dell’occidente, (a cui Raul Montanari tiene molto evidentemente) rispetto agli arabi intolleranti, o che comunque non hanno scrittori di così grande successo. E non ci dimentichiamo che nell’attuale società del successo, chi ha più successo e riflettori addosso ha la verità. Ed è perlomeno avvilente che nessuno ci abbia riflettuto un momento.
    Se mi permettete poi, da scrittore disincantato, vorrei anche ricordare che il Salone del Libro di Torino è un evento culturale solo per chi crede che la cultura si faccia nei salotti e si esalta vedendone uno così grande che in realtà non è altro che una grande bottega e un evento propagandistico e di marketing per alcune, poche , case editrici.
    Ma al di là del fattore contingente, c’è un aspetto della retorica del dialogo che mi preme sottolineare. E’ vero, si deve dialogare anche e soprattutto con il nemico, e il debole ci rimette sempre a chiudere il dialogo con il più forte. Ma quando ci si accorge che il dialogo, dopo anni e anni di promesse non mantenute, di menzogne e di razzismo praticato e sostenuto, è semplicemente una presa in giro, un modo del più forte per ingannare il più debole e il mondo, per mostrare come sono buoni i bianchi, così tolleranti e ragionevoli, al più debole resta solo una cosa da fare, sottrarsi al gioco, per mantenere l’unica cosa che gli resta: la dignità. E questo non vuol dire necessariamente il martirio, visto che è solo la grande dignità del popolo palestinese che permette a quegli uomini e donne, a quei corpi, di sopravvivere. Ed è stato sempre per dignità che molti intellettuali hanno chiesto a BenedettoXVI di non parlare alla celebrazione ufficiale della Sapienza.
    Ma forse oggi che il dissenso è terrorismo, la dignità diventa intolleranza. Mi rammarica, però che sia così difficile far capire che se la sinistra vorrà sopravvivere dovrà riprendere ad agire con dignità, con la dignità almeno di dire “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo.”

    Alessandro Golinelli Scrittore

  60. @ Alfredo
    (c’est reglé)

    @diego
    e se non è viscidume…
    no caro diego, non lo è, sto cercando di ragionare, di capire, e non è viscidume,
    affatto

    @Alessandro
    pur non pensandola come te sulla questione relativa al boicotto del salone del libro, ci sono molte cose della tua analisi sulla società dello spettacolo che condivido, eppure ognuno si sceglie la sede che vuole per “fare cultura”. pensa che c’è gente – scrittori e non- che dedica energie e tempo ai blog, per sola passione, della politica, della letteratura. Mah, va a capirli…
    effeffe

  61. @golinelli.

    domanda: e se questi scrittori palestinesi fossero solo un po’, ma un pò tanto meno bravi, intelligenti, pieni di carattere e talento e forza epica di quei cattivoni di Oz, Grossmann ecc.?

    come disse prima di morire – fucilato da una “squadra” di bravi ragazzi democratici- quel cretino vestito da fascista nel maggio del ’45: “muoio per colpa di un bipartisan”.

    saluti,
    rs

  62. “Ma forse oggi che il dissenso è terrorismo, la dignità diventa intolleranza. Mi rammarica, però che sia così difficile far capire che se la sinistra vorrà sopravvivere dovrà riprendere ad agire con dignità, con la dignità almeno di dire “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”.”

    Grazie Golinelli.

  63. questo appello mi lascia perplesso per la sua leggerezza, la sua cieca “obiettività”, il suo freddo senso della “democrazia”.

    se siete interessati a leggere, ho commentato nel mio blog

  64. anzi, per non costringervi a salti mortali, copio incollo qui
    scusate il doppio ingresso…

    questo appello, pubblicato in rete dall’ottimo Tiziano Scarpa – – scrittore che mi è molto simpatico… (io sono un vero fan della scuraglia) – e sottoscritta da molti – anche da alcuni di cui sono amico, ho stima, persino affetto sincero – sulle ottime riviste “il primo amore” e “Nazione Indiana”, mi lascia perplesso per la sua leggerezza, la sua cieca “obiettività”, il suo freddo senso della “democrazia”.

    Nel nome di quale idea della letteratura si parla? Penso subito ad un’idea della letteratura astratta, inconsapevolmente (…?) e colpevolmente funzionale ai sistemi di riproduzione e tutela del controllo sociale.
    Al potere, da sempre, serve un’arte inoffensiva che fornisca un’idea del mondo pacificante e pacificata e magari metta anche in discussione i meccanismi, sì… ma solo in maniera prudentemente astratta ed in condizioni di apparente uguaglianza del diritto di parola.
    Da sempre i sistemi delegano agli artisti il compito di rappresentare libertà fittizia in sistemi sociali basati sul privilegio, in cui la libertà è inesistente o estremamente sacrificata. Da sempre agli artisti viene affidato il compito di rappresentare ‘liberamente’ le frustrazioni e gli orrori di sistemi malati, inumani, oppressivi. Gli artisti assolvono il compito di alleggerire la cattiva coscienza del potere rappresentando in maniera innocua le sue malattie più orribili e, per questo, venendone ricompensati con l’accredito a corte, alla parola, ai media, al privilegio…
    Niente di male… stiamo lavorando… dobbiamo campare… abbiamo famiglia… ma che almeno qualche volta questa parola si ritorca contro… che almeno si sfruttino gli spazi di visibilità per sforzarsi di avere una visione critica!

