Mario Rigoni Stern [1 novembre 1921 -16 giugno 2008]

da Il sergente nella neve

 

 

L’isba dove mi accettarono era spaziosa e pulita, e abitata da una famiglia di gente giovane e semplice. Mi preparai in un angolo sotto la finestra la cuccia per dormire. Passai sdraiato su un po’ di paglia tutto il tempo che rimasi in quella capanna; sempre lì sdraiato per ore e ore a guardare il soffitto. Nel pomeriggio c’erano nell’isba solo una ragazza e un neonato. La ragazza si sedeva vicino alla culla. La culla era appesa al soffitto con delle funi e dondolava come una barca ogni volta che il bambino si muoveva. La ragazza sedeva lì vicino, e per tutto il pomeriggio filava la canapa con il mulinello a pedale. Io guardavo il soffitto e il rumore del mulinello riempiva il mio essere come il rumore di una cascata gigantesca. Qualche volta la osservavo e il sole di marzo, che entrava tra le tendine, faceva sembrare oro la canapa e la ruota mandava mille bagliori. Ogni tanto il bambino piangeva e allora la ragazza spingeva dolcemente la culla e cantava. Io ascoltavo e non dicevo mai una parola. Qualche pomeriggio venivano le sue amiche delle case vicine. Portavano il loro mulinello e filavano con lei. Parlavano tra loro dolcemente e sottovoce, come se avessero timore di disturbarmi. Parlavano armoniosamente tra loro e le ruote dei mulinelli rendevano più dolci le voci. Questa è stata la medicina. Cantavano anche. Erano le vecchie canzoni di sempre: Stienka Rasin, Natalka Poltavka e i loro antichi motivi di balli. Guardavo per ore e ore il soffitto e ascoltavo. Alla sera mi chiamavano per mangiare con loro. Mangiavamo tutti nel medesimo recipiente con religiosità e raccoglimento. Ritornava la madre; ritornava il padre; ritornava il ragazzo. Solo alla sera ritornavano il padre e il ragazzo; si fermavano poco, ogni tanto guardavano dalla finestra e poi uscivano insieme sino alla sera dopo. Una sera che non vennero la ragazza pianse. Vennero al mattino. Il bambino dormiva nella culla di legno, che dondolava leggermente sospesa al soffitto; il sole entrava dalla finestra e rendeva la canapa come oro; la ruota del mulinello mandava mille bagliori; il suo rumore sembrava quello di una cascata; e la voce della ragazza era piana e dolce in mezzo a quel rumore.

[Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, Einaudi, 1965]

 

[ Lo si leggeva a scuola, alle Medie, l’anno dopo il Diario di Anna Frank, l’anno prima Il barone rampante. Le copertine di Einaudi per ragazzi con le tre righine rosse. Ora si vendono su Ebay come modernariato. Io per mano a mio padre alla libreria di Al, Aldovrandi, in via Manzoni, amico e libraio con il senso di essere libraio. Di fare della libreria un centro di cultura e di parola. Quella Milano non c’è più. Con tutti quelli che non ci sono più ma di cui è dolce il ricordo. Sono libri con cui si viene su dritti, occhi aperti e cuore per le cose. Forza e tenerezza. Occhio rovesciato sul mondo. Con cui ancora oggi si impara a scrivere e a cosa serve scrivere e perchè scrivere. Volendo. ]

 

Ad memoriam:
L’incontro
di Paolo Rumiz
La Repubblica
24 settembre 2006

 

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12 COMMENTS

  1. Non sapevo niente della montagna, quando mi fecero leggere Rigoni Stern per la prima volta. E continuo a non sapere niente, oltre quello che ho letto in Rigoni Stern: ci sono stato un sola volta, in montagna, ma non era montagna, era la Grigna, come dire la Galleria a Milano.
    Dei libri Einaudi per ragazzi con le righine rosse conservo, più vicino a me: Emilio Lussu, Il cinghiale del diavolo, un libro, la cui prima parte, di “caccia e magia” mi fa pensare alle profonde affinità tra questi due grandi uomini, anche se lontani tra loro come due guerre mondiali.
    Non so se mai Rigoni Stern abbia conosciuto la terra di Lussu, e la mia, ma è certo che Lussu, nella terra di Rigoni Stern portò, per un certo periodo, come molti altri, quell’anima primitiva e misteriosa nutrita delle intensità di cui Rigoni Stern ha continuato a parlarci quando Lussu non
    c’era più.
    E di cui noi siamo appena, appena capaci di conservarne l’eco:

    Per la Grande Guerra

    MORE ( SARDI ) SUL CARSO

    Ho visto Angeli
    ( già vestiti di velluto )
    volare e impigliarsi
    come more insanguinate
    sui cespugli di filo spinato
    : preparavano una passerella di morte
    ai compagni di battaglia.

    Quelle spine di ferro
    infilzate nelle carni
    sembravano steli di asfodeli
    spezzati sotto il corpo
    della loro donna
    abbattuta con violenza.

    Nella loro terra
    spogliata del Tutto

    G.C.

  2. Caro Mario,
    nel 1962 lessi il tuo “sergente nella neve”, che divenne fondamentale per la mia educazione e che in seguito, diventato insegnante, presentai a intere generazioni di giovani, molti dei quali ti hanno amato come io ti avevo amato.

    Mi consola, in questo periodo di egoismi e di razzismo, il pensare che esistono comunque persone che si sono formate alle tue parole di grande, sentita umanità.

    Quando toccherà a me “tornare a baita” spero di capitare nella tua, di baita, carissimo sergente.

    A presto

    Vanni

  3. Ne hanno parlato i TG dopo alcune notizie più importanti (il matrimonio di Briatore, le veline, l’italia del “pallone”…): si è spento nell’altopiano di Asiago Mario Rigoni Stern, il mitico autore del “sergente nella neve”. Ho sentito la notizia questa mattina nella “radio-sveglia” (si accende alle 6,30 proprio sul notiziario). Un triste risveglio: ci sono rimasto male. Ho tutte le sue opere, o quasi tutte, che ho letto almeno due volte. Scriveva delle montagne, dei boschi, degli animali selvatici, dei luoghi che tanto amo dove sovente porto zaino e scarponi…scriveva in modo straordinariamente semplice (ed è difficilissimo), e con uno stile piacevole a mio parere inimitabile. Per me resta uno dei più grandi scrittori in assoluto, oltre ad essere un esempio di umanità e di “persona per bene” (roba assai rara di questi tempi).
    Un italiano di cui andare orgogliosi, sentimento che possiamo avvertire ormai raramente.

    Addio magnifico “sergentmagiù”! Sei “arivà a baita”.

    Fabio

  4. Mario Rigoni Stern ha voluto che la notizia della sua morte fosse divulgata dopo qualche giorno, praticamente a funerale avvenuto. Questo é lo stile che ci piace, lontano dalle grancasse, misurato, tutto sostanza. Come la sua scrittura.

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Non ci potrei giurare, ma l'ho capito quel giorno, direi, di essere davvero tornata a casa. Che poi sarebbe il giorno di due soste a modo loro memorabili, in due località che per l'occasione ho diligentemente annotato, intanto perchè non capita sempre – di tornare a casa, intendo; e poi perchè a nessuno, scommetto, verrebbe in mente altro che scordarle al più presto.
orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce. [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] [ puecher@nazioneindiana.com ]