Prati
Prato n° 111 (Pellicola cinematografica, giornali, ciuffo d’erba)
Tutto deve scomparire. e Sono morti mentre stavano pregando. La stagione non presenta colpi di scena. Rami si muovono adagio, le sedie oscillano. Una telecamera per chilometro quadrato, ma anche meno. Nonostante la generale agitazione, Pauline era calma. Le rimanevano molte occasioni di morte accidentale e violenta da vivere. Le mancavano quaranta o cinquant’anni prima di risolversi ad una morte naturale. Nonostante le apparenze, Pauline desiderava guadagnare grosse somme di denaro, e non ci teneva ad avere i bambini vicino. Insopportabile Paul Newman, appare tutto il tempo con lo stesso completo grigio e Cade dal balcone con la bibbia in mano.
Il marito di Pauline continuava a raccontarle di operazioni commerciali scomode, di licenziamenti da tenere segreti. I due uomini dalla testa di pesce che si presentarono alla porta, non erano catalogati come entità biologiche modificate. Nonostante le apparenze, Pauline non preferiva i quadrupedi ai volatili, e desiderava fare l’amore con persone di età diversa. (I suoi capezzoli tremano appena azionano il martello pneumatico.) Ancora piccole meduse nella vasca e Perde la testa durante la processione. Gli sconosciuti rovesciarono pollo in gelatina per la casa. Nonostante il continuo inseguimento, Pauline teneva a mente la lista della spesa. Il marito di Pauline cadde in una trappola destinata ad un meticoloso terrorista sessuale. Gli sconosciuti presero in ostaggio le cassiere del supermercato. (Le si crea un vuoto allo stomaco, quando interrompono i canti al piano di sopra.) Pauline si vide costretta a rinnegare il giorno in cui perse la verginità. Nonostante le apparenze, gli uomini dalle teste di pesce nuotavano goffamente. Alpigiano parla con accento preistorico e Annega per recuperare la catenina col crocefisso. Il marito di Pauline fu defenestrato per un’incomprensione tra i due agenti di sicurezza. Pauline si lasciò sfiorare con la lingua, ma comprò ugualmente zucchero e sale. Gli sconosciuti cominciarono a perdere aria dalle branchie. (Sente un prurito sotto le ascelle, quando la sala da pranzo prende fuoco.) Nonostante le apparenze, gli uomini dalle teste di pesce sapevano sparare a casaccio sulla folla. Pauline chiuse con gran delicatezza quel periodo ambiguo della sua vita. Andò a vomitare sul prato. (Le lacrime le scorrono sulle guance, quando l’erba rimane immobile, non agitata dal vento né da minuscoli animali.)
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Prato n° 96 (Polistirene, specchio e plexiglas)
Lui cercava di stabilire, eventualmente, una posizione di forza all’interno della famiglia. Sbarazzarsi del padre, rintracciare la madre, costringere i fratelli ad allontanarsi, ambire ad arredamenti più rischiosi o alla vendita di lampadari d’epoca (sottratti ai legittimi eredi). Perdere più ricordi, o sottilmente deviarli, combinando diversamente i ruoli di chi cadeva, o di chi saltava, modificando i tempi del pianto e del riso, i risultati delle rincorse, delle finte uccisioni e dei seppellimenti nella sabbia. Tutto lo splendore famigliare passava attraverso questa lotta, tra mille difficoltà, per capirsi il meno possibile, e strappare al consanguineo uno specifico privilegio: il fine settimana nella casa al mare, per esempio, fumando in cucina e lasciando tutta la notte le bottiglie vuote sul tavolo. Ma soprattutto il grande trionfo lavorativo. Questo era un impegno di primaria importanza. Lo affrontava in uno stile cartesiano, dando un 50% d’energie alla fiducia di sé, da rinforzarsi in un crescendo di domestiche esperienze autoipnotiche, e un altro 50% all’influsso diretto sui suoi superiori, alternando buone prove di sopportazione, di gestione imprevisti, di ripartizione dei compiti, con apologhi, sorrisi, delazioni, (e chitarrate), nelle pause caffè. In questa lotta per affascinare le persone, l’intero contesto lavorativo – l’opera o il prodotto o il servizio reso – era costantemente indebolito e sacrificato, fino al totale annichilimento quando si era prossimi