    Cari scrittori, vedete, io da sempre sono convinto (e per questo eticamente indistruttibile) che il privilegio della parola pubblica possa essere delegato soltanto da un popolo, una gente, un gruppo: quello nel cui nome si è autorizzati a parlare. E che questo popolo stesso ti tolga la delega nel momento in cui non lo rappresenti più, nel momento in cui non viene assolto il debito. Sono convinto (ed ho anche pubblicato un libro al riguardo), che quando un artista calpesta in pubblico un metro quadro di mondo e si espone alla visibilità, svolga il dovere di parlare in nome di qualcuno che l’ha incaricato. Ogni artista, nell’atto creativo ed in ogni suo gesto pubblico, non porta soltanto un’opera, ma, anche solo temporaneamente, aggrega un popolo che lo ascolta, compra i suoi libri o va a vederlo in teatro e nei luoghi dell’arte.
    Qui, in questi luoghi, ognuno sceglie la propria committenza e ne porta la voce trasformata dalla propria arte in opera, in sublime, in necessario, in fantastico, in bello, in terribile…
    L’arte è dunque per me è solo lo strumento tecnico di cui ci si è dotati per rendere credibile socialmente la propria presenza – sperabilmente etica.
    E dato che la mia presenza è spesso dannatamente dissidente, divergente, mi servo dell’arte per raffinare e mantenere la mia credibilità pubblica, per non essere punibile nella mia pratica di testimonianza e quindi continuare a percorrerla.
    Per quanto mi riguarda (ma a questo nessuno è obbligato) il compito è di trasportare la voce di chi non ha voce.
    Per farlo bisogna però ‘transvivere’ oltre le proprie miserie personali, diventare esemplare, trasformare il proprio Ego-Centrico in Ego-Topico, calpestando con tale intensità quel metro quadro di mondo da scavare un solco visibile, oltre sé stessi, riscattando i propri limiti personali e quelli della società che ti vorrebbe invece ‘funzionale’.
    Poi si rientra tranquillamente nella propria miseria quotidiana, della quale non si deve rendere conto a nessuno oltre sé stessi.

    In questo senso la vostra firma è troppo leggera ed innesca un meccanismo perverso il cui risultato è: “Vedete… qui siamo liberi di parlare e di lasciar parlare…”
    Niente di più falso e strumentale al potere. Niente di più acquiescente…
    In nome di quale popolo state parlando?
    Quando ci si astrae pronunciandosi in nome di una solo apparente libertà, si perde il senso profondo delle cose. Io credo solo nella libertà applicata, nell’etica concreta dei comportamenti quotidiani privati e pubblici.
    Quanti di voi, che avete sottoscritto l’appello, hanno rapporti con quegli scrittori dissidenti e pacifisti di Israele che, anch’essi totalmente israeliani, boicottano il sistema aggressivo e colonizzatore e vengono per questo messi a tacere? Quanti di voi sostengono quegli scrittori israeliani che disperatamente si oppongono? Ho l’idea che non vi siate nemmeno posti il problema.
    Ecco perché sostengo che questa firma sia troppo comoda, distratta, inconsapevole ed incosciente. Perché sostiene un governo, non una cultura. Un potere, non un popolo. Un brutto potere…. un brutto governo… colonialista e sanguinario… che violenta ogni cultura. Anche la propria.
    Israele, come ogni sistema, si serve evidentemente dei suoi scrittori e dei suoi artisti per poter avallare un’idea orribilmente falsa di stato democratico, di pensiero e respiro dell’arte e dell’espressione.
    Anch’io firmo e firmerò sempre per la libertà e la pace, per i diritti alla terra ed alla vita, alla cultura, ma di tutti… non di uno contro gli altri. E non di un potere.

    Così immagino che questa firma sia stata posta da voi, scrittori, quasi come un ‘dovere’ da assolvere velocemente, distrattamente perfino, senza guardare troppo a ciò che Israele compie rispetto al popolo palestinese. Sono convinto che nessuno di voi in questi giorni si sia posto il problema di agire “con altrettanta forza e consapevolezza” rispetto al dramma di Gaza, dove si continua a sterminare, dove qualcuno subisce un’oppressione di tale portata che, senza dubbi, oggi può essere indicata col termine di genocidio.

    leggete la lettera del caro Aharon Shabtai, poeta di grande qualità e profondità che riporto nel post precedente a questo e pensateci sopra un momento

    La vostra è una firma ciecamente ‘coraggiosa’, che manca totalmente di coraggio e di sguardo.
    E’ una firma superficiale che ci trascina in basso, che colpisce la dignità di due popoli: quello palestinese e quello israeliano insieme.
    E’ una firma POLITICA, ma non ETICA, che conforta l’arroganza di un sistema basato sull’oppressione e sul potere economico, un sistema sostenuto da questa Europa ipocrita ed altrettanto arrogante.

