Fun home
Alison Bechdel, Fun home. Una tragicommedia familiare, Rizzoli, 236 pag, 2007, € 18,00
Romanzo biografico, storie minimali, ricordi del passato. Quale che sia la forma scelta, il racconto di vita sembra essere diventata ossessione per il fumetto d’autore. Quanti autori e quante opere con queste caratteristiche, negli ultimi anni? Linda Barry, Harvey Pekar, Craig Thompson, Adrian Tomine, Gipi… l’elenco potrebbe continuare per chilometri. Proprio quando pensavamo di essere sazi – già si rimpiangeva il buon vecchio fumetto di genere, avventuroso, fantascientifico, horror – ecco apparire un nuovo graphic novel autobiografico, subito incensato dalla critica letteraria americana.
Nonostante Fun Home di Alison Bechdel fosse stato premiato come miglior libro dell’anno da Time – dopo aver sbaragliato la concorrenza di scrittori non certo di secondo piano come Dave Eggers e Cormack McCarthy – eravamo un po’ prevenuti: un’altra autrice che racconta la sua adolescenza, che noia! Sarà la solita storia, qualche tragedia familiare condita con la scoperta del sesso…
In effetti, la storia è questa: il padre di Alison muore, proprio mentre lei sta prendendo coscienza della sua identità sessuale di lesbica; ma la noia, quella non ci ha toccato nemmeno per un secondo. Perché questa autrice quarantenne originaria della Pennsylvania ha costruito un’opera sorprendentemente coinvolgente: mettendo in gioco tutta se stessa, spogliandosi di ogni pudore e intessendo il suo racconto di riferimenti letterari, l’autrice riesce a colpire allo stesso tempo cuore e cervello.
Il sottotitolo recita: “una tragicommedia familiare”. Iniziamo dal secondo elemento: più che di famiglia, si tratta di un padre e una figlia, del loro rapporto. O meglio, non-rapporto; infatti il padre di Alison, Bruce, insegnante di lettere, è uomo bipolare, introverso, incapace di comunicare fisicamente le sue emozioni. Più che per la sua famiglia, vive per le sue ossessioni: i vestiti, la letteratura, soprattutto l’arredamento; tratta “i mobili come figli, e i figli come mobili”, nelle parole dell’autrice. Così come è rappresentato sulla pagina, il suo volto appare sempre straordinariamente calmo, nonostante alcuni improvvisi scoppi di ira. La tranquillità di facciata nasconde però un tormento interiore: l’uomo è segretamente gay, ma la piccola città della provincia americana in cui si trova a vivere non gli permette di ammetterlo; dunque, continua a vivere nella menzogna e nella paura, incatenato mani e piedi alla sua vita bugiarda e alla sua micro-comunità omofobica.
La situazione inevitabilmente si riflette sulla piccola Alison: cresciuta in preda a ansie e frustrazioni, finisce per collezionare un campionario completo di psicosi, poi superate nel corso dell’adolescenza. Lo stesso, cruciale periodo della vita in cui la protagonista, finalmente lontana dalla casa paterna, giunge alla piena consapevolezza, come donna e lesbica. La scoperta della sua omosessualità potrebbe essere il punto di contatto capace di annullare la distanza con il padre, ma proprio poco dopo le prime, reticenti confessioni reciproche, lui muore, forse suicida. Dunque il nodo finisce per non essere mai sciolto del tutto: fioriscono, inevitabili, ricordi e rimpianti.
I toni tragici non prendono però mai il sopravvento, perché di tragicommedia si tratta, come ricorda il sottotitolo sopra citato; nella vita le cose non sono mai bianche o nere, gli opposti sfumano e si fondono fra loro, e le apparenze ingannano. Il tema della contraddizione è sempre costantemente presente nel romanzo della Bechdel, a partire dal titolo: Fun Home è in realtà l’abbreviazione di Funeral Home. Già, perché il secondo mestiere del signor Bruce Bechdel era quello di becchino, e i suoi figli sono cresciuti fra bare e cadaveri. Fun, divertimento; funeral, funerale. Si possono immaginare due parole più distanti? Contraddittoria è anche la figura di Bruce, sempre sospesa tra assenza e presenza: un padre sempre lontano, inderogabilmente in altre faccende affaccendato; ora, da morto, è invece straordinariamente presente nel ricordo.
La forma scelta dall’autrice è molto adatta a un percorso tortuoso attraverso la memoria: ogni vignetta – già di per sé estremamente curata, ricca di particolari grafici – è spiegata nei minimi dettagli da onnipresenti didascalie, ogni fatto commentato da lunghe chiose, forse frutto dell’ansia che il lettore possa perdersi qualcosa, che i passaggi non siano sufficientemente chiari. In questo modo, il testo finisce per pesare inevitabilmente più dei disegni, a volte perfino troppo: più che a un fumetto, alcune tavole sembrano appartenere a un racconto illustrato; ma nonostante la tendenza allo spiegone, la lettura rimane sempre piacevole, mai faticosa.
Fun Home spinge, inevitabilmente, a riflettere sull’idea di normalità: già dalle prime pagine l’autrice dichiara quanto la irritasse, da bambina, l’idea che la sua famiglia fosse “strana”, pur ammettendo che indubitabilmente lo era. La domanda sorge dunque spontanea: come possono essere “anormali” dei personaggi tanto realistici, vivi, incorreggibilmente umani?
[pubblicato su Linus, luglio 2007]
Mi da la voglia di scoprire. L’argomento mi interessa. Ho letto fumetti magnifici che presentano adolescenti gay, sono fumetti giaponesi: non mi ricordo il nome dell’autrice. La storia è delicata, i designi presentano figure fragili, affinate: si situa tra il manga e il romanzo, i colori sono nero e bianco. Il dialogo affronta il problema dell’omosessualità nella famiglia e la società con giustezza e dolcezza.
Cerchero nella mia biblioteca per dare il nome, ma non so se è tradotta in italiano.