Discoterra/Musico/Bombarderia 2# e fine
di Silvia Salvagnini
ci sono baci che non si conoscono
che non si affondano che navigano
volano tuonano baci che non si sanno
che hanno ridanno in questo
scambievole scarico di scivoli:
altalene scivoli altalene.
e quando non mi conosci
che mi perfori divori fori.
*
revolutionary kind
voglio volerci bene.
*
ecco così disilluso il corpo
amato ammaestrato a strati dato
amici condiviso smerciato
dopo averlo messo dimesso:
lo metto in lavastoviglie
da ora adesso con te
da ora per ora sempre te
tutela te me baci lingue tutte/ a te.
*
e pure di questa vita che sta in piedi da sola
lo lascio andare un pomeriggio di silenzio
di tira ancora poco vento la vita come l’astuccio
le tue ascelle le mutande le forchette le usate.
svengo amore mio/ le more
non serve tutto questo inquinato
linguaggio separazione separato
svengo amore mio/ le more
*
in questo satellitesatellitare/pianeta.
rimane l’amore planetariamentepulito
nessuna paura anche se te ne vai.
evaporoscivolare.
il tuo al mio cuoreuguale
le paure sottintese
niente poi di particolare.
*
taglio con le forbici.
via
mezzanotte.
la fine del libro.
*
mangio amore amo quello che mangio
amore amo le more amo il maiale
amo nellospaziotemporale.
non i rumori attorno. tu da te
nell’amore arriva di stare a volare
nell’universo corpo occhio senso
arriva che ci si sta ad illuminare
alzare crescere di statura salire
di pianovitale.
e nessuna pretesa.
la luce ti esce dalle pupille
la luce mi esce dalle pupille
solo stare nell’universo
animarespirarci ultramondo
io te il sole gli altri animali
tutto l’universo sostanziale.
(i piedi che spingono verso giù
le ali verso su gli occhi
e si sta nella terrapianetaspaziale.
e si sta/ in mezzo al tutto.)
*
nell’universo partiamo dal corpo
verso tutto il resto.
il nero l’arancione
il verde il blu il rosa
l’occhio le ali la posizione
prima l’animale poi il pensiero.
l’elefante volante.
[disegno dell’autrice]
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Banale, molto banale.
iannozzi. o la banalità del pene.
saluti,
rs
C’è un che di tenero in questa silloge…
la banalità è per chi non ha occhi.
:-)
La poesia non è banale. O meglio: non saprei come definirla banale; non capisco bene il giudizio, che è assoluto e non articolato.
Ripropongo, però, il dubbio che ho già espresso nella prima parte: la lettura risulta appesantita dall’oblio di punteggiatura, dall’espulsione delle maiuscole. Le immagine che cerchi di creare con l’accostamento di queste parole rischiano di affogare.
Quanti ano —> nimi. :-D
Secondo il Demauro – oramai citato tanto da Eco quanto da Mozzi, mentre io ho una diabolica nostalgia per il mio bellissimo Zingarelli, che sarà pur datato (del 1954 l’edizione in mia possesso) ma così ricco d’ogni cosa! – per banale si intende: “privo di originalità, poco interessante”. Ecco: non c’è alcunché d’interessante o stimolante in questo testo, a parte la noia d’andare avanti per amato ammaestrato et altre figure simili.
Però i gusti sono gusti, quindi mi tocca d’arrendermi. ;-) E se a qualcuno piace, perché gli piace, io che ce posso fa’? Niente. Ed è giusto che così sia.
Ciao Cappuccetto Rosso. ^___^ Dici che devo tornare dall’oculista, che le mie lenti hanno una gradazione alcolica troppo bassa o alta, troppo dipendente dai punti di vista? :-D
Oh……sì!;-)
belle. mi piace quando Silvia appiccica una serie di parole e fa una parola più lunga e nuova.
anche disegno mi piace:
soprattutto lo sfondo e il verde ctonio della gonna.