    E’ l’occidente, amici… il comodo e confortevole occidente…
    e chi non ci sta, scenda dal carro.

    Non abbiatevene a male… ancora una volta sto solo cercando di pensare.
    E, come sempre, mi conduce un istinto d’amore.
    Infatti pubblico il vostro appello e invito chi lo condivide ad aderire…
    chi non lo condivide ad opporsi…
    e tutti voi a ripensarci (e quello sì, sarebbe un gesto di vero coraggio)

    Con immutato affetto
    Alberto Masala

  65. Ma naturalmente fra ignoranza e qualunquismo
    —-

    Ignoranza? Qualunquismo? No, io aderisco perche’ sono membro del grande complotto pippoplutogiudaicomassonicolesbico: controlliamo gia’ la mente di tutti , pensa che io dirigo le menti di cinisello balsamo. Solo cervelli eccelsi come il tuo ci sfuggono, ma sai com’e’, tu sei di una cultura e di un’intelligenza sovrumana.

    Infatti, non hai la piu’ pallida idea di cosa scrivano quegli scrittori e di quanto possano o meno criticare la politica di israele.

    Dubito, del resto, che tu abbia mai letto altro che qualche foglietto propagandistico.

    E sai perche’? Perche’ li stampiamo noi del grande complotto. Per rincoglionire la gente. Come abbiamo fatto con te.

    Appunto.

    Uriel

  66. furlen, effeffe, Francesco Forlani, permettimi un quasi omaggio che faccio seguendo le orme del tuo esempio sulla bandiera. Ho provato a seguirne l’ipotesi. Oggi anch’io direi che “la mia bandiera italiana” non è “la stessa di Rauti o di Nuova Gioventù”, e che anche tra i cittadini del mondo (con rare eccezioni orientali) “non dovrebbe suscitare” sentimenti negativi.
    Ma se tento un paragone con il modo in cui viene percepita la bandiera israeliana, non posso non pensare a quanto anche quella italiana potesse essere odiata quando, ancora coronata, sbandierava in africa orientale.
    Allora mi sembra di trovare un cortocircuito dentro a questo esempio, che mi ricorda quello dell’appello.
    Con le bandiere, si tenta un paragone tra quella di un paese, l’Italia, che al momento è “relativamente in pace” (quantomeno con i paesi più vicini) e quella di un paese, Israele, “relativamente in guerra” dalla nascita (con quasi tutti i paesi più vicini) e più accanitamente con il paese sul cui territorio pretende di esistere.
    Per il resto condivido perfettamente l’importanza che dai alla possibilità e ricchezza delle posizioni qui presenti.
    lucio

  67. E’ un tema difficile e non andrebbe sottovalutato o liquidato con un semplice “aderisco”. Perchè io personalmente ho letto e riletto mille argomenti e mille contestazioni e sono rimasta colpita, alla fine, dalle parole di Ben Jelloun, che io ammiro e annovero tra i miei scrittori preferiti. Perciò cito le sue parole e le faccio mie “Bisogna distinguere in modo netto: la politica di uno Stato non è assimilabile alla produzione letteraria degli scrittori di quello Stato”. E’ vero senza dubbio. Potrei in ogni caso asserire che la scelta del salone del libro di Torino è stata infelice, per tante ragioni. Ma se non ci fossero le scelte infelici non nascerebbero i confronti, i dibattiti e il dialogo. Boicottare è di sicuro ammettere di essere deboli e non voler affrontare la questione. Semmai recarsi al salone del libro e proporre un dialogo civile e animare un dibattito costruttivo dovrebbe essere la base di incontro per chi vuole “civilmente” e per varie ragioni motivare il proprio dissenso. Sennò rischiamo di fare la figura penosa di chi non vuole confrontarsi per paura di scoprirsi nel torto. Ecco perchè boicottare non ha alcun senso.

