Segni sul muro
di Renata Morresi
frammenti dalla prigionia di a.m., 1978-2008
La memoria è del passato –
questo è il primo muro
prima del muro finto
prima del buco
dietro l’armadio,
tra il cuore e l’armadio
la memoria ha scavato
una traccia nuova,
un manifesto volere
la non-politica, il non-potere
il disumano, il mestiere
della parola che si mangia,
che uccide le lucciole,
placenta di vergogna.
In primo luogo la memoria
è il buco del luogo
da cui entra il passato
in forma di spettro
o embrione, errore
di atti o di visione.
Il secondo muro è il libro,
metà ottocento mal tradotto,
un urlo fitto figlio
di cogito e ragione
di stomaco, una mano
potente che invita
l’immaginazione come
un cieco che pretende
l’aurora euforico e poetico
per mancanza di colore.
La foto è l’ultimo muro,
come la copertina di foglie
d’erba su cui s’esalta
l’America, maschera di futuro,
ingenua di guerra civile,
è lo stato d’evoluzione
apparente verso occidente
che solo volge a sé,
è apparizione di stato
da smentire, incorrispondenza
di nome e presenza.
L’uomo chiuso nel buco
che è chiuso nell’uomo
è una meccanica da vecchio
impero, Guantanamo, marito
stupratore, vecchie storie
d’aborto col ferro da maglia,
per un vecchio signore
di governo è solo una foto
nel portabagagli, all’interno
un cagnoletto investito,
un sacchettello svuotato
di non-memorie.
Molto bella, c’è tanta profondità e i richiami a Pasolini a quel libro di “metà 800” e giù fino all’attualità (vecchia e sempre nuova purtroppo): il vecchio impero, Guantanamo, la violenza sulle donne, un cagnolino che muore. Brava come sempre
Un gran testo.
Un testo che mi spiazza piacevolmente. Un ri-esordio originale con tante possibili strade da ri-prendere. Davvero complimenti.
bello anche questo testo, di giorgio gaber
Io se fossi Dio,
quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio,
c’avrei ancora il coraggio di continuare a dire
che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia Cristiana
è il responsabile maggiore di vent’anni di cancrena italiana.
Io se fossi Dio,
un Dio incosciente enormemente saggio,
avrei anche il coraggio di andare dritto in galera,
ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora
quella faccia che era! »
una poesia percorsa ad ogni verso da una tensione etica che non diventa mai retorica, un puzzle storico, che “per un vecchio signore
di governo è solo una foto”, finale dove esplode una commozione sussurrata e quindi ancora più intensa. La trovo riuscita, e di una coerenza saldamente visibile, un caro saluto Renata, Viola
@catalin: già. A scanso di equivoci: questo testo non ha alcun intento celebrativo, né, men che meno, riabilitativo della Democrazia Cristiana.
Interrogo “solo” la responsabilità (appunto) che si ha nel creare prigioni, fare prigionieri. E che nella storia italiana recente, mi pare, è sempre di-scaricata altrove. Moro qui è “solo” figurazione per esplorare quel meccanismo.
(Io, comunque, non sono neanche Dio.)
Grazie tutti,
R
L’incorrispondenza di nome e presenza
E quando vaghe di lusinghe innanzi
A me non danzeran l’ore future,
Giansiro Ferrata commentando una sua scelta da Vincenzo Cardarelli scrisse una cosa difficile da scordare. Erano gli anni sessanta. La cosa è questa: “ quel respiro, quell’onda splendidamente trattenuti all’orlo di un discorso appassionato e scabro, è ormai la condizione stilistica naturale ai lettori della poesia moderna”. Ci ho ripensato perché è come se quell’orlo lì di un discorso “appassionato e scabro” – una sua variazione naturalmente – controllasse per intero questo componimento, il quale proba a dire di qualcosa di enormemente complesso: che accadde nella testa di Aldo Moro nei giorni della sua prigionia?
Furono anni terribili, un orrore ad libitum. E in questo componimento è come balenassero alcune illuminazioni. Una di esse è l’argomento – sempiterno – che nella mente di Moro ci fu come il costituirsi di una figura di “cieco che pretende / l’aurora euforico e poetico”; un’altra è che una “traccia nuova” era in quel suo “manifesto volere / la non-politica, il non-potere”; un’altra, che appare in una qualche maniera decisiva, è l’ “incorrispondenza / di nome e presenza”.
E questa “incorrispondenza” chiama a sé non poche questioni che riguardano questo nostro tempo, e altre più antiche.
Un saluto
Adelelmo Ruggieri
Renata,
questo bellissimo testo mi conferma che la tua voce – in completa metamorfosi – e’ una delle piu’ interessanti nel nostro paesaggio di rovine: da questa lontana “maschera di futuro” che mi ospita, ti vedo benjamininamente eretta, con la spada (di plastica) in fiamme.
I miss you,
gm
care A (ma quante!), cari altri, la lotta è impervia: come si costruisce un discorso poetico che (ri)guarda la storia (pubblicoprivata) senza diventare autocompiacente, retorico, puramente soggettivistico o ideologico? come si mantiene il decisivo “orlo” senza voler tornare nel lirismo puro, nell’autoreferenzialità sperimentale, nella “fetish poetry”?
non lo so! ma forse val la pena ragionarci (dico forse).
nadia, viola, adelelmo, grazie delle lettura attentissime.
gian maria, adorato! la borghesa che son io tralappia ancor d’insu la vetta de sto colle ossuto ma rifiuta di seccarsi al sole e allora ggiuro: ci rivedremo – magari su una panchina di là, col nostro bicchieron greco-romano di venti latte hot.
R
Non importa costruire, forse, un discorso poetico. l’importante è osservare, annotare senza la retorica della demagogia o la demagogia della retorica. Quello che scrivi rende la “sostanza”,al fine il presente non ci ha cambiato, siamo quei “cannibali” che siamo sempre stati deboli dei nostri castelli di carta. Questa è la nostra storia, misera, squallida e non sarà certo un cellulare o un navigatore a modificare l’essenza di un profumo da quattro soldi.
Marco
Il “discorso poetico”, per come la vedo io almeno, è anche un modo di stare al mondo, un modo di pensarlo, che non è certo quello dell’attivismo, del movimentismo, della politica (che “cambia le cose” insomma), ma sta lì nei pressi e a volte lo alimenta (idealismo umanistico? forse, diciamo meglio “umanitario”: di soccorso)
Io la “sostanza” non la so, ce ne sono forse diverse, so le mie preoccupazioni: che si vive compromessi, che si vive nell’impotenza, che si sta così fermi da quasi annichilire (“si vive” chi? io? “noi”? qualcuno?), che non ho nessuna chiave risolutiva e che, infine, questa consapevolezza è a volte rischiosamente compiaciuta, maledettamente retorica. E qualsiasi filosofia moderna e postmoderna oggi, qui e ora in itali’, alla fine si ferma sempre davanti “al morto” (non davanti “alla morte”, il che sarebbe anche giusto) – figuriamoci quanto tengono queste cazzate del cellulare, del navigatore o persino di internet, con la loro illusione di mantenerci in un eterno presente.
“La memoria è del passato” viene da questa esigenza di dare profondità storica (durata?) al proprio senso di responsabilità e pietà (più esplicitamente viene da Ricoeur).
Grazie a tutti per la lettura,
R