Cappuccetto Rosso, un tempo m’amavi, mi dicevi “che mani grandi, che occhi grandi, che naso grande, che naso grande, che naso grande… che bocca grandeee…”; ed io subito ti rispondevo che il naso non era poi così grande e che la bocca mi serviva così grande per baciarti meglio. Così tu mi strappavi gli occhiali, grandi anch’essi, e li pestavi sotto i tuoi piedini, e lasciavi che ti baciassi: in bocca avevo ogni dì il tuo buon sapore, come di agnellino. In verità era più sapore di capra, ma non badavo allora a certi particolari, anche se dopo un bacio e poi due e tre e quattro… e cento e duecento… e mille… alla fine fui costretto ad ammettere che mi restava sapor di caprone sulle papille gustative. Comunque! Eravamo così innamorati a quei tempi, così tanto che anche se mi ossessionava l’idea d’aver baciato colla lingua in bocca un vecchio caprone d’alta montagna, non ci facevo più caso, non più di tanto, insomma non ci pensavo più non appena tu mi sfioravi con la tua manina piccina piccina la punta del nasone per ridarmi il dono della vista, cioè delle lenti bifocali. Quelli erano tempi, mio Dio, mio Dio che nostalgia! Poi, non ancor contenti dei baci e delle carezze date e sofferte, tu mi sparavi in petto con un fucile. E mentr’io agonizzavo sul letto, colla cuffia della nonna ancora sul capo a coprirmi la calvizie devastante, tu cantavi con la voce di Lucio Battisti:
Davanti a me c’è un’altra vita
la nostra è già finita
e nuove notti e nuovi giorni
cara vai o torni con me.
Davanti a te ci sono io
(dammi forza mio Dio)
o un altro uomo
(chiedo adesso perdono)
e nuove notti e nuovi giorni
cara non odiarmi se puoi.
Poi le parole si smorzavano piano nelle mie seppur grandi orecchie. Non rimaneva altro che un’eco strana tutta impegnata in “o un altro uomo”. E io morivo così, senza pensare ad altro.
Eravamo così tanto innamorati allora, Cappuccetto Rosso. Così tanto, per Dio!
:-DDD
Adoro Giuseppe cio che tu scrivi, tu lo sai. Ritrovo il sorriso, quando ti leggo.
Ma non condivido per Silvia Salvagnini.
Trovo il disegno magnifico con il volto tornato verso noi, questo volto di bambina che viene chiedere amore, è come una sorella della notte nel colore moreno.Eleganza, dolce tristezza, punto di sensualità con la bocca.
Il testo mi parla molto in un canto di bambina innamorata, amo l’incontro tra parole e ritrovo il mio cuore d’infanzia. Amo anche il corpo ucello della bambina: il volo attraverso il mondo.
Oggi, Giuseppe, sei un birichino bambino! E che è questa parola d’amore a Capucetto rosso? GRRRR!
Ma il mio giudizio, per fortuna nostra, non è imperativo, cara Véronique.
Sul disegno non mi sono espresso. Lo faccio ora, ed è un giudizio positivo: è molto naif, ed è questa la sua forza, l’intrinseca capacità di trasmettere malattia esistenziale, d’una vita che da tempo ha abbandonato i binari dell’età dell’innocenza. La pelle che evade dai contorni, che s’immedesima con l’intorno, gli occhi fissi e appena abbozzati eppur neri; ma è il nero “nessun colore”, e anche i capelli lunghi sono neri, non i vestiti che sono invece di colori accesi, eccetto per la gonna che è miscuglio di verde scuro e tratti neri.
Sì, il disegno mi ha colpito in posito, più della poesia.
————-
Cappuccetto Rosso mi ha sparato in petto. Non hai letto?
Io sono ancora qui lungo disteso. :-D
Beppe
a me mi piace assai.
@iannozzi.
non ti salverà dal nulla l’anonimato di un nome.