  68. Fiera del libro di Torino, dubbi, sensazioni e trappole
    di Maurizio Matteuzzi *

    Devo dire che invidio le certezze delle autorevoli opinioni apparse sul nostro giornale, nettamente contrarie alla proposta di boicottaggio contro la scelta dello stato di Israele quale ospite d’onore alla prossima Fiera del libro di Torino, e anche della grande maggioranza delle lettere pubblicate dal manifesto, assolutamente favorevoli al boicottaggio. Confesso di non avere le certezze né delle prime né delle seconde. E di essermi trovato in piena sintonia, finora, solo con l’intervento di Michele Sarfati: le sue considerazioni e i suoi dubbi sono i miei. Dubbi rafforzati anche dal ricordo che il compianto – e grande – Edward Said una volta si espresse contro il boicottaggio a istituzioni accademiche e culturali israeliane. Certezze no, dubbi sì. E sensazioni. Sensazioni – confesso – di disagio e di fastidio. Non tanto per le candide argomentazioni del direttore della fiera Ernesto Ferrero raccolte nell’intervista di Francesca Borrelli (il manifesto del 30 gennaio, ndr). Se non fosse che il giornale israeliano Haaretz ha spiegato per primo come tutta l’operazione sia nata dal ministero della cultura di Israele e dall’ambasciata israeliana a Roma per celebrare degnamente – e politicamente – i 60 della nascita dello stato ebraico, verrebbe solo da chiedersi: in che turris eburnea vive il signor Ferrero? La sensazione di disagio e fastidio mi viene dagli interventi più «nostri». Quelli di Valentino Parlato e Marco d’Eramo. In sintesi – e scusandomi per i rischi sempre presenti nelle sintesi – Valentino, nel suo primo articolo e poi nella risposta alle lettere di critica al suo articolo, si è provato a spiegare perché è sbagliato – anzi perché non si può – boicottare Israele e, prescindendo completamente dalla situazione reale sul campo – ossia che lo stato di Israele pratica una politica di occupazione-espansione permanente contro i palestinesi e una scientifica politica di apartheid contro i «suoi» cittadini di etnia araba, e quindi è uno stato colonialista e razzista -, al termine di un excursus storico con le immancabili citazioni di come si arrivò, nel ’48 all’Onu, alla nascita dello stato ebraico, dei pogrom e della Shoah, arriva una conclusione micidiale: l’identificazione fra gli ebrei e lo stato di Israele. Una conclusione poi «arricchita» in una successiva intervista a La Stampa in cui, parlando del boicottaggio, conferma l’esistenza di un anti-semitismo «di sinistra». Con queste affermazioni Valentino, a mio parere, si è cacciato in diverse trappole, una peggio dell’altra. La prima è, appunto, l’identificazione più o meno assoluta fra gli ebrei e lo stato di Israele. La seconda è l’equazione fra l’anti-sionismo (l’ideologia «socialista» alla base della fondazione dello stato ebraico) e l’anti-semitismo. La terza è che la critica contro le politiche adottate fin qui dai governi israeliani equivale a voler buttare a mare lo stato di Israele che, en passant, è la terza potenza militare al mondo, con tanto di fornitissimo – per quanto illegale – arsenale atomico. Nell’intervento di Marco d’Eramo, dotto e ricco di citazioni, mi ha colpito il richiamo a contrariis del Sudafrica dell’apartheid, di Nelson Mandela e Nadine Gordimer (non parlo, per rispetto dell’intelligenza di Marco, del paragone fra «i buoni» di Hamas e «i cattivi israeliani»). Non mi risulta che Mandela, nei 27 anni passati nel carcere di Robben Island, fosse contrario al boicottaggio internazionale – in tutte le forme e i campi – contro il Sudafrica segregazionista e il miracolo della transizione pacifica che nel ’94 portò attraverso negoziati alla democrazia a-razziale e al paese rainbow non ha niente a che vedere con il boicottaggio durante gli anni della lotta armata, in cui anche l’immenso Mandela era definito un «terrorista». Fra l’altro i negoziati avvennero solo dopo che F. W. De Clerk fu costretto a liberarlo per via (anche) della campagna mondiale di boicottaggio e a accettare una trattativa da pari a pari col suo nemico. Tutt’altro discorso è perché fra i palestinesi non ci sia un Mandela (forse anche perché quelli che potevano esserlo – due nomi a caso: Arafat e Marwan Barghouti – sono stati liquidati dagli israeliani, fisicamente o politicamente?). Bisognerebbe però chiedersi perché neppure fra gli israeliani sia mai apparso – almeno – un De Gaulle (l’unico che forse c’era, Rabin, fu assassinato da un fondamentalista ebreo, non di Hamas). Ma questo è un altro discorso. A me risulta che durante l’apartheid i più grandi scrittori sudafricani – la Gordimer, Breyten Breytenbach, John Coetzee, André Brink per citare solo i più famosi – fossero o in esilio o in carcere e che i loro libri fossero banditi nel Sudafrica segregazionista. Non che andassero in giro per le fiere letterarie all’estero su iniziativa del ministero della cultura di Pretoria per presentare la faccia buona – e perfino critica – del regime di apartheid. Per caso qualcuno sa se Nadine Gordimer sia mai andata – e se sarebbe mai andata – a una qualche fiera del libro sponsorizzata dall’ambasciata di P. W. Botha? Si potrebbe ribattere che proprio questo fa la differenza fra Israele e il Sudafrica bianco. Ma si potrebbe anche controbattere che proprio questo fa la differenza fra gli scrittori «critici» sudafricani di allora e gli scrittori «critici» israeliani di oggi. Perché alla fine la domanda a cui rispondere – a meno di non prendere per buona l’invincibile separazione fra la cultura e la politica che è il succo della lettera della signora Elisabetta Sgarbi della Bompiani – è una, e molto semplice: lo stato di Israele – indipendentemente dal fatto se sia lo stato di tutti gli ebrei – pratica o no una politica colonialista, razzista e di apartheid? Se sì, come si reagisce: con gli attentati, il terrorismo e i kamikaze come fanno i palestinesi ritrovandosi più soli, perdenti (e esecrati) che mai? Con la resa incondizionata allo stato delle cose e ai rapporti di forza? O, esponendosi alle rituali accuse di anti-semitismo, con il boicottaggio, che in fin dei conti è uno strumento pacifico? Io, al contrario dei «nostri» interlocutori, non ho risposte certe. Mi sembra convincente la proposta contenuta nella lettera di Isabella Camera d’Afflitto: seguire la decisione dell’Unione degli scrittori palestinesi e arabi. O se no io proporrei di chiedere agli scrittori israeliani invitati, che rappresentano la faccia «buona» e «dialogante» di Israele – i Grossman, gli Oz, gli Yehoshua -, di farsi carico personalmente di invitare gli scrittori e i poeti palestinesi, come condizione sine qua non per la loro stessa presenza. Sarebbe sempre una finzione di parità, perché la Fiera del libro di Torino (basta andare sul suo sito web per verificarlo, come ricordava Sarfati) resterà sempre la celebrazione concomitante dei 60 anni dello stato di Israele e della «catastrofe» palestinese. Ma almeno sarebbe un passo.