alla gratifica, alla promozione. Parallelamente, le altre operazioni non erano mai tralasciate, né veramente subordinate al disegno familiare e lavorativo. Le nuotate giornaliere e la raccolta d’insetti nei boccali, che stimolando una più naturale timidezza, avrebbero anche mantenuto vivace lo spirito in un corpo rassodato, si accompagnavano a quell’indugio estenuante, eppure decisivo per vanificare il consolidarsi dei pregiudizi, che era costituito dallo spiare dentro le bocche femminili, contando i denti, misurando la resistenza della lingua, la profondità del palato, la nerezza della gola. A questo si doveva aggiungere una grande fame d’immagini, meglio se legate tra loro in forma cinematografica, ma anche un’impellente necessità di denaro, per poter divertirsi, o fingere di farlo, e sempre a spese altrui. In una sola giornata , queste e altre esigenze, tutte sollecitandolo ad un diverso trionfo, gli si fecero pressanti, assumendo la richiesta di un completo e tempestivo orientamento spaziale: non avrebbe dovuto esitare salendo le scale, impugnando una maniglia, scendendo da un mezzo pubblico, riconoscendo un targa viaria sotto un panneggio d’edera. Invece si ritrovò nel prato. Ed ebbe la forza di percorrerlo senza un piano preciso, giusto per prestare maggiore attenzione al rumore delle scarpe che sfregavano il manto erboso. E scoprì su questo manto dell’acqua. Una fonte o una pozza recente. E delle carcasse metalliche. Uno scaldabagno riverso sul fianco, giudiziosamente esplorato da una lumaca. Le persone intorno sembravano tutte cadute e incapaci di rialzarsi. Alcune prive di conoscenza, le palpebre chiuse, riuscivano solamente a respirare. Altre dondolavano appena la testa a poca distanza da fogli di carta stampati. Altri muovevano una mano, per scavare nell’erba, e altro non sembravano poter fare. Lui stesso appoggiò il sedere per terra e le gambe si distesero distanti una dall’altra. Le braccia si posarono a lato, lasciando che la schiena pendesse un poco verso il terreno. Gli occhi partirono come malati verso l’azzurro. Ce n’era poco, perché il cielo era coperto. Inoltre, ormeggiavano a mezz’aria ordigni in disuso, sui cui posavano corvi e piccioni. Ma dell’azzurro emergeva a tratti, attraverso le inferriate degli ordigni o da uno strappo nella nuvola. E si mise a spiarlo. Con uno strano, inappropriato, senso di trionfo.
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Prato n° 102 (collage e stucchi)
Praticello con pescheria (e dadi di tonno rosso mattone nella cunetta di ghiaccio, da cui affiora un orlo di prezzemolo), stivali di gomma blu, vasche di polistirolo, e pompa arrotolata (e mercato del pesce di Tokyo, tonni segati in due, sequenza a rallentatore di Bill Viola). Praticello con pulegge, stoviglie lavate, e orme fresche. Praticello tipo Sierra Nevada senza avvoltoi. Praticello in cui il bisogno di un padre buono, onnipotente e amoroso viene soddisfatto da una poltroncina mobile, elegante, e dallo schienale ampiamente flessibile. Praticello con alcune bestie che parlano, non per esigenze spirituali ma a causa di impulsi elettrici (ed altre bestie mute, addestrate ad inviare impulsi, e addestratori umani incapaci di tutto, salvo di addestrare). Praticello con gradevole luce, su forcone appeso al muro, e colata di vernice. Praticello delle sei e mezza di pomeriggio (d’estate, e personaggi vari che a quell’ora provano angoscia immotivata). Praticello da cui uscire solo morti o amputati (infrequentabile). Praticello con uomo dai molteplici delitti, un cuore putrido, poteri paranormali, e una fortuna sfacciata alle corse dei cavalli. Praticello in cui mi ricordo di tutti i seni indovinati dietro una stoffa leggera, e dei piedi nudi femminili, nei periodi di riscaldamento climatico. Praticello in disuso, con grandi ammassi di pneumatici in fiamme, e materassi sventrati o fradici, e gatti finiti nelle tagliole, o in brodo. Praticello di poca luce, con fontana, e fagiani al suolo, immobili, probabilmente impalati o cementati. Praticello borghese, fine novecento, con