Ohhh… Il Grande Nulla dunque esiste. E io che sino ad ora pensavo fosse cosa da niente. :-D
non è affatto naif e nemmeno modì, piuttosto schiele e burda (schiele privo, diciamo)
ormai è chiaro. se qualcuno che si crede un esperto dice che una cosa non è buona, quella cosa è buona.
ero già sicuro che questo post fosse buono prima di leggerlo, grazie a iannozzi.
per scrupolo ho letto il post. ma solo per scrupolo. uno scrupolo inutile.
saluti,
rs
ps.: schiele qui c’entra come il cavolo a merenda. burda, poi…
@veronique
per una donna essere gelosi di iannozzi è come per un uomo essere gelosi di tina pica.
chi è tina pica, veronique?
belfagor col corpo di edith piaf.
saluti,
rs
sono bozzetti, robin, cattivi bozzetti, le icone dico non i versi, anche se “taglio con le forbici” qualcosa a che fare con burda ce l’ha, oder nicht?
robin, oder nicht, bozzetti… ma che diavolo scrivi?
non ce la fai nè a essere intelligente nè divertente. consiglio molta rassegnazione.
e saluti, nonostante
rs
sei il solito squadrista, robin, non hai perso nemmeno il pelo
Io direi, Solmi caro, che sarebbe il caso tu dessi, e così gli altri, un giudizio sulla poesia, invece di perder tempo a spettegolare su di me, anche se capisco che puo’ essere il tuo proprio sport nazionale. Eppure dovresti provare. Ma se non ti riesce, allora continua pure….
Non capisco più niente. Mi sembra che i commenti si allontano della poesia di Silvia. Non immagino Edith Piaf e Belfegor mescolati. Conosco Giuseppe e non assomiglia a Edith Piaf, piuttosto a un carino “orsetto”.
Non capisco gli accenni, scherzo privato?
Non ci far conto, Véronique. E’ che gli interessa più parlare di me – che hai detto bene sono un orso orsetto -, che non della poesia.
Che ci vuoi fare? Evidentemente sono così personaggio che non si possono davvero esimire dal vestire panni di portinaie. :-D
Insomma, è tutto Ok. Solmi avrà come al suo solito fumato troppo, eppur lo sa che alla sua età i neuroni bruciano che è una bellezza. :-D Dovrebbe proprio smettere, ma è ostinato. Tanto ostinato. Un giorno l’ho sorpreso che si fumava l’abbecedario di Pinocchio. Quel povero burattino c’è rimasto secco: mai più avrebbe immaginato il suo caro nonnetto in quello stato sconcio, gli sono praticamente mancate le parole in bocca. Ha cercato indarno di tirare una smorfia sulla faccia di legno, ma niente, nemmeno l’accenno d’un’ombra. Triste quanto puo’ esserlo solo un burattino cui son stati tagliati i fili, s’è accasciato a terra ed è rimasto davanti all’icona del suo creatore impassibile a fumare. Non è servito né il Grillo Parlante né la Fatina a farlo rialzare. Esasperato il Grillo Parlante ha gettato la spugna, ha polemizzato con Geppetto saltandogli sul naso puntandogli subito una zampetta contro perché l’accusa venisse così sottolineata in maniera inappellabile: “Tu, Geppetto, non hai forse visto che hai fatto a questo burattino?” E quello, senza scomporsi ma tirando bene il fumo e sputandolo fuori in una nuvola grigia e grassa, che ha quasi messo al tappeto il Grillo: “Quel pezzo di legno! Meglio sarebbe stato se mai l’avessi pensato. E’ il frutto del Diavolo, d’un momento brutto di sbandamento che anch’io mi son creduto Dio. Ed invece ero sottoil possesso delle infernali forze.”
E il Grillo, rattristato e senza argomenti: “Ma è pur sempre quel figlio che tu hai creato. Che importa allora che sia venuto dal Bene o dal Male? Che importa più, ora che è tuo e ti chiama nonnetto?”
“Importa eccome. Posso forse dire che sia il frutto dei miei lombi? Ho forse giaciuto con una donna, ho forse atteso nove mesi la sua nascita? Ha forse ricevuto la prima poppata dalla madre? No. E’ solo un pezzo di legno e io ho ogni diritto su di lui, anche quello di spinellarmi il suo abbecedario.”
La Fatina ha tentato di guardare negli occhi di Geppetto, ma subito ha dovuto distogliere lo sguardo tanto forte era l’odio covato in quel vecchio volto scavato.