    * da “Il Manifesto” del 6 febbraio

  69. IO NON ADERISCO. Ancora una volta chi ha mezzi e voce a iosa per farsi sentire, alza la voce per difendere chi non ne ha alcun bisogno. Chi è senza voce non può farsi sentire, in nessun caso, meno che mai alla fiera del libro. O no? Fateci caso, il muro è ANCHE QUI…

  70. Propositività [ovvero tentativo di risposta/rilancio ad Andrea Inglese nell’altro post, quello meno delirante]

    Cari amici di Nazione Indiana, aderenti all’appello.
    La fiera del libro a Israele? Va bene.
    L’azione di boicottaggio stupida e/o incivile e/o inefficace? Bene (!) anche questo.
    Ma se vi sta tanto a cuore la questione “nel nome della letteratura” non vi sembra in effetti un po’ pochino la raccolta di firme?
    Fossi stato in voi, in qualità di “gruppo” comunque riconoscibile e in qualche modo vicino al mercato editoriale e culturale certamente più di noi comuni mortali, avrei proposto un’azione vera, anche per dare uno schiaffo morale a quelli che, come me, in un appello simile hanno letto solo un po’ di malafede o, nel migliore dei casi, un po’ di ingenuità.
    E visto che è la “letteratura”, in questo caso specifico, a correre il rischio di censura, avrei per esempio contattato Gilad Atzmon, ebreo israeliano autoesiliatosi a Londra, apertamente antisionista, autore di due libri dal discreto successo ma sconosciuti in Italia;
    avrei contattato Aharon Shabtai, approfittando proprio del fatto che ha rinunciato alla vetrina parigina, in modo tale da far capire che in Italia – dove non è tradotto – sarà diverso;
    avrei contattato Ilan Pappe, famoso storico israeliano “costretto” a lasciare il paese l’anno scorso;
    avrei contattato Jeff Halper, antroplogo israeliano attivista dell’ichad, autore del quale uscirà questo aprile un libro importante “An Israeli in Palestine: Resisting Dispossession, Redeeming Israel” che chissà se vedrà la luce anche qui;
    avrei contattato Yitzhak Laor, autore israeliano del quale riporto sotto una poesia trovata in internet, mai pubblicato in italiano.
    E, visto che per essere “ospite” un Paese deve essere ospitato da qualcuno, noi in questo caso, avrei contattato anche qualche italiano, come ad esempio Ariel Levi di Gualdo, autore l’anno scorso di “Erbe amare” uscito per la minuscola Bonanno, e perchè no anche Ariel Toaff. Ma forse c’entra poco.
    Avrei scritto loro qualcosa tipo “Gentile Signore, poichè “nel nome della letteratura” noi vogliamo che tutte le voci possano esprimersi, e visto il paese presente quest’anno, ospitato per la decisiva caratura letteraria della sua cultura, vorremmo invitarLa a partecipare al dibattito “Israele sessant’anni dopo – due punti – affinità/divergenze tra lo Stato Ebraico e noi (ebrei)” [poi il titolo ve lo scegliete voi, sia chiaro] che si terrà il giorno tot nella famosa e grande fiera. Distinti saluti. PS: ovviamente al dibattito parteciperà anche la sacra triade Oz-Grossman-Yheoshua, ma ad ognuno saranno garantiti gli stessi tempi e le stesse modalità di dialogo ecc…”.
    Poi presenterei lo stesso pacchetto agli organizzatori della fiera, avendo l’opportunità di farlo in quanto unione super partes di autori “nel nome della lettaratura”, e aspetterei un nulla osta. Forse per sempre.
    Ma forse anche no… perché non provarci?
    saluti