tubuli, maschere, bombole, quadranti, per respirazioni prudenti, rarefatte, e bistecche al sangue, rognoni, roast beef, per masticazioni frenetiche, perenni. Praticello per allievi impudenti, studentesse feroci, giochi di mortificazione fisica e mentale. Praticello dei cannibali, tutti quanti essendolo diventati, dopo aver ognuno attraversato un certo numero di difficoltà alimentari. Praticello della musica, da fare all’improvviso quando ci si passa. Praticello in cui è impossibile masturbarsi, mancando foto, video, disegni, persino ogni materiale psichico (e sorgono ricordi invece d’equazioni, di sequenze numeriche, di documentari zoologici). Praticello in cui l’alcolismo è un metodo tra i migliori per rispondere all’assenza di un padre buono, onnipotente e amoroso. Praticello con ministro della pace, ufficiale S.S., profeta, e lucido da scarpe (e un solo paio di stivali, un solo slogan per dirigere la gioventù, e meno di quattro capri espiatori disponibili). Praticello come vero, in cui si fa l’amore e si dorme, si beve e ci si carezza (e non mancano i viveri), e ci si muove con cautela, si parla a bassa voce, per non interrompere il sogno o modificarne l’intreccio. Praticello dove chi scrive, conosce bene le arti marziali del pensiero, e anche di tutti i cinque sensi, e delle zone erogene, e di ogni poro (e guarda a lungo la luce dentro un bicchiere d’acqua). Praticello ad alta teconologia, ma pulita e produttiva, dove ogni pensiero del canguro, ed il suo fiato, e la pressione arteriosa, e i tic nervosi, e le unghie, il manto, i denti, sono assolutamente registrati, copiati, riprodotti, trasformati, resi utili, in tempo reale, a tutti i possibili clienti, anche nelle zone remote, dal clima difficile, e dalla politica energetica incerta. Praticello delle droghe belle, con un codazzo di dementi, che non sanno comporre una frase di commiato, e si intrappolano sempre più a vicenda, sempre più ridendo, assieme.
[da Andrea Inglese, Prati / Pelouses (ediz. bilingue), Camera Verde, Roma 2007.]
Foto A Inglese
Da Inglese a Broggi a Zaffarano, etc. sempre più spesso alcuni poeti si cimentano in qualcosa che per certi versi rompe con il verso pur non essendo prosa. Sarebbe necessaria una riflessione credo.
http://felixseries.blogspot.com/2007/11/sabato-10-novembre-felix-di-alessandro.html
Sembrerebbe tutto tratto da un sogno.
Scrittura visionaria quella di Andrea, senza dubbio la sua forza è questa!
inevitabile, leggendo, il restare impigliati in alcuni frammenti…
Mi pare esserci un errore alla terza riga di Prato n° 102 (collage e stucchi).
La pompa non è arrotolata, ma srotolata – per circa 5 metri – e una sua estremità è infilata, al posto della solita manopola di gomma, sulla stanga destra di una carriola da muratore. La pompa, se non mi inganno, è rossa, ma di un rosso strano, tendente al mirtillo. La carriola, invece, non è nuova: porta tracce di calce e, dove non ci sono queste, affiora della ruggine.
Senza questa imprecisione i tre pezzi sarebbero stati perfetti, di una perfezione impressionante, da dio del settimo giorno: tra Barthelme e Rauchenberg. Con tutto l’altro che si affanna a trovare posto tra i Due.
Cossu, non hai tutti i torti: ma tu parli della “pompa” del prato n° 341 (Osso cranico e falce in gommapiuma): è effettivamente srotolata, ecc.
E i due prati, per di più, sono adiacenti. Ma non vanno comunque confusi.
I prati sono splendidi, ancor più belli se ascoltati letti da Andrea Inglese a Ischia di fronte al rucolino e in lotta con la Tv.
Un post interessante Andrea, questi Prati vanno letti con calma, tornandoci sopra.
” Praticello con alcune bestie che parlano, non per esigenze spirituali ma a causa di impulsi elettrici (ed altre bestie mute, addestrate ad inviare impulsi, e addestratori umani incapaci di tutto, salvo di addestrare). Praticello con gradevole luce, su forcone appeso al muro, e colata di vernice. Praticello delle sei e mezza di pomeriggio (d’estate, e personaggi vari che a quell’ora provano angoscia immotivata).”
Pezzi così sono semplicemente belli e belli.
Spero di leggerne altri.