Reggendosi l’un l’altro sono usciti, lasciandosi alle spalle la bottega del falegname con dentro un Pinocchio più morto che vivo e quel povero diavolo di Geppetto.
Fuori trovarono ad aspettarli il Gatto e la Volpe.
Si salutarono con un impercettibile segno del capo e tutti insieme senza fiatare s’avviarono lungo la strada in cerca d’un’altra favola.
:-DDD
iannozzi è uno che riesce a fare di un nonsense un romanzo d’appendice.
Ti sbagli, Solmi caro: un romanzo per una sicura appendicite. :-D
quella la auguro a massey.
saluti,
rs
questa poesia dona voli ad ogni giornata nonostante la pesantezza delle circostanze associate ad essa: techno litania dell’amore, ritmica del liberarsi. Associata a disegno rende colore, tono alle parole..
molto spesso (purtroppo) la concretezza che emana la poesia della quotidianità, della vita, dello scrivere come mangiare, dell’accesso universale può venir confusa dalla critica veterostilnovista con la banalità..ma rimane in mano solo al freno a mano dei tempi: il veterostilnovista.
corri bene silvia.
ciaociao
di silvia, ci sono cose lette e musica qui:
http://www.myspace.com/auteditori
e altri disegni e altre cose.
e sono cose a forma normale di figa di clito
di dito che mostra la luna.
@IannoX: sei ancora lì…?;-)))
:*)
Ciao Cappuccetto Rosso. :-)
Per te sono sempre disponibile. ^___*
Eh no, cappuccetto, va bene tutto, ma iannozzi no…
anche io lo trovo Naif, il disegno.
Complimenti!
G.
Macchecavolo, questo era un post sulla poesia di Silvia. Non è un post per quello stronzo di iannozzi, che però a ben guardare non è poi così cattivo come lo dipingono. ;-)
@ Tica pica: un sentito PRRR… :-)))
Beppe, così addolcito sei proprio carino…
un vero orsetto!
e poi ti piacciono le fiabe, vero?
:-)
il naif ha orrore del vuoto, G. Non c’entra nulla, a meno che non intendiate per naif acerbo
@ Cappuccetto Rosso, come potrei non essere addolcito da un così bel nick? ^___^”’ A me mi piacciono proprio tantissimo le favole: una parte di me è ancora il bambino di c’era una volta. :-)
Sì, però un orsetto grizly. :-D
http://img106.imageshack.us/img106/8312/grizzlywithcubprintc100hl8.jpg
Ovviamente io sono il cucciolo e quella è la mia mamma orsa. ^__^”’
Ma che bello, m’hai chiamato Beppe. ^__^
Non è che per caso hai un vasetto di miele nel tuo piccolo cestino? ^___*
Sì, acerbo, in senso positivo. Un disegno acerbo che è di semplicità, che in essa trova la sua espressione migliore.
Ma Giuseppe, sono la tua mamma orsa. Tu lo sai. Amo coccalare;
Ma non fare troppo l’orsetto galante con cappuccetto rossa!
:-D
Véronique, me lo dai tu allora il miele? ^____^
mi dispiace…ho solo lamponi!;-)
Perché no? Adoro nutrire i piccoli orsi e preparare cibo.
Vedi Cappuccetto rosso ha solo lamponi!
Baci a un cucciolo gentile.
Ma siete veramente dei dementi.
Non ho mai nascondito la mia demenza.
:-))
@ CAPPUCCETTO ROSSO
Io sono un orsetto che mangia anche dei buoni lamponi, se poi sono quelli offerti dalle manine di Cappuccetto Rosso posso solo trovarli più appetitosi. :-)
@ VERONIQUE
Veronique, io vorrei anche del buon lattuccio bianco, di quello buono però. Una bella scodella piena. Ho tanta ma tanta sete e l’acqua di fonte non mi disseta bene come invece chiede l’alma mia. :-)
@ TINA PICA
C’era una volta un villaggio. Ci vivevano perlopiù vecchi, pochissime le donne e ancor meno i giovani. C’era però uno scemo, il classico Scemo del Villaggio: questi si vantava d’aver ai piedi gli Stivali delle Sette Leghe, ma tutti guardandoli capivano che in realtà erano solo degli stivali male in arnese, messi così male ch’era un miracolo che stessero ancora in piedi, cioè ai piedi. In ogni modo, lo Scemo del Villaggio era più che mai persuaso che quegli stivali fossero magici e non c’era giorno che non se ne vantasse, anche se, ad onor del vero, nessuno lo ascoltava più: era una storia così trita e ritrita che anche la pazienza dei più vecchi s’era assopita insieme alla voglia di sfottere quel povero scemo. Lo lasciavano cianciare, persino il Parroco non diceva nulla e si limitava a un accenno di sorriso ma così scipito che pareva gl’avessero appena strappata l’appendice dalla pancia a mani nude.
