Hitler di Giuseppe Genna
Non è inopportuno scrivere un romanzo su Adolf Hitler (magari si potrebbe evitare di farlo uscire il Giorno della Memoria, ma questo è un altro discorso). Mai come oggi, infatti, vediamo che Hitler ci riguarda. Come dice Georges Didi-Huberman nel libro ora tradotto da Fazi, Il gioco delle evidenze, questa storia guarda noi che la guardiamo. È insomma un test: perché, per quanto la si esorcizzi, è la nostra storia.
Più che la letteratura è il cinema a offrirci, sull’Argomento, esempi-guida. Ai due estremi Hans-Jürgen Syberberg con Hitler. Un film dalla Germania (1978) e Aleksandr Sokurov con Moloch (1999). Sokurov è l’unico ad aver mostrato davvero la banalità del male (ispirandosi forse, per le sue riprese decolorate e quasi in trance, a quelle fatte al Berghof da Eva Braun): così riportando il Male Assoluto a una psicopatologia del quotidiano che, con un brivido, scopriamo appartenere a ciascuno di noi. Attaccatissimo a Hitler, Sokurov realizza un’opera «minimalista»: agli antipodi dalla grandeur pacchiana del pittore fallito che, nelle battaglie decisive, continua a baloccarsi col sogno della Berlino Millenaria. Syberberg è invece «massimalista». Per lui la biografia non è che un’allegoria. Quello che chiama «Hitler» è lo Spirito Tedesco, Occidentale, dunque appunto «nostro»: il Romanticismo Ideale Eterno. Tanto più vicino, dunque, a quel fascino dell’Estremo di cui Hitler fu atroce parodia: sino a giustificare il sospetto di aver ceduto al suo «contagio».
Campo minato se ce n’è uno, insomma. E giustificate le cautele di Giuseppe Genna su quelli che chiama «protocolli di rappresentazione». Dice per esempio di aver voluto evitare qualsiasi invenzione; ed è davvero un equivoco definire «romanzo», come fa la copertina, quanto non è altro che la sceneggiatura della biografia di Joachim Fest. Anche se l’osceno, con ambiguità tipica dell’autore, è negato all’atto stesso di perseguirlo: la perversione cui Hitler indulgeva in compagnia di Geli Raubal non vellica certo di meno il voyeur perché – ridicolmente –la voce narrante dice di fermarsi dietro alla porta chiusa (registrando però le istruzioni dello zio alla nipotina). Non è l’unico scivolone nel comico involontario (quando il capo omosessuale delle SA Ernst Röhm confessa al Führer «Io ti voglio bene», per esempio, non si può non pensare ai Blues Brothers).
Più in generale, il libro sconta la dismisura fra le ambizioni di Genna e la limitatezza delle sue risorse stilistiche. La pagina più interessante è l’ultima: nella quale a Hitler, dopo il wagneriano Crepuscolo nel Bunker, appaiono colossali le sue Vittime. È qui intuita la via forse maestra alla demitizzazione che – Genna lo sa bene – è il vero compito di una «rappresentazione» responsabile del Mito Nazi. Qui Hitler viene rimpicciolito: contrappasso alle sue smanie di Colossalità, di Eternità, di Eccezionalità. È quanto ha fatto, con ambiguità più interessante (perché consapevole), Maurizio Cattelan col suo mini-Hitler in ginocchio al Castello di Rivoli, Him. (In questi giorni è in scena uno spettacolo del gruppo Fanny e Alexander, ispirato all’opera.) Ma nel resto del libro Genna, come il Führer col Lupo Fenrir, si fa prendere la mano dal suo Cattivo Demone. È il demone dell’Enfasi a produrre la stucchevole marea paratattica che infesta il libro: ogni frase scandita come Clausola Definitiva, Marmorea. Ma che risulta invece Gesso e Stucco, appunto. Il vertice è il Meta-Kitsch delle descrizioni dal Trionfo della volontà e da Olympia di Leni Riefenstahl: tutto è Gigantesco, Sublime, Tremendo. La parola-chiave, infinite volte ripetuta, è esorbitante. «Esorbita» di continuo Hitler, e con lui i «suoi» artisti-demiurghi; ma è costretto a «esorbitare», poverino, anche Jesse Owens.
Sostiene di voler distruggere il Mito di Hitler Titano e Dèmone, Genna. Ma quel che leggiamo è: «Hitler si avventa, è il lupo che stringe alla giugulare, è il drago che sfiata fiamme di metano, è la Medusa che impietrisce tagliando la sala con lo sguardo gelido» (è un’ossessione, questa dello sguardo: un paio di volte grottescamente lo definisce da husky, tre volte parla di «pupille cerulee»… pupille?). Uomo non stupido ma scrittore improbabile, Genna ha capito che la via intelligente era quella di Sokurov, ma il suo animo pompier l’ha irresistibilmente portato a tentare Syberberg. Così ripetendo il destino Kitsch del suo avatar: scimmiottare il Sublime con mezzi Miserabili.