    Balance

    L’artigliere che ha raso al suolo un ospedale il pilota
    che ha incendiato un accampamento di profughi il giornalista
    che ha corteggiato cuori e menti per uccidere l’attore
    che ha trasformato tutto in un’altra guerra l’insegnante
    che ha approvato la strage in classe il rabbino
    che ha santificato gli assassinii il ministro
    che ha alzato il braccio sudato in loro favore il paracadutista
    che ha ucciso il profugo esiliato per la terza volta il poeta
    che ha lodato la nazione nel suo momento più luminoso e la nazione
    che ha fiutato il sangue e benedetto i Mig. L’imparziale
    che ha detto aspettiamo e vediamo come va a finire il politicante
    che si è preso il disturbo di lodare l’esercito il commesso
    che riconosceva i traditori dall’odore il poliziotto
    che ha picchiato un arabo in mezzo a una strada in sommossa l’ufficiale
    che aveva paura di disobbedire il primo ministro
    che ha inghiottito il sangue entusiasta. Loro non saranno perdonati.
    (1.7.82)

    Balance, di Yitzhak Laor, da «Poesie 1974-1992»,
    Edizioni Kibbutz Hameuad 2002,
    traduzione di Gaja Cenciarelli.

  71. CAro Uriel vedo che ti sei stizzito perchè mi sono permesso di defecare almeno con il pensiero sulla nazione tutta e l’esercito sempre tutto dello stato di israele, non avevo fatto i conti quel palpabile nazionalismo che pervade molti invasati cittadini di israele e o i nazionalisti in generale.
    Per risponderti, sicuramente ti sono superiore e di molto, io non odio e discrimino nessuno se mi permetto di criticare qualcuno lo faccio in base a precisi atti politici e a fatti incontrovertibili (bastano rastrellamenti, morti, assassini, torture, sequestri ecc. ecc.? Potrei continuare però) cosa che non mi permette di affermare che israele sia l’unico stato criminale nel mondo, troppi altri ce ne sono liberi più o meno di massacrare civili impunemente…
    Non dovrei essere io a spiegarti che si può essere ignorante umanamente pur avendo chissà quante lauree e chissà quale superiore predisposizione genetica, naturalmente puoi sempre accusarmi, e scusami se non li cito in ordine, di:
    a) voler negare il diritto all’esistenza sacrosanta di israele
    b) di essere un poveretto antisermita, nazista, comunista, di sinistra,fascista no perchè adesso sono amici,
    insomma la mia colpa probabilmente è di non essere ebreo
    c) di essere un terrorista o filo terrorista
    d) in generale di non conoscere nulla della politica e della storia e della cultura di israele (naturalmente nessuno può parlarne a parte te uriel)

    E’ vergognoso in generale che si venga accusati sempre delle stesse favolette, è malafede lo sai?
    Forse non saranno questioni che interesseranno molti ma farebbe piacere che i politici isrealiani o i sionisti (si usa chiamare chiamare politicamente un fenomeno, se mi indicassi come chiamarti o come inquadrarti sarei lieto di usare giusta terminologia) cominciassero a parlare chiaramente di quella che è la loro visione d’insieme della vita e non solo quello che a loro o a voi popolino belante non garba. Questo è il balletto che proponete, le VITTIME (potrei usare al posto di sionista , vittimista?) per antonomasia, non siete stanchi di questo misero teatrino?
    Ti saluto con simpatia Uriel, un occasionale ignaro frequentatore di intellettuali di questa o quella parte Alexander

    ps
    quella di buttarla in burletta dicendo alla fine la verità che pratica è? Oddio se non avessi usato questa particolare forma continuavo a non crederci ai complotti… ;)

  72. Io sono contrario al boicottaggio, ma non apprezzo né il vostro testo dell’appello (ipocrita e disgustoso nel richiamo alla cultura occidentale), né gli scrittori invitati, né Israele (oggettivamente uno stato razzista). Cosa c’entra poi l’accusa assurda di Sebaste di antisemitismo, ripresa anche dalla simpatica Lipperini su Repubblica? Shabtai è forse un antisemita? Eppure le sue parole sono state molto più forti di quelle lette finora sui blog e sui giornali. La mia solidarietà è solo per lui: un intellettuale coraggioso, che mette alla berlina la politica del suo stato per amore del suo popolo, altro che appelli così politicamente corretti e in fondo inutili.