Lo Scemo del Villaggio era quel che si dice un uomo felice: era il solo che calzava i famosi stivali. Proprio l’unico.
I giorni passavano tutti uguali.
Il Villaggio continuava a sopravvivere, senza che un solo evento di rilievo lo sollevasse almeno un poco dalla sua miseria.
Lo Scemo continuava a vivere felice. E fu felice sul serio per una lunghissima pezza, perlomeno fino a quando si rese conto che nessuno prestava attenzione a quegli stivali cui lui tanto teneva, più della sua stessa anima. Così, un giorno, che non era né di sole né di nuvole, incontrando il Parroco sulla sua strada al suo saluto lui ch’era scemo gli rispose in malo modo. Bestemmiò insomma. Ma il Parroco non batté ciglio e col breviario in mano fece per portarsi avanti col passo.
Deluso lo Scemo lo rincorse e gli chiese spiegazione: “Ma nemmeno un’avemaria!”
“Figliolo, sei scemo. La Madonna non sa che farsene delle tue preghiere”.
“Ma io ho bestemmiato!”, ribatté lo Scemo più che mai confuso.
“Figliolo, la Madonna non sa che farsene delle tue bestemmie: da un orecchio entrano e dall’altro escono”.
Cocciuto più d’un mulo, lo Scemo insistette che meritava d’esser punito, ma non ci fu verso: per il Parroco era solo scemo, punto e basta.
Ben presto lo Scemo del Villaggio si rese conto che qualunque cosa egli facesse, fosse contraria anche alla Legge, nessuno gli badava. Avrebbe potuto uccidere a mani nude il Sindaco che tanto nessuno avrebbe mosso un solo dito per condannarlo. Quella dello Scemo era davvero una condizione miserrima: non c’era in tutto il Villaggio uno che lo considerasse qualcosa più d’uno scemo come tanti. Gli veniva da piangere, perché non c’era davvero altro che potesse fare. E quando un bel giorno, sotto il sole di mezzogiorno, aprì le cateratte in piazza, finalmente una vecchina gli si fece dappresso e gl’offrì un fazzoletto affinché si asciugasse le copiose lacrime. Lo Scemo raccolse il fazzoletto e ci si soffiò il nasone, dopodiché lo restituì alla vecchia che senza scomporsi lo agguantò felice d’aver indietro il suo. Fu in quel momento che lo Scemo comprese che più di così davvero non poteva ottenere da quel Villaggio di vecchi che tutto avevano visto, insensibili oramai a ogni cosa.
Prima che fosse l’alba, quando il buio era ancora fitto, lo Scemo del Villaggio si alzò dal suo grosso grosso letto, s’infilò gli Stivali delle Sette Leghe e sacco in spalla, senza salutare nessuno, si lasciò tutto dietro.
Solo quando fu Mezzogiorno qualcuno cominciò a biasciare piano.
Verso le Tredici finalmente un vecchio lo disse chiaro e tondo: “Lo Scemo ha portato via le chiappe dal Villaggio!”
Tutti i vecchi in piazza presero a ridere spalancando le bocche vuote di denti.
“Ma dove sarà andato?”, si domandò qualcuno.
“E chi può saperlo! Quello aveva gli Stivali delle Sette Leghe. A quest’ora chissà quanto s’è portato lontano”.
E tutti giù a ridere di gusto.
I giorni passarono e il Villaggio rimase seppellito nella sua apatia.