(pubblicato su tuttolibri, 2/2/2008)
Il libro ce l’ho sulla scrivania e non l’ho ancora letto, ma questa recensione mi fa venire voglia di leggerlo subito, perchè più che il libro sembra voler massacrare l’autore, insistendo sulla sproporzione tra l’obiettivo e i mezzi del medesimo. Che Genna sia personaggio sovraesposto, e facile a calamitare odi e amori è risaputo, ma usare un libro solo per fucilare l’autore di altri dieci non mi piace.
“Uomo non stupido ma scrittore improbabile”
L’autore di “Dies irae” è scrittore vero, che alterna pagine intensissime a sperimentazione in pubblico: discutibile finchè si vuole ma coraggioso, torrenziale, molto vitale. Avercene in questo paese di paraculini.
“Più in generale, il libro sconta la dismisura fra le ambizioni di Genna e la limitatezza delle sue risorse stilistiche.”
“Uomo non stupido ma scrittore improbabile,”
scusa Sergio, senza entrare nel merito del libro, che ti confesserò , non ho letto, ma secondo te da un critico, per di più, pare, non stupido, ci si può aspettare qualcosa di meglio?
Non è un po’ , come dire, massimalista?
effeffe
Armeen stampfen zwischen Feuerwänden,
und blutigrot erscheint die wilde Nacht.
Ein Idiot ( ?* ) hieß die Schlacht
»das Stahlgewitter« einst – er mög’ verenden!
* ki indoffinare kwiz, 1 kupòn Bagetta.
@kol
junga
Momento. Prima di dire che questo è un attacco alla persona, forse sarebbe meglio domandarsi come mai Cortellessa scrive quelle parole. Cortellessa ha avuto coraggio e franchezza? Oppure no – con le conseguenze che quel “no” si tira dietro?
Poi, Binaghi, non mi pare vero che “usare un libro solo per fucilare l’autore di altri dieci non mi piace”. Mi pare che Cortellessa si limiti a questo libro, e dica: Genna ha tentato un’opera troppo ambiziosa per i suoi mezzi. E’ vero che dice “uomo non stupido ma scrittore improbabile” ma dopo quella frase segue una virgola e subito l’affermazione viene riportata al romanzo Hitler. Se Cortellessa avesse scritto la stessa frase magari tra due punti fermi oppure peggio ancora isolata – come a spezzare due paragrafi, allora sì che sarebbe stata una generalizzazione inaccettabile, un insulto, un attacco alla persona. Così, non mi pare si sia in presenza di questi estremi.
Non difendo Cortellessa. Anzi, sì, lo difendo. Mi pare che la sua recensione sia un atto di coraggio che vada sostenuto: Genna è un autore importante – mi sembra. Voglio dire: stroncare Genna, non è come stroncare me.
Semmai, c’è una critica che si può muovere a Cortellessa. Lui scrive: “il libro sconta la dismisura fra le ambizioni di Genna e la limitatezza delle sue risorse stilistiche”. Chissà come mai, non so se qualcuno potrebbe essere d’accordo, e non vorrei generalizzare, ma mi pare che di solito chi affronta una tematica ambiziosa non ha il talento necessario per farlo, chi affronta un tema facile, invece è uno spirito vibrante, intelligente, e ha gran talento. Pare quasi una costante. Io credo che questo atteggiamento sia figlio del considerare l’esecuzione più importante della scelta degli argomenti da trattare. Invece, non si tine conto del fatto che ci sono argomenti sui quali è più facile che il proprio talento brilli e riluca, sfolgori, e argomenti dove il proprio talento può apparire meno evidente. Cosa diversa è scalare a mani nude una collina e scalare una montagna. Se scali una collina puoi produrti in piroette, fare la ruota, la spaccata in aria, op!, op!, che ci vuole? Ma provaci a fare la spaccata, se devi scalare una montagna piena di sassi, pietre, rocce. Il problema è che quando si scrive non c’è realmente una montagna e una collina da scalare. Usiamo delle parole generiche per abbozzare delle rappresentazioni di concetti a astatti, forse ancora meno che astratti. Usiamo “ambizioni alte”, “mire alte”. Quell’ “alto”, però, non lo abbiamo davanti, non è una cosa, non c’è. Insomma, mi pare, non sappiamo bene di che cosa parliamo quando cerchiamo di rappresentare un “talento” che si confronta con una “ambizione”. Bah. Ma che vorrà dire mai?
La ragione vera che mi ha fatto scrivere questo commento, però, è un’altra: porca miseria, io per primo ho segnalato la stroncatura di Cortellessa a Genna, e io per primo ho raccolto l’invito di Genna a creare un dibattito sul suo libro (che per me, ve’, è fichissimo), e però, sì, però qui su Nazione Indiana non si è segnalato il post del mio blog, accidenti, nemmeno un linkino, e allora adesso lo dico io: Bene. Questi sono i blog italiani. Questo è il paese dove vivo. Ormai è chiaro: devo in stretto giro di posta mettere a punto per la mia vita un piano B.