  73. “I consigli comunali delle Apuane dove ventitre anni fa Reder e i suoi ammazzarono centinaia di persone si pronunciano contro la richiesta di grazia, dopo il comune di Marzabotto. Ieri ha votato il consiglio comunale di Carrara, all’unanimità meno uno, un avvocato democristiano. Non so come costui abbia motivato il suo voto. Fosse una motivazione politica, forse potrei anche approvarla. Sarà invece, come m’è occorso di leggerne, una motivazione religiosa o morale che maschera una scelta politica inconfessabile. Cerimonie come queste, comprensibili per i superstiti. Ma, da un più serio punto di vista, peggio che stoltezze, ipocrisie; e peggio che ipocrisie, aiuti al peggio. C’è stato un modo molto reale di dimenticare quegli uccisi: il modo tenuto dalle classi dirigenti italiane nei primi dieci anni del dopoguerra. Oggi si preferisce parlare delle stragi naziste per non guardare la verità di Indonesia, Vietnam, America Latina, Congo… Ma no, sto ancora sbagliando! Ancora una volta m’avvedo di ragionare nei vecchi, ormai falsi, termini: si parla del Vietnam, eccome, se ne parla come dei crimini nazisti, di questi come della guerra israeliana e della guerra israeliana come d’una carestia in India. Al fondo c’è una sola e dura notizia: «Voi non siete dove accade quel che decide del vostro destino. Voi non avete destino. Voi non avete e non siete. In cambio della realtà v’è stata data una apparenza perfetta, una vita ben imitata. Così ben distratti dalla vostra morte da godere una sorta di immortalità. La recitazione della vita non avrà mai fine, felici».

    F.F., I cani del Sinai

    «Fare il cane del Sinai» pare sia una locuzione dialettale dei nomadi che un tempo percorsero il deserto altopiano di El Tih, a nord del monte Sinai. Variamente interpretata dagli studiosi, il suo significato oscilla tra «correre in aiuto del vincitore», «stare dalla parte del padrone», «esibire nobili sentimenti».

    Sul Sinai non ci sono cani.

  74. Ovviamente essendo di sinistra non posso che stare dalla parte delle vittime contro gli oppressori, così è da che mondo è mondo.
    Non mi sptupisce che quanti hanno appoggiato il governo Prodi oggi si schierano a fianco dell’oppressore
    Quando si accetta di votare a favore della guerra, quando si accettano i CPT (che una volta si chiamavano Lager) dove vengono messe persone che hanno il colore della pelle diverso dai bianchi, mandando a quel paese l’articolo 11 della Costituzione ed ogni pudore si perde qualsiasi valore positivo e quindi ci si sposta volentieri contro gli oppressi.

  75. Ho letto il post che Carla Benedetti ha inserito oggi sul “Primo amore”, mi fa piacere vedere che concorda in molti punti con quanto osservavo nel mio post “Domande scomode” del 6/2/08. Ma questi punti, sono in realtà punti che una gran quantità di commentatori hanno colto in modo molto chiaro, ed espresso anche in questa colonna di commenti. La sfilza monotona degli “aderisco” si è potuta almeno trasformare in una vera discussione.

  76. Puntuale arriva lo scandalo Antisemitismo con la favoletta della lista dei docenti, che chiaramente sono noti a tutti da anni…La strumentalizzazione continua…

    Vi siete scatenati, complimenti!!!

  77. Noi viviamo nella Storia, che ha l’obbligo di riportarci a un indirizzo trasfuso all’idea medesima di letteratura; alle testimonianze di popolazioni vessate e perseguitate, dall’incubo del passato alla sempiterna crudezza della Storia contemporanea. Sì, urge parlare: e infondere possibilità di espressione ai nominati senza nome, le creature assenti. Onorare la solidarietà tra popoli ed etnie minoritarie, un preciso adempimento nella vastità della materia umana di ordine nullo.
    La Palestina rappresenta quest’ordine nullo. Non ha una terra, geograficamente è inesistente. Eppure è lì. Noi tutti lo sappiamo; lo sa l’Europa; lo sa l’ONU.
    La Palestina è divenuta l’estetica del reale, “la repulsa della Colpa”, il dolore innocente. Il governo israeliano, lo stato di Israele il cui diritto di esistere gli è stato conferito 60 anni fa, dopo l’orrendo Olocausto, sta compiendo pogrom sui fratelli musulmani, una politica espansionistica di cui siamo a conoscenza. Ma è il popolo israeliano, soprattutto gli scrittori di questo paese, che non possono eludere quella “repulsa della Colpa” che ben conoscono, poiché l’hanno vissuta in termini generazionali e, credo, siano destinati a conviverci per sempre. I vari Oz, Grossman se la portano dentro come un debito inestinguibile.
    Ma sono scrittori, non servitori dello Stato. Perché non accettarli alla Fiera? E perché, con atto umile, non garantiscono loro stessi di esserci solo in presenza di poeti palestinesi e intellettuali dissidenti israeliani?
    Perché, Signor Raul Montanari, non si prodiga affinché ciò avvenga?
    Penso che esista un desiderio di affratellamento che non diventi materia posticcia, o mortifichi l’uomo rendendolo sempre più prossimo ad una concimazione della solitudine.
    Io resto dilaniata, dolente, divisa a chi mi chiede di aderire o non aderire ad un appello definito più volte “infelice” per la sua cruda esposizione.
    E le vostre convinzioni, cari amici tutti, così certe e inderogabili, mi spaventano anch’esse: mancano di dubbi. Troppe scontate certezze, mancanti di alternative.
    Potreste rispondermi: “Tu tieniti i tuoi dubbi, e lascia a noi le nostre certezze”.
    Non fa una piega. Ne prenderei atto. Ma è una visione che ci vuole passivi, in fase d’un ritorno forzato, quando manca l’andare…
    Mi rivolgo a tutti voi, scrittori italiani – di cui elitariamente faccio parte, seppur abitante del sottosuolo – ai non scrittori, e soprattuto a Lei, Raul Montanari, ai firmatari e non dell’appello: troviamo un’altra soluzione. Proprio per quelle creature disabitate, uccise, avvilite nelle stazioni d’un deserto animale.
    Portiamo anche i poeti palestinesi a Torino.