Un giorno un vecchio tirò le cuoia. Lo seppellirono senza proferir parola.
E poi un altro e un altro e un altro ancora… Non passava giorno che un vecchio non ci lasciasse le penne. Il Villaggio stava perdendo tutti i suoi cittadini.
La moria non s’arrestò.
Rimasero sol più il Sindaco e il Parroco ancora in piedi.
“Ma perché sono tutti morti?”
“Le vie del Signore sono infinite.”
“Sì, d’accordo. Ma perché?”
Il Parroco rimase in silenzio per un bel pezzo. Alla fine scosse il capo sconsolato: “Non lo so. Però domani toccherà a uno di noi, e caro buon vecchio Sindaco, con tutto il rispetto che Le porto, in questo momento nemmeno Lei può immaginare quanto vorrei avere gli Stivali delle Sette Leghe…”
Il Sindaco tirò fuori di bocca un lungo “oh!”.
Rimasero insieme, l’uno accanto all’altro, in attesa e guardinghi, entrambi pregando di poter essere l’ultimo ad abbandonare quel piccolo fazzoletto di lacrime.
:-DDD
Perché no, Giuseppe? Il latte è la felicità del bebè.
Dunque una bella scodella piena per dare piacere e dare coraggio!
Baci
e tanti tanti lamponi da fare una buonissima marmellata da spalmare…
il succo di lampone poi, fa bene alla vista!;-))
ciao Beppe!
@ VERONIQUE
@ CAPPUCCETTO ROSSO
Che bello!
Avrò lattuccio bello buono bianco e fresco e della buonissima marmellata di lamponi e del succo anche. ^__^ Come sono felice, così la mia vista ne potrà sol trarre beneficio. ^__*
Buona festa, ragazze, Véronique e Cappuccetto Rosso.
Vi lascio un fiore, quello che voi preferite. E se il fiore che mi chiederete non esiste lo inventerò per la santità dei vostri occhi aperti sull’Infinito.
Beppe
Grazie Giuseppe,
il fiore rimane nel mio cuore;
Buona festa a tutte le donne e a tutti gli uomini che danno amore,amicizia, tenerezza, rispetto.
:-)
:****)
Mah, ci riprovo con pervicacia.
Iannozzi lamentava un’assenza di giudizio sulla poesia.
Avevo provato a fornirne uno, abbastanza circostanziato, ma forse qui si preferisce la polemica alla critica.
La lettura risulta fastidiosamente appesantita dall’oblio di punteggiatura, dall’espulsione delle maiuscole, da una grammatica troppo sperimentale. Le immagine che vengono create con i curiosi accostamenti di parole affogano in un mare magnum di confusione verbale. Ovvio, a mio avviso.
(non sono un anonimo, mi chiamo Giulio ma g è più rapido, ed il nome non penso conti qualcosa)
@ GIULIO
Giacché nessuno guardava più alla poesia con spirito critico, tanto valeva utilizzare questo spazio. :-)
Comunque, mi trovi d’accordo, ma non per l’assenza di punteggiatura. C’è confusione verbale, troppe immagini, che annegano, che affogano in sé stesse. Anche a volerla considerare come esperimento poetico avantpop, sul serio non si capisce che cosa voglia trasmettere l’autrice con questo scritto. Si ha netta l’impressione che l’autrice abbia giocato spendendosi in giochetti verbali e ridondanti figure retoriche: un caos, molto disordinato, come quello di un bambino che ancora non sa il significato e il peso delle parole eppur le usa secondo una sua logica incomprensibile.
Non sono d’accordo!
Silvia Salvagnini è una poetessa giovane. Penso che la sua scrittura est inventiva e moderna. Confusione verbale? Non considero la lingua poetica come un lingaggio ben ordinato, un giardino alla francese (senza fare gioco di parole). Silvia crea un giardino poetico selvatico e luminoso. C’è una dimenzione sognata.
Grammatica sentimentale? La sensibilità colora il mondo.
Giuseppe e G, siete troppo severi.
Giuseppe, te lo meriti la scodella di latte? Hum…. Non so
Baci a mio orsetto testardo.