…ma famose du spaghi, va’…
ciofinotto, tu + jung ke me, no konoscere istoria: Italia dice menga, no junga (e dice alkol, no @kol)!
bisogna ammettere che quando cortellessa disseppelisce e sfodera le antiche armi della stroncatura, di cui sono come è noto pioniere e apostolo (pentito), è insuperabile. altro che. si ricordino frecciate irresistibili all’iliade di baricco (un po’ meno riuscite quelle all’evangelisti, lì in effetti si era fatto scappare un po’ la mano). resta il dubbio di ragioni di consorteria e di schieramento, ma questo è un altro discorso. baricco evangelisti genna. in altri tempi – ah, che tempi – a botta corrispondeva risposta. tipo l’elogio di un cretino, cases in difesa di p. levi. con osservanza.
“Hitler” lo sto leggendo in questi giorni (e, come si capisce da quello che scrivo, mi piace davvero tanto), ma prima di farlo avevo molto dubbi se fosse il caso di seguire Genna in questa avventura. Mi spiego: mi piace come scrive, ma lo trovo un po’ autocompiaciuto e questo a volte guasta un po’. Per questo non sapevo se avrei avuto voglia di scontrarmi con questa cosa, leggendo un libro del genere, su di una tematica così ‘importante’. (Poi mi sono convinto grazie alle prime impressioni entusiaste di Simone Sarasso, sul suo blog)
Quei dubbi sono confermati in pieno dalla stroncatura di Cortellessa…
ma lui lo fa con una tale acrimonia che a me il sospetto sui suoi preconcetti a proposito dell’autore è venuto spontaneo.
Come ho detto, le avverto anch’io certe ampollosità nello scrivere di Genna, ma il romanzo nel suo insieme, la materia letteraria che ne esce fuori, ha una sua armonia: il libro funziona, non arranca, mai!
Ad esempio, il passo che cita Cortellessa dell’Hitler-lupo/drago/Medusa…
ma cos’ha questa frase?
non capisco!!
è il racconto di un suo comizio, uno dei primi mi pare…
e racconta -eccellentemente, secondo me- la forza magnetica che sprigionava, l’«HowTo» della sua abilità oratoria… ché insomma ce lo chiediamo tutti come abbia fatto quella mezzasega d’uomo a tirarsi dietro un’intera nazione nella sua follia!
e Genna lo spiega.. esaurientemente. Non fai fatica a credere che -data quella particolare situazione- la gente si lasciasse convincere da quelle aberrazioni, gli credesse e si abbandonasse ad ogni efferatezza (fisica e verbale).
Le mie sono impressioni di chi il libro lo sta leggendo, però ripeto: più vado avanti e più quello scelto da Genna mi sembra l’unico modo accettabile (per la mia “sensibilità”, almeno) di approcciare la materia: chiarire fin da subito il proprio disprezzo!
Credo che l’esigenza di scriverne in modo piano, oggettivo, a-partigiano, possa valere per uno storico, che deve essere il più oggettivo possibile.
se scrivi un romanzo invece, rischi la simpatia/empatia per il protagonista…
Ecco, evitiamo ogni rischio, molto meglio così!
Secondo me è il più bel libro scritto da Genna. Anche dal punto vista stilistico. Lo saluto affettuosamente.
Io il libro l’ho letto e riletto in alcuni punti. A me è piaciuto molto, pur trovandolo un libro non accattivante e pesante. Ha una grande spinta etica. Cambia certi punti di vista. Hitler non è un personaggio carismatico o fascinoso. Hitler è un cretino seguito da cretini (e quei cretini siamo noi). Il Male non è banale. Il Male è stupido. Però sono pareri personali. Per quanto riguarda la stroncatura di Cortellessa, a me sembra un po’ troppo ad personam. Ma forse è una lettura distorta mia. Per quanto riguarda la presunta pochezza di stile, Genna dispiega un armamentario retorico di tutto rispetto (anafore, paranomasie, tautologie, du-stil…) per creare con lo stile l’ottusità senza evoluzione del non personaggio. Un libro che per 600 e passa pagine parla solo di gente cattiva o stupida può essere sopportabile solo attraverso la parola squisita. Il libro può non piacere, ma Genna è uno scrittore di tutto rispetto.
è un libro scadente, fatto per vendere (nero, cattivo, col faccione malvagio che ti guarda).