  78. Per com’è congegnato, questo appello non mi convince affatto.
    A parte il fatto che definire la Fiera un evento di prima grandezza della vita “letteraria” nazionale mi fa sorridere, non capisco in difesa di chi è.
    Degli organizzatori?
    Di Israele?
    Degli scrittori israeliani?
    Se, come a me pare, c’è stato solo un acceso dibattito, avrei preferito un contributo critico, a un appello.

    E se nell’appello ci fosse stato un accenno anche alla Palestina, in forma di invito a farne il paese ospite dell’anno prossimo, ad esempio (perché il problema palestinese esiste, e quando si guarda a Israele non ci si può tappare un occhio per vedere solo un pezzo di storia o di carta geografica), oppure una distinzione tra Israele e i suoi scrittori, che a volte hanno posizioni molto critiche nei confronti delle politiche del loro stesso paese, avrei forse potuto apprezzarlo.

    Ma l’appello tace su un problema crucialissimo, spinge a un sì o no privi di distinguo e lo fa, a mio avviso, in nome della letteratura vista come spazio irenico, irreale, come sospensione proprio della politica, e perciò la parola “politico” nell’accezione più alta e radicale del termine che si vorrebbe sottesa a questo invito, io non la vedo.
    E nel vedere anche negli altri siti tutti questi “aderisco” senza se e senza ma (come ho letto) mi viene il dubbio che la mano corra a digitare l’assenso con automatismo, in nome di una buona coscienza che l’Europa, che è stata ed è tanta per tanta parte corresponsabile, vorrebbe avere ma non ha.

  79. Fiera del libro: boicottaggio? No grazie

    Non riusciamo a non schierarci contro il tentativo maldestro di etichettare la cultura israeliana come cultura nemica, per fini prettamente geopolitici. Inviateci recensioni su libri di qualsiasi argomento di cucina, fantasy, letteratura, rosa, saggistica israeliana… Li leggeremo insieme.
    Scrivete a ecumenici@tiscali.it
    Il controboicottaggio da noi è già iniziato concretamente!
    Maurizio Benazzi

  80. Gianni, vedi un po’ con chi ti sei imbarcato… Tra gli altri, col signor Livio Romano, che nel suo blog non ha nemmeno un attimo di esitazione a mettere sullo stesso piano gli oppositori alla fiera-propaganda e i contrari all’appello “semplicemente” con Al Qaeda e i suoi sostenitori.

    Molto semplicemente, signor Romano, proprio per non scendere sul tuo stesso piano, ti dico solo: vergognati!, se ne sei ancora capace, o fatti aiutare da qualcuno (magari dei firmatari) che ancora non si è bevuto il cervello.

    Francesco Marotta

  81. Cara Nina, grazie! Condivido la tua proposta e aggiungo che la politica sempre e in ogni dove è nemica dell’intellettività. Un intellettuale vero che si ciba di vita letteraria non ha confini territoriali, non teme confronti, non vive nel pregiudizio perché possiede ciò che io chiamo l’ “ONESTA’ INTELLETTIVA” e si adopera, come ho già scritto in un mio libro, a “…fabbricare la speranza, cioè la piu grande invenzione del pensiero… che spinge all’amore tra gli uomini”. Un poeta vero appena sbaglia è pronto ad ammettere la sua colpa perché è sicuro di risorgere in quanto sa più di altri di non dover mai tacere e tradire la verità altrimenti tollererebbe tutta l’ingiustizia prodotta dagli uomini”.
    I bambini ed i poeti sanno dell’incanto e dell’orrore e sempre di chi amministra il potere. La cultura vera non ha gabbie ideologiche ma solo solidarietà nei confronti degli oppressi.
    Abele e Caino scontano l’ingiusta la condanna dell’empietà sempre di fronte agli uomini prima che di fronte a un Dio e questo i poeti lo sanno benissimo, perciò fanno vivere ogni Abele disarmando ogni Caino.
    Sono con la tua voce sincera e il tuo grido è il mio grido di giustizia.
    Un abbraccio nel cuore.
    Gaetano Calabrese

  82. Quando si accetta di votare a favore della guerra, quando si accettano i CPT (che una volta si chiamavano Lager)
    —-

    Appena torneranno i Lager, vedrai che rimpiangerai i CPT. La sai la storia di “Al Lupo, Al Lupo!”?

    Uriel

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Nel 2011 il romanzo noir I materiali del killer ha vinto il Premio Scerbanenco. Nel 2018 il romanzo storico Come sugli alberi le foglie ha vinto il Premio Bergamo. Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.