Ho appena finito “Le Benevole” di Littell, sto leggendo “La Weltanschauung nazionalsocialista” di Lukàcs e ho la forte tentazione di affrontare l’Hitler di Genna. Spero di uscire indenne da questa full immersion nel Male Assoluto. Anche perché mi ha colpito una considerazione di Wu Ming 1 su Le Benevole: leggendo questo libro scopriamo che tutti noi potremmo essere nazisti. Io penso che, leggendo, coscienti o meno, seguiamo il narratore e partecipiamo alle sue avventure, ai suoi sentimenti. E’ il nostro punto di riferimento, nel bene e nel male. Aue, il narratore delle Benevole, è un nazista puro. Noi condividiamo con lui il suo nazismo. Per oltre 900 pagine lo condividiamo. Finisce per essere “anche” il nostro eroe. La sua visione normale della macelleria diventa la nostra visione normale. Le sue discussioni sul nazionalsocialismo primario diventano le nostre. Per questo, credo, ha suscitato tante critiche. Lo stesso Genna ha espresso una forte avversione verso la descrizione sugli orrori dei campi di sterminio. Ha detto che non solo è inopportuna una scelta letteraria del genere, è impossibile. Anche per questo mi incuriosisce questo libro. Una idea però me la sono fatta, idea che verificherò strada facendo: Genna dipinge Hitler come un “non uomo”, cioè come una negazione vivente dell’umanità, del sentimento umano, dell’ideale, tutto (Mirco nel suo commento ha usato “cretino”). Idea che, in parte, sembrerebbe confermata da Lukàcs, che lo mostra come un cinico assoluto, uno scettico, uno che usa l’ideologia, anzi, la fabbrica, senza crederci, col solo scopo di imporla alle masse – che disprezza – contro la verità oggettiva. Ma noi camminiamo a fianco di Hitler? Condividiamo la sua infanzia infelice? Diventa, nel bene e nel male, il nostro eroe? La sua “non personalità” diventa giocoforza una personalità che ci coinvolge? Leggendo pagine sparse del libro mi sorge il sospetto che sia un processo inevitabile, e che lo stesso Genna, a tratti, ne diventi cosciente; infatti ho notato, qua e là, come dei momenti di apnea, dove l’autore sembra spaventato dalla sua stessa impresa e, accanto alla narrazione, inserisce brevi frasi nelle quali “giudica” Hitler, pone delle osservazioni di qualità, dei commenti sprezzanti al negativo, alle sue imprese.
Comunque è un libro che mi interessa e le considerazioni di Cortellessa sull’insufficienza stilistica mi trovano, per ora, in disaccordo.
Be’, tra D’Orrico e Cortellessa capiscono un casino di letteratura. Glien’ho parlato, a D’Orrico, quest’oggi sul Magazine del Corsera (mi ha fatto l’onore di pubblicare una mia lettera a lui indirizzata, pag. 101) di genna.
A Cortellessa posso solo dire che sta alla critica letteraria come Mangano alle stalle.
Ci sono lettori che non sono fatti per certi tipi di libri. Io non penso affatto che D’Orrico sia stupido, ha una sua idea di come rinnovare la letteratura e la porta avanti, ma è un’idea piuttosto volterriana, borghese nel senso migliore del termine. L’enfasi, il tragico, il mitologico, non fanno per lui.
Se ha apprezzato Gomorra è perchè è abbastanza lontano dal romanzo da non contendere lo spazio ai suoi preferiti: Richter, Roth, i più leggeri Vitale, Cappelli. Poi ogni tanto tira un bidone: il Bar Biturico, Rio…
Non ho letto il libro, ma in un’intervista all’autore ho letto che intende demolire il mito di Hitler presentandolo come qualcosa di non-Umano. Ovverosia, un siluro sparato dritto dritto all’Empireo.
Non mi arrogo il diritto di criticare senza aver letto il libro, ma la cosa mi puzza (oltre che di palese contraddizione) di operazione commerciale senza rinunciare al buonismo.
A questa contraddizione rispondo (prima ancora che il libro fosse scritto a dire il vero) con una teoria esattamente opposta: Hitler come troppo umano.
Per i curiosi rimando a questo link: http://www.gizart.com/LMNFita.pdf
Francesco D’Isa
http://www.gizart.com
http://www.pornsaints.org
metti hitler in copertina = vendi tanti librini
ma senza rinunciare ad esser buonini
Adolph pianse una volta sola.
(Gesù però mai.)
@ Christian Frascella
Bhè, guarda, tutto si può dire di Cortellessa tranne che non sappia e non capisca di letteratura (ma anche di teatro e musica) del Novecento. Per chi conosce Cortellessa non ha senso neanche porre la questione. Come critico può esserci utile o inutile, ma questa è un’altra cosa.
io non ho ancora letto Hitler, lo farò, nel frattempo sto leggendo questo altro, interessante romanzo, incentrato sulla figura del fuhrer, nel quale mi sono imbattuto per caso (il romanzo dico)
http://lastanzadeilibri.blogspot.com/2007/11/la-parte-dellaltro.html
guai a chi tocca Cortellessa…
guai a chi tocca Beppe Genna…
gli si strappa la cotenna
lo si getta nella geenna!
Cortellessa ha ragione quando scrive, a proposito dell’Hitler di Genna:
«[…] ogni frase scandita come Clausola Definitiva, Marmorea».
Avevo avuto la stessa sensazione di primo acchito, proprio in quella fase in cui si prende un libro in mano per decidere se comprarlo (e leggerlo) oppure no. In quei momenti si cerca di capire dove vuole andare a parare l’autore, e si leggono dei paragrafi a casaccio per assaporarne lo stile. E lo stile dell’Hitler di Genna in effetti è ostico, si potrebbe dire un anti-stile. Si ha l’impressione di pensieri spezzati, un modo di scrivere difficile da seguire nella sua struttura logica; un po’ come quello di Filippo Timi nel suo ultimo “romanzo” (E lasciamole cadere queste stelle).
Però da alcuni commenti mi pare di capire che questo modo di scrivere sia frutto di una precisa scelta da parte di Genna, oppure sia semplicemente un riflesso inconsapevole dello scrittore per la difficoltà dell’argomento (la “montagna da scalare”).
L’operazione invece di rendere la figura di Hitler non umana, o assurda, spregevole, e dunuqe rendendo anche linguisticamente questa nodosità del personaggio e delle vicende, mi sembra che sia abbastanza pericolosa. Pericolosa perché cerca di scacciare l’Hitler che è in ognuno di noi. Era Virginia Woolf che scriveva: «Cerchiamo di fare conscio l’inconscio hitlerismo che ci opprime. È il desiderio di aggressione; il desiderio di dominare e di rendere schiavi. Perfino nel buio possiamo vederlo chiaramente. Vediamo le vetrine dei negozi illuminati a giorno, e le donne che guardano; donne incipriate; donne travestite; donne dalle labbra rosse e dalle unghie rosse. Sono schiave che cercano di rendere schiavi gli altri. Se potessimo liberarci dalla schiavitù, avremo liberato gli uomini dalla tirannia. Gli Hitler sono generati dagli schiavi».
Nel suo bellissimo romanzo autobiografico “Sbucciando la cipolla”, Günter Grass affronta proprio questo argomento, senza farsi sconti di alcun tipo sulla sua consapevole decisione giovanile di aderire alle SS. Scava dentro se stesso, per cercare di capire veramente le ragioni del successo – in termini di consenso – del nazismo. Lo fa da scrittore, e da uomo di sinistra.
Demonizzare Hitler, renderlo come un essere dell’altro mondo e incarnazione del male assoluto, è forse dunque un modo di schivare il nocciolo del problema.
ottimo il Gizart
Sempre amato l’Hitler di Gizart, anche se l’ho sempre odiato.
Di ogni libro di Genna si dice che sia il più bello che abbia scritto. Giusto un appunto questo. Ma se chiedi in libreria Genna nessuno che ne sappia, se non dopo aver consultato più volte sul pc il database degli autori. E’ uno di quegli autori di cui si parla in Rete…
Personalmente dopo uscite editoriali ben tragiche, in senso negativo, ho rivalutato moltissimo il lavoro di Genna nonché le sue idee sulla letteratura. Rimangono i thriller, lavori onesti.
“Hitler” uscito in una data che non sarebbe dovuto uscire, spiacente, è stato un colpo molto ma molto sporco dell’editore, che è ovviamente di Destra. La copertina fa rabbrividire, tanto è priva di buon gusto. Ma rimanendo su di un piano strettamente critico: Eric-Emmanuel Schmitt, “La parte dell’altro”, un romanzo che io ritengo essere esemplare, che mette in gioco la vita reale di Hitler e quella di un Hitler “se fosse stato un buono” e che non esito a consigliare caldamente per chi pretende che un libro sia qualcosa di più di un po’ di frasi vergate e inccolate l’una dopo l’altra. “Hitler” di Genna non l’ho letto e non mi piace. E spiego anche il perché. Questi i risvolti di copertina:
Il personaggio che si muove attraverso snodi poco conosciuti oppure tristemente noti, il protagonista di queste pagine, è di fatto Adolf Hitler. E questo è il primo romanzo che sia mai stato scritto su Adolf Hitler. Non ci sono discronie né invenzioni; Genna piuttosto dilata particolari e fatti reali della vita del Führer, dalla sua infanzia fino al suicidio nel bunker, con sguardo attonito di fronte allo scatenamento di uno tsunami di coincidenze che conducono al potere una nullità: l’omuncolo destinato a produrre Ia più efferata tragedia della storia. Hitler è, secondo il suo biografo Joachim Fest, la “non persona”, un essere che irradia non essere e morte, banalità e follia, l’uomo le cui donne – tutte – tentarono il suicidio. Ma qui non c’è quasi nulla della morbosità che affligge tanta storiografia hitleriana, né indagini fantasiose sulla sua vita sessuale né evocazioni di inverificate forze esoteriche: Hitler è irrevocabilmente consapevole e responsabile, gli eventi sono descritti per come è accertato che andarono. Ricamare con la finzione sul la ferita che ha marchiato a fuoco il Novecento sarebbe osceno, come ha detto Claude Lanzmann, l’autore di “Shoah” che ispira ogni pagina di questo libro. Strutturato per capitoli concepiti come le metope di un frontone, il romanzo di Genna sorprende per come connette i fatti più risaputi con elementi assai poco noti della vita del Führer. Dall’incredibile labirinto familiare da cui fuoriesce il piccolo Hitler, con i suoi deliri di grandezza e le sue improvvise abulie, all’esperienza limite dell’umanità disfatta nel gorgo della Männerheim, l’ostello per poveri e criminali dove passa anni da nullafacente; dall’esposizione al fuoco e ai gas della Prima guerra mondiale al ricovero in ospedale; dal rapporto incestuoso con la nipote Geli Raubal al comporsi dell’abominevole, grottesca corte dei suoi scherani. Quest’opera ispirata e severa smonta qualunque funzione mitica attribuita al Führer, è il canto che non può ma vorrebbe risarcire di amore e di pietà le vittime del suo sterminio. Senza nulla concedere a lui personalmente, all’essere che più di quaranta volte pensò di suicidarsi, non riuscendoci che alla fine, dopo aver trascinato con sé nel baratro milioni di vite.
Dall’anticipazione:
Giuseppe Genna è autore di dodici libri, alcuni dei quali tradotti in Europa, Stati Uniti, Russia e Giappone, scrive su Vanity Fair e nel 2005 su Raitre è andata in onda la fiction “Suor Jo”, ispirata ad alcuni suoi libri.
Il protagonista di queste pagine, è Adolf Hitler e questo è il primo romanzo che sia mai stato scritto su Adolf Hitler. Non ci sono discronie né invenzioni ma particolari e fatti reali della vita del Führer, dalla sua infanzia fino al suicidio nel bunker.
L’autore riserva uno sguardo attonito di fronte allo scatenamento di coincidenze che conducono al potere una nullità: l’omuncolo destinato a produrre la più efferata tragedia della storia.
Quest’opera ispirata e severa smonta qualunque funzione mitica attribuita ad Hitler e vorrebbe, pur non potendo, risarcire di amore e di pietà le vittime del suo sterminio.
Solitamente i risvolti di copertina sono la cosa, proprio la “cosa”, che vale leggere, più del romanzo, perché ben scritti, mentre il romanzo contenuto fra i risvolti è quasi sempre di uova marce. Non è il caso per “Hitler” di Genna: ” E questo è il primo romanzo che sia mai stato scritto su Adolf Hitler”, questa la prima macroscopica menzogna tout court. Il primo romanzo su Hitler? Accidenti! Solo qualche bifolco potrebbe crederci e neanche. Ci viene anche detto che questo lavoro “smonta qualsiasi funzione mitica”. Ma non era lavoro che era già stato fatto in maniera esemplare da Ian Kershaw in “Hitler: 1889-1936-1936-1945”? Sì. Nelle quasi 2500 pagine Kershaw ci restituisce l’Hitler in tutte le sue sfaccettature, l’uomo, il non uomo, le debolezze, l’ira e la pazzia. Ci sono tantissimi autori che hanno scritto di/su Hitler, ben prima di Genna, sceverandolo del “mito”, quindi nei risvolti di copertina ci viene detta un’altra menzogna. Ci viene forse detto qualche cosa che non sapevamo di Hitler? Non mi sembra, tranne nel caso si vogliano considerare verità le menzogne riportate nei risvolti di copertina.
Non ci sono ragioni sufficienti per impegnarsi a leggere questo ennesimo lavoro di Genna, almeno a mio avviso: non ce ne sono perché il libro è stato fatto uscire il Giorno della Memoria, perché i risvolti di copertina sono ingannevoli e presuntuosi, quindi forse è molto meglio rivolgersi a Louis Ferdinand Céline e alla sua “Trilogia del Nord” per capire il nazismo e quanto esso ha influenzato persone, cose e paesaggi. Per la serie “non l’ho letto ma non mi piace”.
Buone cose
Caro cotronoski, questo Cortellaccio sarà pure un finissimissimo affilatissimo stroncatore ma, da quello che leggo, e da quel poco che capisco, dovrebbe fare i conti con gli americani. A quel punto molte delle sue certezze categoriche si affloscerebbero.
Ah sì, Genna,
scrittore non stupido, uomo improbabile.
Sono a metà del libro. Perplesso.
Hai letto anche i risvolti, Binaghi? :-)
Applausi per la battuta di Iannozzi.
Grazie, Biondillo. :-) Gli applausi e le noccioline mi piacciono sempre e comunque. Peccato non fosse una battuta ma uno strale. Nonostante tutto sei un Miserabile simpatico, ma sol perché questo è quel che passa il convento. :-)
Mi dài altre noccioline? :-)
Attenzione, perché Genna non sostiene affatto che Hitler sia “non-umano”, come ipotizzano commentatori che ammettono di non avere (ancora) letto il libro. Genna, sulla scia di Joachim Fest, intende e presenta Hitler come “non-persona”, cioè come una nullità, un individuo vuoto e senza alcun talento, senza empatia con gli altri esseri umani, senza nulla che lo renda “speciale” se non proprio questa vacuità. E’ molto diverso dall’affermare che Hitler “viene sparato direttamente dall’Empireo”. Direi anzi che è l’esatto opposto.
Ah, be’, se sostiene che è una non-persona, allora è tutto un altro paio di maniche. Ma è una persona l’essere umano senza distinzione di sesso, età e condizione, l’uomo come essere intelligente e consapevole di sé, dotato di un’identità singola e personale. Lo sostiene il Demauro Paravia, citato anche nell’ultima bustina di Minerva di Umberto Eco, quindi dev’essere proprio un buon dizionario. Tra quasi-romanzi e non-persone, ecc. ecc., di questo passo, saremo dipinti tutti come dei freaks.
A questo Iannozzi che si vanta di leggere solo i risvolti di copertina dei libri che stronca, faccio notare che il concetto di “non-persona”, che è palesemente empirico e non ha pretese di scientificità, è stato proposto dallo storico Joachim Fest, autore della più importante biografia mai scritta su Hitler nonché uno dei più grandi intellettuali del dopoguerra europeo. A pag. 649 di quella biografia parte un capitolo intitolato “Ritratto di una non-persona”. Genna non è il primo romanziere a riprendere quell’immagine, lo ha già fatto Harry Wallisch nel suo “Siegfried”, che però non abbracciava l’intera vita del Fuhrer come invece avviene stavolta. L’attribuzione a Fest del concetto, tra l’altro, è presente nel risvolto del romanzo di Genna, che lei ha copia-incollato senza evidentemente averlo letto.
Finito. L’ho trovato artisticamente pregevole (con qualche riserva sull’eccesso di enfasi e l’iterazione insistita), anche più disciplinato e quindi maturo di “Dies Irae”, ma ideologicamente discutibile. Il discorso è complesso: se qualche amico qui me la posta, tenterò una recensione.
Joachim Fest: perché dovrei ritenere la sua biografia su Hitler la più importante?
Preferisco la monumentale biografia di Ian Kershaw “Hitler: 1889-1936-1936-1945″. Ritengo che Fest sopravvaluti Hitler, gli dà troppa enfasi dimenticando il contesto sociale. Ian Kershaw descrive alla perfezione Hitler e il contesto sociale proprio facendo di Hitler l’epicentro della Storia, cosa che non fa invece il più tradizionale e sorpassato Fest, anche se più immediato e di più facile lettura.
Comunque ho letto solo i risvolti di copertina, che non mi hanno per niente convinto. Joachin Fest incluso. E sinceramente spero che Giuseppe Genna abbia preso in esame anche altri testi, oltre alla (sorpassata) biografia di Fest.
Postilla: La caduta, il film basato su “Gli ultimi giorni di Hitler” di Joackin Fest, anche quello non mi ha convinto, per niente. Lo ritengo un filmetto, ma non per colpa degli attori… per colpa della sceneggiatura che sopravvaluta Hitler. Sinceramente ritengo “La caduta” un film pericoloso, non adatto a tutti, neanche a molti maggiorenni, proprio perché di Hitler viene data una immagine fin troppo esaltata dimenticando completamente il contesto sociale.
Non posso dire se sia vero che Claude Lanzmann sia in ogni pagina di questo libro, non dai risvolti di copertina, anche se mi sembra una esagerazione pretestuosa asserire che “ricamare con la finzione sulla ferita che ha marchiato a fuoco il Novecento sarebbe osceno, come ha detto Claude Lanzmann, l’autore di ‘Shoah’ che ispira ogni pagina di questo libro.” Posso invece dire senz’ombra di dubbio che chi non ha visto e non ha ancora letto Shoah di Lanzmann non potrà avere una visione realisticamente critica del nazismo e dei campi di concentramento.
P.S.: Mi pare fosse stato proprio Genna, forse in maniera provocatoria, a recensire per primo partendo dalle alette dei libri. Sì, mi pare proprio di sì. E’ stato proprio lui, perlomeno in tempi recenti e “miserabili”.
Il bello di questa discussione è che Iannozzi, al solito, non avrà letto né fest né kerscio.
Bella anche ‘sta cazzata “senz’ombra di dubbio” (giammai!):
“Posso invece dire senz’ombra di dubbio che chi non ha visto e non ha ancora letto Shoah di Lanzmann non potrà avere una visione realisticamente critica del nazismo e dei campi di concentramento.”
Come dire che “Se questo è un uomo” non è servito a una sega. Ma vaffanculo, va.
@ maro’…
Obbe’, tutto qui? :-)
Per quel che mi riguarda puoi continuare all’infinito ad imbrattare NI di parolacce. Ti lasciano libero, quindi continua pure. :-) Però secondo me puoi far di meglio, lo dico per te, perché mi dispiace leggere che ti butti via così dando davvero il minimo sindacale. Dài, continua, tira fuori tutto il tuo sicuramente ricchissimo turpiloquio. Ce la puoi fare. Io tifo per te. :-D
Dimenticavo. Giusto è che segnali in appropriata sede le mie riflessioni, riviste e corrette là dove presentavano imprecisioni, circa i risvolti di copertina:
http://biogiannozzi.splinder.com/post/15858028/Hitler+%C3%A8+morto%2C+e+a+me+mi+pia#15858028
Chi vuole puo’ leggerle. Io non mi offendo. :-)
Grazie. E buona domenica a tutti/e.
Sono anch’io dell’opinione che l’impianto del romanzo di Genna sia MOLTO più assolutorio per la nostra coscienza rispetto a quello di Littel, Littel offre meno appigli – e non mi stupisce la reazione di chi caparbiamente ne va in cerca per esorcizzare il potenziale nazista in agguato dentro ciascuno di noi. I difetti di Littel sono più di svolgimento romanzesco che di ipotesi di lavoro.
Il problema con Genna, invece, è che ti assenti due giorni dal web e ti perdi inevitabilmente la pagina in cui lui ti spiega perché il Non-essere può essere (Hitler), oppure perché il nazismo è il portato terminale dell’umanesimo occidentale: ti trovi capovolti anni e anni di mattoncini lego diligentemente impilati a scuola in una pagina web perduta, e senti che non hai le energie per buttarti nella lettura di un romanzo di 600 pagine basato su ipotesi mal digerite (da te lettore).
Altrimenti, leggendo, rischi di prendere la cartapesta per cartapesta, e non per scenografia.
“Sono anch’io dell’opinione che l’impianto del romanzo di Genna sia MOLTO più assolutorio per la nostra coscienza rispetto a quello di Littel”
Opinione legittima, ma se non sbaglio poche righe più sotto dici di non averlo letto, quello di Genna, e allora come fai ad affermare una cosa del genere??
O GiuGenna mente in tutto e per tutto nelle interviste e nel sito e i suoi recensori gli reggono il gioco, oppure credo sia legittimo pensare di avere un’opinione sull’IMPIANTO del romanzo visto quanto se ne è parlato.
NB – adoro molti libri di Genna e non sto squalificando questo suo romanzo non ancora letto, dico solo che ora come ora, partirei male a leggerlo, perché non mi convincono le sue ipotesi per come le ha enunciate. Forse sarò piacevolmente smentito in lettura.
Di Littel, letto e meditato, invece non mi convincono proprio le interpretazioni dei recensori, che secondo me non raggiungono il cuore del romanzo e non sottolineano le pecche narrative.
I puntuali pareri su Hitler, contrastati e contrastanti, sono finalmente giunti e purtroppo non sono riusciti ad indirizzarmi positivamente alla lettura del romanzo. Giugenna è un grande, grandissimo pensatore, ma il suo stile di scrittura “emotivo” mi risulta difficile.
A proposito dello stile e della leggibilità di un testo proprio lui ha qualcosa da dire su carmilla, oltre ad offrire altri interessanti spunti di riflessione: http://www.carmillaonline.com/archives/2008/02/002528.html#002528 :
“Va assaltato un testo che cede all’idea di autocensura in nome della leggibilità, quale monomandatario che permetterebbe al testo stesso di inserirsi nel vettore unico della vendibilità. Bisogna inserire autenticità, scavo di sé e ricerca nei saperi…”
Ho letto Medium. Dice la quarta di copertina: è un libro che viene proposto senza mediazione tra lo scrittore e il lettore. E’ vero, non solo dal punto di vista commerciale. Nel testo, può darsi che mi sbagli, ma appaiono secondarie, rispetto al copioso flusso intimo, “allo scavo di sé, alla ricerca dei saperi”, i due più potenti strumenti di mediazione tra lo scrittore e e il lettore: la formattazione e lo stile, come forme espressive. La priorità per Genna in Medium, coerentemente con quanto da lui affermato, è consegnare – offrire genuinamente e generosamente – la verità interiore direttamente al lettore.
Penso peraltro sia possibile accedere alla verità dell’autore ed “alla lettura che si trasforma in incanto” anche scorrendo pagine scritte con con mezzi stilistici semplici, tramite una prosa priva di insistite iterazioni o di eccessi d’enfasi (Binaghi più sopra). Senza che rischi di configurare un monstrum paratattico (Cordelli sul Corriere della sera) e, in finale, di trasformarsi nel classico armadio a tre ante: importante, “esorbitante” e pesante.
La doppia morte di Quincas l’aquaiolo di Amado non c’entra nulla con Hitler, ma con la lettura che si trasforma in incanto tramite mezzi stilistici semplici, sì.
Perlomeno nei romanzi: leggibilità, grazie.
A me il libro di Genna non ha fatto impazzire, ma la recensione di Cortellessa mi ha fatto sobbalzare! Un attacco personale in pieno (“la limitatezza delle sue risorse stilistiche”, “scrittore improbabile”, “mezzi Miserabili”) condito da un’affermazione falsa già nella terza riga che fa sorgere qualche dubbio sulla buona fede di Cortellessa. Affermare che il libro è stato fatto uscire proprio il 27 gennaio, giorno della memoria, fa aumentare il sospetto di un’operazione commerciale in piena regola. Io ho comprato il libro il 14 gennaio, in una libreria qualunque. Forse è solo un particolare, però…